Atto V

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Atto IV Nota storica
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ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.

Giorno.

Giustiniano, Narsete e guardie.

Giustiniano. Ahi! più tempo non v’è; già delle luci

Privo è l’eroe; già di Bisanzio è persa
Tutta la speme.
Narsete.   Oh lagrimevol caso!
Giustiniano. Ah ministri crudeli! Io vi prescrissi
Ad eseguir la ria sentenza un giorno;
Voi sì tosto al crudel atto veniste!
Ma i carnefici crudi appello in vano.
Fu la mia destra, che inumana e fiera
Privò degli occhi il forte mio sostegno.

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Misero Belisario! Or vengan pure,

Vengano i sollevati, e me dal trono
Balzando strappin l’oriental corona
Da questa fronte. Vengano fastosi,
Che la mia sicurezza, il lor terrore
Languendo sta di Belisario accanto.
Narsete. Ah Cesare! ah signor! perchè cotanto
Fosti seco crudel?
Giustiniano.   Al fato il chiedi,
Che colpevole rese il forte eroe.
Narsete. Di qual fallo egli è reo?
Giustiniano.   D’aver tentata
Di Giustinian la sposa.
Narsete.   Ah sei tradito!
Belisario è innocente.
Giustiniano.   Io stesso vidi
Ciò che basta a provar il suo delitto.
Narsete. Ah! pur troppo vedrai che t’ingannasti.

SCENA II.

Antonia in abito da uomo, e detti.

Antonia. Al monarca maggior che il mondo adori

Chiede asilo e pietade un’infelice,
La di cui vita un’empia donna insidia.
Narsete. (Antonia salva? Il cor m’esulta in petto), (da sè
Giustiniano. Come! Antonia? Perchè con queste spoglie?
Antonia. Per salvar la mia vita e l’onor mio.
Giustiniano. E non basta la reggia a preservarti?
Antonia. Anzi sta nella reggia il mio periglio.
Giustiniano. Spiegati; io non t’intendo.
Antonia.   A te, signore,
Meglio di me lo potrà dir Narsete;
Egli sa la cagion di mie sventure.

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Narsete. Tempo non è di più celarti il vero;

Or vuole il ciel che il traditor si scopra.
Fu Teodora che a me stesso impose
Di dar morte ad Antonia. Io per sottrarla
Dal periglio fatal, fuor di Bisanzio
Destinava condurla, e già nel porto
M’attendea corredata amica nave.
Fra l’ombre della notte Antonia meco
Guidai di furto, e in questa sala appunto
Crudel vi fu che contrastomm’il passo;
Involommi la donna, e con il brando
Obbligommi al cimento. Io caddi, e intanto
Venne Antonia involata. Io non so quale
L’assassin fosse, e dov’ella condotta
Dirti non so. La seguitai; ma in vano.
Più non la vidi. Or ella dica il resto.
Giustiniano. (Cieli! che ascolto mai?) Tu come in queste
Spoglie ti trovi?
Antonia.   Strascinata a forza
Fui da ribaldi, e verso il mar sembrava
Che volesser condurmi. Alzai le strida
Quanto forte potei. Chiedea pietade
Ai tronchi, ai marmi; e inutilmente il pianto
Sulle gote scorreami. Ecco mi veggo
Presso Filippo e il traditor conosco
Autor del ratto. Colla spada in mano
Sollecita la fuga ai masnadieri.
Ma sien grazie agli dei, sorpresi furo
Da un drappello de’ tuoi che minacciosi
Vennero addosso ai scellerati; ed essi
Non pensar che a fuggir. Filippo stesso
Fu obbligato a salvarsi. Io restai sola;
Errai fra l’ombre, e mi guidò il destino
Sullo spuntar del giorno all’umil tetto
Del vecchio Elpin, di cui la moglie il latte

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Mi diede e meco qui d’Antiochia venné.

Accolta fui, e il vecchierel pietoso
Convinto da ragion, mosso da prieghi,
Quest’abito mi diè, ch’è ancor di quelli
Ch’egli portar solea, quand’era in corte.
Sconosciuta così venni alla reggia.
A te dunque ricorro in tal periglio.
Tu la mia vita e l’onor mio difendi.
Giustiniano. Perchè la morte tua voler Teodora?
Antonia. Perchè son io di Belisario amante.
Giustiniano.   Ed a lei cal di ciò?
Antonia. Ah che pur troppo
Del medesimo foco arde ancor essa.
Giustiniano. Come?
Antonia.   Se il ver non dico, il ciel m’uccida.
Giustiniano. Oh funesto principio!
Narsete.   E peggio il fine.
Antonia. Ella m’impose muta farmi e cieca
In faccia del mio bene; ed oh qual pena
Provai allor che all’amor mio vicina,
Nè mirarlo potea, nè favellargli!
Ella stava guatando; ed ei crudele
Mi chiamava, e infedel diceami a torto.
Giustiniano. (Qual orror mi sorprende!) (da sè, agitato
Antonia.   Indi la cruda
Minacciando volea che la mia destra
Dessi di sposa al traditor Filippo;
Ed ei che m’ama quant’io l’odio, ogni opra
Fece per possedermi, e tutto in vano.
Giustiniano. (Cresce il sospetto mio). (da sè
Narsete.   (Barbara donna!)
Antonia. Belisario mi crede a lui costante;
Mi scrive un foglio; si querela in esso:
Teodora mel toglie; empia mi niega
Di leggerlo il piacer; indi minaccia

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Serbarlo ad uso di vendetta. Ah! ch’ella

Pur troppo di quel foglio ordì il più fiero
Barbaro tradimento. A lei sostenne,
Che diretto ei l’avea...
Giustiniano.   Non più; spietata,
Barbara Teodora, ora comprendo
Le insidie tue. Narsete, a te consegno
Questa donna infelice. Ah! troppo tardi
Parlasti, Antonia: il colpo è già caduto.
Più rimedio non v’è; già Belisario...
Antonia. Belisario che fa?
Giustiniano.   Privo è degli occhi.
Antonia. Ahimè! Chi mi soccorre? Aita, oh dei!
Già vengo meno. Ahi Belisario! Ahi fato! (sviene
Giustiniano. Deh! soccorri, Narsete, all’infelice,
Ch’io già farlo non posso. Ecco svelato
Il grand’arcano; ecco scoperto il reo.
Ah Teodora, spergiura, empia, inumana,
Se ingannato da te fui crudo altrui,
Sarò teco crudel, per esser giusto. (parte

SCENA III.

Narsete ed Antonia.

Narsete. Apri le luci.

Antonia.   Ohimè! dove son io?
Giustiniano fu qui?
Narsete.   Vi fu poc’anzi.
Antonia. Parlò di Belisario?
Narsete.   Sì, parlonne.
Antonia. Che disse del mio ben?
Narsete.   Non l’intendesti?
Perchè vuoi ch’io ripeta il tuo cordoglio?
Antonia. Dimmelo per pietade.

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Narsete.   Egli è senz’occhi.

Antonia. Senz’occhi l’idol mio? Senz’occhi quello...
Ma che, folle, mi perdo in vani sensi?
Belisario dov’è? Guidami a lui.
Per li numi del ciel io te ne priego.
Narsete. Compiacerti vorrei; ma temo, Antonia,
Che il mirarlo ti uccida.
Antonia.   È forse morte
Il maggiore de’ mali? E che altro brama
Che accelerata morte un disperato?
Guidami ad esso, o che senz’altra scorta
Lo troverà nell’empia reggia il core. (parte
Narsete. Tenerezza d’amor, quanto sei grande!
Vo’ seguir l’infelice, acciò non pera. (parte

SCENA IV.

Belisario cieco.

Misero Belisario! Eccoti al fine

Nelle pupille e più nell’alma offeso.
Dura pena mi fia l’esser senz’occhi,
Ma la fama perduta è un maggior danno.
Ah! foss’io stato cieco, allorchè il fato
Guidomm’in corte, che l’invidia altrui
Reso infelice non m’avria cotanto!
Perfida Teodora! A tanto eccesso
La sfrenata passion d’amor, di sdegno
T’hanno guidata! Ti spiacea cotanto
Della mia Antonia l’innocente affetto?
Ma dov’è l’idol mio? Dov’è la sposa?
Dato mi fosse almen solo una volta
D’udirla ancor, pria di finir mia vita.
Ma non v’è chi m’ascolti? Ove son io?
Quivi pur mi condusse un de’ ministri,

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E m’accertò ch’è qui l’imperial trono;

Che qui fra poco Giustinian s’attende.
Trovassi almeno il soglio. Il piè che tante
Volte lo passeggiò, dovria trovarlo.
Eccolo, è questi al certo. Or qui m’assido.
Che se gli occhi ho perduti, ho però in petto
Lo stesso cor di Belisario ancora.
Soglio, non ti sdegnar, se un cieco a’ piedi
Tuoi qui s’asside, chè più cieco è quello
Che l’alto grado maestoso ascende.
Cieco è ciascun che di mortal grandezza
Troppo invaghito, i precipizi suoi
o non cura superbo, o non discerne; .
E cieco è quel che di fortuna al riso
Troppo s’affida e il variar non teme.
Apprenda ogni mortali dal mio destino,
Che chi serve a monarchi, o presto o tardi,
Scopo si rende dell’invidia altrui.
Onde fia meglio in umile capanna
Passar i giorni lieti a parca mensa,
Che fra ricchi splendori in regio tetto.
Parmi di sentir gente.

SCENA V.

Giustiniano conducendo a forza Teodora; guardie e detti.

Teodora.   Ove mi guidi?

Giustiniano. Vieni che lo saprai.
Teodora.   (Numi! Qual vista!) (da sè
Belisario. Amici, per pietà dite chi siete.
Giustiniano. Belisario, son io...
Belisario.   Ah gran monarca (s’alza con riverenza
Dell’impero del mondo, almen permetti

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Che un infelice e già difforme oggetto

Sulla mano regal t’imprima un bacio!
Giustiniano. Teodora, osserva. Ecco l’orribil pompa
Della perfìdia tua. Fisati in questo
Spettacolo funesto, indi richiama
Alla memoria i scellerati affetti.
Teodora. Come! Cesare a me?
Giustiniano.   Taci, ammutisci.
Belisario infelice, al sen ti stringo.
Perdonami, se tardi e fuor di tempo
Dell’innocenza tua certo ti rendo.
Teodora. (Stelle! qual cangiamento!) (da sè
Belisario.   Oh! care voci,
Delle stesse mie luci assai più care!
Perdono al mio destin tutto l’oltraggio,
Se l’innocenza mia salva rimane.
Giustiniano. Osserva il primo eroe del Greco impero (a Teodora
Oltraggiato così per una indegna
Tua tiranna passion. Del tuo delitto
Egli porta la pena; e tu, crudele,
Non ti movi a pietade in faccia a lui?
Teodora. Così parli a Teodora? Il mio delitto?
La mia passion? A me crudel? Quai detti
Non intesi son questi?
Giustiniano.   Ancor tu fìngi,
Sesso infedel, nell’odiar costante?
Ma finzion più non giova, ed ogn’inganno
Della perfidia tua scoperto è al fine.
Belisario. Santi numi del ciel, grazie vi rendo.
Teodora. Pensa, signor...
Giustiniano.   Penso che poca pena
Fia la morte per te; che più crudele
Mostro di te non mi figuro al mondo.
Teodora. A me che sono...
Giustiniano.   A te che resa indegna

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Dell’amor mio, di mia pietade, or sei

Cagion del pianto mio, del mio cordoglio.
Teodora. Ma Belisario è pur...
Giustiniano.   L’uom più innocente
Che sia sopra la terra, e il più infelice
Scopo di femminil sdegno protervo.
L’infedele tu sei; tu la spietata.
Teodora. Chi è colui che m’accusa? Io mi difendo.

SCENA VI.

Antonia e detti.

Antonia. Difenditi, se puoi; t’accusa Antonia.

Teodora. (M’ha tradita Narsete, oh me infelice!) (da sè
Belisario. Antonia, idolo mio, vieni, ove sei?
Antonia. Belisario, mio ben; qual ti riveggo?
Giustiniano. (Amanti sventurati!) (da sè
Antonia.   Or t’ammutisci? (a Teodora
Quell’Antonia son io...
Teodora.   Sì, quella sei
Che doveva morir. Io la tua morte
Procurai per vendetta, e sol mi duole
Che ingannommi Narsete e che ancor vivi.
Ecco, più non mi celo, ecco una donna,
Il di cui nome nell’età venture
Terribile sarà. Son io colei
Che seppe trionfar del glorioso
Trionfator d’eserciti nemici.
Belisario è innocente, io son la rea;
Che si tarda a punirmi? Or che compita
Ho la vendetta mia, morrò contenta.
Belisario. Che fierezza!
Antonia.   Che ardir!

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Giustiniano.   Donna superba,

Se alle genti future il tuo delitto
Noto sarà, vo’ ancor che la tua pena
Rimanga eterna, e sia d’esempio altrui.

SCENA VII.

Narsete e detti.

Giustiniano. Ecco il fulmin del ciel che giusto cade1

Sul mio capo crudel. Ecco la pena
Dell’ingiustizia mia. Sei, Belisario,
Vendicato abbastanza; e se tu gli occhi
Perdesti, io perderò la vita e il trono.
Più non v’è chi m’assista o mi difenda.
Scellerata Teodora, ancor mi resta
Tanto spazio d’imperio, onde alla morte
Ti possa condannar.
Belisario.   Frena, signore,
Frena gl’impeti tuoi. Benchè sia cieco,
Vive ancor Belisario, e puote ancora
Per lo Cesare suo sparger il sangue.
Deh! permetti che tosto io sia condotto
Alle logge imperiali. Io già non temo
Le spade di color che tante volte
Obbediro al mio cenno. I tuoi nemici
Paventeran la mia presenza, e alcuno
De’ tuoi non vi sarà che me non segua.
Antonia. Oh valor inaudito!
Giustiniano.   Ah! che il soccorso
Tardo tem’io.
Belisario.   Non dubitar, già il cielo
Certa vittoria mi predice al core.
Narsete, il braccio tuo siami di scorta.

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Giustiniano. Ti secondino i numi, invitto eroe.

Vanne, se ciò ti aggrada, e fia tua gloria
Render bene per male, amor per sdegno.
Antonia. Anch’io ti sieguo nel fatal cimento.
Belisario. Se il ciel m’assiste, in questo giorno io spero
Donar luce maggior alla mia fama.
Amici, andiamo. Un bell’onor c’invita
A pugnar per la patria, e per la fede.
(Parte Belisario, guidato da Narsele ed Antonia, con parte delle guardie

SCENA VIII.

Giustiniano, Teodora e guardie.

Giustiniano. Itene pur, alme onorate e degne

A menarmi la gloria. Ah! tu fra questo (a Teodora
Popolo mio fedel sarai la sola
Ostinata, perversa? Il sol oggetto
Dello sdegno di Grecia e del mio duolo?
Teodora. (Cede omai la costanza, e non so quale
Dolor mi serpe, e confusion nel seno). (da sè
Giustiniano. Eh! si tolga dal mondo un mostro indegno,
E pria che lasci questo soglio in preda
Degl’inimici miei, servami ancora
Per fulminar la pena a chi cotanto
Debol lo rese. Popoli, Teodora (va in trono
Non è più sposa a Giustinian. Colei
Che con indegni femminili inganni
Belisario tradì, punir destino.
La condannan le leggi. Io non l’assolvo;
Muoia chi fu cagion del nostro pianto.
Teodora. Sì, sì, morrò, che ben lo merto. Al fine
Conosco il fallo mio. Sposo adorato...
Giustiniano. Taci, non profanar un sì bel nome.
Teodora. Alma sì rea non v’ha, nel di cui core
Pentimento non giunga o presto o tardi.

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Di Belisario la virtù, l’orrore

Del suo misero stato entro al mio seno
Giunsero al fin ad introdur pietade.
Pietà di lui, ma non di me che troppo
Ne son indegna, e solo morte attendo.
Ma se morir degg’io, di questo solo
Nell’ultimo mio dì, signor, ti prego.
Deh! non lasciar che dal mio sen si parta
L’anima addolorata e seco porti
Lo sdegno tuo sin nell’Averno ancora.
Punisci in me la colpa; essa è ben degna
Del rigor delle leggi, ma lo spirto
Deh! non punir, e nella tomba mia
L’ira tua fia sepolta e la mia colpa.
Giustiniano. Muori pur, cruda donna, e quella pace
Venga con te, che a me tu lasci.
Teodora.   Oh fiera
Terribile sentenza!
Giustiniano.   Olà, soldati,
Sia condotta colei...

SCENA IX.

Antonia e detti.

Antonia.   Cesare, io riedo

Di felici novelle apportatrice.
Giustiniano. Belisario che fa?
Antonia.   Ei non sì tosto
Al popolo mostrossi, che s’udìo
Passar di bocca in bocca il suo gran nome.
Ciascun volea vederlo; e a quella vista
Chi piagnea, chi fremea, e chi esclamava:
Pera chi fu cagion del colp’orrendo.
Vi fu talun che giunse a dir (perdona,

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Se per tutto ridir libera parlo):

Cada chi l’acciecò, Cesare pera.
Allor io fui, che la mia voce alzando,
Al popolo gridai: Cesare è giusto.
Chi tradì Belisario, è quello stesso
Ch’or minaccia Bisanzio, e il ferro impugna
Contro di noi. Filippo è il reo, correte,
Atterrate, uccidete; e il duce vostro
Vendicate, fedeli. All’armi, all’armi.
Quai cose disse Belisario a quelli
Che gli stavan d’intorno, io dir non posso,
Perchè ben non l’intesi. Io so che appena
Udiro i detti suoi, le genti tutte
S’armaro a un punto solo, e corser tosto
Dove più di bisogno esser parea,
Gridando: Viva Belisario, e pera
L’inimico crudel. Poscia uno stuolo
De’ tuoi guerrieri alle battaglie avvezzi
Uscì fuor della reggia, e sovra gli empi
Rapido si scagliò. Ma vien Narsete;
Ei saprà il fin della gloriosa impresa.

SCENA X.

Narsete e detti.

Narsete. Cesare, abbiamo vinto. Appena il forte

Temuto Belisario agl’inimici
Si presentò da questa reggia, e ad alta
Voce gridò: Fermate, io ve l’impongo;
Impallidì degl’infedeli il volto,
E i più forti tremar. Filippo audace
Infierì a quella vista, e i suoi seguaci
Animò alla battaglia. I tuoi guerrieri
Tardi non furo ad incontrar l’azzardo.

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Strage ne fero in breve tempo, e al fine

Cadde trafitto il seduttor Filippo.
Torna l’eroe glorioso; e fora giunto,
Se la turba festosa che il precede,
Non gl’impedisse accelerare il passo.
Giustiniano. Oh portento inaudito! Andiamo, amici,
Ad incontrar l’eroe. (s’alza
Antonia.   Dal vicin grido
Delle voci giulive io ben m’avviso,
Ch’ei lontano non sia. Mira che giugne.
Teodora. Oh prodigio del ciel!

SCENA ULTIMA.

Belisario, popolo e detti.

Belisario.   Diam grazie ai numi

Di sì bella vittoria.
Giustiniano.   A queste braccia
Vieni, glorioso eroe; la tua vittoria
Mi stabilisce un’altra volta il soglio;
Ma sinchè vita avrò, pace non spero;
Che troppo fui crudele e troppo ingrato,
Nè già dar ti poss’io quel che ti tolsi.
Belisario. Bastami l’amor tuo. Questo compensa
Ogni mio danno, e d’altro ben non curo.
Giustiniano. E tu, donna spietata, in questo giorno
Preparati a morir; scegli il supplicio
Di veleno o di ferro.
Teodora.   E l’uno e l’altro
Son lieve pena al mio crudel delitto.
Narsete. (S’intenerì). (da sè
Antonia.   (Pur si cangiò la fiera).
Belisario. (Anche il cor più crudel reso è pietoso).
Giustiniano. Porgimi la tua destra, e meco ascendi (a Belisario

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Questo soglio, di cui la tua virtude

Sempre più ti fa degno. Il nome e il grado
Di Cesare ti rendo. Il buon Narsete
Vada a regger l’Italia; ei ben lo merta.
Belisario. Signor, l’offerta tua già non ricuso;
Guidami al trono tuo.
Giustiniano.   Vieni, che teco (s’accostano al trono
Più superbo n’andrà di sua grandezza2.
Belisario. Se troppo è il chieder mio superbo e ardito,
L’affetto tuo, la tua pietade incolpa.
Di questo don ti priego: a me concedi
Arbitrio di regnar sopra il tuo soglio.
Giustiniano. Tutto nelle tue man io lo ripongo.
Popoli, in questo dì non fia chi nieghi
Obbedienza a lui; depongo anch’io
Lo scettro, e come voi, suddito e servo
Mi rendo, e ad obbedir insegno altrui.
Belisario. Odimi, Giustinian; m’oda Bisanzio: (in trono
Dalla morte vogl’io Teodora assolta.
Questo l’unico sia regio comando,
Che Belisario a’ suoi fedeli impone.
Teodora. Oh pietade inaudita!
Antonia.   (Anima grande!) (da sè
Giustiniano. (Ahi comando fatal!) Pensa, che fai...
Belisario. O s’adempia il mio cenno, o che il tuo dono,
Signor, ti rendo, e sarai meco ingrato.
Narsete. Il popolo consente.
Giustiniano.   E Giustiniano
Tutto vassallo ad obbedir sia il primo3.
Facciasi il tuo volere. E se tu il brami,
Viva Teodora; ma in Antiochia vada,
Nè più vegga il mio volto.

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Belisario. Ora mi spoglio (scende

Del regio fasto, e questo soglio io rendo,
Cesare, a te. Ti serbi il ciel pietoso
Sempre lieto e felice. Io già compita
Ho la mia gloria. È temp’ormai che pensi
A gloria più sublime e più sicura.
Cesare, addio, priegoti sol che voglia
Darmi la sposa mia; d’altro non curo.
Antonia. Ecco la tua fedel.
Belisario.   Mia dolce vita,
Teco viver vogl’io; teco morire.
Giustiniano. Deh! non lasciarmi, amico, e sin ch’io viva
Resta meco a regnar.
Teodora.   Pietoso eroe,
Teodora a’ piedi tuoi perdon ti chiede.
Belisario. Augusta, d’ogni oltraggio io già mi scordo;
E fra tante vittorie la più bella
Sarà quella ch’ebb’io sovra il tuo core.
Narsete. Il tuo Narsete umil, signor, s’inchina.
Belisario. Ti stringo al sen, che la tua fede il merta.
Giustiniano. Oh! quanto parleran le storie un giorno
Della virtù di Belisario. Ah! temo,
Che di mia crudeltà parlino ancora.
Belisario. Non lo temer. Diran che fosti giusto
Una colpa a punir per tante false
Prove creduta. Sì, diran ch’io fui
Innocente nel cor, ma reo nel volto.
Le bilance d’Astrea chi regge in mano
Non penetra nel cor; e sempr’è giusto
Colui che delle leggi usa il rigore.


Fine della Tragedia.

  1. Così il testo dell’ed. Zatta. Alle parole di Giustiniano sembra che devano precedere alcune parole di Narsete.
  2. Così il testo.
  3. Così si legge nel testo.