Al Polo Nord/13. Un dramma polare

13. Un dramma polare

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13.

UN DRAMMA POLARE


Il Terror!... Mac-Doil non era uno scienziato, non aveva mai navigato nei mari artici, ma quel nome era stato per lui una rivelazione.

Il Terror!... Il nome di quella nave era troppo noto in tutte le regioni dell'America settentrionale ed il cacciatore lo aveva udito più volte nominare sulle spiagge dell'Alaska unitamente a quello d'un altro vascello, ed a un nome celebre che ricordava una delle più tremende catastrofi svoltasi in quelle regioni di ghiacci.

Udendo Orloff a pronunciarlo, si era volto verso l'ingegnere, il quale curvo verso il vetro, non staccava gli sguardi da quel legno naufragato che a poco a poco imputridiva in fondo al vallone sottomarino.

— Il Terror... — esclamò. — Una delle navi di Franklin, forse?... Parlate, signore.

L'ingegnere fece col capo un segno affermativo.

— Ma l'Erebus?...

— Non sarà lontano.

— Lo vedremo?...

— Lo spero.

— Continuiamo? — chiese Orloff.

— Sì — rispose l'ingegnere.

Il secondo aveva accostato un dito ad un campanello elettrico che doveva corrispondere col timoniere.

Il Taimyr aveva descritto mezzo giro a tribordo e riprendeva la sua corsa verso il nord, seguendo sempre il vallone.

La massa del Terror spariva a poco a poco di passo in passo che il battello si allontanava, ma l'ingegnere lo guardava sempre, mentre sul suo maschio volto si dipingeva una viva commozione.

Quando scomparve fra l'oscurità, un sospiro gli uscì dalle labbra e Mac-Doil lo udì mormorare a più riprese:

— Disgraziati!... Ecco a cosa li aveva tratti il fascino del polo!...

Il Taimyr continuava la sua marcia, ma non si avanzava colla velocità di prima e descriveva delle lunghe serpentine, esplorando il fondo del vallone.

Di quando in quando, in mezzo ai crostacei che popolavano quelle rocce e quei crepacci, apparivano degli oggetti che dovevano aver appartenuto a delle navi. Ora erano delle ancore alle cui ghirlande si vedevano attaccati ancora dei pezzi di catene o di gomene; ora era qualche canotto sfondato, poi dei pezzi di manovre le cui sartie si mantenevano ritte come se tendessero a ritornare a galla o dei pezzi di pennoni trattenuti laggiù da qualche armatura pesante, o dei frammenti di tavole fasciate di lastre di rame e perfino una slitta che giaceva rovesciata ed attaccata ad un avanzo di nave, ad un pezzo di sperone col bordo di metallo.

Un quarto d'ora dopo, dietro una rupe fra il fascio luminoso della lampada elettrica, si videro apparire due tronconi d'alberi, ma privi di pennoni e di manovre.

— Eccolo — disse l'ingegnere.

— Sì — rispose Orloff.

Il battello rallentava la sua marcia e manovrava in modo da girare attorno alla rupe. Appena l'ebbe oltrepassata, una seconda nave apparve, pure semirovesciata e coi fianchi squarciati come l'altra.

Il suo ponte era intatto, la sua tolda si scorgeva perfettamente sgombra, ed aveva i boccaporti aperti.

Appena la luce la colpì in pieno, da quelle aperture si videro irrompere legioni di mostri marini, pesci di nuova specie, calamari mostruosi, crostacei di forme strane. Disturbati da quello sfolgorìo che penetrava attraverso le squarciature della carena illuminando l'interno della stiva, s'affrettavano a lasciare il loro tenebroso ricovero dove, forse da lunghi anni, avevano goduto una tranquillità perfetta.

Il Taimyr passò al largo per evitare le punte rocciose contro le quali la misera nave si era incastrata, e s'arrestò di fronte alla poppa sul cui quadro si vedevano spiccare delle lettere che avevano ancora degli scintillìi d'oro.

— L'Erebus — disse Orloff.

— Sì, la seconda nave — rispose l'ingegnere. — Ecco il punto preciso dove si è svolto il dramma polare, che ha costato all'Inghilterra uno dei suoi più valenti ammiragli.

— Che sia morto qui? — chiese Mac-Doil.

— No — rispose l'ingegnere.

— Erano queste le navi che cercavate?

— Sì.

— Ma a quale scopo?...

— Per ricostruire la drammatica istoria di quella miseranda spedizione. La conoscete voi?...

— Ne ho udito parlare vagamente nell'Alaska, parecchi anni or sono. Si parlava di spedizioni organizzate su vasta scala per cercare gli avanzi di quel grande disastro e trovare i superstiti perduti sul mare polare.

— Ascoltatemi adunque ed apprenderete delle notizie che forse ancora s'ignorano in Europa, quantunque trentadue navi inglesi ed otto americane comandate dai più intrepidi esploratori polari, quali Austen coi vascelli Risolute, Intrepid, Assistance e Pioneer, Penny colla Lady Franklin e la Sofia; Kellet col Resolute e l'Intrepid, Collinson, Mac-Clintok ed altri, abbiano investigate queste regioni passo a passo, per dilucidare la misteriosa e drammatica scomparsa di quei centotrenta uomini.

«Era la spedizione più numerosa e la meglio organizzata che fosse stata allestita nei porti inglesi, e l'uomo che la guidava era il più intrepido marinaio che vantasse in quell'epoca l'Inghilterra.

«Il nome di John Franklin era popolare in Europa ed in America. Soldato valoroso aveva preso parte a parecchie battaglie navali compresa quella gloriosa di Trafalgar, ed esploratore audace, aveva già fatte non poche scoperte sulle estreme coste dell'America settentrionale.

«La scienza era certa d'un successo e non dubitava di veder scoperto il famoso passaggio del Nord-Ovest e fors'anche il misterioso Polo Artico.

«Il 26 maggio del 1846 l'Erebus ed il Terror salpavano dalle coste inglesi, accompagnate dagli auguri di tutte le nazioni d'Europa. Centotrenta uomini, scelti fra i migliori ufficiali e marinai le montavano e nulla era stato dimenticato, affinchè le due navi fossero in grado di poter sostenere parecchi svernamenti.

«Il 26 luglio la spedizione veniva segnalata dai balenieri della baia di Baffin, poi più nessuno l'aveva riveduta.

«Il 1846 trascorse senza che alcuna notizia fosse giunta in Europa, poi il 1847, poi il 1848, il 1849.

«Le nazioni marinaresche cominciavano ad inquietarsi e soprattutto gl'inglesi e gli americani.

«Cominciarono a nascere dei timori, le ultime speranze si dileguarono ben presto e si diffusero le voci d'una tremenda catastrofe.

«L'Inghilterra e gli Stati Uniti allestirono le prime spedizioni, le quali non diedero risultati, ed il mistero continuò a rimanere avvolto nelle tenebre.

«Lady Franklin, la coraggiosa consorte dell'ammiraglio, non disperava ancora ed armava altre spedizioni. Nel 1851 allestisce il Prince Albert e lo invia nelle regioni polari, i suoi marinai però non riescono che a scoprire una tenda, eretta sulla punta Walker e che aveva appartenuto alle due navi guidate dall'ammiraglio, ma era vuota.

«Nel 1853 arma il Phoènix, senza poter sollevare il velo che si stende sulla sorte delle due navi. Anzi ritorna in Inghilterra priva del comandante, lo sventurato Renato Bellot, scomparso in un crepaccio aperto fra i ghiacci che stava esplorando.

«La speranza di ritrovare le due navi ed i loro equipaggi si dileguava a poco a poco, mentre gli anni trascorrevano, ma le spedizioni si succedevano. Si voleva ad ogni costo conoscere la sorte toccata a quei centotrenta coraggiosi perduti fra i ghiacci del polo.

«Nel 1859 Mac-Clintock, spinto da lady Franklin, tenta per la terza volta una nuova spedizione e va ad investigare col Tosc, lo stretto che porta ora il suo nome e le coste dell'isola del Re Guglielmo.

«Le sue ricerche furono coronate da un successo completo e dopo tredici lunghi anni si poterono finalmente trovare le tracce degli equipaggi dell'Erebus e del Terror e conoscere la triste sorte che li aveva colpiti.

«Sulle coste dell'isola del Re Guglielmo si raccolgono i primi avanzi della spedizione: delle zappe, dei badili, degli utensili da cucina, dei cordami, delle vele ed un sestante che portava inciso il nome di Federico Hornbhy seguito da un R ed un N, iniziali degli oggetti appartenenti alla Regia marina inglese.

«Intanto il 6 maggio il luogotenente Hosborne, alle ore 11.15 scopriva a quattro miglia dal punto ove erasi accampato coi suoi uomini un cairn, ossia una piramide di sassi entro la quale rinveniva una scatola di latta contenente il rapporto della spedizione di Franklin e che portava la seguente scritta:

«"Chi trova queste carte è pregato d'inviarle al segretario dell'Ammiragliato a Londra o se è più comodo, consegnarle al Console Britannico più vicino".

«Più tardi ne scopriva un altro più piccolo che portava le seguenti indicazioni:

«"Questo segnacolo è stato eretto dalle imbarcazioni dei vascelli Erebus e Terror a Victory Point dell'isola del Re Guglielmo, dove sbarcavano il 22 aprile 1846 abbandonando le loro navi e da dove il 26 partirono in direzione meridionale, con barche montate da slitte".

«Intorno ai due cairn si trovarono molti rottami dei due vascelli, vestiari, picconi ecc. che furono poi raccolti da Mac-Clintock.

«Per ultimo lo stesso luogotenente, a 69°09' di latitudine Nord e 99°27' di longitudine, presso la foce del Gran Pesce o di Backs rinveniva un battello appartenente agli equipaggi delle due navi, lungo ventisette piedi, largo sette e mezzo, che posava su di una slitta di quercia e contenente uno scheletro umano disseccato e coricato sopra un cumulo di vesti, e poco discosto un secondo scheletro mezzo divorato, due fucili a doppia canna ed ancora carichi, dei libri di devozione, parecchi orologi da tasca, delle forchette e dei cucchiai d'argento, delle munizioni, quaranta libbre di cioccolato, un po' di thè ed alcuni pacchi di tabacco.

«Solo allora si potè ricostruire il viaggio fatto dalle due navi e conoscere le diverse fasi del disastro.

«Si potè così sapere che la spedizione si era dapprima spinta fino al 77° di latitudine risalendo il canale di Wellington e che quindi era tornata verso l'ovest dell'isola di Cornovaglia e che era stata bloccata dai ghiacci nei pressi dell'isola Becckey.

«L'anno seguente la spedizione veniva arrestata dai ghiacci a 69°05' di latitudine ed a 98°23' di longitudine a circa quindici miglia dalla costa nord-ovest dell'isola del Re Guglielmo.

«Quel secondo svernamento doveva essere fatale.

«Per venti lunghi mesi le due navi erano state trascinate attraverso lo stretto di Mac-Clintock finché i loro equipaggi, avendo perduta ogni speranza di rivederle libere le avevano abbandonate. Di centotrenta erano rimasti cento cinque poiché nove ufficiali e quindici marinai erano già morti e lo stesso ammiraglio aveva cessato di vivere l'11 giugno del 1847.

«Quei disgraziati, guidati da Crozier comandante del Terror e da Fitz James comandante dell'Erebus il 22 aprile del 1848 erano approdati all'isola del Re Guglielmo ed il 25 si erano messi in marcia verso il sud.

«Il loro progetto era di giungere alla Riviera del Gran Pesce, ma quei lunghi svernamenti e lo scorbuto dovevano averli indeboliti e resi incapaci di affrontare un tale viaggio.

«Cosa sia accaduto poi, ancora lo si ignora, ma lo si suppone e qualche cosa si è potuto ancora sapere.

«Si sa che la carovana, decimata dalla fame e dalle sofferenze fu incontrata da alcuni esquimesi nei pressi della baia di Washington, e che furono ben tosto abbandonati. Sembra che alcuni cercassero di passare lo stretto di Simpson, ma che vi giungessero troppo tardi per tentare la traversata sui ghiacci.

«È certo che dovettero colà attendere il nuovo inverno lottando colla fame. Dovevano essere ancora una diecina e si crede che portassero con loro i libri di bordo, i giornali e gl'istrumenti.

«Cosa è accaduto di loro? Probabilmente quegli ultimi superstiti della grande spedizione, sono andati a perire di fame nei pressi di Starvation Cove, mentre i loro compagni spiravano sulle nevi della costa o venivano inghiottiti dall'oceano apertosi sotto i campi di ghiaccio.

«Chissà quali orribili scene si sono svolte fra quei disgraziati. Gli avanzi rinvenuti in una caldaia abbandonata fra i ghiacci erano troppo riconoscibili per ingannarsi sulla loro natura. Le scene d'antropofagia della Medusa che hanno inorridito l'Europa, si sono ripetute anche qui, fra i ghiacci e le nevi della regione polare.»

L'ingegnere tacque, mentre Mac-Doil e Sandoë lo guardavano come se ascoltassero ancora la sua voce.

Una brusca scossa che li fece rotolare l'uno addosso all'altro, li strappò dalla loro immobilità.

— Fulmini! — esclamò Sandoë, aggrappandosi allo sportello.

— Risaliamo — disse Orloff.

Il Taimyr infatti abbandonava il fondo del mare e rimontava con una velocità fulminea, inclinato a poppa.

Il suo sperone fendeva le acque con grande impeto, facendo vibrare le lastre metalliche, mentre lungo i vetri scorrevano due larghi fiotti di spuma candidissima.

La luce tornava a scendere dalla gabbia di poppa mentre la lampada elettrica era stata spenta.

Il fuso gigante in un minuto varcò l'enorme strato d'acqua, si raddrizzò come un cavallo che s'inalbera slanciandosi più di mezzo fuori dalle onde, poi ricadde con cupo fragore, sollevando due montagne d'acqua.

Le eliche di poppa, che erano state fermate si rimisero tosto in movimento ed il Taimyr si slanciò verso il sud, abbandonando frettolosamente quei tristi paraggi.