X. Posizione sistematica dell'uomo

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X. Posizione sistematica dell'uomo
IX XI


Ora dobbiamo vedere, quale posto l’uomo occupi nella natura, e quindi dobbiamo studiare i caratteri, pe’ quali si distingue dagli esseri che gli stanno più vicini. Conosciuti questi caratteri, sarà necessario meditare intorno al loro valore.

Caratteri zoologici dell’uomo. — Questi caratteri devono cercarsi nell’apparato mascellare-dentario, e nelle estremità. L’apparato predetto delle scimie è distinto da quello dell’uomo pei seguenti caratteri:

1.° I canini sono robusti e sporgenti sopra il livello degli altri denti, i superiori lo sono più che gli inferiori (vedi fig. 10, a, b).

2.° I canini sono collocati in alveoli profondi, circostanza che rende possibile una forte resistenza.

3.° Le arcate zigomatiche sono larghe, per dar passaggio ai robusti muscoli, motori della mascella inferiore (fig. 10, c).

4.° Esistono delle creste ossee più o meno sviluppate al capo, per dare inserzione ai suddetti muscoli (fig. 10, d).

Fig. 10. — Teschio di orango.

5.° Osservasi una robusta aponeurosi occipito-cervicale, per dare la debita resistenza al punto di attacco della testa colle vertebre cervicali.

All’incontro osserviamo che nell’uomo:

1.° I canini non sporgono sopra gli altri denti.

2.° Nè sono collocati in alveoli profondi.

3.° Le arcate zigomatiche sono strette.

4.° E non esistono creste al capo.

5.° In fine il nesso tra la testa ed il tronco è debole.

Niuno di questi caratteri può essere isolato; tutti insieme costituiscono un sistema, e pel loro complesso la scimia assume la natura di fiera, l’uomo quella di un essere inerme.

Il dente canino pertanto delle scimie antropomorfe non è soltanto un dente un poco più allungato, un poco più sviluppato, ma essendo legato, com’esso è, coll’apparecchio testè descritto, costituisce un istrumento apposito ed un carattere speciale; ed è il carattere del leone e della tigre. Il gorilla, l’orango e consorti sono dunque fiere, e l’uomo che ne manca è inerme.

Per far vedere la natura ferina delle scimie, potrà servire il seguente passo che trovasi nell’opera di Brehm sulla vita illustrata degli animali. «Non tutte le scimie fuggono davanti ai nemici; le più robuste si oppongono persino ai carnivori più terribili ed all’uomo, mettendosi in una lotta per lo meno dubbia per l’aggressore. Lo scimie maggiori, specialmente i babbuini, posseggono nei loro denti un’arma sì terribile, che ponno benissimo misurarsi con un nemico, specialmente se questo, come succede comunemente, lotta da solo, mentre essi si difendono in masse, con fedeltà ed energia. Le femmine non si mischiano nella pugna, se non quando si tratta di difender sè stesse od i loro giovani; in questo caso esse dimostrano non minore coraggio dei maschi. Quasi tutte le scimie lottano colle mani e coi denti, graffiano e mordono; molti assicurano che alcune specie si difendono con bastoni e specialmente con ranni d’alberi; è poi certo che gettano sassi, frutta, pezzi di legno ed altri oggetti sul loro nemico. Gli indigeni non attaccano nemmeno il babbuino, specialmente se non sono muniti di armi da fuoco. L’orang-outang ed il gorilla sono sì forti e pericolosi, che l’uomo, in una lotta con essi, non si giova dell’arma da fuoco che in sua propria difesa, mai per aggredire l’animale. Il furore indicibile delle scimie, aumentato dalla forza, è sempre da temersi, e la destrezza che posseggono rende spesso impossibile al loro nemico di fare un colpo decisivo».

Du Chaillu, nella relazione de’ suoi viaggi nell’Africa equatoriale, attribuisce al gorilla una forza prodigiosa, dicendo che quattro uomini robusti non sono sufficienti per tener fermo un individuo di due anni e mezzo; gli adulti sarebbero capaci colle loro mascelle di rendere piatta una canna da schioppo, e di rompere, colle mani, degli alberi del diametro di quattro a sei pollici.

Passiamo ora alle estremità. Alcuni vogliono sostenere che l’uomo sia quadrumano, perchè i suoi arti inferiori, coll’esercizio, possono acquistare la facoltà di afferrare. Si conoscono degli esempi che appoggiano questa idea. I Charruas, tribù indiana dell’America meridionale, forti cavalcatori, usano, in luogo di staffa, un semplice anello, nel quale impegnano il solo dito grosso (alluce), tenendovisi strettamente; gli Indiani dell’Orenoco, quelli del Jacutan, i Negri dell’Australia, possono, colle dita dei piedi, raccoglier monete dal terreno, afferrare sassi e lanciarli; i Bengalesi sanno servirsi anche dei piedi per menare il remo. Gli Ottentoti hanno un dito grosso opponibile alle altre dita; ed anche i raccoglitori di resina, nella Francia meridionale, possiedono un grosso dito del piede opponibile, acquisito per arrampicarsi sugli alti e snelli tronchi del Pinus marittima. Gli isolani del Pacifico, quantunque osservati, riescono ad effettuare dei furti, prendendo gli oggetti coi piedi e trasmettendoli ai loro compagni. I magnani e falegnami delle Indie orientali si giovano dei loro piedi per tenere ed adoperare i loro arnesi.

Un anatomico inglese ha svolto un’opinione diversa, cercando di dimostrare che gli arti posteriori delle scimie sono terminati da piedi. In questo tentativo egli s’è appoggiato alla somiglianza nella struttura anatomica, che esiste fra le estremità inferiori dell’uomo e le posteriori delle scimie.

Noi ci troviamo quindi davanti a tre opinioni diverse. Alcuni vogliono far quadrumano l’uomo; altri sostengono che tanto l’uomo, come le scimie, sono bipedi; altri ancora mantengono le opinioni fin qui professate, che cioè l’uomo sia bipede e la scimia quadrumana. Tutti questi partiti però sono concordi nell’ammettere, che le estremità toraciche, noi due ordini di primati, sono terminate da mani. Le divergenze tra i diversi autori si riferiscono agli arti addominali; ma forse la discordanza non è tanto grande, come potrebbe sembrare a prima vista.

È certo che i piedi dell’uomo, col lungo esercizio, possono, quantunque incompletamente, assumere l’ufficio di mani; ma siccome la loro forma e struttura li rende atti a sopportare il peso del corpo, non è possibile chiamarli mani. Così pure non è accettabile l’opinione che dichiara bipedi tanto l’uomo che le scimie, perchè gli organi strettamente omologhi non meritano sempre il medesimo nome. L’ala del pipistrello e dell’uccello e la pinna pettorale del pesce, sono di certo organi omologhi al braccio umano; eppure nessuno chiamerà l’ala o la pinna un braccio. L’anatomico inglese ha provato l’unità del tipo anatomico negli arti addominali dei primati, ma nulla più. Il termine di mano ha un significato fisiologico. Ora l’anatomia comparata c’insegna, che organi diversissimi possono essere analoghi, ossia compiere la medesima funzione, così che una mano potrebbe perfino non essere parte di un arto e trovarsi in animali di serie diversa, p. es., negli aracnidi o crostacei. In un senso più largo si è chiamata mano la proboscide dell’elefante colla sua appendice digitiforme, e la coda delle scimie fu detta una quinta mano. Se noi chiamiamo piede quell’estremità, in cui l’alluce costituisce il sostegno durante la stazione ed il cammino, e che serve a mutare il passo, l’uomo ha due piedi, e lo scimie ne mancano; e se chiamiamo mano quella estremità, in cui il pollice può allontanarsi dalle altre dita in seguito ad una particolare struttura, ed opporsi alle medesime allo scopo di prensione, l’uomo ha due mani e le scimie ne hanno quattro.

In stretto nesso colla differenza sopra esposta stanno nell’uomo i seguenti caratteri:

1.° La cortezza e debolezza degli arti superiori, i quali invece sono lunghi e robusti nel gorilla, e più ancora nelle altre scimie antropomorfe. Questi arti nell’uomo sono meschini e deboli, confrontati cogli inferiori. Se l’uomo volesse camminare su tutte e quattro le estremità, egli batterebbe col ginocchio il terreno, e pel calibro delle arterie carotidi, che portano il sangue al capo, sarebbe in grave pericolo di perire per apoplessia.

2.° L’ossatura e la muscolatura della gamba. Forse in nessun animale gli arti addominali sono sì robusti come nell’uomo, confrontati colla massa del restante del corpo, e ciò perchè essi hanno l’incarico di portare da soli il corpo umano. Nelle scimie la cosa è diversa; vivendo esse principalmente sugli alberi ed essendo perciò chiamati gli arti toracici a compiere un ufficio più grave degli addominali, vediamo quelli di ossatura e di muscolatura più robusta che questi.

3.° La conformazione del bacino, il quale è atto a portare gli organi della cavità addominale. Mentre nell’uomo il bacino assume la forma indicata dal nome stesso, nella scimia è lungo e stretto; serve poco pel sostentamento delle intestina ed ha lo scopo principale di dare inserzione alle estremità posteriori.

4.° La posizione del grande foro occipitale, collocato molto in avanti ed in guisa che nella stazione eretta del corpo, il capo sta in bilico sulla colonna vertebrale. Al contrario osserviamo che nelle scimie il foro occipitale è posto molto indietro, o poichè la testa non è in bilico sulla colonna vertebrale, vediamo svilupparsi ampiamente le apofisi spinose delle vertebre cervicali e dorsali ed il ligamento cervicale.

Colle precedenti osservazioni credo di avere mostrato che la scimia differisce dall’uomo per la natura di fiera che si manifesta nell’apparato mascellare-dentario, e per la presenza di due mani negli arti posteriori, le quali mentre la rendono inetta all’incesso eretto o poco agile perfino nel camminare sul terreno con tutte e quattro le estremità, le danno una speciale attitudine alla vita sugli alberi. Per cui se la scimia può essere chiamata un mammifero fiero e rampicante, l’uomo deve essere detto un mammifero inerme e mite ad incesso eretto.

Valore dei caratteri predetti. — Ora che conosciamo le differenze che passano tra l’uomo e le scimie, sarà bene valutarne l’importanza dal punto di vista zoologico. Le opinioni estreme sono quelle di Linneo e di Pruner-Bey. Il primo asserisce di non saper trovare alcun carattere, onde l’uomo possa essere distinto dallo scimie; il secondo sostiene che l’uomo non solo costituisce un regno a parte, ma rappresenta un mondo separato. Queste due opinioni estreme sono abbandonate da tutti; più accreditata è quella che l’uomo debba costituire un regno a sè, il regno umano.

In questo argomento giova considerare quanto segue.

Noi vediamo che le piante e gli animali formano due regni, due serie di organismi convergenti in modo che le infime piante non sono discernibili dagli infimi animali. Se l’uomo costituisse pure un regno convergente col regno animale, gli infimi animali e gli infimi uomini dovrebbero essere tra loro molto affini, ciò che non è; gli infimi uomini s’accostano solo fino ad un certo punto, ai più elevati membri dell’ordine dei quadrumani, fatto che tende a dimostrare che anche l’uomo costituisce un ordine e nulla più.

Alcuni autori vollero fondare questo regno umano sui caratteri di moralità e di religiosità; ma non tutti gli uomini hanno idee di morale e di religione, e d’altra parte vi sono animali, in cui si rinvengono traccie di queste idee. Il regno umano non sembra quindi ammissibile.

Si volle anche dell’uomo fare una famiglia nell’ordine dei Primati, che abbraccia i mammiferi più elevati; ma si può esitare ad accogliere tale opinione, perchè l’uomo si distingue effettivamente da tutte lo scimie per la sua dentiera chiusa e per l’incesso eretto, due caratteri che sono seguìti da molti altri correlativi.

La classificazione che fa dell’uomo un ordine distinto nel gruppo dei Primati, sembrami ancor oggi la migliore, non ostante il parere contrario di alcuni valenti naturalisti, e può essere appoggiata al fatto che anche gli altri ordini dei mammiferi sono in gran parte stabiliti sopra caratteri desunti dalle estremità e dalla dentiera.

I Monotremi, ad esempio, hanno due piedi corti, a cinque dita, e nei piedi posteriori dei maschi troviamo uno sprone avente un foro presso l’estremità; nei Cetacei mancano le estremità posteriori, mentre le anteriori sono trasformate in pinne: i Pachidermi sono moltunguli, biunguli i Ruminanti, e monunguli i Solipedi; gli arti anteriori dei Chirotteri sono trasformati in organi del volo. È perciò naturale che la diversità nella struttura degli arti che troviamo nei Primati debba indurci a scomporre questo gruppo in due ordini, quello dei Quadrumani e quello dei Bimani.

Questo risultato viene confermato dallo studio dell’apparato dentario, poichè osserviamo che i diversi ordini dei mammiferi differiscono quasi sempre tra loro anche nella dentiera. Così i Monotremi o sono sforniti di denti od hanno dei denti cornei. I Solipedi hanno sei incisivi in ambo le mascelle e dodici molari: tra gli uni e gli altri notasi un lungo spazio vuoto, nel cui mezzo sorge un piccolo canino, il quale spesso manca nella femmina, sopratutto nella mascella inferiore. Nei Ruminanti la mascella superiore manca d’incisivi e nel corrispondente margine dentario le gengive diventano grosse, o callose, formando un cuscinetto, contro il quale urtano gli incisivi della mascella inferiore. I canini mancano in ambedue le mascelle; i molari, sei per cadaun lato di ciascuna mascella, sono semicomposti a larga superficie triturante. I denti degli Sdentati, quando vi esistono, sono presso a poco simili tra loro e muniti di una sola radice.

Anche il sistema mascellare dentario dei Roditori differisce assai da quello degli altri mammiferi. I condili della mascella inferiore hanno un diametro maggiore che corre nel senso della lunghezza del capo, anzichè in quello della larghezza; le fossette glenoidee dal loro canto sono ancora più allungate dei condili ed in forma di doccia, per cui i movimenti della mascella inferiore sono molto estesi nel senso longitudinale. Osservansi due denti incisivi in ciascuna mascella; essi sono più lunghi dell’ordinario ed inseriti in profondi alveoli; i superiori, più corti, traversano gli ossi intermascellari e penetrano ne’ mascellari; gli inferiori, più lunghi, si protraggono verso dietro passando al di sotto dei molari. Gli uni come gli altri sono incurvati ad arco, la loro estremità distale è troncata obliquamente dall’avanti in dietro con margine libero tagliente, e la loro faccia interna è priva di smalto. Mancano denti canini; in ogni lato esistono alcuni pochi molari, rare volte in numero maggiore di quattro, separati dagli incisivi per mezzo di un notevole intervallo. Nelle fiere osservansi dei robusti canini e tra i molari un potente ferino.

Si vede da ciò che anche il sistema dentario è di grande valore e fornisce dei buoni caratteri d’ordine. Ed avendo noi trovato una notevole differenza tra l’apparato mascellare-dentario delle scimie e quello dell’uomo, dovremo non solo pei caratteri offertici dalle estremità, ma per quelli ancora della dentiera, separare l’uomo dalle scimie e suddividere il gruppo dei Primati nei due ordini succitati.

A questi caratteri, ne’ quali l’uomo differisce dagli animali che gli sono più vicini, se ne possono aggiungere degli altri di minore importanza. Così la capacità craniana dell’uomo normale supera sempre i 1000 centimetri cubici, mentre nelle scimie non raggiunge mai questa cifra, e generalmente non supera quella di 500 centimetri cubici. Inoltre il cervello umano, quantunque concordi essenzialmente con quello delle scimie, ha nondimeno alcuni caratteri suoi propri. Si aggiunga ancora che la specie umana è cosmopolita e seppe quindi adattarsi ai climi i più differenti. E finalmente si consideri che l’uomo parla ed ha facoltà psichiche assai più elevate che quelle di ogni altro animale.