Vita della Contessa Margarita di Montecuccolo
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Vita della Contessa Margarita di Montecuccolo
nata de’ Prencipi di Dietreichstain descritta, e dedicata all’Eccellenza del Signor Raimondo suo marito Conte di Montecuccolo, Signore nella Libera Signoria di Hohenegg, & Osterborg, Cavaliere dell’Ordine Insigne del Toson d’Oro: Consigliere di Stato; Cameriere; Tenente Generale dell’Armi; Maresciallo di Campo; Gran Mastro dell’Artigliaria nell’Austria; Presidente del Consiglio di Guerra; Colonnello di Cavalleria & Infanteria; e Governator perpetuo di Giavarino, e suoi Confini per sua Maestà Cesarea: &c. &c. dall’Abbate Filippo Maria Bonini. In Vienna, appresso Pietro Paolo Viviani l’anno 1677
Illustrissimo, & Eccellentissimo Signore Signore, e Padrone Colendissimo.
Per lasciare al Mondo un vivo testimonio delle ubligazioni eterne contratte con V. E. a causa delle immense gratie, da lei stessa, al mio poco merito conferite, sono andato pensando, fra me più volte, come propriamente il potessi fare, e quale proportionato tributo d’ossequio dovessi prestare all’Illustrissimo, ed eroico Nome di V. E. che di già co’ suoi gloriosissimi fatti ha resa impotente la Fama, per più decantargli, colle sue cento Trombe d’oro, dall’Orsa gelata, all’estremità delle sconosciute Provincie. In tale fluttuazione de pensieri, tratto più riverente della mia Penna, ed atto più degno della di lei Grandezza, non ho considerato, che il dedicargli la Vita della Contessa Margarita, già Consorte dell’E. V., degno Tralcio de’ Prencipi di Diechtreistein, che fu l’Anima dell’onore, il simolacro della Prudenza, il portento degl’occhi, lo Specchio dell’onestà; la Fenice del suo Sesso, e del suo Secolo, il Ritratto delle Gratie più sante, & un’Imagine viva dell’Angeliche perfettioni. Così vado certamente promettendomi Eccellenza Illustrissima, che gli debba riuscire molto grato il mio dono, mentre la materia grande di cui si tratta, levarà dal Libro ogni imperfettione dell’Arte. Che altro potevo mai dare a V. E., che restituirgli la metà di sé stessa, anzi quell’Anima, che gli haveva barbaramente involata la Morte? E che altro potevo apportar di gloria, e rimarco a me stesso, ed a’ miei fogli, che scolpire su’ medesimi, in faccia alle foglie dell’Immortalità il Nome temuto, e formidabile di V. E.? La debole mia Penna così farà vivere in Terra la memoria di quell’Anima Eroica, che vive al presente come luminosissimo Pianeta, e scintillante Margarita nel Cielo; & il Nome tutelare di V. E. farà risplendere per gli Secoli intieri della Mortalità questi miei Inchiostri, non per altro rilucenti, che per i raggi, che gli provengono dalle loro generosissime gesta. Sarà poi gran parte della magnanimità di V. E. il condonare all’umilissimo sentimento della mia divotione, se al vivo io non pennelleggiai le Virtù Morali, Cristiane, ed Eroiche, che unite alle Doti della Natura, ed Arte, facevano in quell’Anima Celeste gara, più che luminosa, ad’Angelica, posciaché se Apelle solo poté dipingere Alessandro, l’Eccellenza Vostra, che unita al valore, e fortezza, con cui debella Eserciti, vince Provincie, e conserva Imperi, dimostra uguale isperienza in ogni disciplina morale, e scolastica, poteva solo degnamente effiggiarla, mentre in ogni impresa, tempo, e luogo l’ebbe per indivisibile Compagna. Accetti per fine V. E. dalle mie mani una Gemma infinitamente più pretiosa dell’Egittiana; e s’ella è il primo Guerriero della Terra, agggradisca in ristretto questa nuova Institutione militare d’una sovrana Guerriera de sensi. In fine accetti lei stessa in proprio dono di sé stessa, che tanto è il dono della Contessa già sua Consorte; et a me, ch’altro non potei donare, che il più fervoroso, e divoto parto de miei Spiriti, rimandi V. E. un maggiore Donativo, che sarà quello di continuarmi la di lei umanissima Gratia; e gli faccio profondissima Riverenza.
Di V. E. Umilissimo, Divotissimo, Ubligantissimo, Servitore, Filippo Maria Abbate Bonini
Amico Lettore
Ecco la Vita della Contessa di Montecuccolo, che ti promisi: ammira in quella (benché sia un’Esemplare del Sesso più delicato) l’Idea d’ogni Virtù; stupisci nel vedere, com’ella, benché Prencipessa di Sangue; benché arricchita d’ogni più rara dote dalla Fortuna, e Natura, volesse, e potesse esercitare le prime parti dell’Umiltà e Ritiratezza; della continenza, e sofferenza; e come ell’habbi saputo cangiare la Corte in Cella; la Cella in Deserto; la Casa in Liceo di santità. Ti sarà senza dubio, se la considerarai attentamente, di stupore, e di stimolo; di freno, e di incitamento; se poscia la sua Vita non è espressa al vivo, non l’ascrivere a mio mancamento, ma all’impossibilità; non essendo in potere dell’Uomo il narrare, e delineare al simile de doti d’un’Angelo. Jo l’ho descritta per ammaestrare, che in ogni stato si può essere perfetto, ed acciò, che tal’uno non adduca in iscusa propria qualche impotenza, o inconvenienza. Ti serva, che ogn’uno ha il libero Arbitrio; e che la Gratia di Dio opera in tutti, & è pronto a salvare tutti, quando ciascuno di questi vogli cooperare alle sue interne vocationi. Nel mio Augusto Vendicato ti promisi pure molti altri Volumi, quali comparirebbero ben presto, se non venissero ritardati da qualche presente occupatione: sono però tutti in pronto; se Dio mi lasciarà per qualche Tempo ancora sopra la Terra, continuarò i miei Esercitii a benefitio universale, & maggior gloria della nuda, e pura Verità (della quale così si compiace l’Altissimo, che vuol di sé si predichi: Ego sum Veritas) da me sovra ogni premio mortale, e la Vita medesima amata. Se poi, come ogni Mortale, cadrò colpo del Fato, potrai conoscere Lettore Amico, e disinteressato, da postumi miei scritti, quanto sinceramente versavo i miei sudori notturni, per apportare opportune ricreationi alle tue sconsigliate otiosità. Vivi sano: e prega Dio per me, che sono tuo vero Amico, mentre ad altro non tendo, che a dirti il vero.
Libro Primo
La Providenza increata, sempre adorabile nelle sue dispositioni, & infallibile ne’ suoi Decreti, non si contenta, d’haver prescritto all’Universo per mezzo de’ suoi Divini Oracoli le massime per santamente operare, che vuole altresì ad instruttione dell’huomo, che risorga in ogni età, e s’adori in ogni secolo qualche miracolo di Santità, e Virtù, che con le pratiche esemplari di sue attioni l’instruisca in esse, e lo conduca a quel fine, al quale sino da’ principij della sua non mai cominciata Eternità lo chiamarono le sue Misericordie. Vuole però tal hora, che spuntino dalla più infima conditione delle genti germogli d’altissime doti, e da stirpe più sollevata fioriscano quelle più evangeliche perfettioni, che vagliono co’ voli di profonda humiltà a trasportare alla sublimità de’ Serafini l’Anime grandi. Questo secolo, che a niuno de’ trasandati cede il posto nel vantar maravigliosi portenti nelle Reggie de’ Monarchi, e nel Teatro de’ Regni grandi vicissitudini, conta tra’ i primi de’ suoi memorabili prodigij la Virtù, e Pietà di Margarita Contessa di Montecuccolo, la quale nella prima Metropoli dell’Impero Christiano si fece ammirare per la vera Idea della Perfettione, per l’unico fregio del suo Sesso, e per la più cara gemma di tutte le Dame di più celebre fama. Giustitia si renderà ad un’Anima così pura, gloria alla Bontà Divina, che la mandò fra Mortali, e segnalato beneficio all’Età venture, perché impareranno da Guida così fedele i sentieri, che conducono al Cielo, se si perpetueranno di sì gran Donna le memorie.
Da questo unico motivo si è potuto indurre, chi hebbe fortuna di conoscer in vita la Contessa Margarita di Montecuccolo, ad esprimere le sue degne attioni doppo la morte, delle quali, sicome fu ella un serenissimo Sole tra’ viventi, così nelle ceneri ancora, si conservano gli splendori di quelle virtù, che sono dalla publica fama canonizzate.
Benché non sempre sia vero, che dalla Descendenza di grandi, e virtuosi Progenitori si procreino non degeneranti heredi, il più delle volte però si vede, propagarsi ne’ posteri l’avite virtù de’ Maggiori, il che si vide avverato nella Contessa Margarita di Montecuccolo nata della nobilissima Stirpe de’ Principi di Dietrichstein, de’ quali si contano per più secoli memorabili, e gloriose attioni, con le quali si resero non solo oggetto di stupore a tutta l’Europa: ma di veneratione a tutta la Germania: tra il numero de’ quali spiccò a sì alto segno il merito di Sigismondo Libero Barone di Dietrichstein in Hollenburg, Trisavo di Margarita, che doppo havergli Massimiliano Primo Imperator de’ Romani fidato il governo di cinque Provincie, doppo d’essere stato da Carlo V e Ferdinando I Imperatori creato intimo Consigliere, hebbe l’honore per Decreto di Massimiliano doppo la sua morte, d’esser sepolto in Neustatt a’ piedi del medesimo Imperatore, e da lui nacque Adamo, portato da Massimiliano Secondo, e Rodolfo Secondo Imperatori alla suprema direttione del Conseglio, e di Maggiordomo maggiore, che hebbe in Isposa Margarita Duchessa di Cardona; alleanza, che l’unì alle principali Famiglie d’Europa, all’hora che sosteneva in Ispagna la Carica d’Ambasciatore Cesareo: dalla quale hebbe Sigismondo Secondo Fratello del gran Cardinale di Dietrichstein, e che amministrò con somma integrità, e giustitia, in qualità di Presidente della Camera, l’Erario publico di Moravia, e ch’hebbe in Isposa Giovanna della Scala, l’ultimo Rampollo de’ Scaligeri Principi di Verona, e da’ quali ne nacque Massimiliano di Dietrichstein, Principe del sacro Romano Impero, Cavaliere del Tosone, di Ferdinando III intimo Consigliere, e Maggiordomo maggiore, che hebbe per moglie Anna Maria, Principessa di Liechtenstein, Duchessa di Tropavia in Slesia, dalle quali generosissime Aquile di virtù, e di merito non potevano derivare, che generosissimi Descendenti, & una pretiosissima Margarita, che ingemmasse la Corona della sua Casa.
Nacque la Contessa l’anno della salute del Mondo 1638 in tempo, che i suoi Genitori godevano delle fortune maggiori dell’Impero, e che con altretanta christiana moderatione essercitavano con gli huomini gli atti di maggior humanità, e con Dio di più fervente divotione; perloché vennero benedetti i loro voti col conseguimento di desiata prole. Inditio della tolerante virtù, che doveva regnare nel gran cuore di Margarita, fu, come osservarono i suoi, il non haver mai prorotto in lagrimevoli vagiti, inseparabili a quell’età,, che soggiace ad ogni leggiere impressione, e se tal hora venivale da repentino oggetto perturbato l’animo, si raserenava, o al suono d’una voce piacevole, o alla vista di qualche Imagine bella, pia, e divota: onde pareva, che già quell’Anima, benché Bambina, havesse per instinto la divotione. Stupivano le Matrone, di veder membra tenere, che sembravano un composto di Latte, e di Rose, mostrarsi insensibili, si a’ rigori del freddo, che a’ fervori del caldo; come se già fusse incallita a’ patimenti, e disposta a’ tolerare, & operare, come de’ Romani già fu detto, cose grandi, presagendosi dagli Albori dell’età nascente, qual esser doveva la carriera de’ suoi giorni. Conoscevano i saggi suoi Progenitori, quanto contribuisca alla formatione del corpo, organo, per il quale fa sentir l’Anima il concerto delle sue attioni, il primo nutrimento; intentata perciò non lasciarono diligenza alcuna per l’inchiesta di sane, vigorose, civili, e modeste Nutrici, dalle quali si trasfondono le dispositioni, conforme alla loro conditione, di buone, o di ree impressioni.
Slattata appena, fu consegnata sotto la vigilantissima custodia di Matrona, e Donna nobile, e civile, conosciuta non men di posata prudenza, che d’esperimentata bontà, la quale havesse a dirigere i primi passi, & imprimere nell’animo bambino caratteri di divotione, sapendo, che gli odori delle prime inclinationi sono quelli, che si propagano, e durano nell’età adulta, e che ne’ Fanciulli, come nella Cera, s’imprimono così facilmente i caratteri de’ vitij, come delle virtù. Cresceva con gli anni: ma più s’avvanzava nella modestia, e nella bollezza; onde con sviscerate tenerezze veniva accolta non meno dalle Dame private, che dalle loro Maestà come un Angelo terreno, dal di cui volto scintillavano lumi d’una attempata saviezza. Non havevano le Donne, che la governavano da faticar molto, come avviene il più delle volte con gli altri Fanciulli, nel diriger dell’animo innocente le prime dimarchie alla divotione, perché oltre il gran genio, e la facilità, che haveva nell’imparare tutte l’orationi, tanto ne godeva, ch’ella stessa sollecitava gli altri al pregar Dio, e non si può credere con quanto fervore recitasse l’Oratione Domenicale, e l’Angelica Salutatione, come se Iddio havesse transfuso in quell’anima innocente la perfetta intelligenza de’ Misteri, e la viva espressione di quegli affetti, che in essa si racchiudono. Si scorgeva, che dove regna l’amore ogni tedio resta fugato; avvengaché nulla si doleva di star longamente ingenocchiata: dalché prendevano sovente i suoi occasione d’interrogarla, se si voleva monacare, a cui rispondeva: ciò depender dalla volontà di Dio, e così anche Bambina faceva laconiche lettioni della perfettione christiana a coloro, ch’erano, adulti. S’inamorò a così alto segno d’assistere al santo Sacrificio della Messa, che dal principio, e dalle prime mosse de’ suoi anni sino al fine, & alle mete di sua vita, mai, se non in occasione d’infirmità, o d’insuperabili impedimenti, non tralasciò d’udirla.
Uscita appena dalla pubertà, consegnata alla custodia di discrete, e virtuose Matrone; acciocché sempre assistessero, sì nell’attioni famigliari della Casa, che negli ammaestramenti, che apprendeva di quelli essercitij, ch’erano proprij all’Età, e cominciando da’ primi Elementi delle Lettere, volontieri (non sentendo il tedio proprio degli altri Fanciulli) leggeva i libri, ma che fussero spirituali, e ne’ quali si percorressero le gesta memorabili de’ Santi: dalché si scorgeva, esser quell’Anima stata creata da Dio con pietosissime impressioni, e sicome era di chiarissima mente, e di vivace ingegno; così con somma facilità apprese sì il leggere, che lo scrivere, e con i suoi primi tratti di penna ben centomille volte, esprimeva il nome di Giesù, e di Maria, non potendo la mente suggerire alla mano altri movimenti, che quelli, che haveva stampati nel cuore, e se tal hora avveniva, che ella, come è proprio della tenera Età, tratteggiasse con la penna, e formasse ad imitatione degli oggetti visibili qualche ideale figura, ella sempre delineava in un circolo il nome di Giesù, e di Maria, che così altamente teneva radicato nell’animo, che ad ogni minimo rincontro di sinistra attione divotamente pronontiava.
Prevenendo col senno l’Età, & in tempo, che gli altri Fanciulli non hanno ancora l’intiero uso della raggione, ella appariva così vezzosamente saggia, che rapiva ogn’una alla sua ammiratione. Le Donne, che n’havevano la cura, da essa imparavano la modestia, & il pudore: onde più d’una volta con riflessione s’astenevano dall’attioni indifferenti, temendo l’occhio riprehensore della Fanciulla, la quale non si curava di correre tra l’adunanze, quando non vi scorgeva una tal qual compositione di modestia, che non le vietasse il famigliarizzarvi. Maturava bambina con la sua taciturnità risposte senili, con le quali faceva maravigliare i suoi Progenitori, che per solleticarla al discorrere sovente l’invitavano, & ella sempre riverentemente rispondeva: ma con tanta leggiadria, che faceva inamorare del suo bel genio qualunque l’udiva. Con tutto che amasse la ritiratezza, non isdegnava la conversatione dell’altre Fanciulle di sua conditione, purché contemplasse in esse risplendere la Virtù, e la Modestia, che per altro dall’udire qualsivoglia sconcia parola, o dal vedere qualche attione, benché indifferente, che non spirasse decoro, sfuggiva, e si licentiava con qualche gentilissimo pretesto, per non mostrare d’usar atti d’inciviltà, e di disprezzo.
Fatta più adulta cominciò ella stessa a regolare le sue proprie attioni, & a sormontare gli ordini medesimi, che le venivano prescritti da’ generosissimi Genitori. Le prime hore del dì destinò, doppo haver fatte le sue orationi, a quegl’impieghi, che riguardano la mente; come il mandar a memoria, il leggere, & imparare qualche altra conoscenza, quasi che sapesse, che dell’Aurora godono le Muse; quindi succedeva, che ben presto apprendeva ciò, che le veniva insegnato. Le seconde concedeva all’essercitio del corpo come al ballo, & ad altri diportamenti, che imparava, più per renderlo decoroso, che per farlo (come pare, che sia solito) lusinghiere con i vezzi, appannaggio dell’Anime vane. Amò la Musica, & il suono, ma non mai volle impiegare i giorni per impararla, solendo dire, che doveva esser l’oggetto, ma non l’essercitio de’ Grandi.
Fuggì però sempre i canti osceni, come fuggito haverebbe dal fiatto de’ Dragoni, paurosa, che l’imprimessero nell’animo il mortal contagio di sensuali, e frenetiche passioni. Godeva di quando in quando della Lettura dell’Historie sacre, & anche politiche, e civili, dalle quali procurava d’apprendere non gli afforismi militari: ma le Massime de’ Governi, & i Documenti morali. Non dava partito alcuno, né a Romanzi, né a Poeti, che non fussero più ch’innocenti, & era il suo manuale quotidiano il Leggendario de’ Santi. Né pensò, come hoggidì si persuadono la più parte delle Dame, che pregiudicasse alla conditione di nobile il trattar l’ago, e l’operare con le mani, con le quali tutto quello, che concepiva la mente, nel suo lavoro ricamava, e così bene compartiva i colori, e disponeva co’ lumi l’ombre, che faceva invidia a’ Penelli. Odiò sempre all’ultimo segno l’otio neghittoso, come vil padre, & indegna Nutrice de’ vitij, e delle dissolutezze: quindi mai si vide in tempo di sua vita senza operare; né distogliere la poteva da quelli impieghi, ove stava applicata, che la sol voce de’ suoi Maggiori, alla quale prontamente ubbidiva, per haversi altamente impresso nell’animo il quarto del Decalogo, il quale, per ripetersi alla memoria i Divini Precetti, ogni mattina divotamente recitava.
Quanto fusse superiore alla conditione del Sesso, & all’età, lo dimostrava; imperoché, dove l’altre Fanciulle allettate dal desiderio d’apparir belle sopra d’ogni altra cosa bramano la vaghezza del vestire, ella, benché amasse la lindura, e politia conveniente alla sua qualità, disprezzava ad ogni modo l’eccesso delle gale, e delle pompe superflue, desiderosa d’apparire non tanto venusta, quanto modesta, e soleva dire, che non servono le Gemme, e gli Ori, che per coprire i diffetti, non men dell’animo, che del Corpo: massime, che instillate le haveva nel cuore la natura, non già gl’insegnamenti di chi la dirigeva. Quando dal Padre, o dalla Madre, che ispiar volevano le di lei inclinationi, venivale dato alcun denaro per comprarsi, come è solito farsi a’ Fanciulli, alcune galantarivole, & Imagini, ella fattone scartucetti, ponevasi alla Finestra attendendo i poverelli, & a loro gettavali, e per ne meno ritraherne l’aura d’esser conosciuta, immantinente si ritirava, dalché si può vedere, esser Iddio dell’Anime grandi il vero Maestro; mentre si conformava col precetto evangelico, che nel far l’Elemosina debbia ignorare la destra ciò, che di nascosto opera la sinistra mano, esempio, che deve far arrossire tutti coloro, che non sanno operare cosa buona, che per le publiche strade, & in conspetto di tutto il Mondo, per perdere intieramente il Merito.
Erale l’interesse de’ poveri così premuroso, che non mancava sovente agli Officiali bassi della Famiglia dire, che non li discacciassero con atti ingiuriosi: ma compartirgli, e soccorrergli di quello, che loro potevano, & erano così tenere, e sviscerate le di lei raccomandationi, che non mancavano di conseguire l’intento, e d’ammollire di quegli i cuori anzi che avvisati i Genitori delle di lei instanze le promovevano con dar ordine, che si facesse a’ mendichi sempre elemosina.
Avvanzandosi in età, e virtù, non mai più volontieri usciva di Casa dall’hora, che s’andava alle Chiese, & a’ spirituali essercitij; ma perché fu sempre de’ sentimenti, e commandi de’ Genitori osservatrice, & ubbidiente, passava con essi loro alle conversationi; sempre però col medesimo tenore di modestia, col quale sapeva ella obligarsi la riverenza, & il rispetto di coloro, che le erano di gran longa superiori d’età, e ritrovare il merito della virtù, forse dove altri incontravano il zimbello del vitio. Molte volte ritornava da’ Festini a casa senza saper, chi fussero le Dame, & i Cavalieri, i quali mantenuto havevano la conversatione, badando ogni cosa con indifferenza; mercé, che per non esser tradita da’ sensi proprij, imparava metterli in catena; né mai (conservato l’interno pudore) permetteva agli occhi, per i quali serpeggiano i primi semi al cuore delle passioni, l’intiera libertà, ma li teneva a freno, e pure con saggia disinvoltura, con la quale con tutti soleva complimentare, haverebbe potuto far credere, che fusse stata attentissima a godere de’ civili passatempi. Così da una saggia mente sono regolati gli affetti senza pregiudicare, né alla virtù, né alla propria conditione, e senza far apparire, che s’ambisca quell’opinione, la quale tanto più si rende commendabile, e manifesta suoi pregi, quanto la persona s’affatica di nasconderli. La maschile sodezza della Contessa Margarita si conobbe all’hora, che, non trascorrendo per anche di sua fioritissima età il terzo lustro, mostrò di saper superare quella avida curiosità d’intender l’avvenire, che è proprio di tutta l’humana conditione, che vorrebbe emular Dio, di cui è solo proprio per necessità di sua natura giongere a tutto ciò, che fuori di lui non è anche conceputo: onde ritrovandosi un giorno la saggia Fanciulla tra l’adunanza di molte Dame, che dagl’Indovini procuravano d’indagar le loro avventure, dalla quali chiamata la Contessa; accioché ella ancora porgesse a’ Chiromanti la mano: Rispose con leggiadro sorriso, come se già havesse succhiati gli Oracoli Divini, che le sorti degli huomini stavano nella mano di Dio, e che se questa gente vagabonda potesse predire agli huomini le fortune, non sarebbero essi così meschini. Fu questa saggia risposta una tacita, ma sensata mortificatione a quella nobilissima adunanza, e fece apparire, quanto sodi, e ben pesati fussero i sentimenti di quella grand’Anima, che sapeva domare quegli affetti, che sogliono anche tiranneggiare gli animi de’ più forti. Soleva dire a quelle Donne, che l’assistevano, quando si lagnavano, che non succedevano conforme alle voglie loro gli eventi, che bisognava lasciar fare Iddio, il quale era il gran Padre della Famiglia, e che ben sapeva il bisogno de’ suoi Figliuoli, e con questa massima regolò sempre i suoi intimi affetti, e si consolava nelle sue maggiori afflittioni, ch’ella riceveva, come effetti della Misericordia Divina.
Fece conoscere, che il sapere non tutto s’apprendeva per mezzo degl’insegnamenti, ma che nell’Anime erano sparsi dalla Sapienza Eterna i primi semi di quelle doti, che spiccano tal hora anche prima dell’età matura in coloro, che sono chiamati ad instruire gli altri col proprio esempio: avvengaché tutto ciò, che riguardava il proprio stato, e la dispositione di quelle domestiche facende, che per essercitarla nel governo le permettevano i Genitori, si mostrava così saggia, e manierosa, che ne stupivano le persone più attempate, dalla quale confessavano, molto haver appreso, & imparato a regolare l’economia d’una Famiglia, mentre in un momento sapeva disporre tutto quanto s’atteneva al presentaneo bisogno di sé, e de’ suoi. Già rese le virtù di Margarita palesi, & ammirate dalla Corte Cesarea, di cui supremo Direttore fu il Principe Massimiano suo Padre, il quale, com’è proprio della Providenza del Cielo, non gionse alla felicità, ch’egli bramava, di vedere nel gran Tirocinio delle virtù, cioè a dire, nella Reggia Augusta alle chiamare de’ Clementissimi suoi Signori, la Figliuola collocata, che, prevenuto da letale infirmità, terminò con le benedittioni universali de’ popoli la carriera degli anni suoi gloriosi.
Questo colpo, che pure doveva trafiggere il cuore de’ più Congionti per la perdita d’un Personaggio di tanto merito, che sosteneva appresso la Maestà di Ferdinando Terzo il posto di Maggiordomo maggiore, soffrì Margarita sua Figlia, benché con sentimento eguale all’affetto, ch’ella portava ad un tanto Padre, con generosa costanza, e doppo d’haver dato lo sfuogo alla natura, tributo dell’humanità prevaricata, si consolò in Dio, benedì l’alte sue dispositioni, e si preparò per entrare nella Reggia Dama dell’Imperatrice Eleonora, che teneramente l’amava, & essercitò in quel Seminario di vera Nobiltà tutte quelle virtù, che appreso haveva dentro delle paterne Mura: quindi veniva osservata come un vivo esemplare d’angeliche perfettioni. Mutò luogo: ma non variò mai il tenore di sua vita. Viveva tra tant’altre leggiadrissime Donzelle, che ostentano d’esser il fiore di tutte le più grandi, non solo de’ Regni Austriaci, che di tutta la Germania, e sempre, senza pregiudicare al decoro di sua alta conditione, rubbava il tempo alle conversationi, per darlo all’oratione, non havendo mai voluto dispensarsi dagl’insegnamenti già appresi, distribuendo, come fatto haveva nelle stanze paterne, l’hore per regolare le sue attioni. Superiori a quelle, benché per altro incolpate affettioni, che ogni Dama ben nata, che vive dentro della Reggia, da di comparire linda, e leggiadra, con dare molto di tempo all’esame dello specchio, col breve periodo d’una mezz’hora angustiava la sua Damigella all’acconciere di sua persona, ambendo di farsi vedere leggiadramente ornata, ma non vanamente pomposa. Indispensabili erano quell’hore, se derogate non venivano da’ Commandamenti dell’Augusta sua Signora, che destinate haveva, sì agli essercitij spirituali, che tutti gli altri precedevano, che a’ temporali; ma non perciò operava in guisa, che volesse farlo apparire, per non dimostrare d’affettar una forma di vivere, che la distinguesse dall’altre Dame, o volesse far di sé formar concetto, che la potesse singolarizzare; ben conoscendo, ch’è parte di saggio intendimento, il saper accommodarsi anche tal hora alle debolezze del prossimo, senza punto pregiudicare alla propria virtù. Dalle singolarissime doti di Margarita, e dalla venustà del volto, in cui lampeggiavano i lumi della bellezza dell’Anima, nasceva, che qualunque la vagheggiava, ne restava da un riverente affetto sorpreso: quindi alla follata molti gran Cavalieri, e di fortune, e di natali, fissarono sopra di lei lo sguardo, e fermarono in lei i loro interni pensieri, rivolgendo nella mente, come far potessero, per conseguirla in Isposa. Varij erano i Pretensori, che aspiravano a sì caro Tesoro, & ad unirsi con vincoli di sangue ad una Famiglia, che godeva sì grandi prerogative, e non mancavano d’esprimere, così a questa bellissima Signora, che a’ suoi più Congionti i loro affetti, e desiderij, e più d’uno non mancò di farne la chiamata. Si scusava la saggia, e prudente Fanciulla con ogn’uno (benché meno con quello, sopra del quale haveva posto il suo desio) che il tutto dipendeva dalla volontà de’ Suoi, né mai discese ad espressione alcuna, che potesse adombrare il suo sempre innocente pudore.
Stringevano i Corrivali, ch’erano de’ più grandi, e qualificati dell’Impero, i trattati di questo desideratissimo Parentado con la Casa di Dietrichstein, già essendo nubile la Fanciulla, & essi ne portarono con indifferenza a Margarita le propositioni, come che ben sapevano, il matrimonio secondo le leggi humane, e divine non ammettere violenza alcuna, né depender, che dal libero volere de’ contrahenti, a’ quali convien vivere perpetuamente in una sorte concordi. Gli diedero però a considerare, come che la conoscevano saggia, e prudente, tutti gli argomenti, e motivi, che potevano si a gli uni, che gli altri partiti disporla, e persuaderla.
Ma Ella con termini di modestia, e d’ubbidienza rispondendo cautamente all’instanze, s’indusse ad aprire in fine con riverente humiltà l’intimo de’ suoi sensi all’Imperatrice Eleonora sua Signora, alla quale parlò in questa guisa. Sacra Maestà, confesso d’haver consacrato i miei sincerissimi affetti al Conte Raymondo di Montecuccolo, perché so, nella qualità di Cavaliere non cedere a niun altro il pregio della Nobiltà, vantandola la sua Famiglia così attempata, che annovera, come bene ne resto informata, seicento anni di Feudi Imperiali; benché hoggi non colma di quelle gran fortune, che già possedeva per haverle in diversi tempi sacrificate al sostegno dell’autorità imperiale; onde non devo paventare, d’arrecar ombra; ma bensì d’apportare nuovi splendori di nobiltà alla Casa de’ Principi di Dietrichstein, ne meno meditar di ricercare nella Germania appoggi maggiori, mentre ella ha tanto di merito, e di fortune, che può nella Reggia dell’Impero Romano somministrare all’altre sostegno: oltre che io stimo far un atto di giustitia, dando me stessa in Isposa ad un Cavaliere, così prode, e benemerito della Patria, e dell’Impero Germano, il quale conta più segnalate Imprese, e gloriose Vittorie, che non annovera anni, perloché a gran ragione viene acclamato dall’istessa Invidia per uno de’ maggiori Capitani, che rendi il nostro secolo memorabile: quindi stimerò a gran sorte da sì degno Cavaliere poter procrear Figli non degeneranti, che possino calcar l’orme del Genitore, e guadagnare all’Austria una delle più nobili Famiglie d’Italia.
Accrescono in me speranze di sorte maggiore l’heroiche virtù del Conte, che sanno rendersi schiava & incatenata l’istessa Fortuna. Può la Sacra Maestà Vostra giudicare, che non nasce in me l’amore verso di questo Cavaliere da immoderato affetto, mentre fra molti non mi sono curata di porre lo sguardo sopra il più giovine: ma bensì sopra del più saggio, disciplinato, e valoroso, & a me di molt’anni superiore, manifesto argomento, che in me non il diletto, ma la virtù prevale, per ciò son risoluta di non voler altro Sposo, che il Conte Raymondo di Montecuccolo. Piacque la risolutione della Contessa Margarita all’Augusta, la quale sempre riguardò le doti, la saviezza, il sapere, e valore del Conte con occhio di singolar ammiratione, e come, che fu sempre il di lei gran cuore colmo di generosità, godeva di veder fatto il Montecuccoli Sposo di sì bella, nobile, e virtuosa Dama: quindi per facilitare la strada agli amori innocenti della Contessa, ne scoprì i di lei sensi a’ Parenti, che non restarono prevenuti da questo avviso; imperoché già ne havevano veduti i lampi, e presagito il fine; onde per la stretta amicitia, che passava tra il Conte Raymondo, & il Principe Ferdinando di Dietrichstein Fratello della Contessa Margarita, e riflettendosi a’ meriti di sì degno Cavaliere, che già teneva il posto di Generale della Cavalleria, & a tutte l’altre qualità, che concorrevano nella sua persona, ne ricevettero con occhio sereno l’avviso.
Minutate le conditioni celebraronsi gli Sponsali, & indi poi nella Capella più ritirata della Reggia Cesarea il Matrimonio, al quale assistette personalmente l’Imperatrice Augusta, la quale, per esser stata poc’anzi rimasta in stato vedovile, non ammesse, altre solennità di pompose, e numerose Cavalcate, e di solenni Banchetti; ma immediatamente passò l’Angelica Sposa alla Casa del suo dilettissimo Consorte, con cui visse col medesimo tenore d’affetto sviscerato, e di stima riverente, corrisposta pienamente dal Conte, dal giorno delle Nozze sino all’ultimo di sua vita. Giova pensare, che non solo la Providenza Divina, come Direttrice del tutto, habbia la parte migliore nella concorde svisceratezza de’ Congiugati, quanto nelle geniali conformità de’ sentimenti, dalle quali depende quella dilettevole armonia d’affetti, che senza mai intepidirsi, si vanno sempre più infervorando col protrahersi degli anni. L’unione amorosissima, che sempre inalterabile si conservò tra Margarita, e Raymondo, non ammesse, né appresso degli antichi, né de moderni, esempi, che non solo la vincano; ma l’eguaglino. Dì non passò, nel quale sempre non si guardassero questi due Heroi con la medesima serenità d’inamorato desiderio, e di compiacente affettione, quale fu ne’ primi momenti de’ loro casti, e vicendevoli amori praticato. Mai, mai veleno di sospetto, di diffidenza, e di gelosia regnò in que’ due cuori, che non diedero in niun tempo luogo, che altro simulacro vi s’imprimesse; mercé, che l’uno nell’altro viveva: onde si poteva dire, che fusse più che morale la loro unione; poiché ne meno senza sensibile passione sapevano dividersi i corpi. Non si sentì già mai tra di loro sconcerto di, benché minima, contraditione, perché stimava ciaschedun di loro, che il sodisfare in tutto alle brame dell’altro, fusse un beare sé stesso, & accrescere sempre più all’anime loro fomento d’amore. Non restò col volar degli anni perturbata sì serena tranquillità, che dall’ansiose cure, che vicendevolmente havevano di prevenirsi con tutte l’imaginabili compiacenze, e si stimava l’uno dell’altro più fortunato, quando anticipatamente poteva contribuire a’ di lui desiderij. Contemplò non senza stupore la Germania proscritte, & a perpetuo esilio condannate dalla Casa del Conte di Montecuccolo tutte quelle particolari prerogative, e conditioni, che sogliono ne’ matrimonij con scritte capitulationi riserbarsi i Congiugati, e dalla quali sovente n’insorgono discordie, e dispareri, mercé, che nell’uno, né l’altra d’essi stimò d’haver cosa alcuna, che commune non fusse; onde si viveva come con un sol cuore, in un’anima sola, e con una sola volontà, di poter disporre senza riflesso alcuno nel governo sì morale, che economico della loro Famiglia. Fu sempre generosa la gara, che praticarono sì Margarita, che Raymondo nel mostrare, chi sapeva meglio esprimere l’uno verso dell’altro l’amore, la stima, e la riverenza: onde passati in natura questi affetti, non furono né da tempo, né da luogo interrotti. Heroico, e non effeminato fu questo amore; imperoché tutto quanto operavano, sì dentro delle domestiche pareti, che fuori, era indrizzato all’alterne soddisfattioni.
Quindi nella Contessa Margarita le cure di reggere con decoroso splendore, e christiana disciplina la Familia erano riputate le più care; perché apprendeva, che più grate fussero al generoso Consorte, del che ne veniva contracambiata con cordialissime conditioni. Conosceva la prudentissima Donna, che gl’impieghi grandi, e l’applicationi infaticabili dell’amatissimo suo Sposo non permettevano, che potesse abbassarsi alla direttione della sua gran Famiglia: quindi dal primo dì presone ella il possesso, in sì fatta guisa la condusse per i sentieri d’una disciplinata, e civile osservanza, che non mai hebbe il Conte occasione né meno d’impiegarvi un riflesso di mente. Concorrevano a visitarla le Dame più principali della Città, e conforme la consueta costumanza delle novelle Spose l’invitavano a’ civili diporti, e nobili passatempi, de’ quali tanto godono tutte le Donne; ma ella ricevendole con cortesi maniere, con sempre prudentissimi pretesti le licentiava, godendo di star dentro di sua Casa, dove ritrovava in compagnia del suo caro marito tutte le più desiderate consolationi. Solea dire alle sue più intime Amiche, che delle Femine honeste, fuori di quello, che comporta una civile necessità, era proprio il ritiro di sua Casa; imperoché le Fanciulle nubili dal pudore, e le maritate dall’amore, debito al Consorte, dovevano in esse esser contenute. Quindi, benché fusse una delle più belle, e leggiadre di sua età, non si curava, anche nel fiore degli anni, di far pompa per le strade di sé stessa, e se compariva alle Chiese, come divota, ch’ella era, con somma modestia vi dimorava, sempre orando, e non mai cicalando, conforme pare, che sia proprio di tutto il sesso delle Donne. Apprese, che il frequentare, non solo degli altri, che de’ Parenti medesimi gli alberghi pregiudicasse all’affetto, che non ha esempio, che professava al Conte suo Consorte, e perciò si rese sin dal principio civilmente solitaria, e procurò di disimparare le strade dell’adunanze, ma non spogliarsi delle sue nobili, e splendide maniere. Testificò all’Imperatrice Eleonora sua gran Signora, che tutto quanto ella sapeva desiderare, ritrovava dentro delle sue Stanze, e che tedioso non le riusciva il tempo de’ suoi domestici impieghi, che perciò ascriverle non doveva la Maestà sua a mancanza di riverenza, e d’ossequio, se non frequentava, come parevale, che fusse tenuta, la Reggia Augusta. Conobbe, che dalle prime dimarchie dell’humane attioni si andavano potrahendo sì le buone, che le ree inclinationi, e che bisognava arrestare della licentiosa libertà i primi passi, chi non voleva precipitare in dissolutezze maggiori, perciò si prefisse, per quanto le permetteva la sua conditione, di separarsi dalla comunanza dell’altre Dame, e da quelle conversationi, che conosceva, non esser più che nobili, & innocenti, né perciò poteva notarsi d’incivile austerità; imperoché sapeva così bene schermirsi dagl’impegni, complire alle instanze, e ritirarsi dagli inviti, che nelle negative medesime s’obligava l’animo di chi la supplicava. Faceva più spiccare l’interna integrità del suo grand’animo, quanto che ogni permissione dal Conte suo Consorte erale concessa: perché chi ben ama, non sa, che sposare le compiacenze dell’oggetto amato. Ma ella con affettuosa competenza a fin che spiccasse più vivamente il suo amore, voleva, che apparisse, che doppo Dio niun altro più amava, che il Conte suo Sposo. Prescrittesi dunque Margarita queste leggi, precludendosi l’adito ad ogn’altra libertà, visse sempre concorde di genio, unita d’affetto al Conte Raymondo Montecuccoli suo amatissimo marito, al quale conservò sempre intatto l’amore, & inviolabile la fede, che venne con altretanta svisceratezza, e sincerità di cuore dal medesimo contracambiata.
Libro secondo
Correva l’anno MDCLVII memorabile per il concorso di tanti accidenti all’hora, che s’unirono con vincoli Sacramentali Margarita, e Raymondo Conte di Montecuccolo, & havendo in quel tempo Carlo Gustavo Re di Svetia attaccato vigorosamente la Polonia, e profligatone il Re Casimiro, che si ricoverò negli Stati hereditarij di Cesare, deliberò con maturo consiglio, e generosa compassione Ferdinando III di soccorrerlo, e restituirlo al Trono; benché, prevenuto poi dalla morte, lasciasse la gloria a Leopoldo suo Figlio, il quale fatto Imperatore confidò l’impresa alla saggia, e valorosa braura del General Hatzfelt, che commandava in capo, & al Conte Montecuccoli Generale della Cavalleria: onde dovendo passar questi immantinente dagli amori all’Armi, non fu possibile, che, per quanto gravi, e perigliosi si rappresentassero i disagi, e patimenti, si volesse Margarita separar dall’amato Consorte; accioché si vedesse, che sempre gli conservò con la fede l’affetto sviscerato di Dama grande, e che non dalle Donne effeminate, ma dall’Heroine de’ secoli, apprendeva dall’attioni, che superavano la conditione del sesso, gl’insegnamenti. Serviva l’animo generoso della Contessa Margarita con l’espressioni de’ suoi amorevolissimi ricordi all’invitto cuore del Conte, non di freno, ma di sprone, e nel medesimo tempo, ch’egli si commetteva all’Imprese, ella nel Tempio ricorreva con ferventissimi prieghi all’Onnipotenza Divina; E perché la sua lingua animata dalla carità, era infuocata saetta, che giongeva al cuore di Dio, vedeva da’ maggiori, e sanguinosi cimenti uscirne il Conte Marito vittorioso, al quale essendo stato per la morte del Conte d’Hatzfelt dall’Imperatore conferita la Carica di Mastro di Campo Generale, doppo d’haver contribuito all’espugnatione di Craccovia, ruppe, e debellò in diversi rincontri le Truppe nemiche, ristringendole sino a Turonia, & a viva forza s’impadronì di Galupp, e si può dire, che fusse l’Angelo Liberatore della Polonia.
La Contessa in tanto, che godeva delle Vittorie del suo Sposo, incessantemente inviava al gran Dio degli Esserciti i rendimenti di gratie, i quali accompagnava con elemosine, & altri atti di più raffinata pietà. Costretto il Re di Svetia a ritirarsi dalla Polonia, si rivolge all’invasione del Regno di Danimarca, là dove si spedisce l’Armata Imperiale, & al Conte Montecuccoli si commette il soccorso, e qui ingigantiscono le difficoltà, & i pericoli, sì della guerra, che d’altri disastrosi patimenti, che sogliono soffrisi tal hora nelle marchie dell’Armate, per arrestare il piede, & intimorire il cuore di Margarita, la quale ridendosi e dell’algenze severe de’ Climi stranieri, e de’ pestilenti contaggi, e de’ sanguinosi accidenti, volle seguitare ne’ Regni del Settentrione l’amantissimo Sposo. Avvalorato il Conte sì dalla presenza di sua Consorte; si dalla di lei divotione, che dalla giustitia dell’Armi cesaree si commise tutto generosità all’Impresa, e di primo slancio occupò tutto il Ducato di Holstein, e s’assicurò col Castello di Gottorf, preso in ostagio della Fede del Duca Federico, & indi qual fulmine si scagliò, superando ogni pericolo, nell’Isola d’Alsen, disfece quattromilla Cavalli Svedesi commandati dal General Aschenberg, espugnò il Castello di Sondenburg, e volò indi nella Provincia di Jutlant, ruppe varie partite de’ Svedesi, & espugnò con regolato assedio la Città di Fedriscode con poca perdita de’ suoi, che non sarebbe successo, se l’havesse presa d’assalto. Ma il Cielo, che per i prieghi di Margarita benediceva l’Imprese di Raymondo, volle aggiongere alle prime contentezze la seconda, e fare, che nel medesimo tempo, ch’egli trionfa nella Città espugnata, ella partorisca al Mondo, primo frutto de’ loro castissimi amplessi, una Figliuola, che fu chiamata nel Fonte Battesimale Luisa Anna. Da queste moltiplicate consolationi allenato il valore del Conte, & infervorato lo spirito della Contessa, aggionge fiamme generose di vive essortationi al già risplendente incendio dell’invitto cuore del suo Sposo, e confidando nella Divina Protettione, senza dar segno di quelle debolezze, che sono proprie del suo Sesso, lo lascia partire, insperanzandolo di più segnalate Vittorie. Parte il Conte, sforza la Fortezza del Porto, e sconfigge mille Cavalli, nervo migliore dell’Essercito nemico. Tenta indi di penetrare nella Fionia col beneficio de’ Navigli, ma si fa così furiosa la tempesta delle Cannonate, che si scaricano dal Lido, che uccisi molti, e molti de’ Soldati, & Officiali, e fattosi il Montecuccoli in questa pericolosissima Impresa Capo, e Condottiere, mentre in piedi ne sta appogiato al bastone del Commando, scagliatasi una palla d’Artigliaria percuote il Bordo del Vassello, passali sotto le gambe, portatoli via il bastone, resta ferito dalle scheggie, cade boccone, e ven costretto a dimettersi dall’impresa. Qual fusse di Margarita il Cordoglio, quale l’afflittione, non è, chi se lo possa persuadere, se non chi sa, sin a qual segno s’avvanzasse l’amore d’essa verso del Conte, che dubbio non v’è, che non superasse quello di tutte l’altre Donne memorabili de’ secoli trascorsi, che dall’Historie vengono mentovate: onde se il dolore si proportiona all’affetto, dir non si può, che vi fusse donna terrena nel mondo, che più di lei fusse tormentata. Fattasi, nel mentre che si risanava il Montecuccoli, diversione nella Pomerania, divise le forze de’ Svedesi, ritentata di nuovo il Conte l’Impresa, s’impadronisce della Fionia, attacca i nemici sotto di Neoburg, disfà intieramente la loro Armata, & espugna la Piazza, non salvandosi, che i due Generali, Conte di Steinpoch, e Principe di Sultzpach con un Cameriere, ciascheduno sopra d’un picciol Palischermo, e ne passò in conseguenza la liberatione di Copenhagen; afflittione, che a segno trafisse il cuore del Re sveco, che lo condusse a morte, & in un colpo solo si riacquistò il Regno di Danimarca. Quali fussero le gratie, che rese al Signore, quali le benedittioni, che mandò al Cielo, quali atti di pietà facesse la Donna grande di Margarita, non lo può esprimere la lingua, e descrivere la penna; bastando solo il dire, che doppo d’haver fatti con la maggiore humiltà, che valse, tutti gli essercitij di divotione, compartì a’ poveri tutto quanto di contante appresso si ritrovava. Testificano coloro, che attualmente servivano questa virtuosissima Dama, che fuori dell’hore, che haveva distribuite al governo della Famiglia, & agli impieghi indispensabili d’una Christiana direttione, tutto il tempo passava in continue Orationi, havendo trasmutato in un Oratorio la stanza migliore di sua Habitatione. Se tal volta era avvertita dell’hora, nella quale l’Armate si commettevano alla tentativa di qualche impresa, obligava tutti i suoi domestici ad orare ferventemente al Cielo, perché donasse all’Armi Cesaree la desiata Vittoria.
Ritornata ch’ella fu dalla guerra del Settentrione, e posto il piede nella Patria, non si può esprimere quanti fussero gli atti d’amorosissima tenerezza, co’ quali vicendevolmente ella accolse tutte le Dame, che la visitarono, le quali l’osservavano come Gloria del loro sesso, e come un miracolo dell’età.
Succeduta nella persona di Leopoldo l’elettione d’Imperatore de’ Romani, e prendendo l’Armate qualche respiro dalle precedenti fatiche, si scaricò felicemente la Contessa d’un secondo parto, recando alla luce in Praga la battezzata Carlotta Polessena. Appena levatasi ella dal Parto, vennero l’Armi Cesaree richiamate al cuore della Transilvania da Alì Basia, che l’asale con ottanta milla Combattenti, alla di cui perigliosa difesa spedito resta l’invitto Conte Generale Montecuccoli con un Corpo d’Armata di diciotto milla huomini, poco ben in arnese, e meno proveduta del necessario, per opporsi a’ disegni de’ Turchi, senza però avventurare in qualche conflitto gli Eserciti.
L’ombra, che non si disgionge dal corpo, o per dir meglio il raggio dal Sole, venivano emulati dalla Contessa Margarita, che non sapeva, per qualsivoglia laborioso viaggio, o conceputo disastro, separarsi dall’amatissimo suo Consorte. Quindi ella ancora con cuore superiore ad ogni temuta sventura si fece in quell’Impresa Compagna, dando bene a conoscere, che quel cuore, che non haveva appreso la fierezza de’ Svechi, non paventava le barbarie de’ Turchi. Voleva il Conte suo Sposo, ch’ella rimanesse su confini dell’Ungaria a dietro giornate; ma coraggiosa non acconsentì d’abbandonarlo con l’occhio, per poterlo, se la necessità havesse portato, visitare, e servire tra le tende campali, con assai più risolutione di quello d’Agripina verso Germanico già venne rilatato: Ma perché anche i maggiori contenti del Mondo sono sempre misti di fiele, si tormentava la pietosissima Contessa di vedere, e d’udire sovente le miserie de’ popoli originate dalla necessità, o dalla crudeltà de’ Soldati, che intieramente manumettevano, sì degli amici, che de’ nemici l’habitationi: onde conveniva, o nasconderle totalmente le sventurose afflittioni de’ meschini, o persuaderle con efficaci ragioni, esser quegli ordinarij effetti della guerra. Riusciva ad ogni modo difficile d’incallire il suo tenerissimo cuore alle voci lagrimevoli di coloro, che a lei ricorrevano; quindi più d’una volta si privava di ciò, che haveva, e di quanto ritraheva dalla splendida mano del Conte suo Consorte per dispensarlo a’ meschini, a fin che potessero riparare all’ultime loro miserie, non aspettando, che per soccorrere i poverelli le persuadesse alcuno, che estremo fusse il bisogno, intendendo, che la Carità non chiama a consulta l’avaritia; ma senza riflesso sopra tutti diffondersi. Stringeva nel tempo, che colà pervenne l’Armata Cesarea, Alì il forte Castello d’Hulst, e se n’attendeva la caduta, quando il Conte dato un abbraccio alla Contessa, s’avvanzò così sollecitamente, e con ordine così militare, come se fusse stato in procinto di dar Battaglia, e temendo Alì d’esser investito, abbandonò con reprehensibile codardia l’impresa, e ripassò il Tibisco, dalché non contento il Montecuccoli, seguitando la marchia, lo costrinse a valicare il Fiume Kokel, senza che ardisse né meno di far riconoscere il Campo, e più oltre progredendo il Conte presidiò Closenburg, Samosvivar, & altre Piazze, e gli riuscì di far inalberare l’Aquile Imperiali nella Fortezza di Forgatz, che divide il camino in due parti eguali da Vienna a Costantinopoli, e venne in questa guisa a coprire l’alta Ungaria. Queste prove, che sembrano con disugualità di forze così grandi, e quasi impossibili da credersi, furono egualmente attribuite & alla saggia condotta del Montecuccoli, & alle preghiere incessanti di Margarita, che da per tutto apriva un Seminario di divotione, & un Tempio di vera Religione. Consolò anche il Cielo la Pietà della Contessa facendola restar gravida d’un Figliuolo, che partorì subito gionta in Vienna, e gli imposto il nome di Leopoldo Filippo, in ossequi all’Imperatore, e divotione di San Filippo, nel di cui giorno ei nacque, e fu in nome della Maestà sua levato dal Sacro Fonte, e parve, che fusse somma Providenza del Cielo, che questa gran Donna fusse destinata a procreare Prole generosa a fronte di mille disagi; accioché nascesse con inclinationi avite, e per operare, e soffrire cose grandi. Il male, che contagioso si propagò nell’Armata Cesarea, la mancava di tutto quel necessario, che bisognava per conservarla (che diede ragionevole sospetto, che si volesse far perdere la gran riputatione, e la fama, che guadagnato si haveva in tante perigliose Imprese il Conte Montecuccoli) l’obligò per la morte succeduta, o infirmità, o absenza della più parte de’ Commandanti, e Colonnelli, far le parti, e del capo, e delle membra.
Il Turco intanto abbandonò il campo, & uscì fuori della Transilvania ritirando il suo Essercito dentro de’ suoi Paesi, & il Montecuccoli ridusse altresì nell’Ungaria superiore l’Armata Cesarea, quasi dalle miserie disfatta. Ma poco la tennero gli Ungari; poiché con premorosissime instanze ottennero dall’Imperatore, che nell’Austria la ritrahesse, e da ciò ne seguì la consolatione della Contessa Margarita, che sospirava il ritorno alla Dominante dell’Austria, dove hebbe tempo di godere gli agi famigliari per lo spatio d’un anno. Mentre si trattava l’aggiustamento tra i Turchi, e Cesare, e tra l’intercalare d’una quiete instabile, attendeva con ogni attentione la Contessa Margarita ad ordinare la sua Casa, & a dsiciplinare con le regole del timor di Dio tutta la sua Famiglia, & all’hora che più infervorata benediceva Iddio per le gratie, che fatte le haveva nel seguitare ne’ rischi della guerra il suo Consorte, non mandò d’esperimentare anche amplessi più soavi delle Divine Misericordie, per mezzo di qualche sensibile afflittione per l’aborto del secondo maschio, come con la rinovata piaga d’altri susequenti, colpo, che ricevé, benché le andasse al cuore, con una costanza, e rasignatione in Dio degna d’una Christiana Heroina, argomentando da ciò, d’esser amata dal Cielo; perché era visitata dalle tribulationi, le quali però vennero ben presto compensate col felicissimo parto d’una terza Figliuola, che nacque nella Città di Vienna, e conceputa in Raab Fortezza principale dell’Ungaria, l’unico Antemurale dell’Austria, di cui è Generale il Conte Montecuccoli, il quale fu ivi dalla cara Consorte seguitato, per l’apprehensione, ch’ella haveva, che longi da’ suoi occhi si potesse infermare, e non havesse niuno, che con amore, e zelo l’assistesse ne’ suoi bisogni. Nel tempo di questo soggiorno, che il Conte Montecuccoli faticava nelle nove Fortificationi della Piazza, e Margarita lieta passava i giorni, insorsero e s’incontrarono intoppi ne’ trattati della Pace col Turco, e principalmente per cagione del Conte Nicolò di Zrin, il quale a persuasione di chi aspirava a divertire da’ suoi Regni l’incendio delle guerre, fabricò un Forte su le sponde della Mura, che prese il nome di Zrin, che svegliò non poca gelosia ne’ Turchi, a’ quali anche pareva; che havesse la riputatione delle loro Armi perduto di gran credito ne’ precedenti moti della Transilvania, onde il Gran Signore si risolvette spedire Achmet Bascia primo Visir, & altri più valorosi Generali delle sue Armi in Ungaria con cento cinquanta milla Combattenti per far qualche segnalata impresa. Il Conte Montecuccoli, che ben da longi scorgeva gli asprissimi disagi, e perigliosissime contingenze di quella guerra, adoprò la più vigorosa energia del suo dire per obligare la cara Consorte a dimorare in Vienna, la quale tanto più stimava l’occasione d’incontrare i patimenti, quanto maggiormente spiccar facevano il suo impareggiabile amore. Vinta in fine da’ prieghi, e consolata dalle promesse, che l’havrebbe di continuo tenuta raguagliata de’ successi, si piegò in fine, e fermò il piede nella Dominante dell’Austria. Uscì il Montecuccoli con solo seimilla Combattenti sotto del suo Commando, co’ quali fronteggiò sempre un nemico così potente. E non è dubio, che se non fusse restato battuto, e disfatto di rimpetto a Strigonia il Forgatz Marescial di Campo, che mai havesse ardito il primo Visir d’attaccare la Piazza di Neuheusl, cinta di sei Baloardi reali, situata su le sponde del Fiume Nitria, e se bene ne seguì la caduta per una troppo coraggiosa sortita, che fece il Forgatz, & il Principe Pio; impedì ad ogni modo il Conte Montecuccoli ad un’Armata di centomilla Combattenti composta de’ Turchi, e Tartari, che non facesse maggiori progressi, e che non prendesse i suoi quartieri d’Inverno nella Bohemia, e nell’Austria, giaché i Tartati, per la poca avedutezza di chi commandava, havevano trascorso per le Provincie della Slesia, e della Moravia. Non vi fu, chi non giudicasse all’hora, esser stata opera del Cielo, che il Conte Montecuccoli havesse così valorosamente potuto quella Campagna arrestare il piede all’Armata Ottomana: onde non è temerità il pensare, che le ferventi preghiere della Contessa Margarita obligasero in qualche guisa Iddio ad avvalorare il cuore, & il braccio del Conte suo Marito. Mentre ella non cessava d’armare contro degl’infedeli divote Schiere de’ Sacerdoti, che di continuo offerivano l’incruento Sacrificio al Dio degli Esserciti, consolò il Signore la pietà della Contessa, con haver preservato da evidentissimi rischi il suo Consorte, il quale, assicurate per quanto ei valse le Frontiere, passò seco l’invernata, rivide la Reggia, e mentre l’uno sollecitava gli apparecchi della Campagna, l’altra disponeva gli affari della sua Casa, per la di cui assidua, e christiana direttione si privava d’ogni altro trattenimento; né d’altro godeva, che della conversatione del Conte suo Sposo. Ricorrevano molti, che aspiravano a Cariche militari, dalla Contessa, e stante il grand’amore, che le portava il Marito, pensavano col di lei credito avvantaggiare conditione; ma ella non men cortese, che saggia, s’andava iscusando dall’impegno, con asserir sempre, che alla giustitia, & al dovere, non si sarebbe mai opposto il Conte, che altro non nodriva nel cuore, che il buon servitio dell’Imperatore; ond’ella, conformandosi in tutto col di lui volere, non doveva, né poteva sforzarlo a non far ciò, che haverebbe conosciuto più conveniente: anzi voleva, che sapesse il Mondo, ella in niun modo abbracciare altri interessi, salvo quelli, che concernevano, che il solo governo della sua Casa, e Famiglia: fatto, che sicome le guadagnava appresso di tutti la commendatione, le accresceva altresì maggiormente l’affetto del Conte, e la stima di tutta la Corte.
Venuta la Primavera, e compassionando il Conte agli affanni, che si prendeva, a’ patimenti, che soffriva, & a’ disastri, a’ quali s’esponeva, non solo egli, ma tutti i suoi più congionti s’affatticavano di persuaderle la dimora in Vienna, & il non voler tanto avventurare: ma ella costante rispondeva, che non è degna di vivere quella Donna, che non sapeva in vita, & in morte seguitare il suo Sposo. Suggerisce alle caste Femine queste massime la Pudicitia. Sono vive espressioni di que’ caratteri, che dalla virtù vengono stampati nel cuore della Donna forte. Pure alle potenti persuasioni e del Conte, e de’ Parenti s’arrese l’invitto cuore di Margarita, e restando in sua Casa ritornò il Montecuccoli alle fatiche del Campo, che furono tanto maggiori, quanto più per le conquiste della precedente Campagna vigorosi gli sforzi del primo Visir, co’ quali minacciava di dar l’ultima mano all’impresa disegnata degli Stati hereditarij; onde per riparare a sì gran piena, si minutò di fare qualche grande diversione, ma non consentì già il Conte a quella di Canisa, che volle intraprendere il Conte di Zrin, che senza ordine, e disciplina militare guerreggiava, come separata dalle forze, e di niuna conseguenza per la recuperatione di Neuheusl, & altre Piazze occupate dal Turco: ma si congliava quella di Strigonia; sentimento, che canonizzò poi l’evento. Il Visir in tanto avvicinatosi a Giavarino con disegno di valicare il Raab, & a carriera abbattuta portarsi verso la gran Metropoli dell’Impero: ma il Conte Montecuccoli, ch’hebbe sempre congionto ad un esperimentato valore una più che sagace preventione, l’andò sempre seguitando senza che per un Mese di tempo havesse campo con una potentissima Armata di tentarne il passaggio; quando in fine stanco hormai il gran Visir, trascielti da’ suoi Esserciti ventimilla de’ più bravi, & arditi Officiali, volle passare il Fiume a San Gottardo il primo d’Agosto, e fattone il tentativo fuga in un momento le genti dell’Impero, & i Giannizzeri cominciano ad alzar sopra le sponde terreno, e gli Spais a stendersi per la Campagna: ma il Conte, che mai perduto l’haveva di vista, disprezzando il consiglio di coloro, che creduto il tutto disperato, e perduto, volevano, che si desse alla ritirata. Brandita all’hora la spada, abbassato il Capo, si scagliò dentro de’ nemici, gli batté, e gli vinse, facendone restar estinti o su’l campo, o sommersi nell’acque 18.000 de’ più bravi, con la perdita d’Ismael Bassà della Bossina, d’Albaci Generale della Bossina, di Stanicir Agà Generale de’ Spaij, d’otto Generali di diversi Regni, di trenta Capigì Bassà, e di trentacinque Gerdi Bassà Gentilhuomini del Gran Visir, & haverebbe proseguito la Vittoria, se l’havessero voluto secondare le militie straniere, le quali più dalla necessità, che dall’elettione furono astrette al combatto, e l’haverebbe forse anche fatto da sé, se havesse havuto il provedimento necessario. Restò ad ogni modo con questa gran giornata salvato si può dire tutto l’Impero, e riparato alla gran Catastroffe della Christianità, e ne meritò dalla giusta, e generosa beneficenza di Cesare d’esser inalzato su’l Campo medesimo della Vittoria al supremo Commando dell’Armi, e dichiarato suo Luogotenente Generale, che fu un perpetuo testimonio del invitto suo valore. Nel mentre che si combatteva, su la fuga delle Truppe dell’Impero, precorse la voce alla Contessa, che disfatto, e vinto era l’Essercito Imperiale, & il Conte suo Consorte prigioniere: a che rispose con animo sereno, e senza punto turbarsi, non è vero, è vittorioso il mio Consorte; come se ella havesse havuto per rivelatione d’Oracolo; mentre ciò solo si prometteva dalla giustitia dell’Armi Christiane, e dalla potentissima protettione della gran Madre di Dio, a cui il medesimo giorno con sospiri, e lagrime haveva raccommandato gli interessi del Mondo christiano. Partecipò quell’Anima grande a tutte le Cesaree lodi, & universali congratulationi, che da’ Principi, furono date al valore dell’invitto Sposo, il quale da tutti veniva acclamato per Liberatore di tutto il Cattolico Impero, onde anche alla di lui fedeltà, e saviezza fu deposta l’intiera autorità, e Plenipotenza di stabilire la Pace col Turco, che seguì inaspettatamente, e senza che da niuno fusse penetrata, portando così la necessità de’ tempi, e la scoperta, che fu fatta dell’intelligenza, che havevano i Capifattioni dell’Ungaria, e della Croatia, sì con i nemici della Christianità, che con quelli dalla Casa d’Austria.
Ritornò la Contessa dal Campo compagna nel Trionfo, e partecipe dell’acclamatione del suo Consorte, e di sì segnalata gratia ne mandò le dovute lodi al Cielo, e con la destra liberale profusamente sovenendo alle miserie de’ Mendichi, animò anche d’essi le lingue a perpetue benedittioni, e mentre all’aura d’una pace godeva contenta il colmo di sue consolationi, che consistevano primieramente nel servire a Dio, e nel godere senza angoscie, & affanni la compagnia del Conte suo Marito (il di cui merito, e valore vedeva non men premiato dalla Clemenza di Cesare, che encomiato da tutte le lingue) vide giorno sì sereno trasmutarsi in un momento in una notte caliginosa, coll’udire la necessaria separatione per qualche tempo dal suo dilettissimo Marito, il quale venne destinato con honore superiore ad ogn’altro a ricever allo sbarco d’Italia in Finale su le sponde del Mare Ligustico l’Imperatrice, Margarita. A questo avviso (come che i primi muovimenti dell’animo siano insuperabili) turbossi: ma richiamata la costanza, e radolcito il dolore col soave d’una Commissione, che vie più faceva risplendere appresso di tutta l’Europa il merito del Conte, tranquillo l’agitato suo spirito, e giubilò all’hora, che seppe, con quanta decorosa magnificenza, leggiadro, e serioso trattamento si presentasse alla Maestà dell’Augusta Sposa, esprimendo così al vivo i sentimenti di Cesare, che rapì non meno l’animo di Margarita Imperatrice, che di tutti i Grandi della Corte: ma più esultò il di le cuore, quando dalle voci della publica fama intese, che il suo generoso Consorte haveva così ben sostenuto il posto a fronte de’ primi Ministri di Spagna quello di Ministro dell’Imperatore, pigliandosi quello, che gli conveniva, e ripercotendo la troppo confidente libertà di tal uno, che nel punto del congiedo pregò con un trascorso troppo ardito il Conte Montecuccoli d’assicurare l’Imperatore della sua amicitia: alché rispose prontamente il Conte, ch’egli l’havria assicurato del suo humilissimo ossequio; dalché si conosce, non saper meno questo saggio Capitano con la lingua sostenere il decoro dell’Augusto, che con la spada difendere i Regni: pregio che li meritò di conseguire dal Re Cattolico l’ordine del Tosone, del quale venne fregiato l’anno 1669.
Quando vedeva la Contessa Margarita colmare dal Cielo la sua Casa di favori, tanto più ella s’humiliava sotto la Mano Onnipotente di Dio, e verso degli huomini con moderatione, che non ammette esempio, dava a conoscere, che a mete più sublimi s’alzavano i di lei pensieri. Non passava giorno, che, avanti del Sacrosanto Altare prostrata, non chiedesse al Signore la conservatione dell’adorato Consorte. Comparse alla Reggia dell’Austria l’Angelo di Margarita Infante di Spagna, & Imperatrice de’ Romani, e ritornò il Conte di Montecuccolo a riunirsi al suo Bene, e la Contessa al primo rincontro alzò le voci, e benedì il Signore, e mentre tutta la Corte si sforzava di solennizzare il giubilo di sì gran maritaggio, dal quale se n’attendeva la felicità del Mondo Cattolico, ella con tutto ciò non dimettendosi da quello, che l’imponeva la sua conditione, il tempo maggiore impiegava negli essercitij di pietà, non curandosi di stancare il pensiere nel ritrovamento di nuove gale, ornamenti, che per lo più, correggendo le deformità del corpo, accusano quelle dell’animo; imperoché e dell’una, e dell’altra bellezza ella era troppo ben proveduta.
La Sapienza divina, che alle prove delle mondane, e dure vicissitudini, esperimenta la perfettione christiana, fa, che, persuaso dal zelo del buon servitio di Cesare, diretto dalla prudenza, lasci il Conte la Corte, e si ritiri al suo governo di Giavarino, per sollecitare le Fortificationi, e per invigilare alla sicurezza dell’Ungaria, esposta all’invasioni de’ Turchi, e che trascorsi pochi Mesi venga quasi da un fulmine d’interno malore, che de’ sensi immantinente lo priva, atterrato. Da questo accidente trafitto il cuore della Contesa (e fu effetto della Providenza Divina, ch’ella ancora non trambasciasse sopra dell’adorato Consorte) ma avvalorata dalla gratia divina l’assiste intrepida, lo solleva vigorosa. Chiama aiuti, invoca soccorsi, spedisce corrieri a Vienna, se n’affligge Cesare, si mandano medici, corrono Principi, e Cavalieri, ad assistere all’Heroe, che già estinto si tiene; mentre che nel periodo di due giorni né conoscenza, né moto, né intelligenza mostra d’havere. Nulla intentato lascia l’arte de’ Medici, che non esperimenti; ma senza giovamento alcuno, perché vuole il Cielo, che si conosca, che è colpo della sua destra: quindi mentre già disperato tenevasi il caso (solo viva la confidenza di Margarita, che mai prese sonno, e che mai cessò dall’orare, si vide come da un sonno svegliato) risorgere nel languente la vita, e gli atti della sua prima conoscenza sono della sua cara Consorte; come volesse testificarle, che da lei riconosceva il vivere. Non sa, che sia affetto coniugale, e svisceratezza d’amore, chi non vide Margarita infaticabile assistere nel periodo di molti giorni all’abbattuto suo Sposo, e que’ pochi momenti, che ella involontariamente, per compiacere al Conte, da esso si separava, impiegava in rendimenti di gratie al Cielo, e nella pratica di molti atti di christiana pietà, e se bene longo fu di sì strana infirmità la convalescenza, non mai rilentò la Contessa le sue assidue assistenze, non respirando dalle fatiche, si può con verità dire, né giorno, né notte; ancorché ne venisse dal caro Marito con amorosissime esortationi persuasa.
Restituito in fine il Conte Montecuccoli alla sua primiera robustezza, ritornò, chiamato da Cesare, alla Corte, e pagato il Principe Annibale Gonzaga Maggiordomo Maggiore dell’Imperatrice Eleonora, e Presidente di guerra il debito inevitabile alla natura, fugli conferita dall’Imperatore la Carica: onde vide Margarita compensate dal Cielo le passate afflittioni con l’honore conseguito dal Conte suo Sposo, il quale divenne Arbitro, si può dire, della guerra, e non mancò la pietosissima Donna di sodisfare all’obligo indispensabile, che imposto essa si haveva, di render con la profusione dell’elemosine le dovute gratie al Dio delle vittorie, dal quale riconosceva tutti i fortunati eventi del Conte suo Marito. Ecco, come mai bene può qui ammaestrarsi un’Anima della Speranza, che si deve gettare nel suo Signore Dio; siano immensi i travagli: dubiosi gli avvenimenti: certi i perigli, non diffidi ella mai della Bontà Divina, ma con viva fede ricorra all’Altissimo, che può soccorrerla in tempo, e dargli ogni conforto; Margarita, che per il passato accidente dell’amatissimo Sposo, si credeva fatta preda del dolore, sino all’ultimo dei suoi giorni, perché hebbe viva fede nel suo Dio, a quello ricorse, come a fonte d’ogni gratia, vidde ravvivato il Consorte creduto estinto, e vidde di vantaggio con profusione di maggiori onori, reso accresciuto il splendore di sua Casa. Quindi, unendo alla contemplativa la vita attiva, si diede tutta indefessa alla buona cura de suoi, & a fugare dalla sua Famiglia anco l’ombre de Vitij, e delle corrottelle, servendo a tutti di regola, e di esattissima norma le di lei proprie attioni; le quali animate dalla virtù facevano trapellare anco fuori delle domestiche sue Mura serenissimi gli splendori.
Mentre in una civile tranquillità godeva l’Anima innocente l’intiero possesso del suo Consorte, fanno anche l’Armi Francesi intercalare all’hostilità, ma non già pausa all’usurpationi de’ Stati stranieri, e nel mentre che restituiscono l’occupata Borgogna (ritenendo però le Piazze conquistate in Fiandra) col pretesto, che il Duca Carlo di Lorena havesse violato gli ultimi accordi, per esser entrato nella triplice Lega, non ostante, che si dichiarasse, d’haverlo fatto per la conservatione della Pace di Münster, come in essa restò dichiarato, lo spoglia della Lorena, rifiuta l’instanze di Cesare, e dell’Impero, con dire, che non vuole da niuno prender le leggi; benché ciò facesse per assicurarsi del Duca nella guerra, che pretendeva intraprendere: onde concluso con la Casa d’Austria un accordo di non muoversi in difesa degli Olandesi (mentre però la Francia non tocchi l’Impero) comincia con quegli la guerra, e nello spatio di quaranta giorni di tre Provincie, e di quaranta Piazze si rende Padrone, e non sapendo moderare la sua fortuna, trascorre i confini della Germania, pretende d’imporre le leggi a’ suoi Principi, e commette atti positivi d’hostilità contro di molti: onde obliga la Maestà dell’Imperatore a mandar un Corpo d’Armata a’ confini dell’Impero per coprirli dall’attuali invasioni, che da per tutto facevansi. Et ecco, che il Cielo, non volendo meno essercitare l’invitto valore del Conte di Montecuccolo, che l’insuperabil costanza della Contessa Margarita, fa, che resti il Consorte destinato al commando degli Esserciti, & la Campionessa di seguitarlo ovunque egli giri il piede. Compassionando in tanto il Conte all’aspre fatiche, alle quali si esponeva, adoprò le più efficaci, e nervose persuasioni per arrestarla, dimostrandole, come campeggiar si doveva in Paese, dove il nemico già haveva con l’aderenze di molti Principi di Germania stabilita l’autorità dell’armi, i posti migliori occupati, precluso l’addito per entrare nelle Provincie conquistate, e difficultato il tragitto de’ Fiumi; onde conveniva militar più con le continue marchie, e con l’industria sagace, che dentro de’ Recinti con le forze dell’Armi, che perciò sarebbe stato di necessità, che sì di notte, come di giorno fusse sempre di volata, e di fuga. Ma al cuore di Margarita, assodato nelle fortissime tempre d’amore, s’arrendevano tutti i colpi più possenti del parlare del Conte; e risoluta rispose, che voleva con esso lui vivere, e morire: ma aggiongendo il Conte alle ragioni le tenerezze de’ prieghi, e mostrando, che il più chiaro segno del suo svisceratissimo affetto sarebbe, se l’havesse consolato col dimorare in Vienna, la costrinse a ivi fermarsi sino al serrar della Campagna. S’arrese l’invitta Donna a’ tenerissimi accenti del Conte, e felicitò il di lui cuore col dimorare a Vienna non senza una tormentosissima passione di non poter accompagnarlo nelle battaglie; ma non per ciò si scordò mai di mandare avanti il cospetto dell’Onnipotente i suoi prieghi, accioché si degnasse d’avvalorare la destra del suo Consorte, e dar le bramate vittorie all’armi Cesaree. Marchiò intanto il Conte verso la Wesfalia, s’unì quivi con l’Elettore di Brandenburg, si passò il Weser, & il Meno, & in fine anche il Reno senza venire a conflitto, e romper la pace. Fecesi deporre il Francese da’ minutati assedij di Boisleduch, e di Mastrich, e le genti di Minster, unite a’ Galli, separare dall’attacco di Groning, haver campo il Rabenhaupt Commandante degli Olandesi di ricuperare l’importantissima Piazza di Coverden, dal che ne seguì il respiro degli Olandesi. L’animo in tutto indefesso di Margarita non si sodisfaceva d’udire del Consorte (Fabio del nostro secolo) le prove di sua segnalata prudenza, ch’ella stessa havrebbe voluto esserne testimonio oculato, e seguitarlo: ma per consiglio della divina Bontà, accioché a maggiori, e repentini mali, e pregiudicij non si esponesse, l’arrestò con qualche leggiera indispositione, dalla quale si rihebbe verso il finire della Campagna, e nel medesimo tempo restò ammalato il Conte, che l’obligò a lasciar il Campo prima di quello havrebbe desiderato, e portarsi a Norimberga, dove gli convenne fermasi da due Mesi infermo nel letto. Pervenuta la nuova alla pietosa moglie, ruppe la dimora, non riconobbe freno, come già si è accennato, che la potesse arrestare, dileguando di rigido Clima l’algente intemperie il ferventissimo amore, ch’ella portava al caro Consorte, & in fatti fusse effetto della mano di Dio, che secondava la di lei ardente carità, fusse anche opera della diligente cura, con la quale l’assisteva, respirò il Conte da’ suoi languori, ma s’accrebbe l’afflittione dell’animo all’avviso, ch’egli hebbe (datoli di suo pugno dal medesimo Cesare) della morte dell’Imperatrice Margarita, in cui tutte le più eminenti virtù di regia Santità risplendevano. A questo avviso la Contessa, benché fusse deplorabile il caso, e funesta la caduta d’una così giovine, e leggiadra Imperatrice, con volto sereno disse al Conte Marito, che se n’affliggeva, che chi prima pagava il tributo a Dio & alla natura, si sgravava d’un debito, e s’univa al suo sommo Bene, al quale doveva ogn’anima aspirare. Quindi dover la morte di sì santa Principessa porgere a’ suoi più cari motivo di allegrarsi; perché già godeva de’ contenti del Cielo. Non mancò ad ogni modo di confessare la perdita, ch’ella faceva d’una sì grande Padrona, che teneramente l’amava, e con atti anche di stima, eccedenti l’alta sua conditione, proportionati però alla di lei virtù, l’accoglieva. In conformità poi della chiesta, & ottenuta clementissima permissione da Cesare, si portò il Conte a Vienna, ricevuto dalla Maestà sua con eccessi d’honore, e di stima, e con l’acclamationi, non meno delle voci de’ popoli, che delle penne più fiorite, che publicamente l’esaltavano per il primo Capitano del Secolo, e si videro altresì esser falsi i fantasticati ritrovamenti de’ seditiosi, che tra il Conte, e l’Elettor di Brandeburg fussero passati dispareri circa il punto di combattere il Francese; imperoché ben si sa non essere stato altro il fine di far avanzar l’armata, che di custodire, e difendere i Confini dell’Impero, senza pregiudicare al trattato del settantuno, anzi lo stesso Elettore fu quello, ch’encomiò il saggio, e prudente valore del Montecuccoli. Prese per alcuni Mesi respiro la Contessa da quegli affanni ansiosi, che l’arrecavano l’incessanti cure, ch’ella haveva nel seguitar in Provincie straniere, e fra le Tende martiali l’invitto Consorte, & attendeva in tanto alla disciplinata coltura de’ suoi Figliuoli, i quali sempre considerò, come le sue più care delitie, e disputandosi all’hora il punto se si doveva far la guerra alla Francia, che già haveva contraviato a più capi de’ pattuiti accordi, e perturbata altresì con la sicurezza la quiete dell’Impero, si lusingava la gran Donna, di non haver più nella Campagna ventura a vedere sé stessa & il Consorte ne’ rischi della guerra; mercé, che forte era il partito di coloro, che romper non volevano. Si dileguasi dall’austriaca Reggia il duolo. Si discioglie del Duca di Jorch il trattato del Matrimonio, si conclude quello di Cesare con l’Archiduchessa Claudia d’Inspruch, e dichiarata la guerra alla Francia; passa Cesare ad Egra a dar la mostra all’Armata, formata di 36000 Combattenti. Ne dà il Commando al Conte Montecuccoli suo Luogotenente Generale, e li depone nelle mani, & affida al suo valore la sicurezza de’ suoi Regni, la riputatione delle sue Armi, e la libertà dell’Impero. Margarita in tanto, riconsegnate le bellissime Figliuole a sacre Religiose, christiana Amazone ripiglia la traccia del valoroso Consorte, & indefessa seguita la marchia dell’essercito, e si fa condottiera, se non delle squadre, della Fortuna dell’Armi, non essendo nuovo nel Mondo, che Iddio habbia per un’Anima buona concesso le Vittorie alle Schiere de’ Soldati.
La lontananza non pregiudicava all’affetto di questa gran Donna verso de’ suoi Figliuoli; sicome non lasciava, che perdesse di vista, né si smarrisse dal suo pensiere il fervente desiderio di veder promosse le glorie del caro Consorte. Quindi gionta in luogo, dove potea per qualche giorno agiatamente dimorare, presa la penna scrisse nel seguente tenore in lingua alemanna alle due dilettissime Figliuole Ernesta, e Carlotta, che dentro haveva nel Monasterio collocate.
Carissime Figlie.
So, che vivete in un Seminario di Santità, e che bastano i quotidiani essercitij, & e i religiosi esempi di coteste Madri per imprimervi nel cuore il Santo timor di Dio; tutta volta il debito d’esservi Madre m’obliga a ricordarvi, che viviate con quella riverenza, e modestia, che conviene alla vostra conditione, e che non vi scordiate, esser la virtù il più pretioso fregio della vera nobiltà. Voi sapete poi ne’ rischi, ne’ quali per difesa dell’Impero si espone il Conte vostro Padre, e quanta sia la necessità d’esser protetto dalla mano Onnipotente di Dio: Dunque vi sia sempre a cuore con purità di spirito di ricorrere quotidianamente con ferventi orationi al Signore, perché si degni di difenderlo, e custodirlo, e concedere alla sua condotta, felicità, e vittorie, e di me, che con ogni svisceratezza teneramente v’amo, non vi scordiate ne’ vostri prieghi: accioché si degni il Cielo di poter col mio ritorno stringervi, & abbracciarvi, come hora lo faccio col darvi la mia benedittione con tutto l’interno dell’animo. Vostra Amantissima Madre Margarita Contessa di Montecuccolo
Volle ancora la generosissima Donna complire con l’Abbadessa, e tutte l’altre Religiose, & insieme raccomandare a’ loro divoti, e quotidiani essercitij la persona del Conte suo Marito, per cui ella ancora incessantemente pregava Iddio, e nella seguente guisa in lingua patria spiegò i suoi sentimenti.
Reverendissima Madre, e Signora mia sempre Osservandissima. Il Deposito, che ho fatto appresso V. S. del più caro Tesoro, che io habbia in questo Mondo, può persuaderle a qual segno gionga la stima, ch’io faccio del suo nobile, e religiosissimo merito, a cui con gran ragione corrisponde la degna qualità d’esser Madre, e Signora, di tante virtuose, e religiosissime Dame, che vivono sotto della sua esemplar disciplina: onde io m’attribuisco ad honore d’esser da lei considerata in qualità di serva, e di sincerissima Amica, perloché non voglio mancare di parteciparle il mio arrivo a Norimberg, dove mi fermerò qualche giorno, per seguitare poi poco da lungi il mio Consorte, il quale si va a gran marchia avvicinando con tutta l’Armata all’Essercito Francese commandato dal Bravo General Turena, per dargli battaglia, che perciò imploro e da lei, e dalle sue Monache gli ajuti spirituali a’ fin che si compiacciano con ferventissimi prieghi raccomandarlo al Signore, & implorare insieme l’ajuto Onnipotente di Dio, perché ne riporti, se sia possibile, anche senza sangue de’ nemici, la vittoria, e confiderò, che di Colombe così innocenti esaudirà il Cielo se non i gemiti, almeno le voci. Io già mi prometto dalla loro svisceratissima Carità i più sinceri, e divoti affetti, e come di beneficio già ricevuto gliene rendo anche in nome del Conte mio Consorte le dovute gratie, e con tutto il cuore facendo riverenza a tutte coteste Religiose mi confermo Di V. S. Reverendissima Divotissima Serva Obbligatissima Margarita Contessa di Montecuccolo
Sapeva la pia Contessa, che le voci senza gli atti interni d’una Carità erano un suono inane, che nulla serviva, e che il dire senza l’operare non era contante, che si spendesse nel Banco delle divine gratie, che perciò agl’inviti degli altri elle accompagnava l’anima di sante Operationi, non tralasciando, non dico giorno, ma hora, che in esse non esercitasse la sua christiana pietà. Non andavano vuoti i suoi prieghi, né sconsolato il suo cuore, perché mentre ella negotiava medianti l’orationi col Cielo, il valoroso Consorte affrettava la marchia verso il nemico, risoluto con intrepido valore d’assalirlo nel posto avvantaggioso, dove si teneva fortificato, e costringerlo d’abbandonarlo. Lo necessita alla battaglia ne’ Campi di Morkpreit, e doppo un fiero contrasto di molte hore caduto il giorno, prevedendo il Turena la disfatta della sua Armata col beneficio della notte sloggia dal Campo, si ritira, e doppo haverlo il Montecuccoli stancato con varie marchie, e sagaci stratagemmi lo spinge a ripassare il Reno, & ad abbandonare Aschaffenburg, Fridberg, Werthaim, & altri posti, & egli fatto imbarcare l’Infanteria, & il grosso Cannone, e la Cavalleria divisa in due Corpi, sollecitamente si porta a Coblenz, e di là a Zinzid, & a poche hore ritrova il Marchese d’Assentar Maestro di Campo Generale de’ Spagnuoli, s’unisce con i Confederati, espugna la Città di Bona Residenza dell’Elettor di Colonia difesa da un buon Presidio de’ Francesi, e non si serra la Campagna, che non si prendano sei altre Piazze al nemico, che sono le seguenti Linz, Friburg, Andernach, Broell, Lechenich, e Kerpen, tutti Castelli, e Piazze fortificate, e cinte, circondate da doppie Fosse ripiene d’acqua, in una delle quali, cioè Lechenich havevano già in tempo di Gustavo Adolfo i Svedesi faticato per un Mese continuo all’espugnatione, e restò per il beneficio di questa breve Campagna, che non fu più di due Mesi, restituita all’Armi Cesaree la riputatione, avvilita quella de’ Francesi, dilatati i Quartieri, intimoriti i nemici, ridotti ad unirsi all’Imperatore Colonia, Magonza, e Minster, e fatto dichiarar altri; che bilanciavano le loro deliberationi, e frenate quelle della Baviera, che stava su’l punto della rottura, & animati in fine i Principi dell’Impero, e necessitati i Francesi d’abbandonare le Conquiste, che havevano fatto nelle Provincie degli Stati, e fatto apprender ad altre Potenze fin dove gionga la braura Alemanna, e costrinse gli stessi nemici a celebrarlo per il primo Capitano del Secolo.
Con qual moderatione ricevesse gli avvisi di questi segnalati progressi questa gran Donna, agevolmente se lo potrà persuadere, chi haverà formato concetto della generosità, e grandezza del suo animo, col quale ben sapeva porre a freno le sue passioni, e domare l’impeto delle sue attioni, accioché tumide per le fortune non s’insuperbissero, e le facessero perdere il pregio di quella virtù, che la rendeva così costante negli avversi, come ne’ favorevoli avvenimenti: Quindi sempre scorgevasi preparata a ricevere con fronte hilare tutto quello, che piaceva alla Providenza Divina. Così n’essercitò le pratiche all’hora quando vide appena uscito dal Campo vittorioso il Consorte infermarsi, & esser costretto, su la permissione concessali da Cesare, benché si opponessero molti de’ Ministri, che volentieri non lo vedevano nella Corte, a ritornarvi, per dar ristoro a que’ languori, cagionatili da’ faticosissimi, & incessati essercitij della guerra. Con animo non curante traviò anche generosa le contraditioni di coloro, che si opposero al conseguimento de’ promessi, e meritati honori del suo Merito, solendo dire sovente, che degno premio erano delle di lui gloriose fatiche l’acclamationi universali del Mondo, che lo qualificavano del titolo di Liberatore dell’Impero, Difensore della Germania, e Domatore de’ Nemici.
Si solennizzò nella Reggia dell’Austria nel medesimo tempo il gran Matrimonio tra l’Imperatore, e l’Arciduchessa Claudia d’Inspruch: né una sì grande attione, che haverebbe potuto destare nell’animo di qual si voglia Donna desio di comparire tra le Feste Augustali, valse a perturbare dal suo tenore la moderatione di Margarita, la quale haveva imparato a conoscere, che lampi fugaci erano le felicità, e grandezze del secolo, e che instabili, e vacillanti sempre le fortune come gli affetti degli huomini, che perciò si contentò da lungi di godere delle contentezze della Reggia, e delle Feste di Vienna, e far Regno in sé medesima. Finita il Montecuccoli sì gloriosa Campagna, e non ancora ben rimesso nelle valide, e possenti sue forze per passare a sostener il peso della guerra, si contentò, che altrui toccasse la sorte di commandare agli Esserciti: Ma non già egli d’otiare nella Reggia, mentre con il consiglio, e con la direttione sosteneva il peso maggiore, e procurava, benché da lontano, d’animare i Capitani, e Commandanti alle disegnate imprese; se bene poi gli eventi facessero conoscere, che la presenza del bravo Capitano è quella, che sovente dà le vittorie all’hora singolarmente, che non è fra molti diviso il comando.
Diretta Margarita quasi da Spirito fatidico, che non havesse ella molto a prolongare gli anni, guardava con tenerissimo affetto le tre sue Figliuole, e benché due di esse fussero appena nubili, sollecitava ad ogni modo l’animo del Conte a dar loro marito, come già eseguito haveva con la Primogenita Luisa Polessena Dama non men di bellezza, che di spirito, saviezza, virtù, e prudenza a niuna seconda, e degna Prole di sì gran Genitori. Postergate per tanto il Conte tutte quelle humane considerationi, che sovente infelicitano i Matrimonij, solo applicò il pensiere a ritrovarlo pari di conditione, di fortune non disuguale, di Nobiltà non inferiore, di costumi christiani, e di doti cavaleresche ornato: Quindi pose l’occhio sopra del Conte Francesco Antonio Werchi. Né in questa elettione violenza s’impose dalla Contessa Margarita alla prediletta Figliuola, a cui intiera lasciò la libertà di secondar e il suo genio, e sodisfare al proprio affetto, e renderle quella giustitia, ch’ella stessa, col maritarsi con l’amatissimo Conte volle, che le fosse concessa dai suoi Parenti. Non la licentiò di sua Casa, che prima non le ricordasse il debito, c’haveva e di vivere ossequiosamente col Marito, e di rendersi verso de’ suoi, e degli altri commendabile. Dover primieramente non haver humano affetto, che avvantaggiasse quello del suo Consorte; di seco per quanto poteva l’humana conditione diportarsi tutto il tempo di sua vita, come il primo giorno; di secondare sempre i di lui voleri, quando non vi sia l’offesa di Dio, & il pregiudicio di sua riputatione; compatire i di lui difetti, se ve ne scorgeva, e procurar d’emendarli con le sue proprie attioni; godere della conversatione delle Dame di sua conditione: ma di sfuggir quelle, dove havesse potuto naufragare la propria estimatione; la sua Famiglia trattare con carità; regolarla con il suo buono esempio, e non mai lasciar conoscere, o penetrare le proprie debolezze, & imperfettioni; non dover lagnarsi quando non succedevano gli affari secondo i suoi desideri, né gloriarsi quando sono fecondi, e favorevoli, per non esser nel Mondo cosa alcuna durevoli. La baciò, la strinse, e la consegnò al suo Sposo. Argomento dell’integrità de’ Padri è la santa institutione de’ Figliuoli. Il procreargli è da tutti. Il saperli christianamente instruire è solo di coloro, che vantano pregi di vera pietà. Non ha obligo di sua procreatione il Figliuolo a quel Padre, che con una disciplinata educatione non lo rigenerò alla virtù. Gli esempi sono quelli, che imprimono negli animi teneri le prime massime della vita civile. E’ colpa d’infedele, e miscredente trascurare la cura de’ Figli, e de’ Domestici. Questo debito adempì la Contessa Margarita, la quale procurò sempre di trasformare i suoi Figli in sé stessa, perché non fossero dalle di lei, né dalle virtù del Padre degeneranti. Mentre questa gran Donna tutta s’impiegava, staccata si può dire dal secolo, al governo della Famiglia, alla di cui avveduta, & officiosa prudenza stava il tutto appoggiato, & il Conte Marito intieramente il viver suo dava alle Consulte di Stato, e di guerra, & al fedel servire dell’Imperatore, si chiude in Fiandra, & altrove non troppo felicemente la Campagna; Che che ne fosse la colpa; conciosia che gli uni sopra de gli altri la riggettavano, e fa il Francese progressi non premeditati; ma non di quel peso, che bilanciar potessero le perdite, che del settanta tre fecero per l’invitto valore del Montecuccoli, resta dalla Maestà di Cesare deliberato di rimandarlo alla testa degli Esserciti per assicurare i suoi Regni da quell’invasioni, che per mezzo del suo Ambasciatore Oxenstern faceva nella Reggia di Vienna minacciare il Re di Svetia, e già sentire gli effetti ne faceva nel Paese di Brandeburg, dando i primi moti alla guerra del Settentrione; fatto, che mosse l’Imperatore a far varie speditioni in Danimarca, in Bransuich, & in Sassonia, e dalla Dieta di Ratisbona varij Decreti si promulgano per unire le forze dell’Impero, alle quali per resistere si prepara con potentissime Armate la Francia. Risoluta la partenza del Conte Luogotenente Generale Montecuccoli, la Contessa non ammettendo essortazioni, né prieghi, rinchiuse tra’ Chiostri l’ultima delle sue figlie, essendo Carlotta Secondogenita di quel tempo data in Isposa al Conte Giacomo Kiel Cavaliere, non meno ricco di Tesori, che dovitioso di cavalereschi talenti, ordinata la sua Famiglia, per mezzo di ferventi divotioni si prepara al partire, calcando l’orme d’esso s’incamina verso Spira, e di là disposta a seguitarlo passa ella ancora il Reno, ma avvanzatosi il Marescial di Turena ad Offenburg per trascorrer più oltre per andarsi ad unire a’ Svedesi, e forse anche al Bavarese, se li fa a fronte il Montecuccoli, e l’arresta, e Margarita in tanto infaticabile sempre, non perdendo si può dire di vista il Consorte ferma il piede in Augusta, & ivi si prepara a far ella ancora la guerra con l’orationi, alla quali non è fuori del vero il pensare, che si piegasse la Misericordia Divina, e concedesse al suo Sposo que’ vantaggi, che assicurarono gli Stati Austriaci, il Regno di Bohemia, e la Slesia; mentre si sa, altro non essere stato dall’hora de’ Francesi il disegno. Valido argomento, che conferma quanto alla pietà di Margarita s’ascrive, fu, che restando in tempo, che combattevano le Armate senza gli avvisi del Conte, molti de’ suoi famigliari dubiosi di qualche grande accidente, comparivano malencolici, e tristi, & ancorché fusse quasi geniale la di lei tristezza all’hora, che non vedeva il marito illuminata in quel tempo, giova credere da Dio, disse a’ suoi, hoggi il Conte otterrà una segnalata Vittoria, e saranno costretti i nemici d’abbandonare il posto, e ritirarsi di là dal Reno: il che appunto avvenne, restando morto su’l Campo d’una volata di Falconetto il gran Turena: da cui ne passò in conseguenza la ritirata de’ Francesi, che perduta la battaglia ripassarono non senza disciplina, & ordinanza il Fiume: ma incalzati furono costretti a rinselvarsi fra’ monti dell’Alsatia, come pure fece il Condé, che provocato non ardì venir a battaglia, paventando gli esempi del Turena, e del Criquì, il quale battuto, ricovratosi in Treveri, & espugnata da’ Collegati la Città, restò prigioniere; effetti tutti, che seguirono dalla brava, e risoluta condotta del Conte Montecuccoli. Da coloro, che s’internarono nell’intelligenza degli affari di que’ tempi, fu giudicato, che quest’impresa del Montecuccoli fusse una delle maggiori, per lo strascino delle conseguenze, che fussero condotte a fine da’ primi Capitani del secolo. Consideravano la forza de’ nemici superiore a quella di Cesare, il posto avvantaggioso, che occupato havevano, la sicurezza delle spalle con la communicatione, c’havevano per mezzo del Reno con tutta l’Alsatia, la provvigione de’ viveri, e monitioni, che in tutti i luoghi havevano, il numeroso contante, col quale venivano largamente assistiti, la veterana esperienza degli Officiali e l’invitto valore del Marescial di Turena, che in ben cento perigliose imprese si haveva guadagnato il nome di prode Capitano, il quale non ad altro aspirava, che ad aprirsi la strada per inoltrarsi su’ confini della Bohemia, animare alla sospirata risolutione il Bavarese, e passando più oltre, scagliarsi sopra della Slesia, e congiongersi con lo Svedese, e rinovate le stragi di Gustavo, dar l’ultima giornata a tutti gli Stati hereditarij. Consideravano altresì l’angustie, nelle quali si ritrovava l’Armata Cesarea priva di Magazeni, ristretta ne’ foraggi, impoverita nel Contante, male servita dagli Amici, solo ben proveduta d’un Generale, che seppe non men col valore, che con la peritia, e sagacità militare deludere, stancare, combattere, e vincere con la morte del gran Turena l’Armata Francese, che anticipatamente veniva acclamata per vittoriosa, e trionfante. Così il Montecuccoli seppe salvare gli Stati, vincere, e fugare di là dal Reno con moltiplicate perdite il Francese, il quale urtato dalla disperatione incendiò, & incenerì tutta l’Alsatia, perché non havessero i Cesarei luogo di ritrovar Quartiere, né di poter continuare l’Espugnatione di Hochenau, e di Saverna per andar al rincontro del Principe di Condé, che s’avvanzava per togliergli la communicatione con la Città d’Argentina, dalla quale ricavava la sossistenza, costringendolo in fine, per non venir a battaglia, a ritirarsi fra le Boscaglie, deposta l’antica, e generosa ferocia, che in ogni tempo stimolò quel segnalato Principe a ricercare i cimenti. E lo fece il Conte divenire suo Encomiaste.
Quali tributi di gratie, e di benedittioni pagasse al Cielo la Contessa Margarita, difficile è non solo il descriverlo, ma il concepirlo. Scherzava però seco la Providenza Divina, e le più serene sue contentezze le annuvolava co’ nembi delle contradittioni, mentre sperando di dover doppo la gloriosa Campagna vedere il diletto suo sposo ritornare per qualche tempo alla Reggia per ristorarsi da’ sofferti patimenti (sensibili in un’Età avvanzata) sente, nella Corte da’ Ministri, e da alcuni di coloro, che s’arrogavano all’hora gran parte dell’autorità, che non havrebbero voluto vedere il Conte nella Reggia per il concetto, e stima, che fa, e fece sempre del suo saggio sapere, del suo invitto valore, & incorrotta fede l’Imperatore, contrariarlo: ma ella senza punto sconcertare il tenore della tranquillità del suo animo, doma le passioni, non si sdegna contro di chi contraria le sue sodisfattioni: anzi scusa con titolo di zelo forsi l’appassionata indiscretezza di chi non sapeva soffrire, che il Conte ritornasse trionfante a Vienna. Esaudisce in fine Iddio, doppo d’haver esperimentata la di lei sofferenza, i suoi prieghi, e fa, che l’Imperatore all’instanze del Padre Carlo Montecuccoli della Compagnia di Giesù, dia il consenso al ritorno, troppo per sua generosa Clemenza, e Bontà interessato nella conservatione del Conte, conoscendo, esser Ministro per al sua Saviezza, non men necessario nella Reggia, che per la saggia sua bravura nel Campo.
Ricondottasi Margarita a Vienna, s’affollò la più illustre nobiltà nel visitarla, e renderle cordialissime congratulationi, sì del suo arrivo, che de’ felici, e grandiosi progressi fatti dall’Armi Cesaree per opera del Conte suo Consorte, a cui auguravano quell’accrescimento d’honori, che di giustitia richiedeva il di lui gran merito. Ma ella, che a freno haveva messo l’ambitione di grandezze maggiori, contentandosi della sua sorte mostrava, quanto ben conosceva le finte apparenze del Mondo, col non fermarvi né meno il pensiere, dichiarandosi, ch’eccedenti anch’erano le gratie, che sopra la sua Casa diluviava il Cielo, e segnalati i favori, che le compartiva la destra liberale dell’Imperatore, e con queste massime, che prima di farle apparire con la pratica d’una christiana moderatione, impresse se l’haveva nel cuore, regolò sempre i passi di sua vita, e compose così bene tutti gl’interni suoi sentimenti, che già mai sconcerto non apparì nelle sue operationi, che tutte riduceva all’honore di Dio, & all’utilità del suo prossimo; il che è il vero fondamento d’una perfetta carità.
Libro terzo
Doppo che ombreggiata si è veduta la virtuosa costanza, la divota pietà verso Dio, e l’amore verso il suo Consorte della Contessa Margarita, non è lungi dalla ragione, di descendere al particolare delle sue virtuose attioni, ch’essercitò sino all’ultime mete prescritte dal Cielo dell’età di trenta ott’anni di vita, nella quale giorno non lasciò passare senza qualche attione di merito. L’Imperatrice Eleonora, che ben l’haveva conosciuta raffinata nella perfettione, volendo, per dar al Mondo fomento d’esemplare emulatione negli animi della prima Nobiltà d’Europa, formare un Seminario, anzi un sacrario di Donne grandi, e segnalarle con la tessera d’un Sole, che, unito ad una catena d’oro, legasse il braccio a Regine, e Principesse, & alle più gran Dame del secolo, le quali portassero il nome d’Heroine della Virtù, e restasse espressa quella degna sentenza: Pone me ut signaculum super brachium tuum, quia fortis est ut mors dilectio, dura sicut Infernus emulatio, ascrisse nel numero, che resta prefisso, la Contessa Margarita, la quale non si sarebbe pregiata di sì grand’honore, se non havesse agli splendori del Sole aggiunti quelli delle proprie virtù, & in guisa si strinse con esse, che già mai non fece da loro divortio. Conobbe questa gran Donna, che il fondamento dell’edificio spirituale: anzi della Religione Christiana era la fede, senza la quale restava precluso l’adito alla Patria del Cielo: quindi non lasciava trascorrer giorno, che sempre non ne rinovasse un atto con la recitatione de’ dodeci Articoli del Simbolo Apostolico con una dichiaratione espressa di credere ciecamente tutto ciò, che insegnava la Fede Cattolica Apostolica Romana: onde avveniva, che trascorrendo l’Historie sacre con grandissima humiltà ammirava in esse l’Onnipotenza Divina all’hora singolarmente, che più profondi erano i Misteri, de’ quali diceva, di non haver mai incontrato difficoltà di scrupolo nel crederli, e capirli, godeva perciò sommamente di leggere con le Vite i miracoli de’ Santi. Avveniva tal volta, che frequentando Soggetti grandi in sapere la sua Casa, discorrendo con l’eruditissimo suo Consorte di materie rilevanti; sì d’humane Filosofie, che d’arcani della Religione, ella così bene penetrava il fondo, & il midollo della difficoltà, che ben sapeva separare dal grano il gioglio, e formare adeguato giudicio del vero. Non una volta sola si è trovata con Dame, che professavano gli errori di Lutero, & meritò con tratti piacevoli di sue ferventissime persuasioni ridurle a confessare la Religione Cattolica, che professa la Chiesa Romana esser la vera, e la Santa: onde si vedeva, ch’era il suo cuore infervorato d’un Apostolico zelo, e d’un’evangelica intelligenza così bene la sua mente illuminata, che non scompagnò mai dalla viva Fede l’efficacia delle sue virtuose attioni; Massima, che procurava di inculcare nella mente di coloro, che riponevano la loro salvezza nel solo credere. Sperava nelle Misericordie Divine di conseguire per gratuito beneficio del Cielo, con la remissione delle sue colpe, la gloria del Paradiso: Ma bilanciava sempre col timore la speranza, dicendo, che non poteva saper huomo del Mondo, per quanto ei procurasse di stare in gratia di Dio, s’egli fusse degno d’odio, o d’amore, e che scorta più fedele non haveva il Christiano per caminare alle mete della perfettione, che sempre temere; onde sovente ritiratasi nella Capella, che haveva nell’interne sue stanze ad orare, l’udivano i suoi cavar dal cuore profondi sospiri, & articolare queste voci in sua lingua natia: Signore perdonami i miei peccati, e per consolare l’anima sua ricorreva alla lettura de’ Libri spirituali, & una volta il giorno non solo leggeva, ma meditava genuflessa avanti l’Altare un Capitolo dell’imitatione di Christo di Tomaso de Chempis. Discorreva tal’hora della gloria del Paradiso, e delle pene dell’Inferno con le sue Donne famigliari, e diceva loro, che non l’atterriva l’horrore de’ tormenti, ma la sola deformità del peccato, che la rendeva ingrata al suo Creatore, e nemica a Dio, senza la gratia del quale sarebbe caduta in mille colpe.
Mongibello di vera Carità era il suo cuore verso Dio, e verso il suo prossimo. Teneva ella fermamente, essere indispensabile il precetto divino, e la promissione giurata nel Battesimo d’amare Iddio con tutto il cuore, & il suo prossimo come sé stessa, perciò non lasciava dileguar giorno alcuno, che, rinovando l’atto di viva sua fede, non facesse anche quello della Carità consistente in un estremo dolore, che haveva d’haver offeso Iddio, & il quale protestava d’amare sopra tutte le cose, e ciò praticava nell’andare, e nel levarsi dal Letto, instituto, che procurò d’introdurre per costume inviolabile in tutti quelli della sua Famiglia. Si conosceva, che nel di lei cuore stava stampata verso Iddio questa ferventissima Carità; imperoché non mai leggeva, o udiva da altri trascorrere la vita di Gesù Christo, che non s’intenerisse, e lagrimasse, e che non giubilasse ancora all’udire di Dio le grandezze, e la gloria. Quanto estendesse da Dio al suo prossimo questo amore, e questa carità, sarà difficile narrandolo, che ritrovi fede appresso di coloro, che l’udiranno.
Soleva primieramente considerare i poveri come la vera Imagine del Redentore, che perciò affabile gli accoglieva, con humiltà anche li riveriva, e con mano liberale li soccorreva, niuno lasciandone partire da sé, che non l’havesse a proportione del suo bisogno soccorso, & a più d’uno, che apprendeva esser mendico, toglieva la vergogna di chiederle l’elemosina: mentre lo preveniva col dargliela. Più d’una volta mossa da un’interna tenerezza usciva con Donna divota, e confidente fuori di sua Casa in Carozza, e caminando le strade, e ritrovando Donna mendica, e vergognosa l’accoglieva in Carozza, e condotta a Casa, se laceri erano i panni, di tutto la rivestiva, la pasceva, e con elemosina amanuense la conduceva al suo povero albergo, imponendole, e pregandola di non voler di ciò parlare a niuno, aspirando solo di conseguire il premio da Dio, e non dal Mondo. Nascondeva anche al proprio Consorte queste sue sante Operationi, & egli discreto, e pijssimo Cavaliere godendone, mostrava di nulla sapere, e l’andava ne’ discorsi famigliari fomentando: perché ben conosceva, la carità verso il prossimo esser la più certa caparra del Paradiso: Ma perché nell’animo della Contessa era ben ordinata, non si diffondeva solo con viscere di pietà sopra degli estranei, ma de’ suoi domestici, e de’ più infimi suoi servitori, a’ quali nelle loro infirmità, anche con rischio della propria sanità, assisteva, & ordinava, che secondo i prescritti de’ Medici fusse loro in tempo il tutto somministrato; e non tanto contenta di procurar loro la salute del corpo, quanto quella dell’anima, esortavali alla patienza, e disponevali a ricondursi alle mani di Dio per mezzo de’ Sacramenti, considerandoli tutti come una parte di sé stessa, e consignatili alla misericordia, e Bontà di Dio; giorno non lasciava passare, che non gli havesse visitati, dalche ne ritrahevano vive consolationi, e faceva conoscere, che la vera carità non ammette leggi d’ambitione; non dà partito né a fasto, né ad altro humano rispetto, ma con sincerità di cuore si diffonde sopra del suo prossimo.
Da questo fonte di vera Carità tutte l’altre virtù spandendosi, rendevano l’anima della Contessa viva sorgente di qualunque altra, quindi generosa, e forte per la Carità, ogni disagio, & ogni patimento incontrava, e volentieri si sarebbe per Dio, per la Patria, e per il suo dilettissimo Consorte sacrificata; onde rischio non paventava, incontro non temeva, né il ceffo horribile dell’istessa morte l’arrestava, e ben faceva comprendere, che l’amore il tutto soffre, il tutto spera, e nulla frenar la poteva di non adempire a tutto quanto le suggeriva l’ardentissimo suo cuore.
Rivolo dell’istessa sua Carità era la Temperanza, con la quale domava del senso le passioni, della vanità gl’impulsi, delle fortune la tirannide, delle dignità gli urti, e di tutto il Mondano i dilettevoli incentivi: né perché fusse a tanti altri superiore, sdegnava di farsi simile ad ogn’uno, onde n’avveniva, che a sé rapiva di tutti gli ossequij, e le benedittioni. Ruppe l’argine la Carità per fecondarle l’animo di quella giustitia, la quale pone in bilancio la Santità, e la perfettione degli huomini, che perciò sempre ricordevole del precetto evangelico di far ad altri ciò, che a sé stessa havrebbe bramato, che si facesse. Mai fece violenza a niuno; mai non defraudò Operario della sua mercede, né mai si lasciò tentare di bramar ciò, che suo non fusse, e di toglier ad altri quello, che non le conveniva; né questa virtù essercitò ella con gli altri: ma soffrir non poteva senza sensatissimo cordoglio, che si trovasse, chi ad altri non rendesse il suo dovere. Né fece mai contratto alcuno; né prese da’ Mercatanti merci, che nel medesimo tempo non soddisfacesse col prezzo, sdegnando, e detestando quell’autorevole confidenza, che si prendono molti di comprar molto per non pagar nulla. Il timor solo di violare la giustitia, non solo in ciò, che riguardava la commutativa: ma la distributiva ancora, l’alienava dall’interpositioni autorevoli, che havrebbe potuto usare a favore di molti nel far conferir Cariche. Bensì più d’una volta cercava d’insoavire il rigore della vindicativa all’hora, che vedeva doversi nel Campo in punitione de’ delitti de’ Trasgressori soldati essercitare; quando però conosceva, che poteva la Clemenza convertirsi per la troppo indulgenza in crudeltà: compativa non solo, ma soccorreva insieme le miserie di coloro, i quali dalla necessità della guerra venivano spogliati delle facoltà, non comparendovi avanti alcuno, ch’ella non consolasse con le parole, e non soccorresse con destra liberale: onde più d’una volta si spogliava di quel contante, che haveva, & havrebbe voluto poter impor legge alla rapacità de’ Soldati. Non poteva soffrire di vedersi avanti alcuni Officiali di guerra, che havevano fama di ranzonare il povero, & amico paesano, e contro di questi delitti prorompeva sovente in risentite voci.
Su la base stabile dell’Humiltà assodò le sue Apostoliche Virtù: quindi non solo trascurava l’altiero fasto della Corte, e le competenze, che tal’hora insorgevano tra’ suoi pari: ma volontieri con gli infimi conversando, non mai mostrava d’ostentare l’alta sua conditione: perloché tirava a sé l’affetto di coloro, che havevano la sorte di seco trattare, & era di mente così moderata, che d’imparare da ogn’uno, anche dagli infimi mai non si sdegnò, confessando, che i talenti non dispensava Iddio a misura delle fortune. Esser Figlia dell’Humiltà la Modestia fece apparire in tutte le sue attioni, le quali spiravano sempre Maestà, decoro, e riverenza, con la quale non meno si faceva ossequiare, & ammirare insieme da plebei, che da’ nobili, i quali non mai ardirono alla sua presenza (tanto grande era il concetto, che n’havevano) di prorompere né anche a scherzo in veruna licentiosa parola; benché ella non mancasse secondo l’opportunità di discorrere degli affari del Mondo, e protestasse più volte, che il facile scandalizzarsi degli altri, era il confessarsi d’animo debole, essendo debito d’ogn’uno di compatire l’imperfettioni degli altri: ma bensì di mente saggia, e prudente era il fuggire, come da pestilente contaggio, dalle conversationi di poco honeste persone.
Fra tutte l’angeliche virtù, che nobilitavano quella grand’anima, spiccava la Pudicitia, la quale inviolata mantenne fino alla morte, e ne fu a segno guardina, che stimava, che dall’ombre anche restasse macchiata, sentimento così vivamente espresso nell’animo, che l’obligava a star lontana da ogni più nobile adunanza, e da tutti que’ passatempi, che possono, se senza colpa, non senza rischio almeno frequentarsi, che per caminare su’l più sicuro sentiere haveva per legge di star lontana da ogni sorte di deviamento sino a segno per sodisfare al debito degli ossequij verso dell’Imperatrice Augusta, di cui fu Dama, di non frequentare la Reggia in tempo di pieno corteggio: ma privatamente comparire al mattino, all’hora che la Maestà sua, che le concedeva ogni libertà, se ne stava sola nelle sue stanze. Si vantava di ritrovare in sua Casa in conversatione de’ suoi Figliuoli, e Donne domestiche tutte quelle contentezze, che altre Dame ritrahevano tra i giuochi, e corteggio de’ Cavalieri, havendo per massima di sua honestà, che non convenisse a Donna alcuna non solo di farsi amare: ma né meno di dar occasione d’esser amata, fuorché dal suo Consorte: onde in tempo, che nella Corte di Vienna il lusso più sfoggiava, & inondavano i piaceri, ella con positivi abbigliamenti si contentava delle sue domestiche solitudini; il che le acquistò il nome della più casta Donna di tutta la Germania, e di vivo esemplare dell’honestà del suo sesso, e ne’ sospetti, che potevano esserle suggeriti dalla sua purissima mente, che coloro che seco famigliarizzavano potessero dar partito ad amorosi lenocinij; soleva dirgli, che non sarebbe stato possibile, che havesse potuto continuare l’amicitia di persone, che non conoscesse, che fussero di corpo, e di mente pura: onde senza accusarle, né offenderle, le riprendeva: sapeva così bene con le massime del timor di Dio, e dell’honore insinuarsi, che havrebbe potuto tener a freno qualsivoglia animo dissoluto. La sobrietà, virtù tanto più singolare, quanto men praticata da’ Grandi nella Germania, regnava in Margarita al pari di qualsivoglia astinente, e disciplinata Religiosa, solendo dire, che malamente poteva operare lo spirito, e faticare il corpo, l’uno adombrato da’ fumi, l’altro aggravato dal cibo: perloché sempre parca fu sì nel mangiare, che nel bere, a segno, che sempre si ritrovava in istato d’attendere con applicatione sì alla divotione, che al governo della sua Famiglia, alla quale col suo esempio serviva di Maestra nell’osservanza de’ digiuni Ecclesiastici, che esattissimamente accompagnandoli con atti di divotione osservava, e con modo particolare quelli della Quaresima. Nelle mense più laute, dove ella si ritrovava manteneva senz’affettatione, e con leggiadra disinvoltura l’istesso tenore, non volendo in niun modo, per non perder il merito, per quanto ella poteva, che spiccassero le sue virtù. Attentissima fu sempre alle divotioni Ecclesiastiche, alle Prediche, & a divini Officij, da’ quali ne ritraheva quel godimento, che la gente del Mondo cava da sceniche rappresentationi, e da’ secolareschi diporti, che perciò mai non si tediava di stare in Chiesa, né da essa si sarebbe partita, se non l’havessero chiamata l’altre fontioni, che riguardavano il governo della sua Famiglia, per cui non deve niuno deviare col pretesto della divotione, che degenera all’hora in vitio, quando i Capi, constituiti sopra degli altri, ne trascurano la cura. La dotò il Signore d’una chiarissima mente, e d’una saggia, & avveduta prudenza, con la quale diresse in guisa tutte le sue attioni, che non mai trascorsero le mete della virtù, nel centro della quale sempre fermò i suoi pensieri, guardinga di non trasgredire, con divini Precetti, le massime d’una vera, e christiana perfettione; seppe perciò tener a freno i primi moti delle passioni, e domar in guisa i suoi sensi, che non havessero ad insolentir dissoluti sopra della ragione. A’ suoi consigli più d’una volta s’apprese la, per altro, raffinata saviezza del diletto Consorte, che ben conosceva, nascer da un’anima affatto spogliata dell’amore, e dell’odio, nel pronontiare delle cose disinteressato giudicio. Dotata era pure d’una fatidica preventione, con la quale arrivava le difficoltà di que’ affari, che proposti le venivano; e sicome candidissimo il suo cuore altro non sapeva esprimere, che ingenui, e veritieri concetti, così abhorrì sempre, anzi all’ultimo segno detestò quell’artificiosa apparenza, che il Mondo qualifica d’industre sagacità, e che declina in fine nell’inganno. Dal famigliarizzare con la guerra haveva appreso di dire, che lo stratagema era proprio del Campo, per esser tra gli Esserciti moneta di cambio: ma non già tra l’amicitie civili, dove la verità, e l’amore devono fare le prime parti, non dovendosi in niun modo confondere con modificationi ambigue il sì col no, e l’affirmativa con la negativa, forme usitate di parlare, che sovente condannano la Virtù, e giustificano il Vitio. Quindi avvenne, ch’ella, per non esporsi al pericolo di mentire, assai udiva, e molto taceva, comprendendo esser molto difficile accoppiarsi insieme con la loquacità la verità, e la secretezza, delle quali due virtù, e parti fu così tenace, e custode, che sempre s’osservò, non haver già mai mentito, e rivelato quel secreto che le venne comunicato; delché ben cento volte venutane al cimento, sorridendo non rispondeva, o passava ad altre materie, e si contentava anche in molte cose mostrarsi trascurata, & ignorante, per timore di non pregiudicare, o al prossimo, o a sé stessa, & era di questa grand’Anima suo detto ordinario, che chi non sapeva dire il vero; ne anche sapeva operare il bene.
Disciplinata in sé stessa, e modellata secondo le massime christiane la Contessa Margarita, tutta s’impiegò alla diligente cura, & all’esatto governo della sua Famiglia, procurando, e co’ precetti, e con l’opere, di trasformare in sé medesima tutti gli altri: ma perché dal pessimo esempio nasce il più delle volte la pravità, e dissolutezza de’ Figliuoli, niuna persona, fusse huomo, fusse donna, riceveva al suo servitio, che non fusse certificata da esatte informationi, esser di bona Indole, di conditione, di costumi disciplinati, e di bona fama, alla quale poi, e singolarmente se femmina dava in scritto di sua mano una diligente istruttione del modo, che haveva a tenere, e come a diportarsi nel servire, distinguendo poi fra tutti gli officij, e gli impieghi; accioché sapendo ciascheduno il suo debito lo potesse diligentemente adempire: ma procurava ancora a proportione del loro impiego compartire le dovute ricompense, considerandoli, come parte di sé stessa; mentre con essa dovevano sottentrare a regger la bona economia di sua Casa. Conosceva, che l’attioni degl’inferiori prendevano da’ maggiori il movimento: onde accioché il tutto dovesse con ordine caminare, statuite haveva le regole alle sue Figliuole, per virtuosamente vivere, e per agevolar loro di conseguirlo, distinte, e distribuite haveva l’hore del giorno, sin dal punto del levarsi, che dell’ire a giacere, & era loro del vestirsi limitato il tempo, che pretioso stimandolo, non voleva, che lo consumassero nelle vanità; Indi quello d’orare, perché cominciando dal Cielo terminassero felicemente il giorno: quindi quello de’ studij, di leggere, di scrivere, e d’Aritmetica, & altre conoscenze, che contribuiscono a formare la saggia femmina, dipoi quello di passare alle Chiese, per adempire alle proprie divotioni, a’ quali poi succedevano gl’Insegnamenti morali, le ricreationi, fra’ quali si framischiavano gli ammaestramenti delle virtù morali, e gli essercitij Corporali con l’applicatione in fine de’ lavori dell’ago, e d’altri industriosi ricami: sì che, senza mai lasciarle otiare, non le tediava: ma così alternatamente disponeva gl’impieghi, che il tutto riusciva loro di sollievo, e dilettevole trattenimento, e per maggiormente animarle all’operar bene, & ad adempire puntualmente ciò, che veniva loro prescritto, l’allettava co’ premij, e l’incitava con le lodi, e con gli atti di piacevolezza, che assai più del rigore stimava atto instrumento, per disciplinar coloro, che sono impastati di generosità, arricchiti di nobili sentimenti, e mossa da doppio affetto, sì di godere della vezzosa conversatione d’esse, che di poterle soavemente correggere, & ammonire, se havessero deviato dalla modestia, non mai l’abbandonava con gli occhi, e se conveniva, come sovente successe, di peregrinare altrove, e commettersi a’ longhi viaggi, le collocava dentro de’ Monasteri de’ più conspicui, e che havessero fama de’ più disciplinati. Voleva la gran Donna, che nulla mancasse loro di ciò, che conveniva alla propria conditione: ma non ch’eccedessero dalla modestia dell’animo, come dal diportamento del corpo; ben sapendo saggia, e compatire, e senza indiscreto rigore emendare le leggierezze dell’età. Fu premio della virtù della Contessa Margarita la perpetua hillarità, e vicendevole amore, che sempre si nodrì, e propagò, tra’ suoi Figliuoli, e tra la servitù più famigliare, tra’ quali mai s’udirono alterationi, o dispareri; ma concordi sempre vissero, e s’amarono.
Dalla compositione, e perfetta ordinatione del governo interno di sue stanze passava a quello di tutta l’altra sua Famiglia inferiore, disponendo il tutto con tal ordine, e soavità, che non si trovava, chi non havesse ambitione di sodisfare al suo debito, per ubbidire ad una sì degna, e buona Signora. Per unirli tutti col vincolo della Carità, dell’Amor di Dio, e divotione della sacratissima Vergine, ogni giorno li convocava una volta, e fattasi ella capo, recitavano avanti l’Altare di sue stanze alternatamente con voci divote le Litanie della medesima Madre di Dio. Ma perché ben sapeva, che la divotione riesce inofficiosa, quando non è accompagnata dalla pratica di caritatevoli operationi, non desisteva mai dal soccorrerli ne’ loro bisogni, e provederli nelle necessità, e singolarmente in tempo delle malatie. L’istessa Carità essercitava con coloro, ch’erano caduti in qualche indispositione spirituale, ammonendoli, e correggendoli. Rescindeva tutto il superfluo, che havesse potuto fomentare il lusso, ma esattamente osservava, che secondo le regole della stretta giustitia ad ogn’uno fusse a suo tempo compartito quanto se li doveva; ben conoscendo, che dove trovansi gli eccessi, sempre regna la necessità, figlia degl’inutili, e trabocchevoli dispendij, che conducono al fine all’indignità. Se alcuno de’ suoi Servitori havesse deviato dagli ordini prescritti per due, o tre volte gli ammoniva, e se havessero urtato in qualche dissolutezza, che havesse potuto arrecar scandalo, & esser di male esempio, con soavissima maniera, anche premiandoli li licentiava dal suo servitio, senza punto far apparire al conspetto del Mondo la loro mancanza. Con accurata applicatione faceva, che gli ordini statuiti nel governare la Famiglia, e Casa, non si preterissero in niun modo dagli Officiali subalterni, conoscendo, esser impossibile, che dove regna la confusione, possasi ben dirigere, sì la buona morale, che l’Economia, e la vera politica, che è quanto dire, il governo della propria Persona, della Casa, e del Principato, e siccome ella trovavasi sempre impiegata a’ proprij affari, non applicava a ciò, che facessero gli altri; né mai entrava negli altrui negotij, se non astretta, e pregata, & indi avveniva, che per tema di non pregiudicare alla giustitia, s’asteneva dalle raccomandationi, e protettioni di cause, e d’interessi, che riguardassero la giustitia, paurosa sempre o di pregiudicare al buon servitio del Principe, o al suo prossimo. D’animo fu sempre così retta, che non si osservò mai, che rimirasse niuno de’ suoi con affetto partiale, e che violasse già mai la giustitia distributiva, dando ad ogn’uno con somma puntualità tutto ciò, che le conveniva, e ch’era stato pattuito. Rescindeva però il superfluo, non per cupidiggia d’avanzare: ma per poter d’esso con più larga mano sovenire alle miserie de’ Religiosi, e de’ meschini. Tra quest’incessanti impieghi mostrava la gran sfera della capacità del suo intendimento: mentre sì pellegrinando, che dimorando in sua casa, o altrove, non lasciava passar giorno, che a sé non havesse trascielto qualche tempo, che non pregiudicasse al governo della Famiglia, il quale impiegava nello scrivere di sua mano in lingua patria tutto quello, ch’andava succedendo dentro, e fuori de’ Regni Austriaci, che fusse degno di memoria, registrandolo con espressione così chiara, & ordine così distinto, che se ne potrebbe hora formare una non men grave, che curiosa Historia, a cui non mancherebbero e politici, e morali riflessi.
Internata poi nella conoscenza dell’apparenze, e fugacità de’ beni della Terra, stimò sempre labili, e larvate tutte le fortune, grandezze, e contenti, che può dare il Mondo: quindi tutte le considerava con occhio indifferente: né si sollevava quando prosperi gli succedevano gli eventi: né si deprimeva quando sinistri gli avvenivano, tenendo sempre il medesimo tenore nell’humane vicissitudini, le quali le arrecavano il merito d’essercitare le sue christiane virtù. Stabile su questa massima non la scuoteva timore alcuno di sciagura, né d’infermità; né di morte, fuorché l’apprensione viva, che haveva d’offender Iddio; onde avveniva, che di frequente gettavasi orando in genocchioni piangendo le sue colpe. Con la continua meditatione della morte cominciò anticipatamente a non temerla, e ne discorreva con tanta hilarità, e franchezza, come d’un passaggio dilettevole a vita migliore; solo tal volta amareggiava questa sua consideratione col dubio della Divina gratia, la quale conosceva esser effetto delle celesti misericordie, da cui tutto il bene sì temporale, che spirituale riconosceva. Molti Santi havevasi eletto per suoi Intercessori, a’ quali ogni giorno pagava qualche tributo di veneratione, ma più vivamente confidava nella protettione della gran Madre di Dio, della quale invocava sovente per sé, per il caro Consorte, e per tutti i suoi di sua Famiglia la potentissima intercessione.
Su questo sicuro sentiere conduceva la religiosissima Contessa i suoi giorni, sempre ravvisando da vicino il morire; come se quell’Anima innocente inquieta aspirasse a goder ben presto gli eterni contenti, nulla altro sentendo, che la potesse intepidire da questo suo ferventissimo desiderio, che la svisceratissima unione, che haveva con quella del suo dilettissimo Sposo, che a tal segno amava, che gli esempij delle Donne più renomate al paragone eclissava. Quasi presaga della brevità de’ suoi anni sollecitava il Conte Marito, di consolarla col maritare l’altre due virtuose, belle, e leggiadre sue Figliuole, che appena giongevano all’età nubile, con Cavalieri di loro conditione; instanza, che venne esaudita dal Conte, che amandola più di sé stesso nulla sapeva dinegarle: quindi a concorrenza di molti due ne trascielse per virtù, nobiltà, e fortune a niuno secondi, e fu il primo il Conte di Ginski Signore, che in sé restringe quanto più di desiderabile si può augurare in un Cavaliere, & a questo diede in Isposa la Contessa Carlotta, che fa restar in forse il pensiere, se in lei più risplendesse; o l’angeliche fattezze del volto, o la bellezza dell’animo. Il secondo fu il Conte di Waisenwolff, a cui destinò la Contessa Henrichetta, che accompagnando la vivacità alla modestia, il brio, & il bello alla virtù vivace, forma un misto di parti così nobili, che trascende l’humana conditione: ma per l’immatura età dell’uno, e dell’altra si differì il matrimonio, che non hebbe la Contessa Madre la consolatione di vederlo effettuato. Passava in tanto lungi da ogni perturbatione d’animo in compagnia del caro Consorte i giorni tranquilli fra le domestiche pareti di sua Casa; ma non senza qualche indispositione contratta forse dalla passate fatiche, o stentose peregrinationi, & altresì dall’assidue cure, che si prendeva nel reggere, e governare santamente la sua famiglia: quindi concluso il matrimonio tra la Maestà di Cesare, & Eleonora Maddalena Teresa Principessa di Neoburg, se ne deliberò della celebratione la solennità nella Città di Passau; onde convenne al Consorte suo Marito seguitar la Corte, & assistere dell’Imperatore a’ Consigli, per esser una delle prime intelligenze del Cielo politico, che danno il moto alle più importanti deliberationi: quindi di repente insorse nell’animo della Contessa Margarita gli affanni angosciosi della separatione di qualche tempo dal suo caro, originati sempre dal timore, ch’ella haveva, che si potesse infermare lungi da’ suoi occhi, e non volendo per all’hora né lo stato di sua salute, né la convenienza, ch’ella lo seguitasse, mentre non si discostava da’ confini dell’Austria, ne restò ad ogni modo più che tormentata, a segno che passò sempre l’hore inquiete. Portatasi un dì contro il suo solito in tempo di pieno corteggio di Dame alla Corte dell’Imperatrice Augusta, comparsa, che recò ammiratione alla Maestà sua, che ben sapeva quanto ella fuggisse l’adunanze, e fu osservato esser così inquieta, che momento non si fermava in un luogo, onde per sollevarla più volte diedele l’Imperatrice occasione di divertirsi con grati ragionamenti: ma ella sempre fissa nell’apprehensione, che haveva, come ella disse, di non veder più il caro Marito, si mostrava inconsolabile, e portò il caso, che nel medesimo tempo, che di ciò si discorreva, fusse arrecata all’Imperatrice una Lettera di Cesare, & apertala immantinente, letto il primo principio (che sempre suole portare in caratteri più intelliggibili l’avviso del felice stato dell’Imperatore) tralasciò di proseguire avanti la lettura, rimettendola a tempo più opportuno, per poter cavarne l’intelligenza. Sospettò la Contessa, dall’interrotta lettura, che nella Lettera si contenesse qualche sinistro del suo Conte, e tocca da questo affanno, licentiatasi, partì, e posto appena il piede dentro di sue stanze, scrisse alla Contessa di Lamboij Maggiordomo maggiore dell’Arciduchessa Maria Anna d’Austria, che si compiacesse d’intendere da sua Maestà, se si conteneva nella Lettera o la morte, od altro funesto accidente del Conte; imperoché il cuore le presagiva, che più non l’haveva a vedere. Procurò la saggia Contessa di disingannarla: ma non a bastanza per toglierle la tormentosissima passione dell’animo, che immediatamente la distese abbandonata in un letto, e nel periodo di quattro, o cinque giorni la privò di vita; benché i Medici alle Vaviole n’attribuissero la morte. Conosciutasi l’amorossima Contessa agli ultimi periodi armatasi de Sacramenti, diede un A Dio per sempre al caro Consorte, lo raccomandò al Cielo, benedì i suoi Figliuoli, gli esortò nel santo timor di Dio, e poi preso un Crocifisso, esprimendo atti di ferventissima Carità, invocando sopra di sé le Divine misericordie, chiamando in suo ajuto la Sacratissima Vergine, e pronontiando, ma stentatamente, le parole dell’istesso Christo in manus tuas Domine commendo Spiritum meum, spirò l’anima fra gli amplessi del Signore.
Morì Margarita, cara gemma della Divina misericordia, vero specchio di purità, unico esemplare delle vere virtù, miracolo del suo sesso, e dir si può Fenice della perfetta Carità in questa età depravata. Morì per viver nel Cielo, lasciò il Mondo per farsi Cittadina dell’Empireo, si disgiunse dall’adoratissimo Conte in questa salma mortale per attenderlo ad unirsi seco in Cielo. Ne piansero i Congiunti, se ne rattristarono i suoi Cittadini, & in universale la compiansero, e la benedirono con meste voci i popoli, e celebrarono in fine il suo elogio i Caratteri medesimi di Leopoldo Imperatore, che n’espresse il cordoglio in una sua Lettera al Conte Raymondo suo Sposo, il quale giunto a Vienna, ritrovatala estinta, diede sfuogo alle passioni d’un tormentosissimo dolore, a cui per lasciar libero il campo di più infierire, non amasse ne’ primi giorni de’ più congionti gli officij consolatorij, e godendo di sempre più penare, permettergli assoluto il freno di sempre più tormentarlo. La passione altresì animata dall’amore sforzò l’anima sua ad isfogare qual fusse il crucio del trafitto suo cuore, che soffriva nella perdita dell’estinta compagna, il che restò espresso nel seguente Epicedio.
Tributo di Lagrime in morte di Margherita Contessa di Montecuccolo, nata de’ Principi di Dietrichstein
Margherita mio Core
Qual destin mi t’invola? Margherita
Mio tesoro, mia Vita,
Chi da me ti divide?
Qual tiranno dolore,
Per più farmi morire,
Per più fiero martire
Non vuol trarmi d’impaccio, e non m’uccide!
Come va il Mondo! Il bell’amato oggetto,
Che mi fu già di gaudio, e di contento,
Or che di sé m’ha privo, aspro tormento
Mi lascia al Core, e mi trafigge il petto.
Requie non trovo, e sol di pianto il letto
Bagno, mischio al ber Lagrime, alimento
Più che dal cibo, da’ sospiri io sento,
Sol nel duol mi compiaccio, e mi diletto.
A contemplarlo è l’anima si avvezza,
Ch’altro piacer non brama, od altra sorte,
E ciò, che non è desso odia, e disprezza.
Caro oggetto, se in vita a te consorte
Fui fido amante amato in contentezza,
Perché niegami il Ciel d’esserlo in morte?
Atropo altrui spietata, a me cortese.
Se vieni, ah non tardar, tronca lo stame
Di mia vita infelice:
Deh perché oimè non lice
Seguir le prische generose usanze
De l’inclita immortal Roma Gentile,
Che permetteva ad un’Eroico petto,
All’hor, che ’l Mondo a noia
Gli era, e la vita à vile,
Di propria man reciderne le fila,
E da la grave salma
Scioglier lo spirto, e liberarne l’Alma?
Mal’accorta natura,
Ch’opri contr’al costume,
L’ordin sconvolgi de l’usate forme:
Fai tramontar nell’Oriente il lume
Di colei, ch’è su’l fior de gl’anni suoi;
Ed io, che già col piè tocco l’occaso
Rimango addietro in angosciosa doglia,
Onde d’in su la soglia
De l’albergo di morte
Mi convien pur mirar l’orribil caso.
Ma che! non era degna, Anima bella,
Di ritenerti questa Terra: il Cielo
Già tersa, ripulita, al volo snella
Ti vide, e raffinate
Tue Virtuti, qual’oro
Ed in mille contese essercitate,
Chiedean già in premio il trionfale alloro.
La tu’ardente Pietate,
La tua Santa Onestate,
Le Vanità sprezzate,
La Bontà, l’Umiltate,
Il puro Amor, la Carità, gli Offizj
Verso poveri, infermi, e luoghi pij,
I digiuni, le preci,
Le fatiche sofferte,
Individua compagna
Né più aspri viaggi,
Per region deserte,
In orride stagioni,
Sotto rigidi Climi,
Tra fiere nazioni;
I continui disagi,
E i perigli affrontati
Ne le guerre, or fra l’arme, or fra’ contagi:
Le sollecite cure
In educar la prole,
In correger i servi,
In ordinar faccende, atti, e parole:
La Pazienza a sostener costante,
Le infermità, gl’aborti,
E le afflizioni de l’umana vita,
T’apriro al Paradiso aurea salita.
Or cola su tu godi, Anima santa,
E ne l’eterno Sol ti specchi, e vedi
Con quanta fé t’amai quaggiù tra’ vivi,
E come per seguirti
Apre lo spirto mio già l’ale, e come
Su le penne si libra,
E impaziente anela
Esser disciolto dal corporeo velo,
Per riunirsi al suo principio in Cielo.
Tu me l’impetra, ed in contriti accenti
Sì innanzi a Dio reca i miei Voti ardenti,
Signor tempra gli sdegni,
Ch’in te hanno acceso li miei falli indegni;
Piango i perduti tempi,
L’ore mal spese, e ‘l vaneggiar mio folle,
Veggio, che ciò, che qui piace, e trastulla
E’ una favola breve, un vano sogno,
Un fumo, un’ombra, un nulla;
Me ne pento, e vergogno,
Grido mercé de le mie colpe, e l’onte
Non che col pianto, vo’ lavar col sangue;
A tua Pietà ricorro, in questa fonte
Consenti, o Dio, ch’jo immerga
Le labbra, e quivi mia salute jo beva,
E li peccati asterga;
Di tua Grazia efficace
Il Montecuccoli, che tanto è a dire, quanto il Compendio di tutti la virtù, e valore de’ trasandati Heroi, non è men formidabile a’ nemici in guerra con la spada, che in pace ammirabile appresso del Mondo Litterato con la penna, havendo congionte, senza nota d’adulatrice menzogna in grado eminente le due parti del Dittatore di Roma, forse, e senza dubio superiori nella pietà, e moderatione. Meritarono i di lui flebili accenti d’esser compassionati, e consolati insieme da una Penna Augusta, che s’attribuisce per le sue trascendenti virtù il nome dell’Immutabile, della quale sono le due seguenti ottave.
Sollievo, che dal Cielo dà l’Anima della Contessa Margherita Montecuccoli all’afflittioni del Marito.
A che piangi o mio Core, e qual dolore
T’affligge sì, che non comprendi almeno,
Che qua giù mai non può goder un Core
Felicità, che lo contenti appieno:
Ti svelse l’Alma mia dal tuo bel seno
Cessa dunque, che t’amo, e non tel celo:
Sol per riporla negli ceterni giri,
Ove Amante amerò senza Martiri.
Sappi dunque, che t’amo, e non tel celo:
Ond’in me havrai, e protettione, e aita,
Acciò non erri mai la via del Cielo:
E possi poi doppo la mortal Vita
Unirti meco, e con ardente zelo,
Vagheggiar la Beltà, ch’è in Dio scolpita.
Così unite havrem qui le nostre tempre
Amando in lui, e noi godendo sempre.
Le grandi emergenze di Stato, e di guerra, che correvano di quel tempo su ‘l Tapeto del secreto Conseglio richiedevano la presenza, e la maturità del Conte, per acertarne le più sicure deliberationi: quindi la Maestà di Cesare, che molto deferiva alla di lui esperimentata prudenza, si risolvé con espresso di chiamarlo privandolo di quelle consolationi, che ritrahe un’anima amante dall’isfogare col pianto l’amarezza di quel cordoglio, che la tormenta. Sacrificando al buon servitio del suo Augusto il Conte sollecitò la partenza verso Lintz, senza timore di rischio, o apprehensione di rigidezza d’Inverno, prese su le Poste il camino, & Iddio, che voleva far prova della sua christiana costanza, permise, che mentre frettoloso correva, restasse in un rivo agghiacciato quasi sommerso, e dal quale non senza pericolo della vita ne venne, quasi che intirizzitto, estratto per algenza del freddo, & appena mutatosi di panni, riscaldato alquanto, non arrestò il piede, ma proseguì il viaggio, e colà gionto con generosi compatimenti venne accolto dall’Imperatore, & ivi dimorò sino al ritorno, che fece tutta la Corte alla gran Metropoli.
Libro quarto
Contenente i Funerali, & Epicedi
Ricondottosi il Conte Raymondo di Montecuccolo in seguito delle Maestà Auguste a Vienna, & havendo alquanto respirato da’ suoi angosciosi affanni, pensò di rendere a quell’anima grande i dovuti suffragij con una solennissima pompa di funerali nella Chiesa Cesarea della Casa Professa de’ Padri della Compagnia di Giesù, dove furono deposte le sue ceneri per sin al dì della finale resurettione, e doppo d’haver impiegato per render magnifico il doglioso apparato, il proprio pensiere, e l’arte de’ più periti Architetti, perché ne disponessero le parti, trascielto poi tra’ primi Oratori della Compagnia il Padre Francesco Saverio Wisman, accioché si compiacesse di celebrare le di lei virtù con un’Oratione degna del suo erudito, & eloquentissimo ingegno, per sua instruttione tramandogli il Conte di suo pugno il seguente Viglietto, che servirà qui, descrivendolo, di degno elogio.
Parmi, che la mia carissima Consorte defonta, la cui anima essulti in Paradiso, sia stata ornata di tante, e così singolari virtù, che gli saria farle torto, il defraudarla d’un’orazione funebre nelle di lei essequie, sì per ricompensa del merito, che per essempio d’imitazione ad altri. Fonti copiosi di lodi, e di elogio posson essere, l’Onestà, la Pietà, il Disprezzo delle cose terrene, e delle vanità, la Modestia, la Divozione, l’Elemosine, i Digiuni, la Carità verso del prossimo, e de’ poveri, ch’in essa regnavano: l’amor tenerissimo matrimoniale, e materno, onde il suo cuore era del continuo ardente. Quindi derivò la sua inseparabil, e fedel compagnia al marito ne’ disagi, nelle fatiche, ne’ viaggi, ne’ pericoli delle Guerre, de’ contagi campestri, de’ climi più rigidi, e delle Nazioni più fiere. Quindi nacque l’assidua sua applicazione, e diligenza alle cure domestiche, all’educazione de’ figli, alla disciplina de’ serventi. Quindi hebbe origine l’assistenza continua all’infirmità de’ suoi, senza punto annoiarsi, e senza la minima apprensione che derivar potesse in sé stessa il male, ch’ella cercava d’alleviare, e di riguarire in altrui. Quindi ella sofferse con ammirabil pazienza l’infirmità, i parti immaturi, gli aborti, e l’afflizioni dell’umana vita.
Adempì il Padre gloriosamente le sue parti, facendo in un medesimo tempo spiccare non men i meriti sublimi, e l’angeliche doti della Contessa Margarita, che il pregio della sua nervosa Eloquenza.
Oratione funebre overo Porta del Trionfo delle virtù della già Contessa Margarita di Montecuccolo nata de’ Principi di Dietrichstein, detta dal Padre Francesco Saverio Wisman Predicatore ordinario della Catedrale di San Stefano di Vienna d’Austria nella Chiesa della Casa Professa della Compagnia di Giesù. Trasportata dall’Alemanno nell’Italiano linguaggio dall’Autore.
E qual muto sì, ma lagrimevole rimbombo tra questi funesti apparati percuote con insolito portento le mie orecchie! E come in sì profondo silentio risuonano con istrepitoso susurro dolorosissimi accenti, che insinuandosi negli animi tormentati, trafiggono i nostri cuori! Saranno forse le dure pietre di queste sacrate Mura, che vestite di nere Gramaglie, che riscaldate, & ammollite da queste accese, ma piangenti faci intraprese le nostre veci, mentre le nostre lingue dal dolore rese di sasso ammutuliscono, disciolte elleno in amarissimo pianto, deplorano una così repente caduta. Non è, non è nuovo! che le Creature insensate sottentrino agli officij delle ragionevoli, e paghino il tributo delle lagrime all’humana conditione. Alzeranno le voci le pareti, e ripeteranno l’echi dogliose le Travi, che reggono gli Edificij, esclamò nel secondo de’ suoi profetici Oracoli Abacuk. Voi, voi dunque, per altro candide, ma di nero lutto coperte Mura lagrimate, lagrimate le nostre sciagure. Ahimè ben’intendo il vostro favellare. Quel Borea impetuoso, mi dite, che scatenatosi dalle Caverne colà nelle solitudine Husane scosse, & atterrò la Casa dell’Allegrezza, dando in un momento e morte, e sepoltura a’ sette prediletti Figliuoli, e tre amatissime Figlie, spegnendo intieramente la prosapia, e la letitia di Giob il patientissimo, come registrato si legge di questo scoglio di sofferenza nel I v. 19 della sua Historia. Quello, quello fu, che nel tempo appunto, che dal Cielo si stacca la pietra angolare per fecondare l’utero sempre puro, e Virginale di colei a cui già mai contagio di colpa non hebbe cuore d’avvicinarsi, che divenne poi fondamento della Chiesa di Dio, e delle universali speranze, e felicità de’ Fedeli, come predicò Paolo agli Efesini (c. 2 v. 21) urtò, crollò, & abbatté quella Colonna, sopra di cui si reggevano e di Montecuccolo, e di Dietrichstein le consolationi, perché ivi restassero sepolti i vostri cuori. Da un fiato pestilente di morte restò estinta, oh dolore! la Contessa Margarita di Montecuccolo, nata de’ Principi di Dietrichstein. O quante pupille per caso sì sventurato sommerse si veggono in un Oceano d’amarissimo pianto! O quanti tinti di gelido pallore portano effiggiato nel volto il tormento dell’anima, & inscritti nella fronte del primo de’ Regi (15 v. 23) i descritti accenti Siccine separat amara Mors. Così dunque, o inesorabil Parca separi dal suo caro Consorte la dilettissima sposa! Così l’amantissima Madre da’ suoi prediletti Figliuoli: Ahimè! O quanto breve! ma più intralciata d’angoscie, e di dolori è la carriera di nostra vita! (Sap. 2.1). O mors quam amara est memoria tua! Eccl. (41 v. 1). O morte (ma simil morte) quanto amara è la tua rimembranza, che inflessibile a niuno perdoni! Tronchi, e tagli il germoglio di nostra vita all’hora, che sta su ‘l più bello del fiorire, & estingui il lume all’hora, che sul’auge degli anni più serenissimo splende. Tu crudele! Tu Tiranna rapito m’hai il fiore de’ miei contenti, il pregio di mie fortune, Margarita dico mia cara, ornamento glorioso dell’età mia languente? Così piange, così deplora il tronco nodo de’ suoi casti amori, che resta in vita per viver sempre fra i dolori; impercioché come disse il più sapiente degli huomini Mulier diligens corona est viro suo (Proverb. 12 v. 4). In fatti Diadema, che corona le tempie con sue amorose sollecitudini al suo generoso Consorte è donna manierosa, e nelle cure domestiche diligente. O spietata fautrice de’ Masnadieri, implacabil Furia de’ più tetri Abissi, tu, tu estinguesti il bel sol di Margarita mia dilettissima Madre, e feristi d’un amore filiale, e lagrimevole il cuore. E ben’a ragione s’ecclissato resta il Sole della Madre, conviene, che spenti restino i Figli, che sono d’essa i chiari raggi (2 Reg. v. 4). Qual dilettevole diporto arrecheracci la ventura Primavera, quando saranno le di lei tempie spogliate del suo bel fiore! Qual frutto di giulivo trattenimento potrà l’Estate produrre ne’ nostri cuori: mentre non ci sarà concesso di vagheggiar con occhio ridente un dì solo di bel sereno? morta è Margarita, estinto il nostro gaudio, e più non vive! Sbandite o mesti il pianto, fugate da’ vostri cuori l’aspro dolore, cessino le lagrime, e fate tregua agli angosciosi affanni, ch’io hoggi a voi ne vengo con nuova assai migliore di quella, che venne arrecata per l’estinta Figliuola al Principe della Sinagoga, & affidatto alle gran virtù di Margarita mi prevaglio con voi delle Parole dell’Autor della Vita registrate in San Marco 5.39 Non est mortua Puella, sed dormit. Non, no, che non è morta la gran Margarita, ma dorme: anziché s’ella dorme col Corpo con sonno soave nel grembo della Madre de viventi, vive con lo spirito in Cielo, e regna colà su con Dio: onde con sentimenti di piissima confidenza giova credere, che da questo Ergastolo terreno sia passata a godere degli agi di quella habitatione, che persevererà nel Cielo per tutta l’Eternità. Simus enim, quoniam si terrestris domus nostra huius habitationis dissolvatur, quod aedificationem ex Deo habemus, domum non manufactam, aeternam in Coelo. (1. Cor. 5.1). Soavissimo fiore fu Margarita per la fragranza di sua purità, da cui stillossi il balsamo soavissimo di tante heroiche virtù, che perciò venne da questa bassa terra sbarbicato dalla mano delle Misericordie Divine per piantarlo nelle celesti magioni. Placens Deo factus est dilectus & vivens inter peccatores translatus est. (C. 4 v. 10). Qual sole scintillante d’Angeliche doti si propose esempio; anzi ogetto d’ammiratione al nostro Secolo: onde a gran ragione ben se gli deve l’Elogio dello Spirito Santo Sicut Sol oriens Mundo in altissimis Dei, sic mulieris bonae species in ornamentum domus suae. Né vi sembri lontano il paragone del Sole, che spuntando nell’Oriente fa, che risplendino adorne di serenissimi fregi l’opere del gran Facitore; imperoché la Contessa Margarita, che fu l’ornamento della sua Prosapia, risplende hora, e vi persuade la pietà christiana, sopra un firmamento di Stelle, che così de’ giusti promise il Redentore, che havranno indi a lampeggiare quai Soli nel Regno di suo Padre (Matth. 13.43). Nel fermare la consideratione sopra l’Oracolo dell’increato Sapere Qui possidet mulierem bonam, inchoat possessionem: adiutorium secundum illum est, & columna ut requies (Eccl. 36.26) mi figurai la Contessa Margarita, che fu del suo gran Consorte il più caro bene, e più valido sostegno, e stabile Colonna, che potesse con inconcussa costanza reggere un così bello edificio di tutte le virtù, qual era la sua disciplinata famiglia. E’ stata, è vero, scossa la sua Casa da quel turbine, che il tutto atterra, caduta la Colonna di sua vita: ma non perciò rovinata la gran mole; imperoché dell’Anime innocenti, quale fu quella di Margarita, sostiene le veci l’onnipotenza Divina justus cum ceciderit, giurò Iddio appresso del Regio Profeta, non collidetur, quia Dominus supponit manum suam (Psal. 36.24). Ma dove ci guida il pensiere a concepire, se infranta non è questa gran Colonna in sì grave caduta ella sia stata di nuovo inalzata? Date luogo se v’aggrada alla patienza, e con vostro sommo contento l’intenderete. Sta, attendete, l’Agnello di Dio su l’alta cima del Monte di Sion, e circondato da Falangi di Vergini invitte, e contemplando con occhio sereno coloro, che fiacchi di lena non possono per colasù giongere, e superare l’impercettibile altezza, ne meno avvezzare la lingua al canto per imparare quella nova Canzona, ch’odono con voci festevoli cantar da solo cento quaranta quattro milla, che furono alla servitù di questa Terra infelice ricomprati (Apoc. 14.5). Li chiama, e li consola con queste amabilissime voci. Qui vicerit, faciam illum Columnam in Templo Dei mei, & foras non egredietur amplius, & scribam super eum nomen Dei mei, & nomen Civitatis Dei mei novae Jerusalem, quae descendit de Coelo a Deo meo (Apoc. 3.12). Chiunque (dice a’ militanti in questa bassa Terra) sarà vittorioso, lo formerò in Colonna nel Tempio del mio Dio: né giammai ne resterà escluso, e sopra di lui inscriverò il nome del mio Dio, & il nome della nuova Gerusalemme Città di Dio, la quale divenendo da Dio, discende dal Cielo. Parole, e promesse, che corrispondono a quell’altra del medesimo Signore registrate dall’istesso Giovanni nel ventunesimo delle sue Revelationi. Ego Joannes vidi sanctam Civitatem Jerusalem novam descendentem de Coelo, a Deo paratam, sicut Sponsam ornatam viro suo. Vidi io Giovanni la Città santa di Gerosolima descendere dal Cielo da Dio preparata, e qual Sposa, che va al suo Sposo ornata, che altro non intese lo Spirito Santo di significare per il Tempio del suo Dio, che la bellissima sua Sposa, ch’è la Chiesa trionfante, o pure l’adunanza di tutti gli Eletti nella descrittione esatta di questa santa Città notando tutte l’altre parti, che l’adornano, non fa Giovanni nell’Apocalisse commemoranza di Colonna alcuna, ma bensì diligente Architetto descrive le dodici Porte, che sono, dice egli, dodici Porte ingemmate ciascheduna d’esse di dodici Margarite, e le dodici Porte ogn’una d’una Margarita Duodecim portae duodecim Margaritae sunt per singulas, & singulae portae erant ex singulis Margaritis (v. 21). Ma il sapiente de’ Re, da longi con spirito profetico, come s’egli fusse stato presente alla struttura di questo gran Palazzo, o nuova Città, vide il grand’Artefice occupato nel pretioso lavoro di sette colonne: Sapientia aedificavit sibi domum, & excidit columnas septem (Proverb. 9.1). Edificossi la Sapienza una Casa, e v’inalzò sette colonne: quindi osservo esser state dall’Angelo chiamate colonne le Porte, & altresì dal Profeta le Porte per colonne, perché intender non si può, che mai si chiudino le porte, che sempre sono spalancate, chi non vuol contradire all’istessa Scrittura. Portae ejus non claudentur per diem. Così è; i gran Portali della celeste Gerusaleme non haveranno Valve per esser chiusi né di giorno, né di notte, perché ivi sarà sempiterno il giorno: Nox enim non erit illic (Apoc. 21 v. 25) ma saranno in guisa d’un Arco trionfale, per il quale passerà il trionfante Giesù d’una sol Margarita sopra diverse Colonne inalzato, che saranno conteste di sì pretiosa Gemma, che dalla sua nobiltà darà di sé il nome alla Colonna. Ma come s’accorderanno insieme l’Angelo di Patmos, che annovera dodici Porte, e Salomone, che solo di sette Colonne divisa. Ben l’intendono quegli Interpreti, che non alle parole, ma al mistero s’appresero; imperoché molte Anime resteranno santificate per l’eccellenza, e virtù della fede, che in dodici Articoli predicarono gli Apostoli. Altre dichiarate giuste s’inalzeranno in Colonne designate col numero di sette, per i sette doni dello Spirito Santo: onde prendendosi il numero certo per l’incerto, dodici diconsi le Porte, e sette le Colonne, che formano la Casa del grand’Iddio.
Non pensate già mesti Auditori, benché con occhi lagrimanti, di ritrovare allo sfavillare di tante faci ardenti hoggidì nel Sepolcro sotto le fredde ceneri i pretiosi frammenti d’una Colonna di sì sublimi virtù, rovesciata, & infranta dall’insuperabil forza dell’inesorabil Parca. Né v’inganni il pensiere di credere, ch’estinta tra’ morti soggiorni la Contessa Margarita. Richiamate alla memoria ciò, che mi persuado, che scordati per anche non vi siate, cioè a dire, quali fussero superiori al Sesso, e più che virili le di lei posse, con le quali della Carne, del Mondo, e del Demonio pugnando, mentre ella visse, gloriosamente trionfasse. Voi ben sapete, quanto nell’ultima tenzone de’ suoi ultimi trambasci superasse di patienza, e di costanza gli esempi de’ più perfetti Religiosi, e degli Heroi più grandi. Quindi il nostro & amoroso Giesù acciò non cadesse agli urti più ostinati vi suppose la mano: accioché questa Colonna di virtù christiana si conservasse intatta, e fusse collocata in trofeo de’ secoli nel Tempio di Dio.
In questo Tempio già dalla Misericordia Divina venne chiamata questa gran Donna, che seppe condannare come fallace la venustà, come vana la bellezza per solo acquistarsi il pregio d’essere Ancella timorosa di Dio; massime, che a lei impresse nel cuore lo Spirito Santo. Fallax gratia, & vana est pulchritudo, mulier timens Dominum, ipsa laudabitur (Proverb. 31 v. 30).
Qual pregio può vantare leggiadria di nobil diportamento, che ben presto inlanguidir si vede? Qual merito può vantare la bellezza d’un volto, che qual ombra fugace svanisce? ogetto solo d’impazziti Amanti, che appunto per una Sol lettera si distinguono gli amanti da pazzi amantibus ab amentibus unius litterae variatione discernuntur. Di saggio avvedimento fu sempre incontrastabile verità, che la leggiadria, e la venustà, altro non fossero, che un’apparenza mentita, che una larva dipinta, che un sacco colorito al di fuori, riempito di lezzo, e succidume, delle quali si può dire: vanitas vanitatum & omnia vanitas. Ma una Donna generosa, e forte, che ferma il Signore, merita di lode immortale gli Elogi. Ma di dove si caveranno gli argomenti di questi encomi, per celebrare le sue gran virtù, ditelo voi, o sommo Consolatore. Date ei de fructu manuum, & laudent eam in portis opera ejus. Compartitele pure il frutto delle sue mani, e la lodino nelle porte l’opre di lei. Come se dir volesse, spiega Quirino Salazaro (in l. c.) non deonsi l’opre sue sepellire nella porta del sepolcro: ma rinsuonare nell’orecchio; sfavillante negli occhi, & inalzata tra le nuvoli, come in Arco trionfale assisa, accompagnata da tanti rinsuonanti encomi, quante sono le virtù, delle quali va fregiata quell’Anima grande, & al comparire su quelle beate soglie maravigliansi gli Angeli, e l’accompagnano canzoni d’eterne lodi; qui dunque nella Porta della celeste Gerusalemme, Porta d’una perla edificata con occhi non più bagnati di pianto, ma ripieni di giubilo, e d’allegrezza vedrete la nostra Contessa Margarita coronata di gloria: ond’io mi congratulo con essa lei di sì sublime honore: perché se quella Porta ornata di tante colonne, o pure Arco trionfale in ciascheduna delle quali rimirasi risplendere una perla scolpita, non sarà dunque di ragione, che d’una d’esse sia singolarissima Gemma la nostra Margarita? Grande, io dico, per il prezzo delle sue gran virtù è Margarita, che supera di gran longa quelle dell’Eritree Conchiglie, e di quante mai fussero nel seno del Mar d’Oriente pescate, o dall’Egitiaca, e superba Regina in aceto disciolta, apprezzata alla valuta d’un Regno: ma Perla, che dalla ruggiada delle Gratie divine nella conca d’un cuore puro, & innocente cresciuta, e trasportata nelle mani del Celeste Gioieliere, tanto la stima, quanto vale il Cielo (Matth. 13). Hora intendo, come la Sapienza eterna habbia voluto d’una Perla inalzare una Porta, o Colonna trionfale nel Campidoglio de’ Beati, per ivi scolpirla, addittandomelo non solo il nome di Margarita, ma il chiarore delle sue peregrine virtù per chiamarsi nell’idioma latino le perle, come riflette il Silvera nel cap. 21 Apoc. v. 21 uniones, denominatione, che nasce, se si crede a’ naturali, dal non ritrovarsi mai più d’una Perla in una conca, che perciò fu rassomigliata al timor di Dio, & all’unione con esso. Amore, e stretto congiongimento, ch’hebbe sempre Margarita col suo Dio, al di cui divin volere si conformava in guisa, che con lieto cuore riceveva dalle sue mani sì il bene, che il male. Sapeva ben ella, che il più stretto vincolo dell’anima con Dio: anzi la Calamita, che a sé l’atrahe, od il Sole, che il tutto a sé rapisce, era il Santissimo Sacramento dell’Altare, che ha forza di far vivere la Creatura in Dio, e Dio nella Creatura. Bel rincontro di nome, racconta Lodovico Granata nella terza Predica della Natività del Signore, della Beata Margarita Castellana dell’Ordine Domenicano, nel di cui cuore doppo la morte trovossi una gran Perla, nella quale vagheggiavasi scolpita la bellissima Imagine di Giesù nel Presepe, finché pare, che s’avverasse in quell’Anima pura ciò, che chiedeva lo Sposo celeste dall’infervorata de’ Cantici. Pone me ut signaculum super cor tuum, ut signaculum super brachium tuum (Cant. 8.6). Imprimi, o diletta, me qual tessera sopra il tuo cuore, e qual sigillo stampami sopra il tuo braccio. Vult, spiega Teodoreto, Salvator, ut eum pro signaculo in contemplationibus, & in actionibus nostris habeamus, & notam ipsius tum dictis, tum factis imprimamus, come se dir volesse, che chi ama Iddio è di necessità stamparselo nel cuore, e su ‘l braccio, per conformarsi con lui co’ pensieri, e con l’opere. Mi sia dunque lecito senza punto mentire, il dire, che il cuore, e l’Anima della nostra Contessa Margarita fusse sempre stata una pura Perla, in cui fusse impressa l’imagine di Giesù, poscia che sempre, e singolarmente ne’ brevi periodi di sua infirmità così si era inviscerata nell’amore di Dio, che non altro sapeva, che articolare, che desiderare, e pensare che di Giesù, e con sì fervente desiderio d’unirsi a lui, e conformarsi col suo divin volere, che qual Mongibello ardente d’amore tramandava visibilmente fuori dal suo corpo accesi ardori, che dal cuore degli Astanti traheva i sospiri, e dagli occhi dirotto il pianto spremeva, e da’ lampi de suoi affetti ben si vedeva, che nell’Anima sua già regnava Iddio, & haverebbe potuto esclamare con Paolo: vivo, ma non più io, perché vive in me Christo mio Signore: Vivo ego jam non ego, vivit tamen in me Christus.
Argomento, che altamente haveva impresso nel cuore il nome di Giesù fu, che essendo da’ dolori combattuta, e dall’adombramento di fuliginosi nembi, di maligni vapori condotta a delirare, e volendo tentarsi gli ultimi sforzi per risanarla con un’amarissima medicina, alla quale non poteva dar partito alcuno per prenderla, ricordatole, che ciò era voler di Dio, a cui per amor suo doveva prender quel Calice amaro, con avida brama, come le fusse stato un nettare di Paradiso, avidamente stese la mano, la bebbe, e benedì il Signore.
Non sarà dunque, la nostra Margarita una Perla pretiosa: anzi un’unione, che la stringeva perpetuamente con Dio? certo che sì: anzi una fulgente Margarita, che formata in orecchino ammonisce l’istesso Sapiente, e fa, che porga ubbidiente l’orecchio alle voci di Dio: Inauris aurea, & Margaritum fulgens, qui arguit Sapientem, & aurem obedientem (Proverb. 25.12). Parole così misteriose, che diedero che pensare a’ sacri Espositori, che l’intesero del profitto, che cavar si dee da coloro, che con humiltà di spirito ricevono ubbidienti l’emenda degli errori, la riforma de’ costumi, che risplendon poscia qual folgoreggiante Margarita, Recte humilis, scrive il Venerabil Beda, auditor inauri comparatur aureae, qui dum libenter arguenti aurem accomodat, jam se ad recipiendam claritatem coelestis Sapientiae praeparat. Recte Doctor eruditus Margarito fulgenti assimilatur, quia dum emendationem morum ostendit, quasi aureo ornatui majorem insuper, gratioremque fulgorem gemmae ardentis adnectit. Quasi a chiare note voglia dire il Venerabile, che i Figli ben educati, & ubbidienti altro non siano, che l’unica allegrezza, e consolatione de’ Progenitori, come pure pretiosissimo, e singolar ornamento della Famiglia, qual’è appunto la Gemma dell’Orecchino. Filij tibi sunt (Eccles. 7.25) erudi illos: Filiae tibi sunt, serva corpus illarum. Ti diede Dio figliuoli, ammaestrali nella virtù, ti diede figlie, sy custode della loro purità: Debito indispensabile a’ Padri, che obligò Paolo a condannare di miscredente, & infedele colui, che de’ suoi trasanda la cura. Qui domesticorum suorum curam non habet, fidem negavit, & deterior est infideli. Qual gran saviezza, e finezza di spirito possedesse questa perfettissima Maestra, dico Margarita Contessa di Montecuccolo di tutte le christiane virtù, e morali discipline, lo predichino coloro, che hebbero in sorte di conoscerla in vita. I propry esempi furono i veritieri insegnamenti, co’ quali nella pietà, e divotione ammaestrava i suoi. Chiamo qui la regolata disciplina di sua Famiglia, i tratti di somma modestia, e divota riverenza, con la quale trattenevasi con Ecclesiastici d’ottima Fama. Gli essercitij spirituali, ne’ quali con quelli di sua Casa di mattina, e di sera si essercitava, a’ quali per lo spatio almeno di mezz’hora faceva, che ogn’altra economica attione cedesse il Tempo: anzi tal’hora non ben paga a pieno dell’Oratione del Giorno levavasi di Notte ad orare, imitando l’esempio del Regio Profeta. Le testimonianze invoco de’ Direttori di sua coscienza, che stupidi ammiravano, che senza disapplicare dal governo di sua Casa tanta cura havesse di trasciegliere il Tempo per coltivare la propria innocenza, onde a ragione di sé stessa potea dire ciò, che ridice la Sapienza eterna: Ego diligentes me diligo, qui mane vigilant ad me, invenient me (Prover. 8.12). Riamo chi mi ama, e mi ritrova chi di buon matino mi cerca. Fu Margarita quel Mare che, l’acque sue diffonde ne’ fiumi, ne’ rivoli, e ne’ fonti. Fu qual Pedale, che con feconde radici spande moltiplicati steli: Fu qual Sole, che diffondendo i suoi splendori, illumina le Stelle del Firmamento. L’attestino con tutti quelli di sua famiglia i proprii Figliuoli, che da lei, e da’ suoi esempi appresero una piena di virtù, con le quali procurava di stampar loro nel cuore la viva imagine di Christo. Ma perché ella era anche paurosa, che si dileguassero gli esemplari suoi ammaestramenti, descriveva con le proprie mani sì le regole delle virtù morali, che i precetti della vera pietà. O ben grande, pretiosa, e rilucentissima Margarita fosti tu, o grand’Anima, della quale il prevaricato Mondo, nelle sceleranze immerso, non era degno di godere! che perciò a gran ragione qual Colonna, o potentissima Porta della nuova Gerusalemme da Dio fosti colà su trasportata.
Mi sono, contro il mio istituto, rapito senza avvedermene dalla moltitudine di tanti, e sì lodevoli essercitii, che maggior Tempo ricercarebbero per riandarne una picciolissima parte, trattenuto nell’unica prova di questa mistica, e trionfale Porta, inalzata in fregio nella Patria de’ Beati. Già havete veduto descritta la struttura di questa gran Porta sostenuta da sette Colonne, che hora il modello ne vagheggiate in questo Augusto Tempio eretto nelle pompe funebri, anzi direi festanti, della Contessa Margarita: Resta hora, che di tutte le sue parti, e de’ Simboli, che d’esse fregiano, conforma a ciò, che mi viene imposto, ne udiate l’esplicatione. Fia dunque d’uopo (benché più proportionato sarebbe il silentio a celebrare di sì gran Donna le gesta, che alla mia rozza eloquenza conviene) che, apigliandomi all’ingionto di Salomone, entri nel grand’Atrio, accioché si verifichi, & laudent eam in portis opera ejus. In questa gran Porta spicchino pure l’opre sue, e sian quelle, che gl’intessino gli Encomi. Non longi dal mio pensiere vanno a colpire le parole della Sapienza eterna, ch’edificò il suo Palazzo, in cui eresse sette Colonne, che formarono gli Archi trionfali, ne’ quali si vedevano iscritti gli Elogi. Hor avvicinatevi voi, che sin’hora vi sete compiaciuti d’attentamente udirmi, e figuratevi di vedere sopra di questo gran Catafalco sollevata fra splendide nuvole la Gran Contessa Margarita qual Perla, che ingemmi le sette Colonne, o l’accennata Porta del Cielo, nel mezzo della quale, nella più sollevata estremità apparisce, come vaggheggiate, candida Colomba, e con ramo d’Ulivo, presagio di fortune, con liberi voli ritorna, e non s’arresta come il Corvo sopra l’immonde carogne del Mondo, all’Arca fortunatissima del Patriarcha Noè, con quel bellissimo Emistichio uni servo fidem, e vuol dire, che non infedele come il Corvo lascia il Cielo per la Terra: ma qual Colomba altra fortuna non riconosce, che il ritornare all’adorato Bene. Ad comparem, esclama Grisostomo (hom. 26) in notum hospitium redit. Accioché si conosca, essere la Colomba costante nella fede coniugale, perloché pregiossi l’Amante Celeste di chiamare la Sposa diletta de’ Cantici sua Colomba Veni dilecta mea, veni Colomba mea veni.
Contemplato questo primo simbolo, rivolgete lo sguardo alla destra, e vedrete sopra della seconda Colonna alzarsi un picciolo Colle, in cui stende le foglie verdeggianti un Pomo, che fa pompa de’ frutti suoi maturi, che pare, che ci inviti a godere delle delitie di sue amenità, e se ben fermarete in esso le pupille, ravisarete scolpito su ‘l tronco il presente Emistichio: Hic duo non duo sunt. O bella, & amorosa contraditione! sono due, e non sono due; Emblema degno d’essere spiegato dall’eruditissimo Alciato:
Fert folium linguae, fert poma simillima cordi
In guisa d’una lingua son le foglie
E simile ad un cor frutto si coglie.
Da quali Carmi insorgono peregrini misteri, quasi che nella simbolica Pianta voglia esprimersi un vero Israelita, un huomo candido, e sincero, il di cui cuore è lingua, la di cui lingua è un cuore, perché una cosa sola e pensa il cuore, e parla la lingua. Fatevi avanti su la sinistra alla terza colonna ornata da una fiorita Rosa, sopra le di cui verdeggianti foglie sta pargoletta Cicala, che se bene avvezza su ‘l ardente Meriggio rendere con i suoi tremoli accenti delitiosi i campi per l’assenza del suo Sole mesta, e muta la contemplarete, leggendo bensì sopra l’estremità delle foglie di quella pianta reale a lettere d’Oro, per Emistichio, l’Oracolo d’Isaia (33 v. 3) Quasi absconditus vultus ejus, e resa parlante la Cicala, ella ancora parla con Lettere d’oro al dorso: Sileo dum non ardet. Si nasconde quella per mancanza del Sole, ammutolisce questa, che più non arde, o bei simboli dell’Anima grande di Margarita, che non pronontiava parola se non animata da Dio, co’ movimenti del quale per render più glorioso il suo merito, ordinava, e dirigeva tutte le sue cristiane attioni, & Angeliche virtù. Oggetto sarà di vostra attentione la quarta Colonna, sopra della quale scorgesi ondeggiante un Mare, sopra di cui galleggia una Nave con vele sciolte, & abbattute senza alcuna armeggiatura, Impresa, che per la parità delle virtù fu presa da’ Regii funerali, che celebrò la gran Città di Milano ad Isabella di Borbon, & a cui l’Imperatore istesso pose l’Emistichio: Afflanti obsequor: cioè a dire colà io vado, dove mi conduce il vento, il che postillò Lipsio (lib. 4 cap. 1 de admirandis). Christianus animus per haec tempora Deo vocante totis velis in eum fertur. Nel Mare di questa Vita mortale naviga l’Anima christiana co’ venti delle gratie divine, che escono dagli immensi Tesori, di sue misericordie; e ciò forse intese lo Spirito santo di volere, che s’intendesse essere, l’Anima fedele, qual fu quella della nostra Gran Donna, che Facta est quasi Navis institoris: cioè a dire una Nave di Mercanti carica delle pretiose merci di sue virtù. O come rapisce a sé le Menti vostre la quinta Colonna, dove la sapienza dell’Artefice Divino con lo Scalpello di sua Onnipotenza ha dentro di vago Giardino intagliato, e scolpito una bellissima Fontana, che a Zampilleti difonde sopra herbe molli, e ridenti fiori ruggiadosi humori, che gli steli inarriditi ravivano, e sollevandosi sopra del tutto Iride di pace, dagli accenti di Giacomo Apostolo (cap. 1 v. 5) vien animato con questo bellissimo Emistichio Dat omnibus affluenter, a cui può con ben chiara intelligenza addattarsi le parole di Giesù di Sirach: Viri misericordiae sunt, quorum pietates non defuerunt (c. 44 c. 10); come volesse, con Spirito profetico dire, che Fonte inesausto di pietà, e di misericordia fosse la Gran Margarita, che a pro degli altri tutta sé stessa difuse. Ecco la sesta Colonna; e ben m’avveggo, che sopra d’essa ravisate un sollevato Scoglio con un’Aquila, che a rapido volo porta nel Rostro sconosciuta Pietra per deporla nel nido appresso de’ suoi pulcini, a’ fine, con l’occulte, e fredde virtù d’essa, di lenire di quelli il fervente calore, & insieme m’accorgo, che vi leggete il misterioso Emistichio, Hoc maturabitur. Parole cavate da Isaia (c. 4 v. 31) & interpretate dal Grande a Lapide sic sancti, ut pariant opera Spiritus, indigent aetate, idest prudentia, & discretione, qua zelus eorum temperetur. Che altro non vuol dire, che gli huomini Santi nella produttione feconda dell’opere buone hanno d’uopo della pietra dell’Aquila, cioè della prudenza, e saviezza con la quale venga tal volta il loro zelo fervente moderato, conforme a ciò, che predicò agli invitti Campioni del Crocifisso Paolo Apostolo, scrivendo a’ Romani (12.1) Exhibeatis Corpora vestra hostiam viventem, sanctam, Deo placentem, rationabile obsequium vestrum. Insegnamento, che sempre tenne a cuore la nostra Gran Donna, che sacrificando Vittima di Carità sé stessa a Dio, procurò, che riverente, & ossequiosa fosse la sua oblatione, accioché come ragionevole fosse accetta al suo Divin Facitore. Contemplarete finalmente estatici sopra la settima Colonna riposare sedente l’Onnipotenza Divina, che inalzi tra i raggi delle sue glorie l’Anima del Giusto, & al cospetto del Sole esposto, qual specchio di purità ricevuti i raggi, gli rifletta, e tramandi di nuovo a quel Fonte di luce, di dove uscirono; onde addattato parmi l’Emistichio fortunatissimo di Sant’Ignatio, con cui diede moto a tutto l’ingrandimento della sua Religione Omnia ad majorem Dei gloriam. Consiglio, del quale si servì, tutto il Tempo di sua Vita la nostra Margarita, che ben meritò di comparire al cospetto del Sole di Giustitia, senza macchia veruna, mercé, che quanto riceveva dal suo Dio, il tutto ordinava alla di lui gloria.
Che bramereste hora Uditori? Lo so io: un Edipo, il quale vi svelasse i Misteri, che sotto di quel velo, che ricopre tant’altri Geroglifici di virtù, stanno nascosti. Udite il Serafico Bonaventura, il quale con la scorta di Giacomo Apostolo, che spiega quai maraviglie di Santità operi Iddio nell’Animo Cristiano per mezzo de’ Doni dello Spirito Santo dice Sapientia, quae desursum est, primum, quidem pudica est, deinde pacifica, modesta, suadibilis, bonis consentiens, plena misericordia, & fructibus bonis, judicans sine simulatione (c. I v. 17). La Sapienza, che dal Cielo deriva, si vanta d’esser casta, pacifica, modesta, facile ad inchinarsi alle virtuose persuasioni, concorde co’ buoni, impastata di misericordia, colma de veri frutti di Santità, e Giudice senza simulatione di sé stessa, e degli altri; sopra de’ quali pregi Celesti fermando il pensiero il Santo Dottore ne ritrae il bellissimo Simbolo delle sette inalzate Colonne in questo grand’apparato, e da me rozamente descritte: Prima est pudicitia in carne, secunda simplicitas in mente, tertia modestia in sermone, quarta suabilitas in affectu, quinta liberalitas in effectu, sexta maturitas in judicio, septima Sanctitas in intentione. E la prima l’essere in carne pudico, la seconda la simplicità della mente, la terza la modestia, e discretezza nel favellare, la quarta l’attuale prontezza nel lasciarsi persuadere il bene, la quinta la splendida liberalità, la sesta la maturità di giuditio, e la settima la santità inseparabile dalla retta intentione.
Hor eccovi Signori Uditori, che stanco hormai dal longo divisare sopra di questi esposti simboli, per render più sensibili a’ gli Animi vostri gli oggetti delle preclare virtù della Contessa di Montecuccolo, contentatevi, che per brevi momenti, io ancora respirando ne divenga estatico ammiratore, sì come voi attenti sin’hora m’havete ascoltato. Qui, qui chiamerei de’ Secoli trasandati le più caste, e ferventi in amore verso de’ loro Mariti al paragone della Contessa Margarita, che amò con purità di cuore, e svisceratezza d’animo l’Eccellenza del Conte suo Marito, che per quanto ella valse, mai da esso si volse separare, anche ne’ più sanguinosi pericoli della Guerra, negli horrori delle Pesti più atroci, sino a segno di non paventare l’horribil ceffo di Morte, e voleva, che si comprovasse con i suoi esempi, che infrangibili erano i vincoli del Matrimonio, e che ciò che congiongeva Iddio, non poteva disgiongere né meno col pensiere il Demonio; quindi avveniva, che amando sopra d’ogn’altra il suo Consorte, odiava, e sfuggiva tutte quelle, che non solo havessero poca Fama d’honeste, ma ardissero pronontiare contro l’honestà qualche licentiosa parola; Concordi erano così tra di loro il cuore, e la lingua, che non pensò mai differente da quello, ch’ella diceva, né articolava mai altro, che quello, che pensava; onde sembravale mostruoso, che un Cristiano potesse articolare una mendace parola, che tradisse i sentimenti dell’Animo, o mentisse la verità de’ successi. Degna Rosa, direte, ch’ella fu, ma che non spargesse, ma richiudesse in sé gli odorosi pregi de’ suoi meriti, sdegnando, e con torvido ciglio udendo decantare le lodi di sue virtù per il basso concetto, che di sé stessa haveva, credendosi l’ultima di tutte le Creature: quindi troncando il cominciato discorso, nuova traccia riprendeva di discorrere de’ benefici, che il Cielo compartiva a’ Mortali.
Fu qual Nave ben corredata, i di cui Remi erano le sue sante operationi, Vela era il suo cuore, Vento, che l’animava le sante inspirationi, il Timone, che la reggeva, era il Divin Volere, l’Armeggiatura i Divini Precetti, de’ quali visse sempre guardinga Osservatrice, e Cinosura il Timor di Dio, che sempre la conservò da gli urti de scogli del Mondo, ne’ quali vanno a naufragare i Mortali. Predicano con la sua compassione la liberalità di sua destra i Poveri più bisognosi, che se li presentavano, o pure di quelli, che ella per la Città andava in chiesta per condurli a sua Casa, porli alla sua privata mensa con ricondurli e pasciuti, e vestiti a’ loro Alberghi, solendo pregiarsi, come se Giesù havesse accolto, d’havere nella sua Carrozza un Poverello; e s’avveniva, che non potesse adequatamente sodisfare alla necessità di molti, compassionandoli, compativa, con lagrime grondanti, le loro miserie; saggia, o per non eccedere nel zelo, e traviare dalle mete della vera pietà verso Iddio, trascurando ciò, che riguardava l’ottimo governo di sua Casa, o pure frenata dagli humani rispetti di sua alta conditione, da ciò, che concerneva esser d’honore, e gloria di Dio, bilanciava il tutto secondo le regole Apostoliche, e le pratiche del suo sommo Legislatore, perloché quotidianamente metteva a rigoroso esame la sua coscienza.
Perché non s’intiepidisse nel cuore l’amore del suo Dio, & accioché non s’infievolisse il vigore della sua Carità una volta il Mese, almeno, confessava, notate sempre di giorno in giorno, le sue colpe, e con somma compontione, & humiltà riceveva il Santissimo Corpo dell’humanato Redentore. Imparato haveva dal Santo Re d’Israele (Salm. 14 v. 8) il credere d’haver sempre avanti degli Occhi la Maestà di Dio, quindi al pensar solo d’offenderlo temeva, e tremava, & attribuiva il tutto quanto di bene, ell’operava alla Gratia Divina. Misericordia Domini, quod non sumus consumpti. Già havrete divoti Spettatori inteso, per quanto dalla mia rozza Facondia è stato possibile di spiegare, i christiani Geroglifici delle gran Virtù della defonta Contessa Margarita di Montecuccolo, le quali furono, sino a quest’hora, dalla di lei Nobiltà tenute rinchiuse, ma di presente publicate nel Cielo con premio d’eterna felicità, mentre negli Atrii dell’Empireo Laudant eam in portis opera ejus.
Vadino, vadino pur hora i Figliuoli di questo Mondo insano agli Avelli, & a’ Sepolchri de’ loro Maggiori, e piangano con lagrime di sangue, & accompagnino con dogliosi sospiri la morte loro; i quali nell’oscuro Carcere degli Abissi infernali sono da tormentose ritorte in pena de’ loro peccati per tutta l’Eternità legati. Voi sì dico giubilate festevoli o pii Congionti dell’una, e dell’altra Famiglia di Montecuccolo, e Dietrichstein, e voi Divoti, che interveniste al suo gran Funerale, imperoché, se rovesciata, non è infranta la Trionfale Colonna di Margarita, che dall’Artefice delle Divine Misericordie già è inalzata nella Sacra Gerusalemme, in cui pendono, per trofeo dell’Eternità, tutte le sue Angeliche virtù, le quali la faranno regnare con Dio per tutti i Secoli de’ Secoli. Amen.
Perché col pennello di lingua eloquente, fu il superbo apparato al vivo dipinto dall’Oratore, se ne tralascierà la descrittione, e solo si riporteranno l’Elogio, e gli Epigrammi, che freggiavano i Modellamenti della grandiosa Machina, e che esperimono al vivo le virtù della Contessa defonta.
Epitaphium Margaritæ Comitissæ de Montecuccolo
Heus viator!
Hanc sacram ingressus ædem siste Pedem,
precibus Assiste.
Quid enim solum, et salum pervagaris, in pro-
fundo pelagi Margaritas quæsiturus?
Hic habes, quam scruteris, Margaritam
nobilissimam Principum a Dietrichstein Pro-
sapia natam, unione pretiosissimum; unio-
nem, inquam, charissimam olim Comiti de
Montecuccolo matrimonio unitam;
Generalis, lectissimam, ac dilectissimam
Conjugem omnis virtutis sectatricem
generalissimam;
Quarum in hunc tumulum magnum cogessit
Cumulum; Gemmam non simplicem, sed mul-
tiplici virtute Geminatam quam amissam ge-
mit merito Maritus, plorat Proles, deflent
Amici, deplorant Subditi, & ipsamet illachry-
maretur Mors, si eam, quam fecit, videret strage.
Sed o dura sors, o dura mors! quæ non tan-
tum surda est, & absurda, sed etiam caret
oculis, unde manare deberent illæ lachry-
marum undæ.
Ut autem Margaritæ huius pretium me-
lius noscas, Viator, hæc sequentia scias, velim:
Quod Natura potuit formam dedit nobilem,
& sanguinem nobilissimum:
Quod Virtus exhibet, innocentiam,
dedit & castimoniam:
Quod Fortuna præsefert, dotavit divitiis be-
ne partis, & absque vitiis:
Quod Terra ostentat, gloriam largita est,
& obsequium:
Quod Amor gignit, delicias dedit, & proles:
Quod Cœlum promittit, beatitudinem dedit,
& immortalitatem: quæ vel exinde promeri-
ta est maxime, quod tantis Naturæ, ac Fortu-
næ dotibus, tot alias Animæ dotes industria
sua coniunxerit.
Fuit quippe (quod rarum est) in blandientis
Fortunæ cursu humillima:
Quod si vero Fortuna torvo vultu aliquando
eam aspexerit,
adversis in Dei gloriam versis
Patiebatur patiens, patiendo palmas
præparans.
In pœnosis itineribus
fuit
Constans Comitissa, comisque Comitis
Conjugis comes.
Tam exactæ fuit pietatis, ut minimum con-
scientiæ nævu frequenti confessione expiaret.
Liberalitatem ita exercuit,
Ut opem ferendo inopi multas profuderit opes:
Jeiunij fuit admodum observans, in ordinario
victu temperans, & divinis mandatis
fideliter obtemperans.
Hic habes Viator, quas pisceris virtutum Mar-
garitas, in hoc, & altero sæculo
multum valituras:
Hoc funus sit tibi foenus,
hic foenereris & pie defunctam venereris.
Interim cum gemmæ similes non ita bene ap-
tentur huic orbi scelesto, quam urbi cæleste
Jerusalem, cuius portæ nitent Margari-
tis, hinc etiam factum est, ut pretiosa hæc
sursum traheretur Margarita.
Postquam enim anno decimo octavo nupsisset, & paulo diutius nupta permansisset, octavo tandem & trigesimo ætatis anno, octavo Decembris, in festo Divæ Virginis, Variolis, Variisq.; per octiduum iactata doloribus, octavo die, in octava eiusdem Divæ Virginis, hora octava Vespertina pie obiit, & biduum post hora etiam octava in hunc loculum corpus est depositum, spiritus vero nobiliorem exposcens locum, ad capescendas octo beatitudine sursum abiit. Fidissimus vero Coniux charissimam suam etiam
ultra Aras amore prosecutus Conjugem
pulchrum hoc ei construxit sepulchrum;
Mausoleum hoc desuper magno planctu eri-
gendo, & multis lachrymarum imbribus
irrigando
Tu vero hospes precare, ut æternum sit
sospes, & vale.
1676
QUATUOR CARDINES
EXCELLENTISSIMARUM VIRTUTUM
EXCELLENTISSIMÆ HEROIDIS
MARGARITÆ
COMITISSÆ DE MONTECUCCULO,
Natæ e Domo Principum de Dietrichstein, in Ejusdem
Cænotaphio impressi, non expressi.
MARGARITÆ PRUDENTIA
M. D. D. C. M.
Cerne, ac si potes, discerne, Viator,
Magni Nominis grandes numeros.
Hi sunt illius Prudentiæ characteres,
Quæ lectissimas Proles, & ordinatissimam
Familiam
Sic instituit;
Ut ijs vivendi normam omnibus absolutam numeris,
Scripto exacte; at in se exprimeret exactius:
Eum sapienter imitata,
Qui omnia in numero, mensura, ac pondere gubernat.
MARGARITÆ TEMPERANTIA
M. C. M.
Omnem Temperantiæ mensuram implevit;
Cui pro delicijs jejunium,
Pro voluptate omni, virtus omnis fuit.
His illa magisornabat animum,
Quam gemmis aut monilibus corpus.
Principibus nata, Cæsaris Exercituum Duci maritata,
Se maxime per hoc extulit,
Quod se minime extolleret.
Cumque mortalis vitæ fastidiret illecebras,
Inter festivos Hymenæi Cæsarei plausus
Ad Immortales Agni Nuptias evocata est.
MARGARITE JUSTITIA
Parva hæc Tabula
Grandium Justitiæ operum capax non est:
Scripta hæc sunt in Æternitatis rationario:
Norunt illa
Domestici, Exteri, Amici, Subditi.
Aperti in miserias inopum sempre oculi;
Oculata in minimos conscientiæ nævos censura,
Octiduanæ statæ, menstruæq. generales exomologeses,
Omnem implevisse justitiam docent.
MARGARITÆ FORTITUDO
Qui coruscum hoc a tot flammis pegma vides,
Non funerale Mortis Theatrum,
Sed Triumphalem Fortitudinis Arcum crede:
Quem Bellonæ suæ Mars posuit.
Sub hoc nempe Virago ac Heroina
Viro ac Heroe suo Dignissima,
Post tot itinera & pericula,
In bellicis etiam expeditionibus fortiter exacta;
Eodem Martis ac Mortis die,
Tanquam ab itinere fessa
Gloriose in Domino requievit.
Habes Viator in paucis multa, sed in
Multis non omnia.
Hæc & merito Heroidis minora, &
Amoris debito imparia
Pro more doloris fracta voce scripta sunt.
Non novit Dolor Eloquentiam;
Inassvetus circumire, Periodos respuit,
frangit sententias, resorbet verba
Sentire plurima didicit, pauca eloqui, plus
lachrymis loquitur, quam lingua:
Uberiorem gestorum, ac virtutum seriem
Æternitatis Commentarius,
Liber vitæ recitabit.
Precorsa la Fama, non solo nella Germania, che nell’Italia, della Contessa Margarita, e perché non v’è persona, che adorando la Fama non inchini riverente il valore del Conte di Montecuccolo, molte Penne, compatendo al di lui deplorabil caso procurarono di render anche lacrimevoli le Muse: quindi da per tutto si videro prender volo a questa Corte molte Epicediche compositioni, tra le quali alcune sono state trascielte per accompagnare il pianto del Conte. Il primo, che tributasse i tratti dogliosi della sua penna, fu il Baron Michele d’Haste.
Che l’Idea del vero Eroe non permette a quello il dolersi nell’humane disaventure ODA Nella quale si Conforta il Signor Generale Montecuccoli afflitto per la morte della Signora sua Consorte
Sorge, fatto del Polo
L’Anteo de Gioghi, Cittadino anch’esso
A patriar su le tonanti Sfere
Si che con questo solo
Potea l’audace, e temerario Sesso
Usurpar, assalir le sedi altere;
Che l’altre Rupi intere
D’Ossa, e di Pelio in un lo Stuol rubelle
Trattar dovea per saettar le Stelle.
Ma non son questi i preggi
Che risvegliar di mille cetre il suono
D’applausi a coronar l’alta tua Fronte.
Ne ricco è già di freggi
Perché l’Olimpo oltre le nubi e ‘l tuono
S’erge, ma ben perché fra ogn’altro Monte
L’ire non cura, e l’onte
Di Giove, e contro lui con vano evento
Tuona il Ciel, crolla il Suol, tempesta il Vento.
Così Raimondo è vero
Occhi tanti non ha, ne tante trombe
La Dea, ch’ha mille trombe, e mille luci;
Se vuole per intero
Ch’il chiaro Nome tuo suone, e rimbombe
O i vanti vuol mirare onde riluci.
Ne tante già produci
Per coronarle il crin Palme o tu Idume
Ne tanti nutri Allor d’Anfriso o Fiume.
Pur se contro la Sorte
D’insensato vigor non armi l’Alma,
O di costanza il generoso petto;
Se d’impensata Morte
A i furti ingiusti il cor non serbi in calma
Ma fai, che con il duol t’agiti Aletto;
Se non hai d’ogni affetto
Le cieche turbe, e debellate, e dome
Campione sei di grido, Eroe di nome.
E in fatti il Cielo avaro
Mentre ogni tua virtute appanna, e adombra
Perch’o invidi, o contrasti alla tua gloria
Ahi, ch’il tuo pianto amaro
Vinto dal duol t’accusa, e offusca, e ingombra,
Qual Nube il Sol, l’illustre tua memoria.
E se non hai vittoria.
D’oste sì vil, cader veggo i tuoi honori
Morir le Palme, e illanguidir gl’Allori.
Su desta il noto ardire,
A cui ragione in compagnia s’aggionti
E ‘l duol che ti combatte abbatti, e spezza;
E rivedrem fiorire
Le glorie tue benché nimico affronti
Imbelle all’hor, ch’o non si teme o sprezza:
Non è minor fortezza
Il lacerare a mille Truppe il petto
Ch’il debellare un non ben nato affetto.
E, deh omai nel tuo seno
Rieda la gioia, e colla gioia il riso:
Né perché la cagion del tuo tormento
Spogliò il velo terreno,
Quando le Gratie più rideanle in viso
E tu ancor, benché il crin sparso hai d’argento
Con invitto ardimento
Scaccia dall’Alma tua l’indegno affetto,
Ne inesperto stupor t’ingombri il petto.
Sai, ch’a vezzoso fiore,
Honor del vago April freggio de Campi
Misura un caldo Sol vita assai brieve
E immantinente more
Se cocenti tal’or saetta i lampi
Febo, over spira in Ciel aura non lieve;
Ma per vento, e sia greve,
Già non tracolla annosa Quercia, e a vuoto
La combatte Aquilon, l’agita Noto.
Né, perché a te non lice
(Grave ti sia) la generosa usanza
Seguir dell’immortal Roma gentile;
Quando in età infelice
D’inabile vecchiezza havea possanza
Un’huom fugir di Vita inetta, e vile
Né già l’antico stile
Fave al tuo duol, ch’ancora o Capitano
Molto oprar puoi col senno, e colla mano
Rifletti ancor ch’il Cielo
Spera veder per te quell’Idra estinta,
Che scorre la per l’Ungara contrada
E al tuo valore, al zelo
La Setta di Macone un giorno estinta,
L’Istro di sangue ostil gonfio ne vada:
E ai lampi di tua Spada
Quella inimica al Sol, che non imbruna
Ecclissata vedrem Tartarea Luna.
Soffri dunque, e ti serba
A questa, a cui t’invita il Cielo Impresa
Degna di carme illustre, e illustre Istoria
E della Sorte acerba
Fra tanto l’Alma a sofferenza intesa
Impari a riportar saggia vittoria.
E sappi ciò, che gloria,
Maggior soffrendo acquista un Petto forte,
Che non farebbe andando incontro a Morte.
Si toccano varie vittorie ottenute da S. E. il Signore Conte Raimondo Montecuccoli Luogo tenente Generale di S. M. C.
Sonetto
Quando in te fiso il combattuto Impero
Del Tracio sangue abeverasti il suolo
Grondò la fronte all’infernal Nocchiero,
Tal fu de vinti il numeroso stuolo
Quando ch’il Ren ti salutò Guerriero
Marte stupì, che vantar puoi tu solo
Fosse per te schivar dal Gallo altiero
Audace in un, e fuggitivo il volo.
Quando dal Duce Estinto, a cui sol vada
Marte ugual, tu maggior festi secure
Della Germania ogn’Alma, ogni Contrada.
Disse la Morte a strage tal, se pure
Servì pria la mia scure, a te di Spada
Hor servirà sua Spada, e me di Scure.
Per la Morte di S. E. la Contessa Margarita Montecuccoli
Consorte di S. E. il Signore Conte Raimondo Montecuccoli, in Persona del medesimo
Sonetto
Lasso la Rea, ch’il mio bel Sole ha spento
Perché la vita mia non spegne ancora;
E il stral, che pronto a’i danni fu, com’hora
Al sollievo, al conforto è pigro, è lento?
Chi di duol cento piaghe aprimmi, e cento
D’una sua piaga sol che non mi honora?
Forse non sa, ch’al ben, che l’Alma adora
Star, anche in Ciel, lungi da me è tormento?
O pur veder l’empia, l’iniqua vuole
Se de cordogli miei l’aspre ritorte
Possano ciò, che lo suo Stral sol puole!
O ver sarà, che per mia dura sorte
Visto a torto ecclissato il mio bel Sole
Mora vinta dal duol l’istessa Morte.
Per la Morte di S. E. la Contessa di Montecuccolo
Sonetto
Peregrin la cui man quest’Urna infiora
Che d’un Sol d’onestà chiude le spoglie,
Perché più Numi estinti in sen raccoglie,
Più Dei sepolti in un sepolcro honora.
Qui la Fé, la Pietà spenta dimora,
E questo nuovo Amor ne rubba, e toglie,
Qui colle Gratie, la Beltà s’accoglie
Qui coll’honor, la Nobiltà s’adora.
Al suo cadere, al pianto in cento vene
Sciolse i cento occhi suoi la Fama alata,
Poi finì col morir l’aspre sue pene.
Morì seco Virtù, che seco è nata,
Vive Raimondo Solo, e del suo Bene
Vive per adorar la Spoglia amata.
In morte della sudetta Signora Contessa
S’allude al flebile ramarico del Signor Conte Raimondo Montecuccolo
Da lui espresso in alcuni affettuosissimi Versi Toscani
Sonetto del Signor Marchese Ercole Trotti Ferrarese
Perché stan cheti i Timpani, e non suona
Al gran Raimondo hor più Tromba festiva?
Ah, che il Divino Amor rapi sua Diva,
E da Marte disgiunta hoggi è Bellona.
Coll’Istro il Reno in mormorio risuona,
E co’ mesti suoi flutti a Teti arriva,
Narra, ch’al suol German Perla nativa
Involò il Ciel per l’immortal Corona.
Margarita morì: l’Aonio stuolo
Copra le Piagge omai di Pindo a lutto,
E de l’Italo Eroe n’esalti il duolo.
La di lei Tomba ad honorar condutto,
Più vale il pianto di Raimondo solo,
Che senza merto il duol del Mondo tutto.
Con pari lena, e non minor ossequio stillò con la penna il pianto in una sua flebile, & elegantissima Ode Ermes Francesco Lantana, uno de’ più pronti, e fioriti ingegni di quest’Età.
Singulti di Pindo
ODA
Nella Morte della Medesima defonta Contessa indirizzati
All’Eccellenza del Signor Conte suo Marito &c.
Illustrissimo, et Eccellentissimo Signore, Signore, e Padrone Colendissimo. Sarebbe un Mostro d’empietà colui, che nella grave perdita della Eccellentissima Signora D. Margherita (Dama di così alte prerogative, che fu lo specchio morale del suo Sesso, e del corrente Secolo) moglie ben degna dell’E. V., non sentisse, disumanato, i motivi al cuore d’una giusta compassione; Perciò, avvenga che io non sortissi l’onore di vagheggiare in persona un tanto Sole di virtù, essendone rimasto abbaccinato nella lettura della vita di quell’Anima gloriosa, pennelleggiata al vivo dalla eruditissima, ugualmente casta, ed immortale Penna del Signor Abbate Bonini, ho ardito far risuonare all’orecchio benignissimo di V. E. questi pochi singulti, prodotti, per me, da Pindo in tanta Gramaglia. Li aggradisca l’E. V. prima, come giusto tributo a quell’Eroico spirito, secondariamente come Mecenate, ed Amatore d’ogni virtù; e per terzo, essendo ciò offerta, ed attestato d’ossequio d’un’Italiano antico umilissimo servitore della sua Nobilissima Casa, quale non men desidera esserlo all’opere della E. V., alla quale, mentre s’umilia profondissimamente, augura Vita, e continuate Vittorie. D. V. Eccellenza Umilissimo, Devotissimo Servitore Obligatissimo Ermes Francesco Lantana
Febo, come cangiato ad un momento,
Gemebonda la Lira,
L’armonioso suono ha in pianto, e in doglia;
Alla dolente soglia
Della Magion più dira
Come mai fé tragitto il mio contento;
E del Dirceo stromento,
Pietoso onor, come alle Parche sorde
Dan tributo di duol le rauche corde.
Ne s’ode sol, mio riverito Dio,
il bipartito Monte
La mia Cetra assordar co’ strida, e pianti;
Abbandonati i canti,
Là presso il sagro Fonte,
Piangon le Muse, e i Cigni al pianger mio;
E su ‘l Castalio Rio,
Giacendo i casti Allor tronchi, e depressi
Forman Scena di Morte atri Cipressi.
Tra voci non occulte, e suon confusi
Un gemito, e clamore
Sino dall’Istro al sagro Pindo arriva:
Che del Mondo già schiva
Donna d’inclito onore
Habbi in sonno di Morte i lumi chiusi;
E che, non più racchiusi
Nel carcere terren gli spirti, un volo
Spiccato altiera ha Margherita al Polo.
E’ morta Margherita, all’or dolente
Ripiglia il casto Coro,
De Dietreichstein Eroi vanto primiero
Di Raimondo il Guerriero
La Consorte, il Tesoro
Dunque chiude strett’Urna, e Sasso algente!
Né la Parca inclemente
Si fé di gelo all’esecrando eccesso!
Né dal colpo s’astenne il Ferro istesso!
Colpo troppo crudel! Ferro feroce,
Perché barbaro, e avaro
Un tal Fior di Virtù togliesti al Mondo?
Or tu Spirto giocondo
Mentre scintilli chiaro
La su nel Cielo, ove il dolor non noce:
Odi la nostra voce,
E lascia, che il tuo Avel sparso di Mirra,
Eterno Mausoleo t’inalzi or Cirra.
Tu, di gran Stirpe nata, in mezo a gli agi
Pargoletta Bambina,
Ben sapesti avvezzar la mano all’opre;
E s’Espero discopre
La luce matutina
L’Orto de spirti tuoi segnò i presagi;
Poiché amando i disagi,
E havendo nel tuo Dio le voglie intatte,
T’astenevi sovente ancor dal Latte.
Domatrice de sensi, così novello Alcide,
Fosti veduta imbelle
Della Gola strozzare il Mostro in Fasce;
Sapevi ben che nasce
Da ciò il vitio rubelle,
Ch’ogni moral virtute infetta, e ancide;
Dal che ogn’uno ti vide,
Con lieto volto, e con non vil rifiuti,
A Poveri di Dio prestare aiuti.
Adulta poi, nella più fresca etate,
Da la Casa a se soglie
Di Leonora l’Augusta il piè drizzasti;
Là, quai segni non dasti
Di mansuete voglie,
L’aure d’Ambition dome, e fugate;
Ivi, lungi alle ingrate
Cupidigie d’onor, umil n’andavi
Contenta sol dello splendor de gli Avi.
Ne fra tanti fulgor, pompe, e grandezze
Il Mondo contumace
Fu bastante a oppugnar la tua Fortezza;
Con Cristiana fierezza
Ciò, che è vano, e fugace
Le tue Luci mirar non furo avvezze;
Anzi con tali asprezze
Frenar sapesti il Genio in faccia al soglio,
Che il senso havea perduto il proprio orgoglio.
Ma perché dal tuo Ventre Eroico Erede
Gli alti Arcani del Fato
Promesso havean de Gran Soldati al Forte:
Di Raimondo Consorte
Al Talamo pregiato
Quindi passasti entro guerriera sede;
E scotendo le Tede
D’Urania il Figlio il pargoletto Infante
Il casto cor t’arse di fiamma amante.
Era stupor mirare in braccio al Foco
Serbarsi intatto il Gelo,
E quest’Ape furar quel fior, che lice;
Donna in vero felice!
Tu solo intenta al Cielo
Ogni cura del Suol prendesti a gioco;
Direi: ma dirò poco,
E sarà ciò per coronar tuo merto,
Che a te la Casa fu Cella, e Deserto.
Raimondo Italo onor d’Austriache spade
Non ti doler se tolto
Ti venne il tuo Tesoro, e la tua Vita;
L’invitta Margherita,
Candida all’Alma, al Volto,
Passò del Cielo a lastricar le strade;
Lei dall’alte Contrade,
Mirando ogn’or le Gesta tue feroci,
Par, che ti dia queste fedeli voci.
Signore: il Mondo è un Sogno, un solo è l’Etra;
La mia caduca Salma
Morte, che il tutto può disciolse in nulla;
Alla Tomba la Culla
Gionge in un passo, e l’Alma
S’al Mondo attende dal suo Ben s’arretra;
Se un tal pensiero impetra
Da te questa, già a te, Voce sì cara
Qual bene a te (mio Ben) qui si prepara.
Io qui men sto Beata, e dall’Eterno
Splendor, che mi circonda
Miro il tuo cor, miro il tuo ardir robusto,
Che tu serva ad Augusto
Il giubilo mi innonda,
Ma, mio Amor, non scordarti il sempiterno;
Se sei Forte all’esterno,
Sappi con ugual forza, esempio, ed arte,
Esser ugual Campion di Cristo, e Marte.
Così disse la Bella: e l’aureo Manto,
Più del solito vago,
Spiegò sovra i Mortali il Dio di Cinto;
All’or parve, che vinto,
Dal Consiglio presago,
Dasse il Guerriero in un amaro pianto
E giurasse, che quanto
Fora d’uopo ad Augusto il proprio Brando,
Il volea usar, poi dare al Mondo il bando.
Per le lagrime sparse sul Feretro della medesima Defonta Eccellenza dal Signor Conte Raimondo, Augurando nuove Vittorie al suo Brando.
Sonetto del medesimo Autore
Piange l’Italo Marte, e al Sole absorto
Forma in mezo a i sospir di pianto un Mare:
Sperando pur, che fra quell’acque amare,
Se già v’ebbe l’Occaso, or v’abbia l’Orto;
Piange il Terror de Traci: ed al suo morto
Idolo inalza un lagrimoso Altare:
E mille, per placar le Parche avare,
Per una Margherita, offrire è scorto.
Ma consolati o Forte, asciuga il pianto,
Che per tal duolo, o guerreggiando, o in pace,
Ti darà il Ciel di più Vittorie il vanto.
E tosto sia, che uscendo in Guerra audace,
Per ingemmare a Leopoldo il manto,
Schianti il Giglio, e la Luna al Franco, al Trace.
Con rivale, & amorosa emulatione fece di Greche Latine le sue Muse Claudio de Claudii, una delle Reliquie della Nobiltà Candiota, il quale ricovratosi sotto de’ Cesarei Allori diede forma alla presente Oda.
ODA Nella morte delle medesima Illustrissima, & Eccellentissima Signora Contessa Margherita Dedicata all’Eccellenza del medesimo Signor Conte
Illustrissimo, et Eccellentissimo Signore mio Signore, Padrone Colendissimo. Sono così compatibili i dolori di perdite grandi, che universale è l’afflittione, e communi sono le lacrime.
L’Echo insensata al riverbero di queruli accenti con cento voci ne sparge sin ne’ gl’Antri i mesti gemiti per raddoppiare a gli sensati gl’affanni come dice Sofocle in Filottete E non sapendo trattener la voce Loquace, l’Echo garrula raddoppia I gravi pianti Bel premio però della virtù. La Contessa Margherita di gloriosissima memoria, degna Consorte dell’Eccellenza Vostra, che il Mondo tutto compiange, haverà persa la spoglia della Vita, ma non si sarà spogliata d’una gloria, che mai non muore, se ha contratto co’ la morte una Fama eterna; anzi se un picciol atto di virtù di un sol momento val più, che mille Secoli di Vita; quanti Secoli viverà chi ha mostrato gl’habiti perfetti delle più belle virtù sin’alla morte. Il grand’Epaminonda morendo diceva di nascer all’ora, né s’ingannò, perché vive il suo nome anco ne’ nostri giorni. Riesce di grave doglia all’E. V. l’haver persa una sì gran Compagna, io lo confesso; ma ne scaturisce altretanta gioia vederla esser degno oggetto delle lodi, se quelle si danno in tributo alla virtù, onde Pallade disse a Telemaco Figliuolo d’Ulisse, Sii forte, acciò trovi tu ancora chi ti possi lodare, come ha trovato tuo Padre. L’erudita Penna dell’Illustrissimo Signor Abbate Bonini dà di nuovo lo Spirito alla Vita della medesima Contessa, per farla co’ l’ali delle Eroiche sue virtù volare all’immortalità, e per dar al Mondo un vero Prototipo dell’Eroina: né io ho voluto mancare dalla mia riverenza con presentargli quest’Oda, ossequioso segno del mio dispiacere, e del merito di quell’Anima grande. Aggradirà dunque l’Eccellenza Vostra la mia divotione, e glie ne professerò perpetua obligatione, tanto più se si degnerà di scrivermi fra li minimi de’ suoi servitori, ed umilmente mi sottoscrivo e resto. D. V. Eccellenza Umilissimo, Divotissimo, Ubligatissimo, Servitore Riverentissimo Claudio Claudii
Quai flebili concenti
Spiri dal mesto cor Musa pietosa?
Puoi ben di pianti inesiccabil fiume
Versar a’ tuoi lamenti,
E può ‘l marmo ammollir l’onda dogliosa,
Ma non speri mercé l’humido lume,
Che l’Acheronteo Nume
Sordo si mostra a le querele, e ai pianti,
Né ritrarne pietà verun si vanti.
Ma come al fier dolore
Darà tregua fedel altro conforto,
Se già lacero il sen gioir non spera?
Forse lieve malore
Porge cagion di sospirare a torto,
E non hanno i sospir ragion ben vera?
Dalla stellante sfera
Cadan diluvij d’allegrezze al Mondo,
Per me non vi sarà respir giocondo.
E’ spenta Margherita!
Il Sol del Sesso, inclito fregio in Terra,
Di prudenza, e virtù la bella Imago;
E la sacrata Vita
Parca crudel nel più bel fiore atterra
(D’un perpetuo Martir colpo presago)
E ‘l suo sembiante vago
Nera Tomba rinchiude, e lo dissolve
Ferreo voler del Fato in poca polve.
E pur se cruda brama
Morte tenea d’insanguinar suoi strali
Quante prede qua giù colpir potea?
Dunque ciò, che la Fama
Di pregiato tesor porta su l’ali
Subito troncar vuol sua Falce rea?
D’una terrena Dea
Far trionfo a sé stessa, e nulla teme
Ricever da gli Dei le pene estreme.
Conti la prisca etate
Delle Clelie, e Lucretie i sommi pregi,
E de’ lor nomi il Tebro orni sua riva;
Dentro Scene onorate
Unico esempio de’ pudichi fregi
Penelope si mostri ogn’or festiva:
Ne’ Secoli più viva
Resterà Margherita, e i merti immensi
Donna famosa d’uguagliar non pensi.
Che se da nobil Schiatta
Ogni lode maggior s’apre a’ gl’Heroi,
Qual’ammira il German sangue più chiaro?
Dai Dietrechstein ritratta
Vanta sua Stirpe, e sino a’ lidi Eoi
Vola fastoso il grido suo preclaro;
Né si trova più caro
Tralcio de’ Semidei, cui più vetusti
Porgan gl’honori, a pro comun gl’Augusti.
Quivi il Fratel Fernando
In duplice sentier di gloria asceso
Ha delle Auguste la ben retta cura.
Con bellicoso brando
Ivi altri il nome suo splendente ha reso;
Altri co ‘l suo saper Regni assicura;
E tutti aspra congiura
Contra il Tempo hanno ordito, e Lauri opposti
Ne cardini de Poli si han composti.
Di Gundaccaro il pio,
Per decantar i gloriosi fasti
Ogni Musa volgar raffrena il volo,
Egli calca l’oblio,
Ne superar suo merto altri contrasti,
Benché di sue virtù porti gran stuolo,
Che di Cesare solo
La soglia custodir, titol bastante
E ad ogni Eroe, per farsi a ogn’altro avante.
Né contento mostrossi
Il Cielo Dietrechstein di tante Stelle
Andar’adorno, & ostentar la luce,
Che i raggi suoi percossi
Dal splendor femminil fiamme più belle
Sparge di pregi, ed immortal traluce
Al nascer suo conduce
Margherita, stupor, che l’Istro innonda,
Fiorito Aprile nella gelata sponda.
Meraviglie direi!
Che le Ninfe danzando a’ suoi vagiti
Del gran Talamo suo cantar gl’auspici,
E che de gl’almi Dei
Il concorde voler ogn’una additi
Preparargli il Destin nodi felici;
E con aspetti amici
Serbarla gl’Astri, e del Guerrier più forte
Nelle stanze del Ciel farla Consorte.
Le Gratie alla sua cuna
Eran Ministre alla Regal Bambina,
E di fiori immortal spargeanle il seno;
Procurava ciascuna
Alle proprie virtù farne rapina,
E tramutarsi nel suo viso ameno,
Ed ella con sereno
Aspetto le accoglieva, e in vago riso
Facea delle sue labbra un Paradiso.
Oh quante, e quante volte
Stupido rimanea dell’alte Doti
Il gran Raimondo, e non capia in sé stesso;
E le ciglie raccolte
L’ammirava tal’hor con lumi immoti
E di dirla Mortal stava perplesso;
Che in lei era sì impresso
L’Angelico operar, e le pie geste,
Che senza error dir si potea Celeste.
In lei non fer’albergo
Se non santi pensier, brame pudiche,
Né mai soffrì vana passion la mente;
Volger sapeva il tergo
A gl’indomiti affetti, e le nemiche
Turbe del senso supprimea repente;
E con pietate ardente
Alle Schiere infelici in flutti d’oro
Soccorreva il bisogno, e fier martoro.
Ogn’or fida seguace
De l’amato Consorte in fra le squadre,
S’egli espugna Città, se Regni acquista;
E’ ogni tenzon pugnace
Con ben devoto cor l’Eterno Padre
Prega non incontrar mai sorte trista;
Ma sempre a prima vista
Del Duce suo, resti il nemico orgoglio
Qual fragil legno, che s’abbatte in scoglio.
Tal’or che fa ritorno
Da gl’attachi di Marte allegra corre
A rasciugargli il crin, scioglier l’arnese;
E sepellito il giorno,
Quando, che Cintia luminosa accorre
A dare a ogni mortal pausa cortese;
Delle vinte contese
Rapiti i casti baci, in stretti amplessi
Commanda raccontar gl’alti successi.
Come i Sarmati, e i Dani
L’Iperboreo Leon vedan lontano
Lasciar fremente gl’occupati Regni:
Come a’ Traci inhumani
Porti il Rab, e la Mura eccidio strano,
Che per timor taccion gl’occulti sdegni;
Come nel Reno insegni
Al Gallo il pentimento, e a pena apparso
Si senta il suo valor per tutto sparso.
Raimondo: è il dolor grave,
Ma se l’Urna fatal entro racchiude
Le sorti di ciascun, che pro dolersi?
Né l’Acherontea Nave
Convien tutte passar l’Anime ignude,
Né ci devon parer i colpi avversi;
Quanto sono diversi
Della Gran Donna tua colà nel Cielo
I sensi hor, ch’ha deposto il mortal Velo.
Amico Lettore compatisci a gli errori di stampa, che potessi ritrovare, sapendo, che si scrive Italiano in Terra di Tedeschi; e primariamente correggi verso il fine del terzo libro alla pag. 127 nelle ottave dell’Immutabile. Leggi:
Ti svelse l’Anima mia
Così unite havrem qui su
Ti svelse l’Alma mia
si levi la prepositione su
Alla pagina 189 del Quarto Libro nell’Oda
E su ‘l Castalio Dio
E su ‘l Castalio Rio
alla pagina 192
Ivi, Lungi
Ivi, lungi