XIV. Ulteriori considerazioni sulle razze umane

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XIV. Ulteriori considerazioni sulle razze umane
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Notizie statistiche. — Si è cercato di calcolare il numero complessivo degli uomini che abitano la terra e si giunse a ritenere che questo numero ammonti a circa 1440 milioni. Quanto sia difficile di conseguire un risultato preciso, è facile comprendere, quando si rifletta che qualche regione della terra è ancora affatto inesplorata, e che in molti paesi fuori dell’Europa non si fanno censimenti di popolazione, o si fanno assai incompleti e poco degni di fede.

Nel fare il computo predetto si sono seguite due vie, l’una etnologica, l’altra geografica, ed i risultati non sono molto discordanti, come risulta dalle tabelle che seguono.


Tabella etnologica.
N.° degli individui
I. Razza australiana, forse 100,000
II. » papuana, compresi i Negriti 2,000,000
III. » ottentota, compresi i Boschimani 900,000
IV. » cafra 12,000,000
V. » negra, cifra problematica 130,000,000
VI. » malese e polinesiana 29,600,000
VII. » mongolica 563,000,000
VIII. » iperborea 40,000
IX. » americana 8,500,000
X. » dravidica 40,000,000
XI. » nubiana, coi Fulà 25,000,000
XII. » mediterranea 623,000,000
Totale 1,434,140,000


Tabelle geografiche.


I. Tabella di Behm e Wagner (1882).

Parti del Globo Superficie in migliaia di chilometri quadrati Popolazione assoluta in migliaia di abitanti Popolazione relativa al chilometro quadrato
Europa 9.730.6 327.743 34
Asia 44.580.8 795.591 18
Africa 29.823.3 205.823 7
America 38.473.1 100.415 2.6
Australia e Polinesia 8.952.9 4.232 0.5
Terre polari 4.478.2 83
Totale 136.038.9 1.433.887 10.5


II. Tabella di Kolb (1883).

Parti del Globo Superficie in migliaia di chilometri quadrati Popolazione assoluta in migliaia di abitanti Popolazione relativa al chilometro quadrato
Europa 9.815 325.000 33, 1
Asia 44.580 745.000 16, 7
Africa 29.820 120.000 4, 0
America 40.500 104.000 2, 6
Australia e Polinesia 8.800 3.500 0, 4
Terre polari
Totale 133.515 1.297.500 9, 7


Il numero complessivo degli uomini può quindi ritenersi, in cifra rotonda ed affatto approssimativa, di 1440 milioni, dei quali muoiono annualmente circa 31 milioni, ossia uno ogni 45, e ad un dipresso uno ogni minuto secondo. Se si prescinde da qualche eccezione, il numero dei nati supera ogni anno quello dei morti, per cui il numero degli uomini è, in generale, in via di aumento. Il Malthus ha cercato di stabilire una legge in proposito, ed ha asserito che mentre gli uomini aumentano in progressione geometrica, i mezzi di sussistenza crescono soltanto in progressione aritmetica. Ma questa legge ha trovato degli avversarii, ed infatti non è probabile che la statistica la confermi. L’aumento dei mezzi di sussistenza dipende da un numero troppo grande di cause, perchè sia possibile di valutarlo con esattezza: per esempio, dalle condizioni locali sovente assai complesse, dal livello della coltura della popolazione, dal numero e dall’importanza delle scoperte e delle invenzioni, e dalla stessa organizzazione sociale o meglio dal rapporto delle classi produttrici alle passive. Per ciò che riguarda l’aumento del numero degli individui, quella legge non sarà forse mai confermata dalla pratica; imperocchè essa esprime la massima rapidità possibile dell’aumento, non quella effettiva che è determinata non soltanto dalla facoltà riproduttiva, ma eziandio dal numero dei nemici di una data specie e dalle cause di distruzione che agiscono su di essa. Negli animali, ed altrettanto potrebbe dirsi delle piante, l’aumento in progressione geometrica si verifica ben raramente, e prova ne sia che alcune specie, ad esempio il verme solitario, producono milioni di uova, eppure sono rare. Negli uomini noi vediamo razze e tribù intere avviarsi verso l’estinzione, come gli Australiani, gli Ottentoti, le Pelli rosse, i Camciadali, ecc., per non parlare dei Tasmaniani già estinti; mentre altre, le più fortunate, aumentano in proporzioni variabili a seconda dei luoghi e dei tempi, e nelle migliori condizioni in quella del 3 per cento, massimo che viene raramente raggiunto. In Italia la popolazione è cresciuta nell’ultimo decennio in ragione del 6,2 per mille, e negli Stati Uniti in quella del 24,8 per mille; quest’ultimo favorevolissimo risultato è in parte dovuto a larga immigrazione.

I meticci. — Quando due varietà di una medesima specie s’incrociano tra di loro e producono dei figli, noi chiamiamo questi figli meticci; se invece l’incrocio succede fra due specie diverse, i prodotti diconsi ibridi o bastardi. Così il cavallo arabo genera colla cavalla napoletana un meticcio; mentre il mulo ed il bardotto, discendenti delle specie cavallina ed asinina, sono bastardi. Si potrebbe discutere lungamente sul valore da darsi alle razze umane, se debbansi cioè considerare come specie distinte o come varietà di una sola specie. Ma poichè non siamo in grado di definire il concetto della specie, tale discussione non condurrebbe ad alcun pratico risultato. Noi manteniamo il nome di razze, che da lungo tempo è impiegato per designare le diverse forme umane, e chiameremo meticci i prodotti dell’incrocio. Con ciò vogliamo affermare che tra le razze sopra descritte non corrono differenze così grandi come, ad esempio, tra il cavallo e l’asino o tra il lupo e la volpe.

Quando due razze umane vengono fra loro a contatto, noi vediamo prodursi delle forme intermedie, ossiano meticcie, che rendono poi tanto difficile la netta distinzione delle razze medesime. Così l’incrocio fra un Bianco ed una Negra, o viceversa, produce un mulatto, il quale non ha nè tutti i caratteri del padre, nè tutti quelli della madre. Generalmente il padre è un Bianco e la madre una Negra, perchè la donna bianca ha una certa avversione pei Negri.

I Mulatti, alla loro volta, possono riprodursi fra di loro, essendo fecondi; ed in tale guisa il loro numero può diventare in una data regione considerevole. Più comunemente succede che le successive generazioni ritornano ad una delle due razze pure, e quasi sempre alla bianca o superiore, perchè le mulatte si crederebbero degradate se avessero un figlio con un Negro, e prediligono per conseguenza gli uomini della razza caucasica o bianca. Negli Stati Uniti il censimento del 1854 comprendeva 405,751 mulatti.

Oltre i mulatti, si hanno nell’America i cholos o mestizii, che sono figli di un Bianco con una Indiana; e gli zambos che discendono da individui della razza negra ed americana. I cafusos hanno la stessa discendenza come questi ultimi, ma somigliano più ai Negri che agli Americani. In generale si può dire che tutte le razze umane sono feconde nell’incrocio. Fu bensì affermato che la donna Australa sia infeconda nei suoi amplessi cogli Europei, e che la donna Malese sposata allo Olandese non dia figli fecondi oltre la terza generazione; ma ambedue queste asserzioni furono riconosciute erronee. I meticci hanno spesso forme belle e leggiadre, ma non tutti sono robusti. Nel Brasile, ad esempio, i mulatti sono forti e sani, non così nell’Africa, dove si ha il proverbio: «Un dio creò i Bianchi; non so chi creò i Negri; certo un diavolo creò i meticci.»

Ora vogliamo vedere se l’incrocio possa avere contribuito all’aumento delle razze umane. L’incrocio agisce di certo con molta efficacia. Al Capo di Buona Speranza, per esempio, l’incrocio degli Olandesi cogli Ottentoti diede origine a dei meticci, i quali si riprodussero rapidamente fra di loro, così che in breve sorse una colonia numerosa che formò dei villaggi, tra cui quello di Nuovo-Platberg. I Cafri Zoolas dell’Africa meridionale sono del pari una sottorazza meticcia di recente formazione, la quale sorse dall’incrocio dei Negri e degli Arabi, e tradisce la sua origine anche nel proprio linguaggio. Potrebbe citarsi qualche altro esempio di tale natura. Per cui è assai probabile che ne’ tempi antichi esistesse un numero molto ristretto di razze umane, e che in seguito al loro incrocio ne sorgessero delle altre. Alla medesima conclusione conduce lo studio delle razze ora esistenti, giacchè è evidente che taluna di esse trasse origine dalle altre nel modo suindicato. Così la razza artica s’accosta per alcuni caratteri alla mongolica e per altri all’americana, e tutte e tre sono talmente fra di loro affini che alcuni antropologi non le tengono punto separate.

Origine delle razze. — Ma l’incrocio non può avvenire se non preesistono due o più razze, e quindi si può fare la domanda, se queste razze possano derivarsi da una sola, o se parecchie sieno esistite fino dal primo apparire dell’uomo. Quantunque questo quesito non possa dirsi risolto, sembra tuttavia probabile che in origine esistesse un’unica razza di uomini, dalla quale per lento e graduato sviluppo uscirono le altre. Noi siamo indotti a questa conclusione dallo studio degli animali domestici. Così alcuni piccioni differiscono da altri ben più che la razza umana negra dalla caucasica, e nessuno dubita che i piccioni discendano da una sola forma, il colombo torraiuolo. Del pari differiscono assai tra di loro le razze equine, che nondimeno discendono tutte da un’unica specie. E queste razze di piccioni o di cavalli si formarono in tempo breve, alcuno perfino nei tempi storici.

Si potrà obiettare che sugli animali domestici ha agito potentemente l’uomo; e ciò è vero. L’uomo, scegliendo come riproduttori gli individui che più corrispondevano ai suoi bisogni od alle sue idee di bellezza, ha ottenuto dei risultati portentosi in tempo breve. Ma sull’uomo ha agito la elezione naturale; ossia soltanto gli uomini più adattati alle complesse condizioni di vita in cui si trovarono, sopravvissero, e trasmettendo questi caratteri utili ai loro discendenti, poterono dar origine a nuove razze. Questa elezione naturale doveva agire efficacemente sui primi uomini, i quali non erano costituiti in società, nè avevano raggiunto un’alta intelligenza, e quindi erano incapaci di sottrarsi alle malefiche condizioni di vita che li circondavano. La elezione naturale avrà agito lentamente, attraverso a migliaia di generazioni; ma non sarebbe ragionevole negarle una potente azione.

Di più, i caratteri pe’ quali si distinguono le diverse razze umane, non sono tali che non possano mutarsi nel corso dei secoli. Supponiamo che la prima razza umana fosse nera; chi potrebbe sostenere la impossibilità che poi divenisse bianca? Noi vediamo anche oggidì presso lo tribù nere i capi e le donne assumere un colore più chiaro, perchè si espongono meno alla azione del sole e passano gran parte del giorno entro capanne; come d’altra parte vediamo farsi bruno l’Italiano e lo Spagnuolo, sopratutto se è molto esposto all’azione della luce. Il cranio, il quale si modella sul cervello, può cambiare forma in relazione alle facoltà mentali che vengono esercitate. Il clima agisce potentemente sul pelo e sui capelli, di che ne abbiamo le prove in molti animali. La statura, la forma del naso, la larghezza della bocca e dell’apertura degli occhi, le proporzioni del corpo, ecc., sono tutti caratteri soggetti a variare in ogni razza, per cui in alcuna possono facilmente raggiungere tale sviluppo da servire alla classificazione.

Gli effetti delle condizioni della vita sull’uomo possono essere dimostrati con molti fatti. Così il Negro, trasportato in America, perde alquanto del suo prognatismo, il cranio diviene più sottile e meno allungato, i capelli si fanno meno crespi, le labbra meno tumide, il naso più diritto; e alla faccia ed alle orecchie la cute perde della sua nerezza. Il moderno Americano del Nord, o yanckee, è fisicamente diverso dall’Anglo-sassone, da cui deriva. La sua pelle è divenuta più oscura, i capelli più neri e più ruvidi, il collo più lungo, la testa più rotondata, gli zigomi più sporgenti, e le dita così allungate che i guanti per essi in Francia si fanno su modelli differenti che per gli Europei. Insieme con questi caratteri esterni si modificarono eziandio i mentali. Il Bianco quindi ed il Negro, trasportati in America, subirono dei cambiamenti, e ciò che più monta, ambedue si avvicinarono alle razze indigene.

Un fatto degno di menzione è citato da Hellwald. Nel 1816 alcune centinaia di famiglie würtemberghesi si trasferirono nel Caucaso, prendendo dimora presso Tifflis nel distretto di Elisabethpol. Mentre gli abitanti del Caucaso sono gente bellissima, questi immigrati erano di una singolare bruttezza, avendo faccie quadrangolari, capelli biondi o rossi, e occhi celesti o grigi. Ma la successiva generazione apparve già migliorata, ed i capelli e gli occhi neri non erano punto una rarità. La terza generazione era anco migliore della seconda, così che i Würtemberghesi non erano più riconoscibili. Nelle successive generazioni il progresso fu continuo. Ritenuto che le donne immigrate fossero oneste, non si potrebbe attribuire questo fenomeno ad altra causa che a quella esercitata dalla località (suolo, clima, alimento, ecc.).

Un altro esempio ce l’offrono gli Ebrei, questo robusto avanzo dell’antico ceppo Semita. Una buona parte di essi conserva i proprii caratteri in tutta Europa, e cioè il cranio dolicocefalo, i capelli neri, il viso prognato, le sopraciglia folte che s’incrociano alla radice del naso, le labbra tumide e le gambe corte in proporzione del tronco; ma ve ne hanno altri che subirono delle variazioni. Ed è per noi interessante il vedere che l’Ebreo in Inghilterra si avvicina al tipo inglese, avendo i capelli lisci, finissimi e biondi, la fronte alta e l’occhio ceruleo. In Piemonte esso presenta un cranio rotondo; nell’oasi di Waregh, al 32° latitudine sud, ha la cute dei Negri; e nell’Abissinia ha perfino il naso schiacciato e la capigliatura lanosa.

È ben naturale che cotesti cambiamenti non si compiano, se le condizioni di vita restano inalterate. In allora domina sovrano il principio dell’ereditarietà dei caratteri, e noi vediamo una razza rimanere immutata per molti secoli. Così i Negri schiavi dipinti sulle mura dell’antica Babilonia somigliano perfettamente ai Negri odierni; e nelle mura di Ninive o nelle piramidi egizie si vedono dei gruppi di Ebrei che non sono diversi da quelli de’ tempi presenti.

Dopo quello che fu detto sembra probabile, che in origine apparisse un’unica razza umana, la quale si diffuse sopra un’ampia superficie, e fu posta così in condizioni di vita molto differenti. Per queste condizioni di vita non intendiamo solamente le più manifeste, come il clima, l’umidità, il suolo, il nutrimento, ecc.; ma anche le più recondite, quelle cioè che agiscono sull’embrione, quelle che dipendono dal parassitismo animale e vegetale, e quelle che scaturiscono dai rapporti cogli altri organismi. Questa razza, posta in condizioni di vita diverse, diede origine ad altre razze, il cui numero poi s’accrebbe anche per effetto dell’incrocio.

Ammessa quest’opinione, può chiedersi quale fosse la prima sede dell’umanità, il così detto paradiso? Noi non lo sappiamo. Alcuni naturalisti credono che fosse un continente (Lemuria) che a mezzodì dell’Asia si estendeva dall’isola di Madagascar e dalla costa orientale dell’Africa fino alle Indie posteriori ed alle isole della Sonda, e che ora è scomparso sotto il livello dell’Oceano Indiano; ma quest’opinione, al pari delle altre sullo stesso argomento, non può essere sostenuta con un sufficente numero di prove.

Estinzione di razze umane. — La estinzione parziale o totale di molte razze e sottorazze umane sono avvenimenti storicamente conosciuti. Humboldt vide nell’America meridionale un pappagallo che era l’unico superstite che parlasse ancora la lingua di una tribù estinta. Monumenti antichi ed utensili di pietra, trovati in tutte le parti del mondo, intorno ai quali non si è conservata alcuna tradizione dagli abitanti attuali, indicano molte estinzioni. Alcune piccole e spezzate tribù, avanzi di razze primiere, sopravvivono ancora in regioni isolate e per lo più montuose. In Europa, al dire di competenti autori, le antichissime razze erano tutte più basse nella scala gerarchica che non i più rozzi selvaggi dei nostri giorni; quindi debbono aver differito, fino ad un certo punto, da ogni razza esistente. I Tasmaniani o indigeni di Van Diemen si estinsero in questi ultimi decenni.

Lo estinguersi di una razza viene principalmente dalla lotta di una tribù coll’altra e di una razza con un’altra. Molte cause tengono limitato il numero di ogni tribù selvaggia, come le carestie periodiche, il girovagare dei genitori e quindi la mortalità dei bambini, il rapimento delle donne, le guerre, gli accidenti, le malattie, il libertinaggio, l’infanticidio, le soverchie fatiche, ecc. Se per una ragione qualunque uno di questi ostacoli viene diminuito, anche lievemente, la tribù in tale modo favorita tenderà a crescere; e quando una tribù è divenuta forte, impegna battaglia colle vicine, ne limita il numero e l’estensione nello spazio ed anco le distrugge.

È un fatto singolare, che le nazioni civili esercitano un’azione funesta sulle selvaggie, per cui si è detto che l’alito dell’incivilimento è velenifero pei selvaggi. Il fenomeno è molto semplice e molto chiaro, poichè è legge di natura che i forti soppiantano i deboli, e nessuno porrà in dubbio che un popolo civile, il quale sappia valersi della sua intelligenza e dei frutti del genio, debba superare di gran lunga le genti barbare nella lotta per l’esistenza. A questa ragione principale se ne associano altre di importanza secondaria. Anzi tutto, le donne selvaggie sono meno feconde delle civili, poichè debbono sopportare molti disagi e grandi fatiche, essendo tenute in conto più di schiave, che di compagne del sesso forte. A ciò aggiungasi, che le continue guerre fra le tribù, il cannibalismo, i sacrifizii umani e l’infanticidio falcidiano di continuo il numero delle persone, ai quali agenti si unisce ancora il poco valore che il selvaggio attribuisce alla propria vita che egli talvolta sacrifica per ragioni che a noi paiono futili. A modo d’esempio, il Zimmermann racconta che i capi di alcune tribù negre amano addestrare il proprio braccio al taglio delle teste, e che i loro sudditi fanno a gara per essere a questo scopo prescelti e per presentarsi davanti al loro padrone per subire la decapitazione.

Devesi infine considerare, che i popoli civili trasportano fra i barbari le proprie malattie infettive, le quali vi attecchiscono tanto più, quanto è maggiore il sudiciume che circonda i rozzi abitacoli di questi, e quanto più è trascurata ogni elementare regola d’igiene; e che inoltre vi portano l’uso degli alcoolici, che il selvaggio ben presto apprende e segue con bestiale voluttà. Infine un certo effetto devesi pure attribuire al mutamento dei costumi, prodotto dal contatto colle razze superiori ed all’avvilimento determinato dalla coscienza della propria inferiorità, per tacere delle guerre di esterminio delle quali furono teatro in passato la terra di Van Diemen, il Messico, il Brasile ed il Perù.