../XXIII

../XXV IncludiIntestazione 24 aprile 2015 75% Da definire

XXIII XXV


XXIV


L’aereo partì quasi puntuale un quarto d’ora dopo. Vicino a me era seduta una signora, o signorina, che stava sfogliando una rivista estratta dalla tasca del sedile. Leandro si sedette qualche posto più in là. Alcuni passeggeri stavano parlando fra loro, poi, la persona seduta vicino a me, trascorsi circa venti minuti dalla partenza, disse: «Scusi, signore!».

Le risposi:

«Sta parlando con me?».

«Sì».

«Mi dica pure!».

«Innanzitutto scusi se la disturbo».

«E di che cosa? Coraggio! Parli pure!».

«Io sono Flavia».

«Piacere, Enea!».

«Io non ricordo il suo cognome. Ricordo invece la sua faccia, perché lei è comparso a più riprese nella trasmissione di Enzo Biagi. Ho sentito che lei scriverà un libro. Da chi lo farà pubblicare?». «Beh, signorina, non saprei. Prima devo cominciare a scriverlo».

«Non mi chiami signorina! Io sono Flavia e mi deve dare del tu».

«D’accordo, e tu fai altrettanto».

«Bene», riprese Flavia. «Io di libri non ne ho mai scritti, ma qualora tu fossi interessato, ti do il biglietto da visita con telefono ed e-mail di mio cognato. Lavora presso un’importante casa editrice».

«Potresti anche darmi il tuo! Sei molto simpatica».

«Volentieri, te lo scrivo sul retro del biglietto».

«Ora sono io a chiederti scusa per il disturbo». «Niente affatto».

Poi disse:

«Ecco! Ah, stanno arrivando con le bevande, tu cosa ordini? Io prendo un tè».

«Io una birra».

Poi la hostess fece:

«Signori?».

Flavia ripetè:

«Un tè per me ed una birra per il signore».

Poi la sentii andare più lontano e dire:

«E lei, giovanotto?».

«Un caffè d’orzo», rispose Leandro.

«Non l’abbiamo. Posso proporle un caffè solubile, un tè, una bibita fresca».

«Un caffè solubile», disse Leandro.

Poi, una volta consumata l’ordinazione, appoggiammo bicchieri e lattina vuoti sul tavolino.

«Di dove sei?» chiesi a Flavia.

«Di Milano. Lavoro come commessa in una copisteria. Sono venuta a Roma per il matrimonio di mia sorella Cinzia. Oltretutto i miei genitori vivono là. Io invece vivo a Milano con un’amica. E tu?».

Le raccontai che abitavo a R. e vivevo con mia madre.

A un certo punto disse:

«Ogni tanto l’aereo ha degli sbalzi che mi mettono paura. Mi ero quasi addormentata prima della partenza. Quando sei salito tu non me ne sono neppure accorta. Poi, al momento del decollo, ho preso un po’ di spavento, anche se questa è la seconda volta che prendo l’aereo. La prima volta ero ancora più spaventata e quasi mi sono messa ad urlare». «Addirittura».

«Sì. Mi sono svegliata all’accensione dei motori. Poi ho iniziato a leggere questa rivista per non pensare al decollo. Ma durante il decollo, mi sono spaventata. Anche l’atterraggio mi spaventa».

«Scusa, Flavia, se ti interrompo. Ma tu non sei romana».

«I miei genitori sono romani, anche mio fratello è nato a Roma. Cinzia ed io siamo nate a Milano. Ora, però, mia sorella si è sposata con uno di Roma ed i miei genitori, da qualche anno, si sono trasferiti là. In realtà, mia sorella aveva trovato lavoro a Roma. Ma io ho iniziato a lavorare a Milano e, cambiare casa per venire a Roma, proprio non me la sentivo».

Le risposi che nemmeno io avrei voluto cambiare ambiente. Poi le dissi:

«Quando atterreremo, non aver paura e non metterti a gridare. Se vuoi, ti tengo io la mano! Così! Permetti?».

E in quel momento feci la mossa per prenderle la mano. Lei si mise a ridere. Poi le raccontai cosa avessi visto di interessante a Roma, cosa avrei raccontato nel mio libro e tante altre cose. Alle cinque meno un quarto dissi:

«Oddio! Come mai l’aereo ci impiega così tanto? L’altra volta sono arrivato da Milano a Roma in circa quaranta minuti o poco più».

«Ci sono le nuvole. Per questo ci si mette di più». Poi, alle diciassette e zero cinque fu annunciato l’imminente atterraggio. Io dissi a Flavia:

«Coraggio, non spaventarti! Ti tengo io. Anche se non ci vedo sei in buone mani».

Lei si avvicinò un pochino più a me, in modo che quel gesto al momento dell’atterraggio si trasformò in un abbraccio. Ci furono risate ed applausi, non si sa se per l’atterraggio riuscito o per la simpatica scenetta che stava avendo luogo sotto gli occhi dei passeggeri.

«Siamo arrivati», disse Flavia. «Ora possiamo farci il segno della croce. Dio mio! Che tempaccio! Piove, sai? Aspetta, ti aiuto a scendere. Dai, come devo prenderti?».

Le insegnai cosa doveva fare.

«Aspetta, l’aereo non si è ancora fermato».

Poi venne Leandro. Anche Flavia volle offrire il suo aiuto. Poi scendemmo, e ci recammo a ricevere i nostri bagali. Erano le cinque e un quarto. Dopo quindici minuti arrivarono i bagagli di Flavia.

«Se non avete fretta, ritiro i miei bagagli e poi varcheremo l’uscita tutti insieme», disse Flavia. Quindi cinque o sei minu dopo i suoi, arrivarono anche i nostri. Erano le sei meno venti.

Recuperati i bagagli ci munimmo del carrello, entrammo in un enorme ascensore e, una volta all’uscita, trovammo Alice.

«Allora, Flavia, com’è andata? Ti sei divertita?».

«Tantissimo, grazie Alice. Ma aspetta. Voglio presentarti Enea».

«L’ho già visto in televisione, può essere?».

«Sì, ma dal vivo è più... più... Scusate, non saprei come definirlo».

Ci mettemmo tutti e quattro a ridere. Poi dissi:

«Lui è Leandro».

«Sì», dissero Alice e Flavia. Poi Alice disse:

«L’ho visto proprio ieri in tv».

«Anch’io».

«Certo», ripresi io, «ma dal vivo è più... più... Scusate, non mi viene il termine».

E giù di nuovo a ridere.

Poi Alice riprese:

«Ho visto due signore con un atteggiamento come se aspettassero qualcuno. Forse aspettano voi due. Venite! Ora vi accompagnamo!».