Azioni egregie operate in guerra/1665

1665

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1665.

D
ON Giovanni d’Austria, destinato al comando dell’armata di Filippo IV suo Padre, volle internarsi assai in Portogallo. Assalì Evora, Città di gran circuito, sfornita di buoni ripari, e in pochi giorni l’acquistò colla prigionia de’ soldati comuni. Quivi dovette lasciare una grossa guarnigione, per assicurarne il possesso; con che diminuì notabilmente l’esercito. I Conti di Scomberg, e di Villa Flora, Generali Francese, e Portoghese, colle loro genti s’erano collocati a Landroal, vicino ad Estremos, per ivi impedire i viveri al Campo di D. Giovanni. E però, questi, affine d’averne, dovette distaccare buona parte della Cavalleria, per iscortare i convogli di vettovaglie del proprio Paese. Abbisognava pur anco di rinforzarsi con altre soldatesche, le quali da più provincie s’accostavano a’ confini. Fu consultato tra’ Generali, sù quale strada si dovesse andar loro incontro, per unirle. In dignità di secondo Generale serviva colà D. Francesco Tuttavilla Napolitano, Cavaliere esercitatissimo nelle armi, ottimo Comandante, ed insigne guerriero per le belle azioni, operate in Lombardia, in Catalogna, e anche in Portogallo negli anni addietro, ove prese Olivenza, e portò soccorso a Badaios. Esso consigliò, che si marciasse per Serpa, e Moura1 e non mai per Estremos; altrimenti si esponeva ad inevitabile ruina; poichè in quelle vicinanze accampavano i Portoghesi in sito ottimo, dove avrebbono vinto, se si fusse combattuto. Soggiunse come esso non aveva mai sfuggite le battaglie anche con forze inferiori. Ma questa volta la dissuadeva con tutto lo spirito. La Cavalleria Spagnuola, spedita altrove per viveri, essere distante; e quando anche arrivasse a tempo, giungerebbe stanca alla pugna. Non mancherebbono opportunità di combattere, ma ora doversene frenare la voglia, e non curare vittoria incerta; quando in altre occasioni poteva promettersi sicura. Gli altri Generali piegavano all’opinione del Tuttavilla. Ma D. Giovanni, saldo nell’opposto partito, volle incamminarsi verso Estremos in faccia a’ Portoghesi. Questi piantarono il Cannone in alcune eminenze, dalle quali portavano gravissimo danno agli Spagnuoli. Perlochè D. Giovanni decampò. Il Co. di Scomberg tenne loro dietro; e passando da colle in colle, seguitò ad incomodarli colle artiglierie a grave loro danno; sinchè scelto un tempo, in cui parte della Cavalleria di D. Giovanni era uscita al foraggio, l’assalì. Sul Corno destro stavano i Spagnuoli, molti de’ quali erano nuove leve, essendo rimaste in Evora di guarnigione le truppe [p. 161 modifica]veterane. Sulla sinistra erano schierati gl’Italiani, tra’ quali quattro di Napoli co’ Colonnelli D. Marzio Origlia, D. Camillo di Dura, D. Andrea Copola, e D. Antonio Guindazzo, ed uno di Milanesi col Marchese di Gazino. La battaglia durò incerta per più ore. L’una, e l’altra Cavalleria si diportarono egregiamente; finchè i Fanti Spagnuoli, gente raccolta di fresco, furono i primi ad essere sbaragliati. Gl’Italiani tennero fermi per un pezzo; e quando abbandonati dagli altri, dovettero dar addietro, praticarono con decoro la ritirata senza mai gettare le armi, spesso facendo alto, e riordinandosi, massime quelli dell’Origlia, e del Dura; finchè molti di loro furono in sicuro. Per la diligenza dello stesso Origlia non poche milizie disperse si raccolsero sotto le bandiere Austriache2. Con una mercede di cinquecento scudi il Re Cattolico ricompensò il di lui valore, mostrato nel fatto d’armi. Essendo Valenza d’Alcantara assediata da’ Portoghesi, D. Fabrizio de Rossi co’ suoi Napolitani di presidio fu collocato nel posto più debole, assalito dagl’Inglesi Ausiliarij. La muraglia in cattivo stato per la vecchiezza senza terrapieni, e senza fianchi, battuta lungamente da sedici Cannoni, cadde ruinosa per parecchie braccia, e spalancò ampia breccia, sù cui gli aggressori piantarono l’alloggio, e più bandiere. D. Fabrizio li ributtò bravamente, ed acquistò le bandiere. Lavorò addietro un riparo di tavoloni, cassoni di pietre, e sacchi di lana, col favore del quale respinse più assalti, finchè fu ferito da due colpi. La brava resistenza ottenne al Presidio onorevole capitolazione3. Il General Portoghese volle vedere D. Fabrizio: si condolse delle ferite, e si rallegro della di lui prode difesa. D. Giovanni d’Austria gli mandò i suoi Chirurgi per curarlo, ed espresse la gran brama, di riaverlo sano. Poco dopo fu rimunerato con istipendio annuo di mille, e ducento ducati. La Cedola Reale, che assicurava la pensione, commemorava con lodi grandi il di lui zelo, e lunghi servigi militari, prestati da esso D. Fabrizio in Catalogna, in mare, nel Contado di Rossiglione, presa d’Olivenza, difesa d’Evora, per i quali lo inalzava a maggior dignità. Nell’esercizio della novella carica si trovò Egli alla battaglia di Villaviciosa.

L’Esercito del Re Cattolico, augumentato da truppe, ricavate dalle Provincie suddite, mutò Comandante; Ma non cangiò fortuna. Il Marchese di Caracena, dichiarato capo d’esse, s’accinse all’assedio di Villaviciosa. La condotta riuscì sregolata, ed infelice; a tal che gl’Istorici, non sapendo rinvenire la cagione, l’attribuiscono a certa fatalità, che alcune volte rovescia la mente umana, sconcerta i fantasmi, e rende la persona mezzo instupidita. Presa la Città, ed incamminato l’attacco del Castello, venne avviso, come l’armata Portoghe[p. 162 modifica]se s’avvicinava per dar battaglia. Il Caracena, lasciato un Corpo di varie Nazioni all’oppugnazione incominciata, s’inoltrò per combattere. Eranvi nel di lui Campo alcuni squadroni di Cavalleria Alemanna con alla testa il Principe Alessandro Farnese, Pronipote del Grand’Alessandro, e Fratello di Ranucio Duca di Parma. Egli volle seco D. Marzio Origlia sopradetto, intendentissimo dalla Milizia equestre. Col di lui consiglio dispose saggiamente le schiere della Cavalleria Alemanna, e nella battaglia, che poi seguì, lo tenne seco avanti le prime file, nelle quali amendue combattendo insieme con sommo valore, sbaragliarono più volte la Cavalleria nemica.

Il Caracena, senza informarsi del numero superiore de’ nemici, senza far conto de’ siti vantaggiosi occupati da loro, senza osservare l’ordinanza ottima, con cui il Conte di Scomberg aveva distribuiti i suoi Portoghesi, Francesi, Inglesi, risolse d’assalire il nemico con forze inferiori, e con due soli Cannoni. Ordinò al Principe di Parma, che attaccasse con la Cavalleria Alemanna. Il Principe urtò con tanta bravura per fronte, e per fianco in un battaglione, talché lo tagliò quasi tutto a pezzi.

Combattette contro Cavalleria, Fanteria, e Cannoni. Ruppe, e pose in confusione le due prime linee nemiche a Cavallo. Ma perché gli Avversarj erano in numero superiore, e i secondi, e i terzi succedevano a’ primi, vi perdette molta gente. Altro Generale Spagnuolo col corpo più grosso di Cavalleria in numero di quattro mila doveva sottentrare al conflitto. Ma questi non volle muoversi, benché dovesse, e potesse farlo senza pericolo. Il Principe di Parma più volte mandò a dirgli, che l’ajutasse, e venisse a combattere. Ciò non ostante quegli neppur volle far un passo, rispondendo, che aveva ordine di star fermo. Il Caracena da un’altura, vedendo questa disubbidienza, comandò diverse volte, che soccorresse i Tedeschi. Ma quel Comandante ricusò sempre di farlo. Il Principe Alessandro, vedendosi abbandonato, e in pericolo d’esser preso in mezzo da più schiere ostili, riunì le sue truppe stanche, e ruinate dopo sei ore di conflitto. Si ritirò passo a passo. Da Capitano intelligente si tenne sempre sù i siti opportuni al suo bisogno. Fece di nuovo testa a’ Portoghesi; e col residuo de’ suoi, che avevano combattuto con eccessivo valore, si ridusse in salvo. Non così il Generale della Cavalleria Spagnuola. Accortisi i Portoghesi della di lui disubbidienza, si spinsero gagliardamente contro le di lui truppe. Niuno si oppose loro; e senza aspettare un colpo, tutti cominciarono a correre, senza più voltar faccia sino a Garummena piazza di loro dominio. Nel travalicare un grandissimo fosso quel Generale, ed altri Uffiziali, tra’ quali il Tenente Generale, sorpresi da’ Vincitori, rimasero miseramente prigionieri.

Militava nella Fanteria Cattolica il Conte Gio. Belgioioso, Cavalier Milanese al comando d’un reggimento di sua Nazione4. Con que[p. 163 modifica]sto investì il primo battaglione nemico, postato al coperto d’una Cassina, da cui si scagliò addosso con grand’ardimento. Occupò il posto, e il Cannone, che lo difendeva. Investito per fianco da due battaglioni avversarj, e abbandonato dalla Cavalleria Spagnuola, rimase prigione. Il Capitano Paolo Manzano lo disimpegnò dalle mani d’un Colonnello Portoghese, che ammazzò, e lo ripose a Cavallo. Il Conte Belgiojoso riunì le sue genti, scacciò l’inimico dal posto, lo mantenne combattendo sin all’ultimo, indi ritirossi a salvamento. Anche D. Fabrizio de’ Rossi in tutti il tempo del fatto d’armi fu in continuo moto, adempiendo tutte le parti di prudente Generale, ed intrepido Guerriero. Con tre battaglioni ne urtò nove nemici del corno diritto, guadagnando una Casa forte, e rompendo due squadroni avversarj. Nel meglio della zuffa due battaglioni di nazione straniera al soldo di Spagna per avventura nuove leve, si avvilirono, e gettarono le armi dandosi vinti. Erano a lato di D. Fabrizio. Questi veduto il fianco della propria Fanteria scoperto, la riunì, e retrocedendo, senza però mai volger le spalle, ne ritirò buona parte in Garumegna, lodato grandemente dal Caracena, e da D. Gio. d’Austria, per la maestria, valore, e sforzi, co’ quali mise in salvo que’ pedoni.

A rendere poderosa la guerra contra del Portogallo, e a rimettere gli eserciti disfatti, furono spogliati l’Italia, e i Paesi Bassi Cattolici delle Milizie migliori, e condotte in Ispagna. Colà poi, essendo periti in gran parte nelle rotte patite, si trovò la Monarchia Spagnuola destituta quasi affatto di forze militari, e col Portogallo tuttavia nemico, e colla Francia assalitrice nella Fiandra, sprovveduta di difenditori contra grossissima armata del Re Cristianissimo. Per tanto l’Imperatore Leopoldo, esaminando lo stato di quell’affare, non giudicò sana prudenza l’interessarsi in guerra, e lo spinger colà le proprie truppe, quantunque fosse pressato da fervidissime istanze della Regina sua Sorella, e dalla commiserazione verso il piccolo Fanciullo, e suo Nipote Carlo secondo Re Cattolico.

L’impegno di ostare a’ progressi del Re Luigi, che Cesare non volle addossarsi, fu abbracciato dagli Ollandesi, i quali a tal fine maneggiarono co’ due Re d’Inghilterra, e di Svezia l’Alleanza, detta dipoi la triplice Lega. Tendeva questa, a conservare gli Spagnuoli in Fiandra nel possesso di quelle Città, e Provincie, che ancora rimanevano in loro dominio. Questo fu il primo passo, ch’Essi fecero contra la Francia. Per altro dacchè si sottrassero dall’ubbidienza di Filippo Secondo Re Cattolico sino a questo tempo, gli Ollandesi erano stati unitissimi di animi, d’interessi, e di confederazione co’ Re Francesi. Ma quando nel seicento sessantasette videro il Re Cristianissimo, fare progressi così vasti nella Fiandra, e nella Franca Contea, temettero la perdita totale di tutta la Fiandra Spagnuola, e paventarono la prossimità formidabile delle armi Francesi, che sempre più s’augumen[p. 164 modifica]tavano in lucrosi acquisti. Per tanto si diedero a macchinare con calore incessante quella celebre lega, e la conclusero con la mira, di mettere apprensione al Vincitore, condurlo a non progredire più oltre nelle conquiste, e ad avere de’ Collegati, i quali assistessero loro a difendere quel rimanente delle Città Austriache, le quali pretendevano, servissero loro di barriera, e di riparo contra le invasioni del Re Luigi, da essi appreso per Principe potentissimo, e bellicosissimo. In fatti il Re Cristianissimo preinteso l’ordimento di quella confederazione, si mostrò vogliosissimo di concordia. Ma se la guerra andò male per gli Spagnuoli, niente men bene procedette la pace, detta d’Aquisgrana dalla Città, in cui fu sottoscritta. In quella due proposte furono esibite alla Corte di Madrid in elezione: o di rilasciare la Franca Contea con qualche altra piazza: o di ricuperare la Franca Contea, e cedere al conquistatore, quanto aveva preso sin allora. Il Baron Francesco dell’Isola, Politico, adoperato in moltissimi affari dall’Imperatore, persuase, ed evinse, che si riavesse la Franca Contea, e si perdesse tutt’altro, con dire, che quanto più la Francia si avvicinasse all’Ollanda, tanto più i Politici di Ollanda si sarebbero trovati in necessità di star uniti agli Spagnuoli, e di soccorrerli con tutto il loro potere alle occorrenze di nuova guerra. Ma non antivide Egli, quanto avvenne di poi, cioè che il Re Luigi renderebbe5, come poi fece la Franca Contea, ma in così cattivo stato di difesa, sicché potrebbe riaverla di nuovo agevolmente, con qualunque impressione vi facesse sopra, come successe dopo pochi anni.

Se è vero, come fu supposto, che il Baron dell’Isola fusse Borgognone, ebbe attenzione all’utile della sua natia Provincia, la quale godeva grandi esenzioni e franchiggie sotto la Casa d’Austria, piuttosto che al bene della stessa Casa d’Austria, a cui compliva assai meglio, il ritornare in possesso di Lilla, Tornai, Dovai, ed altre Piazze, le quali colle altre, tuttavia possedute, costituivano un corpo ben nerboruto a sostentamento di quella frontiera; laddove senza quelle né gli Spagnuoli, né gli Ollandesi furono più valevoli a sostenerle.

Il Re Cristianissimo si prevalse degli anni seguenti, a distruggere la triplice lega. Coll’opera della Cognata Duchessa d’Orleans, e di eccellenti Ministri guadagnò il Re d’Inghilterra. E non solo lo separò dagli Ollandesi, ma lo trasse seco in lega a danni loro. Adoperò altri Ministri, forniti di eloquenza, ed altri buoni mezzi nella Corte del Re di Svezia, e lo ridusse prima all’indifferenza, indi ad una stretta confederazione con lui.

Sforniti di difensori gli Stati d’Ollanda, il Re Luigi si apparecchiò ad assalirli con eserciti i maggiori, che dopo Carlo Magno avesse sin allora condotti in Campo la Francia. Ottanta mila Fanti, tra’ qua[p. 165 modifica]li stuolo grossissimo di Svizzeri, terribili nelle battaglie, parecchi reggimenti Alemanni tratti al suo soldo, ed alquanti mila Inglesi, che passarono il mare alla di lui paga. Di più venti in trenta mila Cavalli, veterani quasi tutti, accostumati a vincere, ed erano Cavalleria della migliore d’Europa. Generali, e Capitani i primarj del secolo. Il Principe di Condè, il Turena, il Lucemburg, il Criquì, oltre ad altri più. E quasi tutto ciò non bastasse, guadagnò due Gran Prelati d’Alemagna l’Elettor di Colonia della Casa di Baviera, e Monsignor Bernardo Gallen Vescovo di Munster, i quali non solo unirono le truppe de’ loro Vescovati, ma a lui spalancarono più porte, per entrare colle armate nelle viscere più intime, e più aperte di quegli Stati.

Gli Ollandesi, comprese le imminenti invasioni della Francia, si diedero a munirsi con copia grandissima d’oro, versato in armamenti terrestri, e marittimi. Nelle Flotte navali avevano conservato Condottieri eccellenti, e quanto era d’uopo per ben difendersi, anche contra le due potenze Inglese, e Francese, come lo dimostrarono in parecchie battaglie, in niuna delle quali furono soccombenti, e in alcune piuttosto s’avvantaggiarono. Ma dalla parte di terra non potevano star peggio. Mancava Generale capace, di ben comandare l’esercito. Il Principe Guglielmo terzo d’Oranges, che posero alla testa delle Milizie, era Giovine di ventidue anni con poco studio di arte militare, perchè unico rampollo di sua Casa, di tenue complessione, era stato allevato dalla Principessa Madre con tutto il riserbo, e lontano dall’applicazione, perchè non patisse. Era pur anche sprovveduto affatto d’esperienza di guerra. Generali di grido, che lo assistessero, e lo dirigessero nelle faccende belliche, non se ne trovarono. Le Soldatesche, da loro arrolate, erano quasi tutte nuove leve, niente accostumate, nè alle battaglie, nè a sostenere il fuoco violento degli assedj. In ventiquattro anni di quiete, che goderono essi Stati dopo la pace di Vestfalia, avevano perduto l’uso del guerreggiare in terra. Coll’aver poi a quel tempo avversarj i Francesi, e gl’Inglesi, erano privi di bravissimi Uffiziali, e poderose truppe di amendue le nazioni, le quali per ottanta anni avevano costituito il miglior nervo de’ loro eserciti contra la Spagna. I due Principi d’Oranges, Maurizio, e Federico Enrico l’uno Avolo, e l’altro Prozio del Principe Guglielmo comparvero grandi, e riuscirono in varie spedizioni, perchè ebbero sempre a’ fianchi, e sotto i loro stendardi varj soggetti de’ più scelti tra’ Francesi, ed Inglesi con ischiere elette, ricavate da que’ due Regni., Ora gli avevano assalitori, e nemici, concordi al loro esterminio. Contavano, è vero, moltitudine di Piazze. Ma oltre all’esser queste, quasi tutte attorniate da Fortificazioni di terra per lunga pace trasandate in poco buono stato, nè potute ripararsi affatto per iscarsezza di tempo, penuriavano di Governatori eccellenti, e di guarnigioni ag[p. 166 modifica]

Il Principe d’Oranges persuase il demolirne molte, e conservarne poche ben presidiate. Il consiglio era savissimo; Poiché se in vece delle quaranta piazze volute difendere, e poi perdute, ne avessero conservate, e guernite solo otto, queste avrebbono sostenute le impressioni ostili meglio, e a tempo più lungo, di quello, che fecero le quaranta. Ma il Principe d’Oranges poteva poco ne’ consigli de’ Politici, che reggevano le Provincie unite. Due gran fazioni regnavano colà. L’una favorevole al Principe, che voleva esaltato, e ristabilito nelle dignità de’ suoi Antenati. L’altra contraria, composta di Persone togate, avverse al lui ingrandimento, e ai di lui pareri. Capi di questa fazione erano due fratelli Giovanni di Witz Pensionario, e Cornelio Gran Bagli di Puten, i quali pretendevano, di esser capaci a ben servire il loro Paese anche per gli affari di guerra. E questa diversità di partiti, e contrarietà di affetti nuocque moltissimo agl’interessi di quella Repubblica, che trattandosi di maneggiare le armi, aveva bisogno di Capi unitissimi, e concordi affatto, come anco di un Dittatore con piena autorità sopra tutti, come lo costumò la Repubblica Romana in occasione di guerra pericolosa. Nella Primavera del

Note

  1. P. Filamondo pag. 296.
  2. P. Filamondo suddetto pag. 491.
  3. P. Filamondo suddetto pag. 219.
  4. C. Gualdo. Vite di Personaggi Illustri. V. Belgioioso.
  5. Nani Istoria Veneta pag. 301 tomo I.