Arcadia (Sannazaro)/Prosa II

Prosa II

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Egloga I Egloga II

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ARGOMENTO


Racconta gli spassi, ch’ebbero per la strada i pastori tornando alle lor capanne; e che poi andando egli con le sue pecorelle un giorno per fuggire il caldo, incontrò Montano pastore, che cercava similmente il fresco; al quale fece offerta d’un bel bastone, pregandolo che cantasse. Montano, cominciato il canto, vide Uranio dormire; e destatolo, con lui cantò l’amor di due pastorelle, che ne’ cuori d’amendue loro facevano acerbi e diversi effetti.


prosa seconda.


Stava ciascun di noi non men pietoso che attonito ad ascoltare le compassionevoli parole di Ergasto, il quale quantunque con la fiocaFonte/commento: Pagina:Sannazaro - Arcadia, 1806.djvu/262 voce e i miserabili accenti a sospirare più volte ne movesse; nondimeno tacendo, solo col viso pallido e magro, con gli rabuffati capelli e gli ocelli lividi per lo soverchio piangere, ne avrebbe potuto porgere di grandissima amaritudine cagione. Ma poi che egli si tacque, e le risonanti selve parimente si acquetarono, non fu alcuno della pastorale turba, a cui bastasse il cuore di partirsi quindi per ritornare ai lasciati giuochi, nè che curasse di fornire i cominciati piaceri; anzi ognuno era sì vinto da compassione, che come meglio poteva o sapeva, s’ingegnava di confortarlo, ammonirlo e riprenderlo del suo errore, insegnandoli di molti rimedj assai più leggieri a dirli, che a metterli in operazione. Indi veggendo che ’l sole [p. 16 modifica]era per dechinarsi verso l’Occidente, e che i fastidiosi grilli incominciavano a stridere per le fessure della terra, sentendosi di vicino le tenebre della notte; noi non sopportando che ’l misero Ergasto quivi solo rimanesse, quasi a forza alzatolo da sedere, cominciammo con lento passo a movere soavemente i mansueti greggi verso le mandre usate; e per men sentire la noja della petrosa via, ciascuno nel mezzo dell’andare, sonando a vicenda la sua sampogna, si sforzava di dire alcuna nuova canzonetta, chi racconsolando i cani, chi chiamando le pecorelle per nome, alcuno lamentandosi della sua pastorella, ed altro rusticamente vantandosi della sua: senza che molti scherzando con boscherecce astuzie, di passo in passo si andavano motteggiando, infino che alle pagliaresche case fummo arrivati. Ma pensando in cotal guisa più e più giorni, avvenne che un mattino fra gli altri, avendo io, siccome è costume de’ pastori, pasciute le mie pecorelle per le rugiadose erbette, e parendomi omai per lo sopravvegnente caldo ora di menarle alle piacevoli ombre, ove col fresco fiato de’ venticelli potessi me e loro insieme ricreare; mi posi in cammino verso una valle ombrosa e piacevole, che men di un mezzo miglio vicina stava, di passo in passo guidando con l’usata verga i vagabondi greggi, che s’imboscavano. Nè guari era ancora dal primo luogo dilungato, quando per avventura trovai in via un pastore, che Montano avea nome, il quale similmente cercava di fuggire il fastidioso caldo, ed avendosi fatto un cappello di verdi frondi, che dal sole il difendesse, si [p. 17 modifica]menava la sua mandra dinanzi, sì dolcemente sonando la sua sampogna, che pavea che le selve più che l’usato ne godessero. A cui io vago di cotal suono, con voce assai umana dissi: amico, se le benivole Ninfe prestino intente orecchie al tuo cantare; e i dannosi lupi non possano predare nei tuoi agnelli, ma quelli intatti e di bianchissime lane coverti, ti rendano grazioso guadagno; fa che io alquanto goda del tuo cantare, se non ti è noja; che la via e ’l caldo ne parrà minore; ed acciocchè tu non creda che le tue fatiche si spargano al vento, io ho un bastone di noderoso mirto, le cui estremità son tutte ornate di forbito piombo, e nella sua cima è intagliata per man di Carileo bifolco, venuto dalla fruttifera Ispagna, una testa di ariete con le corna si maestrevolmente lavorate, che Toribio, pastore oltra gli altri ricchissimo, mi volse per quello dare un cane animoso strangolatore di lupi, nè per lusinghe, o patti, che mi offerisse, il poteo egli da me giammai impetrare. Or questo, se tu vorrai cantare, fia tutto tuo. Allora Montano, senz’altri preghi aspettare, così piacevolmente andando incominciò.


ANNOTAZIONI

alla Prosa Seconda.


S’ingegnava di confortarlo ec. Quando si vuol con buon fine correggere alcuno de’ suoi errori, prima si conforta quello, dicendogli che il male non è irremediabile, poi gli si danno utili ammonizioni, e così preparato l’animo di lui ad udire qualunque cosa possa essergli giovevole, si termina, so fa duopo, col riprenderlo, mostrandogli tutta la colpa del suo fallire. [p. 18 modifica]

Fa che io alquanto goda del tuo cantare ec. Virgilio nel fine dell’Egloga ix.


Cantantes licet usque (minus via laedat) eamus.


Amico, se le benivole Ninfe. Questa se è particella esprimente desiderio e buon augurio, valendo quanto voglia il cielo che ec. Qui si debbe avvertire l’artifizio rettorico, il quale ben s’accoppia coll’idea d’un semplice pastore, essendoci una rettorica insegnata all’uopo dalla stessa natura. Chi parla a Montano per ottenere ch’ei canti, prima gli desidera quel bene che più gli aggrada, e quindi gli offre in premio una preziosissima cosa; i quali due mezzi son certamente tra i più efficaci a rendere pieghevole l’animo altrui a soddisfare le nostre brame.

Cariteo. Di questo Cariteo il Sansovino dice, ch’era un orefice di molta eccellenza, che di Spagna venuto a Napoli fu molto amico del Sanazzaro. I fratelli Volpi, assai benemeriti dell’italiana letteratura, notano, che un Cariteo fu un uomo molto letterato della famosa Accademia del Pontano, e amicissimo del nostro Poeta, che ne fa menzione nell’Eleg. xi. del lib. i.


Quia et rite suos Genio Chariteus honores
Praebeat, et festas concinat ante dapes;


e nel titolo dell’Epigr. xi. del lib. i., dicendovi: de partu Nisaeae, Charitei conjugis. Per lo che bisogna conchiudere, o che due furono i Carilei a’ tempi del Sanazzaro, o che un solo sapeva congiungere l’esercizio della mano a quel della mente e dell’intelletto.