Appunti di relatività/Prima parte

Prima parte - I fondamenti

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Presentazione Seconda parte
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Prima parte

I FONDAMENTI

IL PRINCIPIO OPERAZIONALE


La Fisica tratta dei fenomeni naturali seguendo un metodo definito Principio operazionale, il quale afferma che per ogni concetto fisico si devono specificare le operazioni (reali o ideali) necessarie per misurare i parametri che lo definiscono. Questo Principio costituisce il fondamento del Metodo Sperimentale di Galileo, ed ha portato Einstein a concepire la teoria della Relatività. Il premio Nobel Percy W. Bridgman ha trattato estesamente questo argomento nel suo libro “La logica della fisica moderna”.

Secondo il Principio operazionale ogni concetto fisico implica un procedimento di misura. Per es. la lunghezza il peso, la temperatura, il tempo, la forza, ecc., si considerano concetti fisici perché sappiamo come misurare queste grandezze. L’elettrone è definito da una carica elettrica unitaria, da una energia equivalente di 0,511 MeV, da un dato rapporto fra carica elettrica e massa. L’insieme di questi parametri e dei procedimenti per misurarli definisce il concetto di elettrone.

In realtà questo principio non è così limitativo come apparirebbe dagli esempi. Non si possono misurare le distanze cosmiche mediante scale metriche, ma è sufficiente che si possa descrivere un procedimento ideale che permetta di misurare queste distanze. Ciò non vieta di sviluppare teorie basate su ipotesi di lavoro che in tutto o in parte non tengano conto del Principio operazionale. Nonostante il trionfalismo con cui vengono presentate al pubblico, senza la verifica sperimentale queste proposte teoriche hanno un valore molto scarso. Un caso tipico di grande attualità è la popolare Teoria delle stringhe.
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GLI “OGGETTI” DELLA MECCANICA


L’argomento della Meccanica è il moto degli oggetti fisici, l’elemento primitivo fondamentale della Meccanica è il punto fisico. Questo concetto deriva per astrazione dagli oggetti macroscopici, ma conserva sempre alcune proprietà fisiche:

- è sempre associato ad una quantità di energia (o massa), seppure infinitesima;
-può scambiare quantità di energia e quantità di moto con altri oggetti;
- può muoversi nel vuoto.


È escluso tutto ciò che non può muoversi nel vuoto in modo autonomo. Oggetti fisici privi di massa sono i quanti di energia elettromagnetica comunemente detti fotoni. Analogamente le particelle elementari dotate di massa si possono definire quanti inerziali. Assumiamo per postulato che tutti gli oggetti fisici subiscono il trascorrere del tempo. Tutto questo non vale per il punto matematico, perché per definizione non ha proprietà fisiche.

RIFERIMENTI E COORDINATE


Studieremo le proprietà del moto degli oggetti nello spazio fisico. Sebbene il moto sia un elemento costante della nostra esperienza, occorre darne una definizione precisa perché costituisce uno degli elementi fondamentali della Meccanica, quindi definiamo il moto come:

variazione di posizione di oggetti fisici rispetto ad
altri presi come riferimenti.


Da questa definizione segue che anche i sistemi di riferimento sono oggetti fisici. Ci occuperemo di oggetti fisici, sistemi di riferimento, distanze, tempo, e delle relazioni fra questi elementi, limitandoci al caso più semplice, il moto inerziale nel vuoto.

Per semplificare, seguendo Galileo definiamo moto inerziale quello in cui si procede senza subire l’effetto di forze di qualsiasi tipo, e per conseguenza velocità e direzione sono costanti. [p. 17 modifica]Qualunque oggetto che si muova in questo modo è definito inerziale. In realtà nessun oggetto dell’Universo ha moto rigorosamente inerziale, quindi nessun laboratorio terrestre si può considerare realmente inerziale. Il laboratorio ideale dovrebbe essere fermo nello spazio intergalattico, ma al momento non è ancora disponibile!

Il modo più popolare per definire la posizione di un oggetto nello spazio è indubbiamente il sistema di coordinate cartesiane. Ma attenzione: i sistemi di coordinate sono strumenti matematici, non si devono confondere con i sistemi di riferimento fisici. Non ha alcun senso l’espressione coordinate cartesiane inerziali. L’inerzia è una proprietà fisica degli oggetti materiali, gli elementi matematici non hanno proprietà fisiche, non avendo massa non possono avere inerzia. La distanza fra due punti matematici è il risultato di un calcolo, la distanza fra due oggetti fisici si ottiene da una misura, cioè da una operazione fisica. Le coordinate che danno la posizione di un oggetto non sono semplicemente numeri, ma misure delle distanze dell’oggetto dai riferimenti (vedi figura).

Dire che un oggetto si trova nella posizione P(x, y, z), significa che è stata misurata, o che si può misurare, una lunghezza x fra l’oggetto e la parete YZ, e così per le lunghezze y e z. [p. 18 modifica]

IL PRINCIPIO DI INVARIANZA


Gli oggetti rigidi hanno dimensioni indipendenti dalla loro posizione, la lunghezza di una sbarra posta in orizzontale o in verticale rimane sempre la stessa. Queste due situazioni sono differenti ma fisicamente equivalenti, nel senso che la lunghezza della sbarra non cambia. Consideriamo un’asta AB di lunghezza l posta sul piano XY, e siano e le sue proiezioni sugli assi cartesiani (vedi figura).

Il segmento AB è definito vettore nello spazio a due dimensioni XY, mentre la lunghezza l si definisce modulo del vettore.

Dalla relazione di Pitagora deriva il principio della:

invarianza del modulo del vettore.


L’esempio rappresentato nella figura riguarda il cambiamento di posizione. In senso più generale questo principio vale rispetto ad un determinato gruppo di relazioni matematiche che trasformano i parametri di una situazione in quelli dell’altra. In questo caso specifico i parametri che si trasformano per rotazioni o traslazioni sono le componenti ed . [p. 19 modifica]

IL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ


Viaggiando in treno tutti abbiamo avuto l’impressione di vedere gli alberi correre, perché istintivamente pensiamo come se il treno fosse fermo. Questo avviene più facilmente se il treno viaggia senza scosse su un tratto rettilineo, in modo che sia assimilabile ad un riferimento inerziale. Galileo per primo ha notato che non esiste un sistema di riferimento assoluto, per conseguenza tutti gli oggetti in moto inerziale si trovano nella stessa situazione fisica. Galileo ne ha ricavato il “Principio di Relatività”, che in sintesi afferma:

tutti i sistemi inerziali sono fisicamente equivalenti.


Einstein ha aggiunto per postulato che la velocità della luce nel vuoto è costante, ed indipendente dalle velocità della sorgente e dell’osservatore. Questo fatto risultava dalla teoria elettromagnetica di Maxwell e dalle osservazioni sperimentali, ma era argomento molto controverso ed in contrasto col paradigma scientifico allora prevalente. Evitando inutili ed oziose discussioni filosofiche, Einstein stabilì questa proprietà della luce come secondo postulato della Relatività.

Einstein ha dato un valore più generale al Principio di relatività, affermando che le leggi fisiche devono mantenere la stessa forma in tutti i riferimenti inerziali. Questa proprietà si definisce covarianza delle leggi fisiche rispetto alle trasformazioni di Lorentz.

Avvertiamo il lettore che spesso si fa confusione fra invarianza e covarianza, e talvolta si pretende in modo inappropriato e pretestuoso l’invarianza delle espressioni, invece di verificare che le leggi siano espresse in forma covariante. Questi brevi cenni in seguito saranno sviluppati ed approfonditi anche con esempi appropriati. [p. 20 modifica]

CONFIGURAZIONE STANDARD


Per descrivere il moto di un oggetto dobbiamo definire il sistema di riferimento rispetto al quale si stabiliscono posizione e parametri del moto. Se diciamo che un’auto pesa 1000 chili l’informazione è completa, ma se diciamo che sta viaggiando a 100 km. all’ora, è sottinteso “rispetto alla strada”. Raramente la situazione è così semplice, pensiamo ad una ferrovia la stazione ed il binario rappresentano il sistema di riferimento fisso rispetto al quale si calcola la velocità del treno. Il sistema della ferrovia e della stazione si definisce riferimento stazionario. Un passeggero che viaggia sul treno osserva ciò che avviene, quindi il treno rappresenta il riferimento dell’osservatore in movimento. Un oggetto che si muove nella stessa direzione del treno con velocità qualsiasi, ha in sé stesso il sistema di riferimento proprio.

NOTAZIONI

- sistema di riferimento stazionario;
- sistema dell’osservatore in movimento;
- sistema di riferimento proprio dell’oggetto;
- velocità dell’oggetto (rispetto al riferimento stazionario );
- velocità dell’osservatore e del riferimento .

Quando il riferimento non è citato esplicitamente, si intende che sia quello stazionario. Nella figura è rappresentato anche un massiccio bersaglio, perché nel seguito ci occuperemo di urto totalmente anelastico.
[p. 21 modifica]Riassumendo abbiamo:

- un primo sistema di riferimento S stazionario;
- un secondo sistema di riferimento S’ dell’osservatore, in moto inerziale con velocità U rispetto a S;
- un terzo sistema di riferimento proprio dell’oggetto, in moto inerziale con velocità u rispetto a S.


Ricordiamo alcune convenzioni:

- le lettere in grassetto minuscolo indicano vettori a tre dimensioni nello spazio ordinario.
- le lettere in grassetto maiuscolo indicano vettori a quattro dimensioni nello spazio-tempo;
- gli apici (’) indicano le grandezze trasformate rispetto ad S’.


Il Principio di Relatività consente di scegliere i sistemi di coordinate a nostro piacimento senza perdere generalità. Di solito si usano sistemi cartesiani con gli assi omologhi paralleli, e gli assi X coincidenti col moto dell’oggetto. In questo modo le coordinate dell’oggetto sugli assi Y e Z sono sempre nulle, ed il calcolo ne risulta molto semplificato. Per convenzione si stabilisce che all’istante iniziale le origini di tutti i sistemi di riferimenti coincidano.

Tutto questo si definisce configurazione standard dei sistemi di riferimento. [p. 22 modifica]

LE TRASFORMAZIONI DI GALILEO


Immaginiamo una grande nave in crociera su un mare perfettamente calmo, mentre due passeggeri fanno tranquillamente una partita a biliardo. Osservando la partita da terra si vedrebbero le bocce muoversi in modo strano, perché il loro movimento si somma a quello della nave. Le trasformazioni di Galileo permettono di trasformare i movimenti visti dai giocatori sulla nave in quella visti da un osservatore fermo a terra. Nella figura sono rappresentati i sistemi di riferimento in configurazione standard.

Il riferimento S’ rappresenta la nave che si muove con velocità U, il riferimento stazionario Srappresenta il porto. Rispetto a questi riferimenti le posizioni di una boccia sono rispettivamente x’ ed x. Se la boccia è ferma abbiamo U = u. Dopo il tempo t l’origine O’ (nave) si è spostata di uno spazio ut, dalla figura risulta che le posizioni della boccia sono:

.


La trasformazione inversa corrisponde all’inversione dei sistemi di riferimento, e formalmente si ottiene scambiando gli apici dell’espressione diretta:

,


dove x’, u’, t’ sono i parametri visti dal riferimento S’. Dal confronto con la precedente risulta , e . Il significato di è ovvio, mentre la relazione temporale corrisponde alla comune esperienza che il tempo scorre per tutti allo stesso modo. [p. 23 modifica]Newton affermò per postulato che vi sia un tempo assoluto che scorre in modo uniforme per qualsiasi osservatore. In termini operazionali il postulato di Newton afferma che la misura del tempo è indipendente dall’osservatore. Concludendo, le trasformazioni di Galileo sono:

.


Queste relazioni prescindono dal Principio operazionale, quindi non siamo certi che corrispondano alla realtà fisica. Date le posizioni e , la distanza fra loro è . In S’ abbiamo:

.


In S’ la distanza l diventa:

.


La prima conseguenza è che la distanza l risulta invariante rispetto al cambiamento di riferimento. Consideriamo ora un oggetto che si muove con velocità , la sua velocità rispetto a S’ è:

.


Se nell’istante iniziale l’oggetto si trova nell’origine O, dopo il tempo t la sua posizione è , quindi abbiamo:

.


La seconda conseguenza è che la composizione di due velocità è data dalla loro somma algebrica. Oggi sappiamo che questi risultati teorici non sono in accordo con le osservazioni sperimentali. Le trasformazioni di Galileo funzionano bene fino a circa un decimo della velocità della luce, circa trentamila chilometri al secondo! È moltissimo, con questa velocità si arriverebbe sulla Luna in meno di 15 secondi. Ma per la Fisica fondamentale non è abbastanza, infatti negli acceleratori la velocità delle particelle è molto vicina a quella della luce. [p. 24 modifica]

L’ETERE DI MAXWELL E
L’ESPERIMENTO DI MICHELSON


Da ricerche teoriche e sperimentali sull’Elettromagnetismo risultava che la velocità della luce è indipendente dal sistema di riferimento. Questo era incompatibile con le trasformazioni di Galileo. Nel 1873 Maxwell pubblicava il suo Trattato sull’elettricità e il magnetismo, in cui unificava i fenomeni elettrici e magnetici con quelli ottici, dimostrando che la luce è una propagazione di onde elettromagnetiche, tuttavia senza chiarire come le onde elettromagnetiche potessero propagarsi nel vuoto.

Nella Fisica di fine ottocento prevaleva l’idea che qualsiasi fenomeno fosse interpretabile in termini meccanici. Le onde elettromagnetiche erano concepite come onde elastiche che si propagavano attraverso un mezzo ipotetico definito etere luminifero. Il ragionamento era questo: l’onda è una perturbazione che si trasmette in un mezzo, infatti l’onda che si propaga sull’acqua fa oscillare la superficie liquida, l’onda sonora mette in vibrazione l’aria, ecc.. Per conseguenza se la luce si propaga come un’onda, ci deve essere un mezzo che oscillando trasmette la perturbazione elettromagnetica. L’etere luminifero non era una necessità della teoria elettromagnetica, ma del modello meccanico con cui si interpretavano i fenomeni. La necessità dell’etere nasceva dalla difficoltà di abbandonare vecchi schemi di pensiero, inadatti ad interpretare il nuovo campo di fenomeni scoperto da Maxwell. Per la Meccanica di fine ottocento lo spazio era assolutamente vuoto, invece per l’Elettromagnetismo doveva essere completamente occupato da una sostanza compatta, migliaia di volte più dura dell’acciaio temprato, e tuttavia non percepibile.

All’inizio del novecento i fisici erano molto eccitati da questa idea fortemente controintuitiva, e non si curavano del fatto che le assurde proprietà attribuite all’etere rendevano l’ipotesi estremamente improbabile. Si pensava che l’etere luminifero fosse in quiete nel sistema solare, per cui la rotazione della Terra doveva provocare un vento di etere che si sommava alla velocità della luce. Nel tentativo di scoprire l’ipotetico vento di etere, a partire dal 1881 Michelson ed altri realizzarono una serie di strumenti molto raffinati, che permettevano di apprezzare differenze molto minori di quelle previste dalla teoria.

Questi strumenti, detti interferometri di Michelson, sono basati su una notevolissima tecnologia ancora oggi molto applicata. [p. 25 modifica]Un raggio di luce si divide in due fasci che percorrono tratti perpendicolari della stessa lunghezza, quindi ricombinandosi formano una figura di interferenza costituita da frange chiare e scure.

A causa del vento di etere la velocità della luce doveva essere differente nei due tratti perpendicolari. Ruotando lo strumento cambiava la componente del moto della Terra, quindi si doveva osservare uno spostamento delle frange di interferenza. Michelson fece una lunga serie di misure molto accurate, per cui ebbe molti riconoscimenti, ed anche il primo premio Nobel assegnato ad un americano. Tuttavia nonostante l’altissima precisione e la grande affidabilità degli apparati, il risultato di osservazioni estremamente accurate fu sempre negativo, gli strumenti non rivelarono mai nessun indizio dell’etere. Poiché il vento di etere non si trovava, si doveva prendere atto che l’etere non esisteva. Nonostante fosse un validissimo sperimentatore, Michelson ritenne sempre che questo risultato fosse un insuccesso da attribuire ad insufficienza degli strumenti, mentre in realtà era esattamente l’opposto. Dimostrare che una teoria è sbagliata vale almeno quanto provare che è giusta. La verifica sperimentale dimostrava che l’ipotesi teorica era sbagliata, ma accettare l’evidenza implicava una profonda revisione di concetti fondamentali.

Per arrivare a questo passarono ancora più di venti anni, fino a quando nel 1905 Albert Einstein, impiegato di terza classe dell’Ufficio Brevetti di Berna, pubblicò la sua rivoluzionaria Teoria della Relatività.

LE TRASFORMAZIONI DI LORENTZ


I risultati sperimentali erano inconfutabili, i previsti effetti dell’etere erano del tutto assenti. FitzGerald e Lorentz, in modo indipendente, formularono l’ipotesi euristica che gli oggetti in moto rispetto all’etere subissero una contrazione che compensava esattamente l’effetto aspettato. Questo implica leggi di trasformazione differenti da quelle di Galileo, citate da Poincaré come trasformazioni di Lorentz, sebbene Larmor le avesse già scritte nel 1897, [J. J. Larmor, Aether and Matter (Cambridge 1900) pp.167-77]. [p. 26 modifica]- Versione di Lorentz-FitzGerald - Le trasformazioni di Lorentz sono state ricavate con procedimenti diversi secondo le diverse interpretazioni fisiche. Per l’interpretazione di Lorentz si ricorre all’immagine di un fiume dove l’acqua corre con velocità corrispondente al vento dell’etere provocato dal moto della Terra. Nella figura le frecce rappresentano la corrente del fiume, i tratti perpendicolari PA e PB, rispettivamente lunghi a e b, rappresentano i bracci dell’interferometro percorsi dalla luce.

Partendo dal punto P e viaggiando a velocità costante c rispetto alla corrente, i tempi impiegati nel percorso PAP sono:

tempo nel tratto PA: ;
tempo nel tratto AP: .

Il tempo totale è: .

Nel percorso PBP bisogna compensare il trascinamento della corrente, per cui il percorso effettivo rispetto alla corrente risulta PCD. Se si impiega il tempo totale t, nello stesso tempo la corrente percorre il tratto , che completa il percorso PCDP.
[p. 27 modifica]I lati PC e CD sono uguali, quindi dal triangolo PBC abbiamo:

Il tempo totale del percorso PBP risulta:

.


L’effetto della corrente (etere) si annulla se i tempi di percorrenza dei due bracci sono uguali, cioè se abbiamo :

.


Nei due percorsi si impiegano tempi uguali se il tratto PA è ridotto di un fattore rispetto al tratto PB, cioè se , dove:


si definisce fattore di Lorentz. Questi elementi sono riportati nella figura successiva in configurazione standard.

L’etere fermo nello spazio corrisponde al sistema stazionario S, il tratto PA si muove con velocità u rispetto ad S. [p. 28 modifica]Il tratto PB, essendo perpendicolare alla corrente, non ne subisce l’effetto come se avesse la stessa velocità, quindi si considera solidale con l’etere rappresentato dal riferimento S’. Dalla figura risulta e , essendo a si ottiene:

.


La trasformazione inversa si ottiene scambiando apici e segno della velocità:

.


Mettiamo in evidenzia t’ sostituendo l’espressione di x’:


Nel 1904 Lorentz pubblica un articolo in cui definisce t’ col termine tempo locale. Il fatto è notevole perché prefigura una revisione del postulato di Newton che anticipa la concezione rivoluzionaria di Einstein.

Riassumendo le trasformazioni di Lorentz sono:
;
Occorre tener presente che sono state ricavate dal seguente ragionamento:
la velocità dell’etere si somma a quella della luce, ma l’effetto non si osserva perché è compensato dalla contrazione degli oggetti”.
Abbiamo una ipotesi non dimostrata (l’esistenza dell’etere) giustificata da una ipotesi non dimostrabile (la contrazione degli oggetti).
[p. 29 modifica]Il ragionamento corretto compatibile col Principio operazionale doveva essere:
nessuna osservazione rivela l’esistenza dell’etere; il risultato sperimentale si deve accettare anche se non si capisce.
Questo atteggiamento avrebbe portato Albert Einstein a formulare nel 1905 la Teoria della Relatività.


- Versione di Einstein - Analizzando il concetto di simultaneità degli eventi, nel 1905 Einstein otteneva le stesse trasformazioni di Lorentz senza fare riferimento agli esperimenti di Michelson né all’etere di Maxwell. Seguiremo un procedimento originale molto più diretto di quello di Einstein, ma del tutto conforme al suo pensiero. Consideriamo inizialmente la situazione fisica rappresentata in figura secondo la visione classica di Newton.

Dentro il tubo AB corre senza attrito una boccia di biliardo. Un osservatore è fermo nel punto O mentre il tubo trasla verso destra nella direzione OA con velocità costante u. [p. 30 modifica]Quando l’estremo A coincide col punto O, la boccia parte da A verso B con velocità costante v. Quando la boccia raggiunge l’estremo B, il tubo si è spostato del tratto . Per l’osservatore fermo nel punto O la boccia ha percorso il tratto , dal triangolo OBA abbiamo:

.


Ipotizzare tempi uguali per i tratti OB e AB, equivale ad accettare implicitamente il postulato di Newton del tempo assoluto.

Per seguire il pensiero di Einstein introduciamo una variante, sostituendo la boccia con un lampo di luce. Quando il tubo passa davanti ad O, da A parte il lampo di luce verso B. Per l’osservatore fermo nel punto O la luce percorre il tratto .

Per postulato la velocità della luce è sempre uguale a c, ma il lato OB è più lungo del lato AB, per cui i tempi di percorrenza di questi lati devono risultare diversi . Dal triangolo OBA abbiamo:

.

[p. 31 modifica]Ricaviamo t’:

.


Essendo :


Abbiamo ricavato la trasformazione del tempo soltanto dal postulato che la velocità della luce è sempre uguale a c. Analiticamente questo significa che e . Sostituendo tempi e spazi nella trasformazione del tempo si ottiene:

.


Grazie alla concezione rivoluzionaria del tempo di Einstein (), abbiamo ricavato le stesse trasformazioni di Lorentz senza fare riferimento all’etere di Maxwell, né all’ipotesi di Lorentz−FitzGerald.

La prima conseguenza è che l’etere, ed ogni congettura in merito, sono del tutto superflui. Non è la prova che l’etere non esiste, ma semplicemente che la sua esistenza non è necessaria!

La seconda conseguenza è che la valutazione dello scorrere del tempo dipende dalla velocità dell’osservatore.

Contemporaneamente cadono l’ipotesi dell’etere di Maxwell ed il vecchio postulato di Newton del tempo assoluto. Nel procedimento di Lorentz non c’è niente di tutto questo. Tuttavia cambiare radicalmente le proprie convinzioni è sempre molto difficile. La rivoluzione relativistica era troppo grande perfino per molti di coloro che maggiormente vi avevano contribuito. Michelson non accettò mai i suoi stessi risultati, né la teoria di Einstein, ma Michelson era uomo dell’ottocento. È sconcertante che ancora oggi molti fisici contemporanei, fra cui anche baroni della Relatività di fama internazionale, ragionano come Michelson e Lorentz. [p. 32 modifica]

CONTRAZIONE DELLE LUNGHEZZE

Dalle trasformazioni di Galileo risulta che la lunghezza è sempre invariante per rotazioni e traslazioni. Secondo le trasformazioni di Lorentz questo non avviene se l’oggetto si muove. Per verificarlo consideriamo una barra rigida AB, che si muove con velocità costante u nella direzione della lunghezza. Diciamo e le posizioni degli estremi A e B nel sistema S’, abbiamo:

.

Le posizioni e in S’ corrispondono a e nel riferimento stazionario S. In definitiva la lunghezza della barra è:

.

Per l’osservatore stazionario la lunghezza risulta , quindi appare più corta di un fattore rispetto ad l’. Questo effetto relativistico è detto “contrazione delle lunghezze in movimento”. In realtà riguarda la misura della lunghezza, per questo viene citato più correttamente come:

contrazione apparente delle lunghezze in movimento.

L’aggettivo apparente è evidenziato perché ancora oggi fisici e testi prestigiosi affermano che la contrazione delle lunghezze è effettiva, secondo l’ipotesi di Lorentz−FitzGerald. Si tratta di sterili dispute accademiche che non sono mai accompagnate da proposte di verifica sperimentale. Per chiudere queste oziose ed inutili controversie per noi sarà sufficiente riportare il pensiero dello stesso Albert Einstein:

the X dimension appears shortened in the ratio ”.

Ovviamente per le questioni fondamentali è preferibile fare sempre riferimento alle fonti originali, in questo caso facciamo riferimento all’autore della Teoria della Relatività. [p. 33 modifica]

RALLENTAMENTO DEGLI OROLOGI - TEMPO PROPRIO

Per convenzione si stabilisce che il tempo dei riferimenti S ed S’ inizia a scorrere simultaneamente dall’istante in cui le loro origini coincidono. Successivamente l’origine di S’ corrisponde in S alla posizione , che si sostituisce nella trasformazione del tempo:

.


Poiché S’ è il riferimento proprio dell’oggetto, il tempo t’ si definisce tempo proprio, e si indica con la lettera greca (tau). Per l’osservatore stazionario il tempo su S’ appare ridotto di un fattore . Questo effetto relativistico è definito dilatazione del tempo nei sistemi in movimento, o semplicemente:

rallentamento degli orologi in movimento.


Nel seguito vedremo che dalle trasformazioni di Lorentz si deduce un importantissimo terzo effetto relativistico, rimasto ignorato fino ad oggi.

COMPOSIZIONE RELATIVISTICA DELLE VELOCITÀ


Una notevole conseguenza delle trasformazioni di Lorentz è il fatto che la somma fisica delle velocità non è data dalla loro somma algebrica. Consideriamo per es. i proiettili sparati da un cannone alla velocità di 2000 Km/h, se il cannone è installato su un aereo che vola a 1000 Km/h, secondo la Meccanica classica la velocità finale dei proiettili sarebbe data dalla la somma delle due velocità, cioè risulterebbe 3000 Km/h, ma questo metodo non è corretto. Infatti se le velocità dei proiettili e dell’aereo fossero rispettivamente e , la velocità finale sarebbe . Ma questo è impossibile perché non si può superare la velocità della luce. Poiché la velocità della luce non dipende dalla velocità della sorgente, un lampo di luce partito dall’aereo in volo ha la stessa velocità c di un lampo lanciato da una sorgente ferma a terra. [p. 34 modifica]Il problema fu risolto in modo indipendente da Poincaré e da Einstein. Nel caso generale (), le trasformazioni di Lorentz sono:

(La lettera greca si legge “gamma maiuscola”).
La velocità dell’oggetto vista da S’ è data dal rapporto :

.

Essendo si ottiene la differenza relativistica fra u ed U:

.

Per due velocità e qualsiasi, l’espressione si generalizza in:

.

Questa espressione è confermata dai risultati sperimentali, e viene definita composizione relativistica delle velocità. Poniamo che sia e , la somma algebrica darebbe , mentre dalla composizione relativistica risulta . Ciò significa che la velocità della luce è costante, e non dipende dalla velocità della sorgente.

Tuttavia la velocità della sorgente rispetto all’osservatore non è senza effetto, infatti secondo che sorgente ed osservatore si avvicinano o si allontanano, la frequenza della luce vista dall’osservatore aumenta o diminuisce, ed i colori appaiono più blu o più rossi. [p. 35 modifica]Da questo deriva lo spostamento verso il rosso (red-shift) della luce delle galassie lontane scoperto dall’astronomo Hubble, da cui si è dedotta l’espansione dell’Universo.

Il fatto che la somma fisica di due quantità sia differente dalla somma algebrica, può sembrare una stranezza relativistica, che non si incontrerà mai nella vita normale. Allora consideriamo un pneumatico d’automobile del volume di dieci litri, se vi pompiamo dentro dieci litri d’aria, e poi altri dieci, e poi altri dieci, la pressione dell’aria nel pneumatico è triplicata, ma il volume del pneumatico rimane sempre di dieci litri. Negli acceleratori di particelle la velocità è molto vicina a quella della luce, quindi oltre un certo limite l’energia fornita dalla macchina non produce più accelerazione, ma fa aumentare soltanto l’energia delle particelle.

La Meccanica classica di Galileo corrisponde alla nostra comune esperienza da cui risulta che sommando una quantità ad un’altra si ottiene sempre una quantità maggiore, viceversa togliendola si ottiene una quantità minore. La Meccanica relativistica invece deriva da una proprietà legata al concetto di infinito per noi incomprensibile:

se si aggiunge o si toglie una quantità finita ad una quantità infinita, questa non cambia.
Questo è esattamente ciò che avviene per la velocità della luce:
se si aggiunge o si toglie una velocità finita alla velocità della luce, questa non cambia.
Ciò significa che quel valore non può essere superato. Ma il concetto di limite assoluto invalicabile non fa parte della nostra esperienza, quindi non possiamo concepire che esista una velocità limite insuperabile. Il fatto è talmente lontano dal nostro modo di pensare, che ancora oggi molti fisici non considerano la velocità della luce come limite assoluto, ed alcuni ipotizzano l’esistenza di particelle dette tachioni, che viaggerebbero sempre a velocità maggiore della luce.
In realtà questa ipotesi teorica non è mai stata provata, e nessun esperimento ha mai rivelato l’esistenza tachioni. Nonostante ciò vengono venduti (e acquistati!) diversi prodotti come cerotti, unguenti, amuleti, ecc., che avrebbero proprietà terapeutiche miracolose perché sarebbero composti a base di tachioni. La velocità della luce ha un limite, purtroppo la fantasia dei truffatori e la dabbenaggine umana non ne hanno. [p. 36 modifica]

TRASFORMATE DEL FATTORE DI LORENTZ

Dal fattore di Lorentz si ricavano alcune relazioni molto utili:

Riprendiamo ora l’espressione: .
Scambiando u ed U si ottiene: .


Notiamo che u ed U sono indipendenti, mentre risulta . Essendo u’ è la velocità dell’oggetto rispetto al riferimento S’, segue che U’ è la velocità di S’ rispetto all’oggetto.

Per la velocità U il fattori di Lorentz è:
La trasformazione del fattore rispetto al riferimento S’ è:
[p. 37 modifica].

Riassumendo:


L’espressione è simmetrica rispetto a e , e rispetto ad e , scambiandole si ha:

.

Notiamo che è diretta conseguenza della relazione . In generale date due velocità e , il fattore di Lorentz della loro composizione risulta:
dove , .


Ricaviamo il prodotto: .
Infine abbiamo:

[p. 38 modifica]Ricaviamo la trasformazione del tempo proprio :

.


Essendo :


Il risultato prova che il tempo proprio è invariante per ogni sistema di riferimento.
Dall’espressione si ricava:

.


L’espressione è nota come forma quadratica di Poincaré, pomposamente definita invariante fondamentale della Relatività. In realtà esprime soltanto l’invarianza del prodotto , cioè il fatto che la velocità della luce non dipende dal sistema di riferimento dell’osservatore


ENERGIA E QUANTITÀ DI MOTO


Per un oggetto di massa e velocità , nella Meccanica classica di Newton si definiscono le quantità seguenti:

energia cinetica: ;
quantità di moto: .
Newton formulò queste espressioni per via logico-matematica, ignorando che la velocità avesse un limite superiore non superabile. Dalla Relatività sappiamo le relazioni di Newton valgono soltanto per .
[p. 39 modifica]Einstein ha ricavato le espressioni corrette valide per qualsiasi velocità:
energia cinetica: ;
quantità di moto: .

L’espressione dell’energia cinetica è particolarmente interessante, infatti si può scrivere:

.


La quantità si definisce energia totale. Quando l’oggetto è fermo l’energia cinetica si annulla, rimane la quantità costante che si definisce energia di riposo, e rappresenta l’energia equivalente alla massa inerziale. Queste relazioni sono state ampiamente verificate e costituiscono la prova più sicura e significativa della Teoria della Relatività. La loro importanza è grandissima in riferimento alle varie manifestazioni dell’energia atomica, sia quella prodotta nelle stelle, sia quella prodotta dall’uomo per scopi civili o militari.

Per l’osservatore che si muove con velocità U abbiamo:


quantità di moto: ;
energia totale: ;
energia cinetica: .


Essendo , e , si ricava:

quantità di moto: ;
energia totale: ;
energia cinetica: .


Queste espressioni saranno riprese nell’analisi di alcune importanti situazioni fisiche. [p. 40 modifica]

SULLE TRASFORMAZIONI DI LORENTZ

Inizialmente le trasformazioni di Lorentz erano considerate artifizi matematici legati alle strane proprietà della luce. Einstein per primo ha posto in evidenza il loro profondo significato, dimostrando che in realtà si tratta di importanti leggi fisiche connesse a proprietà fondamentali dello spazio-tempo.

Le trasformazioni di Lorentz erano il punto di arrivo di un lungo e poderoso lavoro teorico e sperimentale iniziato circa tre secoli prima. Nel 1600 Gilbert aveva pubblicato le sue osservazioni sui fenomeni elettrici e magnetici nel grande trattato De Magnete, segnando l’inizio di un lungo e appassionato lavoro di ricerca a cui parteciparono molti grandissimi ingegni. Fra i maggiori protagonisti di questa straordinaria avventura scientifica ricordiamo Coulomb, Gauss, Weber, Volta, Oersted, Ampère, Faraday, e poi Maxwell, Hertz, Michelson, Lorentz, Planck, ed infine Albert Einstein.

Le trasformazioni di Lorentz dovevano giustificare un fatto fisico assolutamente imprevedibile:

la misura della velocità della luce è indipendente dal moto della sorgente e da quello dell’osservatore.


Questo elemento extra-matematico è una delle proprietà fisiche dello spazio-tempo che definiamo complessivamente Elettromagnetismo, che non era stato previsto da Galileo né da Newton, né dai grandi matematici francesi del 1700.

La straordinaria proprietà della luce è legata ad un fenomeno scoperto casualmente nel 1820 da H. C. Oersted, il quale osservò che la corrente elettrica faceva deviare l’ago magnetico. Il fatto era completamente inaspettato perché la carica elettrica ferma non provoca forze magnetiche. L’effetto magnetico non è una caratteristica intrinseca della carica elettrica, come l’energia cinetica non è una proprietà della massa inerziale. In entrambi i casi gli effetti hanno origine dal movimento, e si manifestano solo in sistemi di riferimento diversi dal proprio. La fortunata scoperta di Oersted segnava l’inizio dell’Elettromagnetismo. [p. 41 modifica]Dopo circa 50 anni Maxwell ne formulò una mirabile sintesi unitaria con la teoria della luce, che può apparire matematicamente affascinante, ma tuttavia astratta. In realtà le famose equazioni di Maxwell derivano da tre secoli di osservazioni sperimentali, e sono quindi profondamente connesse alle proprietà fisiche dello spazio-tempo.

Dirac ha formulato una teoria matematica dell’Elettromagnetismo, in cui le forze elettriche e magnetiche sono trattate in modo simmetrico. Tutti i magneti che conosciamo hanno sempre un polo Nord e un polo Sud, invece secondo l’ipotesi di Dirac esisterebbero anche particelle con una carica magnetica unitaria monopolare, detti appunto monopoli magnetici, che avrebbero solo il polo Nord il polo Sud. Similmente alla carica elettrica, la carica magnetica monopolare sarebbe indipendente dal moto.

Contrariamente alla teoria di Maxwell, l’ipotesi di Dirac è speculazione pura, assolutamente priva di riferimenti sperimentali, il cui merito principale è l’elegante simmetria del formalismo matematico. L’esistenza della carica magnetica monopolare sarebbe molto importante per la teoria quantistica, in particolare per la teoria delle particelle elementari e per la popolare teoria del “Big Bang”.

Nonostante lunghe e costose ricerche non è mai stato registrato neanche un solo evento che abbia rivelato con sicurezza l’esistenza dei monopoli magnetici ipotizzati da Dirac. Secondo ogni evidenza sperimentale risulta in modo definitivo che la manifestazione di forze magnetiche è sempre connessa al movimento. Dunque l’origine dei fenomeni elettromagnetici non si deve cercare in proprietà intrinseche delle particelle, ma in proprietà dello spazio-tempo.

Le trasformazioni di Lorentz fanno esattamente questo, senza trattare di cariche elettriche e forze magnetiche descrivono le trasformazione del moto in accordo con la propagazione dell’energia elettromagnetica, quindi rappresentano proprietà fisiche dello spazio-tempo. [p. 42 modifica]

CONVERGENZA RELATIVISTICA NATURALE

Il fattore di Lorentz rappresenta la differenza fondamentale fra il mondo logico-matematico classico di Galileo-Newton, ed il mondo fisico di Maxwell-Planck-Einstein. Il postulato di Galileo sulla equivalenza fisica dei riferimenti inerziali costituisce il fondamento concettuale della Relatività, il postulato di Einstein ed il fattore di Lorentz rappresentano il legame con la realtà fisica. Nella figura successiva abbiamo in ascissa tutto l’intervallo della velocità riferibile ad un oggetto fisico, mentre in ordinata è rappresentato il valore del fattore di Lorentz.

[p. 43 modifica]Il grafico è simmetrico rispetto al segno della velocità, questo conferma che gli effetti relativistici sono indipendenti dalla direzione del moto, quindi non hanno alcuna relazione con l’effetto Doppler, che invece dipende dalla direzione.

Per abbiamo , valore che rimane sensibilmente invariato fino a circa , circa 30.000 Km. al secondo. A questa enorme velocità abbiamo ancora , che implica una differenza di circa 5 parti su mille fra le trasformazioni di Lorentz e quelle di Galileo. Oltre questa velocità gli effetti relativistici non possono essere più trascurati. Superato il limite di , corrispondente a , il fattore di Lorentz aumenta rapidamente, fino a divergere asintoticamente quando . Per il fattore di Lorentz assume valori immaginari, quindi nel vuoto nessun oggetto fisico può superare la velocità della luce.

La velocità si deve considerare come valore indicativo, mentre il valore , corrispondente a , identifica una situazione fisica molto importante. Infatti essendo l’energia cinetica , per abbiamo:

.


Risulta che per , corrispondente alla velocità , l’energia cinetica ha lo stesso valore dell’energia di riposo . Vedremo che questo segna esattamente il confine oltre il quale gli effetti relativistici prevalgono rispetto alla Meccanica classica.

Gli effetti relativistici riguardano la luce e le particelle elementari, mentre sono del tutto trascurabili per la nostra esperienza perché dipendono dal rapporto , dove prevale l’enorme valore del denominatore . Possiamo farci un’idea della loro entità considerando una enorme astronave lunga cento metri, che viaggi alla velocità “cosmica” di 100.000 Km. l’ora. Per gli osservatori sulla Terra l’astronave risulterebbe più corta di , circa mezzo millesimo di millimetro su cento metri, praticamente niente. [p. 44 modifica]Quando la velocità tende a zero tutte le conseguenze deducibili dalle trasformazioni di Lorentz si riducono naturalmente, cioè con continuità e senza interventi ad hoc, alle corrispondenti espressioni deducibili dalle trasformazioni di Galileo. In breve quando la Meccanica relativistica si riduce naturalmente alla Meccanica classica di Galileo. Questo si riassume in un principio fondamentale che definiamo:

convergenza relativistica naturale


La Meccanica relativistica di Einstein vale fino alla velocità della luce, ma per coincide con la Meccanica classica di Galileo-Newton. La convergenza naturale costituisce una conferma a favore di entrambe.

TRE CRITERI DI VALIDAZIONE


La verifica più sicura di ogni nuova teoria è quella sperimentale, sfortunatamente è anche la meno agevole e la più costosa. Sarebbe molto opportuno un protocollo di valutazione delle teorie fisiche concordato dalla comunità scientifica internazionale, ma attualmente tale protocollo non esiste o viene ignorato. Nella parte precedente abbiamo incontrato alcuni principi fondamentali universalmente riconosciuti ma raramente considerati. Li assumeremo come criteri di verifica nella nostra analisi, e li applicheremo nel modo più estensivo possibile. Questi che definiremo criteri di validazione, sono:

1 - IL PRINCIPIO OPERAZIONALE.

2 - L’INVARIANZA (rispetto alle trasformazioni di Lorentz).

3 - LA CONVERGENZA RELATIVISTICA NATURALE.


Un quarto criterio molto efficace fa riferimento alle proprietà degli spazi vettoriali, e coglie il nucleo profondo dell’autoconsistenza matematica. Poiché si richiede la conoscenza specialistica dell’Algebra lineare ne faremo solo brevi cenni. Infine rimane il buon senso che, sebbene non riconosciuto come criterio scientifico, spesso aiuta molto. [p. 45 modifica]

QUESTIONI DI REALTÀ


L’interpretazione della teoria della Relatività ha dato origine a dibattiti interminabili quanto inconcludenti, ai quali hanno partecipato fisici, matematici, filosofi, letterati, giornalisti, ecc.. In sintesi si dibatte se gli effetti relativistici si debbano considerare reali o apparenti. Vi sono anche interpretazioni miste, per cui la contrazione delle lunghezze sarebbe apparente, mentre la dilatazione del tempo sarebbe reale. Esiste poi un’altra interpretazione specifica per il caso dei gemelli relativistici, per i quali si sostiene che la differenza di invecchiamento sia reale.

L’espressione contrazione delle lunghezze farebbe pensare che gli oggetti diventino realmente più corti. Così pensava Lorentz e purtroppo così pensano ancora molti fisici di oggi.

Consideriamo la solita barra rigida di lunghezza , siano A e B i suoi estremi ed la sua velocità. Al passaggio dell’estremo A l’osservatore stazionario fa scattare l’orologio, al passaggio dell’estremo B legge il tempo trascorso. Dovrebbe risultare , ma in realtà l’osservatore stazionario misura un tempo . Questo risultato si può interpretare in due modi:

1- La barra si è contratta a causa del moto, diventando ; allora esisterebbe un riferimento assoluto, in cui la contrazione non si verifica, in evidente contraddizione col principio di Relatività.

2- È contratta la misura indiretta effettuata dall’osservatore stazionario.

È provato che le dimensioni reali degli oggetti sono indipendenti dal moto inerziale, pertanto risulta corretta soltanto la seconda interpretazione. La contrazione si deve quindi intendere riferita alle misure indirette di lunghezza. In altre parole gli oggetti in moto rispetto all’osservatore appaiono deformati come se visti attraverso occhiali che ne riducono la lunghezza nella direzione del moto.

Considerazioni simili valgono per il rallentamento degli orologi. Abbiamo un orologio che si muove con velocità costante , ed emette segnali ad intervalli di tempo . Poniamo che al tempo l’orologio si trovi nel punto A del riferimento stazionario, e che dopo l’intervallo si trovi nel punto B. Diciamo la distanza AB. [p. 46 modifica]Senza l’effetto relativistico si avrebbe , invece all’osservatore risulta una distanza , per cui da risulta . Abbiamo due possibili interpretazioni:

1- L’orologio rallenta il suo ritmo quando si muove.

2- La valutazione indiretta dello scorrere del tempo nel sistema di riferimento dell’orologio subisce una alterazione.

Se l’orologio rallentasse realmente il suo ritmo, il suo sistema non sarebbe equivalente a quello stazionario, per conseguenza dovrebbe esistere un sistema assolutamente fermo, in cui gli orologi non rallentano. Ma poiché tutti i sistemi inerziali sono equivalenti, non esiste alcuna ragione fisica per un diverso comportamento degli orologi. Concludiamo pertanto che il rallentamento-degli-orologi non deriva da un rallentamento reale del ritmo dell’orologio, ma si tratta di una alterazione della valutazione indiretta dello scorrere del tempo, causata dal moto relativo dell’osservatore.

Come prova del rallentamento relativistico del tempo, si citano gli sciami di mesoni prodotti da raggi cosmici nell’alta atmosfera. Per la loro breve vita media dovrebbero decadere prima di raggiungere la superficie terrestre, ma di fatto gli strumenti rivelano il loro arrivo a terra, fenomeno che viene attribuito al rallentamento del tempo causato dalla velocità.

Il lettore è invitato a distinguere fra i fatti (osservazioni sperimentali) e le interpretazioni dei fatti (teorie).

Torniamo ai mesoni cambiando punto di vista. Se viaggiamo insieme a queste particelle la distanza dalla superficie terrestre ci risulterà più breve perché la Terra ci viene incontro. L’osservatore terrestre vede fermi i punti di partenza (alta atmosfera) e di arrivo (superficie terrestre). La particella invece vede gli estremi del suo percorso muoversi rispetto al proprio riferimento, pertanto la distanza dalla superficie terrestre risulta ridotta del fattore .

Il caso dei gemelli relativistici è molto particolare: si considerano due gemelli identici, uno dei quali compie un viaggio in astronave a velocità altissima, mentre l’altro resta sulla Terra. Per effetto del rallentamento del tempo l’invecchiamento del gemello astronauta sarebbe rallentato, per cui al ritorno sarebbe molto più giovane del gemello rimasto sulla Terra. [p. 47 modifica]L’idea che si possa rallentare l’invecchiamento è molto attraente, e rappresenta la versione scientifica del mito letterario del dott. Faust. Nonostante sia stata rifiutata decisamente dallo stesso Einstein, questa idea fantastica infine si è affermata, sostenuta con grande convinzione e complicate argomentazioni.

A conferma di questa interpretazione spesso viene citato l’esperimento di Hafele e Keating, in cui orologi atomici identici istallati su aeroplani che volavano su percorsi differenti, furono confrontati alla fine del volo. I risultati pubblicati sembravano confermare la previsione teorica, ma successivamente A. G. Kelly (PhD del HDS Energy Ltd, Celbridge, Co. Kildare, Ireland) ha divulgato un rapporto riservato della Marina degli Stati Uniti (USNO, United States Naval Observatory, Hafele, 1971), che contiene la seguente dichiarazione dello stesso Hafele:

Most people (including myself) would be reluctant to agree that the time gained by any one of these clocks is indicative of anything . . . The difference between theory and measurement is disturbing”.


La dichiarazione di Hafele è chiarissima, non occorre aggiungere altro, ma la questione è troppo spettacolare per essere abbandonata. La prova definitiva sarebbe il ritardo degli orologi sui satelliti che fanno parte del sistema di posizionamento globale GPS. Generalmente questo preteso rallentamento viene citato senza riportare i dati reali, dai quali invece risulta che gli orologi dei satelliti non rallentano affatto, ma accelerano di circa 38 microsecondi ogni 24 ore. Quando si fa riferimento a questo risultato gli Esperti proclamano con grande sicurezza (e calcoli complicatissimi):

“l’accelerazione effettiva di 38 microsecondi corrisponde esattamente al rallentamento teorico di 7 microsecondi previsto dal calcolo”!


L’affermazione è sorprendente, se non fosse enunciata con l’autorevolezza della Scienza potrebbe sembrare una battuta comica. I profani accettano queste affermazioni acriticamente e molto seriosamente, perché le “verità” della Scienza non si discutono, più sembrano assurde più sono importanti! Qualcuno disse “Credo quia absurdum”, ma si riferiva a misteri religiosi. [p. 48 modifica]Conviene sempre credere alla Scienza, perché si fa la figura di persone molto più intelligenti e colte della media. Ora verificheremo questa “verità scientifica” analizzando i dati reali.

L’errore di 38 microsecondi ogni 24 ore corrisponde a circa 0,44 parti per miliardo (). Essendo la velocità orbitale circa 3800 m/sec, ogni 24 ore il satellite percorre la distanza:

.

L’errore di posizione accumulato ogni 24 ore risulta:

.


Abbiamo un “errore” di soli 14 cm. su una distanza di oltre 300.000 Km, questo è un miracolo di precisione mostruosa! La differenza può dipendere da cause diverse che rallentano la velocità del satellite. Prima di ricorrere a dubbie interpretazioni relativistiche, occorre valutare correttamente altre circostanze ben note che sono cause di rallentamento, come la radiazione solare, la presenza di materia cosmica comunque presente anche se estremamente rarefatta, ed infine l’effetto frenante esercitato dal campo magnetico terrestre sulla struttura metallica dei satelliti.

Per ottenere risultati veramente conclusivi, si dovrebbero confrontare gli orologi nello stesso riferimento, ponendo l’orologio che ha viaggiato a fianco di uno identico rimasto a terra. La tecnologia spaziale permetterebbe verifiche definitive relativamente semplici e poco costose, con risultati ben più significativi di quelli controversi di Hafele. Non risulta che siano mai state pubblicate misure fatte in questo modo.

Per chiarirci le idee sulla interpretazione degli effetti relativistici immaginiamo di viaggiare nello spazio isolati dentro una capsula inerziale senza oblò, avendo con noi un metro campione, un precisissimo orologio atomico ed un cane. Essendo in moto inerziale per noi la capsula risulta assolutamente ferma. Ci chiediamo come sia possibile che la lunghezza del metro, il tempo segnato dall’orologio, e l’invecchiamento del nostro cane, dipendano dalla velocità di un osservatore esterno lontano anche miliardi di anni luce! Come considerare l’effetto di altri osservatori potenzialmente numerosi quanto gli atomi dell’Universo, che possono avere qualsiasi velocità?! Il lettore trova facilmente da solo le risposte giuste. [p. 49 modifica]In sintesi gli effetti relativistici si devono considerare:

alterazioni delle misure indirette relative ad un sistema di riferimento differente dal sistema dell’osservatore.


Questi effetti non si osservano nel riferimento proprio dell’oggetto, ma sono reali quanto le forze magnetiche e l’energia cinetica che hanno origine dal moto relativo.

Nell’aprile del 1912, mentre navigava verso gli Stati Uniti, il transatlantico Titanic urtò un grande iceberg alla deriva. La massa del ghiaccio inerte non aveva in sé nessun potere distruttivo, tuttavia le lamiere della nave furono squarciate provocando la morte di migliaia di persone. Fino al momento dell’urto catastrofico la vita nella nave si svolgeva come in un grande albergo, i passeggeri cenavano e ballavano senza avvertire minimamente l’energia cinetica che fu la vera causa della tragedia. Quell’energia era prodotta dal moto della nave rispetto all’iceberg. A ben vedere la tragedia fu provocata dall’energia del carbone che alimentava le caldaie della nave.

Gli effetti relativistici non esistono nel sistema proprio dell’oggetto, quindi non possono essere attribuiti a proprietà intrinseche dell’oggetto. Si fa riferimento a regoli ed orologi perché la nostra intuizione deriva dall’esperienza concreta, ma questo può essere fuorviante perché induce a credere che la contrazione dei regoli ed il rallentamento degli orologi siano fatti indipendenti, osservabili anche nel sistema di riferimento proprio degli oggetti stessi. Gli effetti relativistici invece vanno riferiti a tutto lo spazio-tempo rispetto al quale ci muoviamo.

Considerando il sistema di riferimento come un complesso di proprietà fisiche spazio-temporali non è più necessario pensare a regoli ed orologi, e si intuisce facilmente che in ogni sistema diverso dal proprio le distanze appaiono contratte spazialmente nella direzione della velocità, ed il tempo sembra scorrere più lentamente.

Concludendo le alterazioni di valutazione non riguardano singoli oggetti, ma l’intero sistema di riferimento che si muove rispetto a quello dell’osservatore. Questo vale per qualsiasi osservatore che valuta indirettamente i parametri spazio-temporali relativi ad un sistema di riferimento diverso dal proprio.