Vita del glorioso martire s. Secondo (1823)/Vita del glorioso martire s. Secondo cittadino d'Asti

Vita del glorioso martire s. Secondo cittadino d'Asti

../Dedica dell'editore ../Della solenne traslazione delle sacre reliquie di san Secondo IncludiIntestazione 28 maggio 2012 100% Cristianesimo

Dedica dell'editore Della solenne traslazione delle sacre reliquie di san Secondo

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VITA

DEL GLORIOSO MARTIRE

S. SECONDO

CITTADINO D’ASTI.



Nacque Secondo nell’antichissima Città d’Asti circa l’anno centesimo di nostra salute da Padre idolatra. Due sono le opinioni, che si hanno circa la famiglia, d’onde esso tratto ne abbia l’origine; l’una lo vuole della famiglia Pallida, in oggi Pallio de’ Conti di Rinco; l’altra lo fa discendente dalla famiglia Vezzia, come ne fa testimonianza Tommaso Auricola scrittore Astigiano del 750, rapportandone la presente iscrizione, che a’ tempi del P. Filippo Malabaila ancor vedeasi sulla porta della casa Maccioli, secondo ciò che ne riferiscono i Bollandisti ai 30 di Marzo §. 1 n. 3. [p. 2 modifica]

CONCORDIAE COLL. FAB.
ASTENS. M.

VETTIVS SECVNDVS
IN MEMORIAM VETTIAE
CIVITATIS SOROR.

Ma ossia egli nato dalla famiglia Pallida, ossia dalla Vezzia, sì l’una che l’altra furono sempre nobilissime, mentre la prima con gran lustro ancora in oggi esiste, l’altra possedè sino nel 1228 il Feudo in oggi appellato della Vezza, ove era stato stabilito il Magistrato del Prefetto de’ Fabri ottenuto da uno di casa Vezzia.

Cresciuto poi negli anni fu arrolato nelle milizie imperiali, indi fatto Conte Pallatino da Adriano Imperatore. Avvene a’ suoi tempi, che lo stesso Adriano mandò Saprizio de’ Boys nella Liguria con ordine di mandare a morte quanti cristiani ritrovati avrebbe in quel distretto, giusta le parole rapportate dai Bollandisti c. 1 n. 1 Mittimus te ad Alpes Cottias vicesgerere Antiochi, ita ut quoscumque christianos inveneris gladio animadvertas. Ora sia che [p. 3 modifica]Saprizio fosse anch’egli Astigiano, e dei Signori di Cossombrà, come tale il credette il Malabaila, o sia che la nobiltà di Secondo gli facesse scorta, ben presto ambidue questi personaggi strinsero insieme una vicendevole amicizia.

Si trovava allora dentro le carceri d’Asti il cittadino S. Calocero accusato come cristiano, e già da Antioco antecessore di Saprizio quì mandato da Brescia, ove in compagnia de’ Ss. Faustino, e Giovita avealo fatto imprigionare. Secondo visitando talvolta Calocero, e sentendolo parlare con efficacia della Religione cristiana, cominciò ad affezionarsegli, e prender cognizione del vero Dio. Dovendo intanto Saprizio portarsi in Tortona, si offerì il nobil Garzone di accompagnarlo per fargli onore, ma in realtà il suo unico fine era di trattare col santo Vescovo Marziano, di cui Calocero più volte gliene parlò. Volle però prima rivedere Calocero, e raccomandarsi alle sue orazioni, e questi [p. 4 modifica]predisse a Secondo, che ritornerebbe in Asti cristiano, ed ivi riceverebbe la palma del Martirio. Incamminatosi poscia con Saprizio verso Tortona, raccontano gli Atti, che una Colomba si posò sul capo a Secondo, e che nel passare i due fiumi Tanaro, e Bormida udì la voce d’un Angelo, che gli facea coraggio a credere in Cristo. Attonito restò Saprizio di questo evento, e credendosi d’aver concepito qualche fantasma, non potè a meno di rivolgersi a Secondo, e interrogarlo quai discorsi egli facesse, e con chi se la ragionasse, se era realtà, o immaginazione la sua, essendogli sembrato nel passare le acque del Tanaro, e Bormida d’aver udite certe voci incognite: da quel che mi pare, disse Saprizio, sono sentimenti di corrispondenza, convien che tu sii amante, la tua età me lo persuade, la distrazione dell’animo, e gli occhi tuoi me lo palesano; e così fra la perplessità della sua accecata ignoranza confuso, ed attonito rimanendo, potè bensì a [p. 5 modifica]suo scorno maggiore udirne in confuso la voce dell’Angelo, ma non vagheggiarne l’aspetto, nè penetrare i giusti sentimenti di Secondo.

Giunsero intanto alle vicinanze di Tortona, e nell’ingresso della Città il santo Vescovo Marziano, uscito miracolosamente dal carcere, andò ad incontrare Secondo, ove con vicendevoli affetti di pietà cristiana salutatisi, seco si rallegrò de’ conceputi sentimenti per la vera fede, esortandolo a continuare in essi, e gli fece intendere, che, se desiderava di essere battezzato, dovea portarsi a Milano dai Ss. Faustino, e Giovita colà da Brescia condotti, e carcerati, da’ quali avrebbe ricevuto il Battesimo, pregandolo quindi, che, dopo il conseguimento di tanta grazia, a lui facesse ritorno per rendergli gli estremi uffizj di cristiana pietà, mentre era stato assicurato dall’Angelo, che il giorno seguente al suo ritorno da Milano, egli dovea soffrire il martirio. Poco si fermò in Tortona Secondo, e mentre [p. 6 modifica]Saprizio andava meditando di dar morte a Marziano, spinto dal desiderio di visitare i Ss. Faustino, e Giovita, prese congedo dallo stesso Saprizio, e finse di portarsi in Milano per riverire l’Imperatore, il che fugli da Saprizio facilmente accordato.

Giunto in Milano fu molto in pena a cagione della difficoltà, che incontrava di visitare i Santi Martiri. Ma Iddio lo fece avvisare da un Angelo di condursi in certo posto, dove avrebbe trovati i Santi cavati dalla prigione, e per ministero angelico colà condotti: andò Secondo al luogo indicatogli, e vi trovò i Ss. Faustino, e Giovita. Dopo essersi trattenuti scambievolmente in santi discorsi, desiderava Faustino amministrare a Secondo il Battesimo; ma come farlo in quel luogo totalmente senz’acqua? A ciò provvide la divina potenza. Comparve all’improvviso una nuvola giusta il desiderio di Faustino, e preso Secondo lo mise sotto l’acqua, che grondava, e lo battezzò; il che si deduce [p. 7 modifica]dalla seguente antica iscrizione posta nella Chiesa di S. Calocero in Milano.

D. O. M.
S. MARTYR SECVNDVS ASTENSIS
A D. CALOCERO
FIDEI MYSTERIIS IMBVTVS
A SS. FAVSTINO, ET IOVITA
BAPTIZATVS IN HOC FONTE
DIVINITVS AD PRECES SANCTI
E NVBE
IN FORMAM COLVMNAE DEMISSA
ANNO CXXXIV. KAL. APR.

Volle in quell’istante per compimento maggiore de’ progressi di Secondo la divina onnipotenza raddoppiarne le maraviglie, epperò spiccatosi dal Cielo una candida Colomba, che depositò nelle mani di Faustino la sacra Eucaristia, acciò con una porzione di essa si comunicasse Secondo, e per mezzo di questo l’altra porzione fosse portata a Marziano prima del suo martirio. Licenziatosi Secondo da’ Ss. Faustino, e Giovita per ritornarsene a Tortona, giunto che egli fu sul far della notte alle rive del Po, non poco [p. 8 modifica]si turbò, per non poterlo tragittare; ma l’Angelo del Signore, che sempre lo scortava, gli fece animo, per la qual cosa ordinò ai due servi, che lo accompagnavano, di fermarsi insintantochè fosse giorno, ed egli colla scorta del celeste massaggiero felicemente passò il fiume.

Giunti all’altra riva l’Angelo del Signore avvisò Secondo del prossimo martirio del Santo Vescovo Marziano, al quale egli dovea dare sepoltura. Deh fa ch’io il rivegga prima di sua morte, ripigliò Secondo, e promettendogli l’Angelo, ch’ei sarebbe alla Città pervenuto, primachè Marziano fosse condotto al martirio, pieno di giubbilo colla celeste scorta seguitò il suo viaggio sino a Tortona. Era appunto mezzanotte, e chiuse in conseguenza le porte della Città, che all’avvicinarsi di Secondo coll’Angelo miracolosamente si aprirono, e diedero libero accesso ai celesti viaggiatori di entrarvi. Allora fu dal divin messaggiero condotto Secondo alla prigione di [p. 9 modifica]Marziano, il quale con ineffabile allegrezza ricevè dalle di lui mani l’eucaristico cibo, ed ivi in compagnia dell’Angelo sino al far del giorno vi si trattenne. Fattosi giorno disse l’Angelo a Marziano, che quello era il dì, in cui dovea entrare in tenzone col Tiranno; l’esortò a non temere nè minacce, nè tormenti, perchè colla costanza avrebbe riportata la palma: quindi Secondo pregò pure quel venerando Vescovo a rammentarsi di lui, giunto che fosse alla celeste patria; e dopo scambievoli espressioni di santo amore si licenziò da Marziano.

Di buon mattino intanto Saprizio essendosi solennemente recato al tempio di Giove comandò fosse colà da’ ministri di giustizia condotto Marziano per farne l’ultime prove, e carico di catene gli fu presentato; dove avendo costantemente ricusato il magnanimo eroe di sagrificare in menoma maniera al sacrilego Nume, fecegli con infuocate mazze arder il ventre, non ostante quali tormenti rimanendo [p. 10 modifica]ancor semivivo tantochè continuava sempre a decantare la fede di Cristo, pieno di rabbia il Tiranno ordinò, che gli fosse immantinenti dal busto il capo troncato, e così privollo di vita.

Appena terminata l’orrenda carnificina del Santo Vescovo, n’andò la fama a Secondo, ed egli, in faccia ad un popolo numeroso, ad onta della nobiltà del suo sangue, anzi nulla curandosi dell’amicizia di Saprizio, corre al luogo del supplizio, e ne fa trasportare il corpo seppellendolo con ogni attenzione, e riverenza somma, giusta l’ammonizione dell’Angelo.

Si recò ben tosto la nuova di così generosa azione all’iniquo Saprizio, il quale non poteva in verun modo indursi a crederlo, sicchè a chiarirsi del vero mandò a chiamare a se Secondo: ma l’invitto campione non curando punto le ambasciate del crudel Giudice: or va, rispose all’inviatogli messo, e riporta a Saprizio, che a lui io non voglio andare, perciocchè si [p. 11 modifica]è imbrattate le mani nel sangue dell’uomo giusto. Sorpreso il Giudice dell’inaspettata risposta per ben due volte rimanda inutilmente per Secondo.

Adirato di ciò Saprizio, diè ordine, che, cinta di soldatesca l’abitazione di Secondo, e ben assicurato il vegnente giorno a lui fosse condotto, lo che fu dagli iniqui ministri eseguito. Appena vide il Giudice alla sua presenza condotto Secondo, che tosto colle più tenere, e più veementi espressioni così gli disse: qual repentina mutazione è questa, o Secondo? L’esser nato nobile non sa insinuarvi nell’animo pensieri alti, e sublimi? V’è forse ignoto il lustro di vostra famiglia? Non so persuadermi come vi sorgano nella mente così bassi sentimenti suggeriti da gente ingannatrice. Voi che sinora vi traeste dietro l’ammirazione di tutte le persone onorate, e dabbene, vorrete con cangiamento così sciocco di vita tirarvi appresso le risa d’ognuno? Dov’è, Secondo, dov’è l’onore, e il culto dovuto agli immortali nostri [p. 12 modifica]Dei? Non sapete, che contro tutti coloro che mancano di tributare incenso ad essi per giusto titolo di religione, debbo rivolgere gli sdegni miei, e le loro vendette? Tanto mi comanda la legge, tanto m’incarica il supremo volere del giustissimo Adriano; abbiate dunque compassione di voi stesso, e non vogliate nel più bel fiore degli anni vostri gettarvi in un sì gran precipizio: abbiate pur anche pietà di me stesso, che vi amo con tutta la tenerezza di padre; nè vogliate esser cagione, ch’io mi lavi le mani nel sangue vostro, chè troppo mio malgrado lo farei, e allora propor dovrei voi come spettacolo d’infamia a Tortona, ed alla Patria vostra, o Secondo: risolvete adunque, spiegate i vostri pensieri; ma risolvete, ed operate da saggio.

Troppo deboli, rispose Secondo, e mal fondati sono, o Saprizio, gli argomenti di tua sciocca facondia, se con essi pretendi d’allontanare l’animo mio da quelle massime, che ha il [p. 13 modifica]mio Signore nel seno mio piantate, le quali dopo brevi patimenti seco in conseguenza portano una ben sicura salvezza. Conosco l’obbligo della legge, m’è noto il rispetto dovuto ai Principi, e non ignoro qual è quell’azione mal fatta, da cui resta offuscato lo splendore di una illustre prosapia, e so ben anche, che una legge sovrana a tutte le leggi inferiori prevale. E chi ardirà temerario di far confronto della divina coll’umana legge? Dunque io per poter passare tranquilli i pochi giorni di questa vita fallace dovrò calpestare i mezzi, che mi portano alla conquista di una vita perenne? Dunque per mantenermi in possesso di un lusinghiero stato nobile, che ci concede la sorte, dovrò allontanarmi dalle sicure pedate di Cristo, che dalla Croce non altro, che umiltà, ed abbiezione m’insegna? Rifiuto i tuoi consigli, detesto tutte le tue malnate esortazioni: di Cristo io sono, a Cristo donai tutto me stesso, ed a Cristo conserverò mai sempre [p. 14 modifica]incorrotta la mia fede; nè temo in conto alcuno di perdermi, mentre in esso la più felice vita ritrovasi? Sei forse, Saprizio, sitibondo del sangue mio? tracannalo pure, ch’io di buon animo l’offro in sagrificio al mio Dio. Appetisci forse darmi tormenti, e morte? eccoti il mio capo, recidilo, ecco le viscere, ecco il corpo tutto, taglia, sbrana, e recidi, e sappi, ch’io nulla stimo la vita, niente temo i tormenti, non pavento le pene, poco mi curo delle delizie, abborrisco gli onori di te, e del tuo Adriano: le ricchezze del mio Casato le rifiuto: solo Cristo è de’ miei giusti affetti la guida; e la Patria mia riporterà maggiore vantaggio dal sangue mio per la vera fede di Cristo sparso, che dall’aver io ubbidito ad un Imperatore infedele, e sagrificato a’ Demonj. Io seppellii Marziano; io ricusai venirti avanti, e tutto ciò mi glorio d’aver fatto pel mio Dio.

Niuna calma trovavano dopo tali discorsi nel cuore inquieto dell’adirato Saprizio i suoi turbati pensieri, e [p. 15 modifica]non sapea perciò capire, come avesse potuto Secondo in sì breve tempo allontanare dal cuore i primi sentimenti del suo culto coll’attaccarsi sì forte alle nuove opinioni d’uno non ancora conosciuto cristianesimo. Vedea essere Secondo di una tale costituzione d’affetti ornato, che traeva ogni lingua alle sue lodi, ed encomj, e che Asti avea superata se stessa nel produrre gloriosamente alla luce un Figliuolo di doti così cospicue; che però gli suggeriva l’amore di se stesso, che per tante cagioni era d’uopo guidare un simile affare con grande accuratezza, e per non tirarsi l’indignazione di molti, che per qualche attinenza potevano sostenere le parti di Secondo. Ma prevalse finalmente in lui la dannata politica, che gli suggeriva, che, per non privarsi del posto, e per non perdere la grazia d’Adriano, era necessario sagrificare a’ suoi Numi fallaci quella vittima innocente, e che castigando Secondo veniva ad ismorzare l’incendio, che potea col tempo accendere un gran fuoco nel paganesimo.

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Deluso pertanto l’empio Prefetto di sue speranze s’accinse a preparare quelle vendette, che suggerite venivangli da un insano furore, e primieramente ordinò, che spogliato fosse Secondo di sue vestimenta, e così nudo alla di lui presenza comparisse, sul riflesso, che la sua naturale modestia dovesse recargli insoportabile tormento; ma appena fu da’ ministri spogliato, comparve l’Angelo del Signore a ricoprirlo d’una candida veste, ed a confortarlo pel vicino martirio.

Udì Saprizio la voce dell’Angelo, senza però poterne neppure questa volta penetrare del divin consiglio i sensi, onde piucchè mai adirato, deposto ogni senso d’umanità, d’amicizia, e tutti quei riguardi, che se gli erano alla mente fin quì rappresentati, ordinò che fosse Secondo appeso all’eculeo, ed in esso barbaramente torturato: eseguirono immantinente quei ministri dell’inumano Presidente il comando, e sì fieramente il [p. 17 modifica]tormentarono, che disgiunte, e scompaginate pareano le di lui membra, sebbene per divina virtù sentito non ne abbia alcun dolore. Dopo breve tempo ordina di nuovo Saprizio, che Secondo venga sciolto dal tormentoso ordigno, e nel vederlo rimane attonito rimirandone l’intrepidezza; chepperò arrabbiato il Prefetto determina, che Secondo sia con un nembo di sferzate, e colpi di nodosi bastoni crudelmente battuto. Non così tosto avea Saprizio data la sentenza, che sottopose Secondo con ridente volto le spalle alle percosse, godendo di esser fatto imitatore del suo flagellato Signore.

Rodea intanto le viscere dell’empio Giudice la rabbia conceputa per vedersi spregiato, e per iscorgere conculcata l’autorità imperiale, e la religione de’ suoi Numi; onde agitato dalle furie, che aveangli occupato lo spirito, ordinò che fosse incatenato in orrida prigione. Era l’intento di quest’empio il saziare nel giorno seguente colla morte di Secondo i suoi [p. 18 modifica]rabbiosi furori, andavasi pertanto immaginando qualche insolito genere di tormento, che a Secondo potesse dare la morte, laonde sazio per quel dì il Prefetto di più tormentarlo, lo fe’ rinchiudere nell’oscura prigione, che fu immantinente da celeste splendore illuminata, e non passò molto tempo, che Secondo fu di nuovo visitato dall’Angelo, e dal carcere di Tortona condotto in Asti nella Torre, che ancora in oggi Torre Rossa chiamasi1, [p. 19 modifica]ov’era custodito S. Calocero, ed ivi il giorno dopo gli comparve Gesù Cristo (giusta la tradizione costante [p. 20 modifica]della Chiesa d’Asti, che legge nell’antifona del Benedictus per la festa, e commemorazione di S. Secondo: videns Secundus Salvatorem suum, adoravit eum &c.) il quale lo assicurò di sua assistenza.2

Non poco restarono all’indimani afflitti i custodi della prigione, in cui era stato rinchiuso Secondo, vedendo ch’egli mancava, e temendo d’esser da Saprizio puniti come infingardi, e trascurati, si rifuggiarono nel tempio di Giove, come in luogo di franchigia. Di tale fuga avvertito Saprizio tosto li fe’ chiamare a se, e ascrivendo il fatto non a loro colpa, ma a magia (del che allora comunemente venivano incolpati i Cristiani) seco li condusse in Asti con animo di sfogarsi contro Calocero.

Appena giunto in Asti Saprizio comanda, che immantinente gli si prepari il suo tribunale, e davanti gli sia [p. 21 modifica]condotto il prigionato Calocero; portaronsi i ministri alla Torre Rossa, ed ecco che trovarono con Calocero il fuggito Secondo; al che rimasero attoniti, e maravigliati; indi ne recarono subito annunzio al Prefetto, che intimò loro, che ambi i prigionieri fossero alla sua presenza condotti per far prova se colle lusinghe li potea distorre, da’ loro pensieri, e loro cominciò parlare dicendo: sappiate che in oggi voglio darvi a vedere quanto io sia portato a vostro favore, e quanto m’incresca di eseguire quello che le saggie nostre leggi mi prescrivono. Da Tortona costì mi son recato, mal soffrendo, che anime sì ben nate allacciate fossero da una vana credenza riposta nelle promesse d’un uomo crocefisso; eh! mutate una volta pensiere, risolvetevi a tributar incenso a’ vostri antichi Numi, e non dubitate che presto ritornerete in grazia di Adriano, e degli amici tutti. Non sì tosto terminò di parlare Saprizio, che risposero Calocero, e Secondo: chi mai ti [p. 22 modifica]lusinga, che con vane parole voglii separarci dall’amor verso quel Dio, che ora noi adoriamo? Quanto meglio per te sarebbe a nostro esempio lasciare quel falso culto, che professi, ed al grande Salvator del mondo rivolgerti! A che mai giovar ti potranno gli onori, e la grazia del tuo Adriano, se non forse a meritarti con esso un’eternità di pene? Lontano mai sempre sia da noi il pensiere di porgere incensi a’ falsi tuoi Dei; poichè nulla noi paventiamo i tuoi tormenti, e neppure la morte stessa, e risoluti siamo di essere sagrificati piuttosto pel nostro Redentor Crocefisso.

Vedendo Saprizio, che nulla potea più sperare da’ quegli Eroi, arrabbiato più che mai diè ordine, che fosse apparecchiata una caldaja di pece bollente, e che sul capo di essi fosse versata; ma come se quell’infuocato tormento fosse stata acqua refrigerante, nulla sentirono di pena, e dolore, anzi cantarono inni di gloria al suo Signore.

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Veduto il perfido Giudice, che con quel tormento non avea potuto far sentir loro gli effetti di sua barbarie, fe’ preparare in quell’istante altra bevanda di piombo liquefatto per farlo gettare nella bocca de’ Santi Martiri, il che fu immantinente da’ ministri eseguito, senza nemmeno alcun danno arrecargli anzi cantando gli Eroi di continuo inni di lode al Signore, dicevano concordi: o quanto dolce, e soave è la vostra legge, o Signore, che ci fa soffrire con tanto piacere, e alacrità sì fatti tormenti! Quindi rivolti a’ circostanti gli esortavano a credere fermamente in Cristo, che da sì fieri tormenti li liberava, in vece di adorare Idoli insensati, che sarebbero un dì co’ medesimi adoratori loro gettati ad ardere nel fuoco dell’Inferno. Ciò udito Saprizio comandò, che si battesse aspramente Calocero con ordine di ricondurlo poi nella prigione per consegnarlo altro giorno alla morte, ed intanto condannò Secondo ad essere pubblicamente decapitato. [p. 24 modifica]Vedendo il Tiranno, che nel lasciarsi si abbracciavano teneramente, vieppiù infuriato, riordina che Calocero fosse subito condotto in Albenga per esser ivi esso pure punito colla morte, il che subito si eseguì.

Giunto intanto Secondo al destinato luogo del martirio, (il quale secondo l’opinione di molti si vuole, che fosse, ove esiste attualmente la piazza avanti la Chiesa d’esso Santo) piegate le ginocchia a terra, alzate le mani al Cielo raccomanda la Patria sua, e se stesso a Dio, e chinato il capo gli venne dal fiero manigoldo crudelmente troncato. Accadde il glorioso di lui martirio nell’anno di nostra salute 134 ai 30 di marzo circa il mezzogiorno, come credono comunemente gli antichi Scrittori Astigiani, fra’ quali l’Antonio Astesano, che vivea nel 1447, il quale scrisse la seguente elegia, rapportata dal Muratori Tom. xiv. Rer. Ital., e non secondo la congettura del Tilemont presso il Galizia.

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Appena tagliato il capo a Secondo, comparve numeroso stuolo d’Angeli celebrandone i trionfi, e non fu permesso ad alcuno accostarsi a quel venerando cadavere, fin tanto che per mezzo di celesti ministri fu data sepoltura a quelle sante Reliquie, che [p. 27 modifica]stettero sepolte fino all’anno 931, nel qual tempo furono miracolosamente ritrovate nel Duomo d’Asti dal Vescovo Bruningo, e trasportate nell’antica Chiesa fabbricata fin dai primi secoli di nostra religione dalla pietà degli Astesi, come narra il Galizia nelle vite de’ Santi del Piemonte, detta per antonomasia Chiesa del Santo, il che ancora di presente chiaramente espresso si vede nell’iscrizione posta nella Cattedrale sopra la porta laterale della Chiesa dove dice:

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Nel 1212 essendo Vescovo Monsignor Guidetto venne in pensiere ai Canonici della Collegiata di visitare il Corpo di S. Secondo, i quali di notte tempo in compagnia d’alcuni scelti cittadini si portarono nello scurolo sotterraneo fatto a volta con due altari alla foggia di quei che si vedono in Roma, ove era stato riposto dal prefato Vescovo Bruningo il Corpo di S. Secondo, ruppero il muro, ed aprirono la cassa, che visitarono attentamente, e rimasti assicurati, ridussero il tutto nel pristino stato. Il seguente giorno molte donne divote solite portarsi nello scurolo a pregare, osservando il muro di recente riparato, sospettarono, che fosse stato rubato il Corpo del Santo, ed uscite di Chiesa spargendo la voce, corse la fama per tutta la Città, che veramente ne fosse stato involato il Corpo di S. Secondo, e trasportato a Venezia. Per sedare intanto il tumulto degli Astesi l’accennato Vescovo Guidetto portatosi nello scurolo in compagnia di alcuni Canonici della Collegiata, cioè di D. [p. 30 modifica]Alardo Preposto, D. Alberto de Catena, D. Corrado de Platea, e D. Artesio unitamente ad Ajmerio di Crema Podestà allora d’Asti, fece riaprire la Tomba, e constare al popolo, che lo sparsosi rumore era falso, del che ne fa testimonianza la presente iscrizione esistente nel Duomo accanto alla porta maggiore

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Due secoli e più dopo, mentre Asti fu da’ nemici soggiogata, indi liberata, si vociferò di nuovo, che il Corpo del Santo fosse stato dagli stessi nemici trafugato; quand’ecco che nel mercoledì dei 28 agosto del 1471, mentre reggeva la Chiesa d’Asti Scipione Damiani, andando secondo il solito il Sagrestano a far la visita nello scurolo prima di chiuder la porta della Chiesa, sentì cader dal muro un mattone con calce, sbigottito del fatto il Sagrestano, immantinente si portò dal Preposto a dargliene avviso, indi ne fu avvisato il Vescovo, che all’indomani si portò alla Collegiata a celebrare la Messa dello Spirito Santo per ottenere dal Padre de’ lumi una vera cognizione del fatto. Giunta la sera di detto giorno, all’insaputa di tutto il popolo portossi il prefato Vescovo nello scurolo in compagnia di varie persone a tal fine elette, e accostatosi al buco lo fe’ dilatare alquanto di più, e con lumi accesi vide distintamente tre casse, indi più oltre [p. 32 modifica]mirando vide che a pittura v’era dentro descritta la vita, e martirio di S. Secondo; ordinò che più si dilatasse l’apertura del muro, e levata la pietra che stava sopra alla cassa di mezzo attorniata da lame di ferro, che ancora in oggi esiste sul pavimento di detto scurolo, ed aperta quella di piombo vide tutto il sagro Corpo del Santo Martire. Era pensiere del Vescovo, che per allora ogni cosa passasse sotto silenzio, e segretezza, sinchè determinato si fosse quel che doveasi fare intorno alla suddivisata ricognizione, epperò avea dato ordine di nuovamente otturare il buco; ma Iddio non lo permise, anzi volle, che questa invenzione fosse accompagnata da stupendi successi; imperocchè spalancatesi da loro stesse le porte della Chiesa, onde ne fu senza sua colpa sgridato il Sagrestano, che di nuovo le chiuse, ma inutilmente, perchè subito si riaprirono: vi si affollarono molta gente. Fra quei che vi concorsero uno fu il nobile uomo Gabriele Bolla, molto [p. 33 modifica]divoto del Santo, il quale, venendo da Portacomaro, vide sopra la Chiesa della Collegiata moltissimi splendori, e tratto da così insolita luce venne in Città prima del giorno, e fu anche egli spettatore.

Di buon mattino si portò di nuovo il Vescovo alla Collegiata, e vedendo il gran concorso del popolo, ordinò che si chiudesse lo scurolo, lo che non si potè adempire attesa la gran folla di gente, che era andata a venerare il Santo, e sparsasi in breve tempo la nuova del successo corsero dalle terre circonvicine i popoli, seco loro conducendo degli infermi, che al comparire sulla soglia dello scurolo ricuperarono la loro primiera salute, e diedero animo ad altri di recarvisi a cercare sollievo, e guarigione alle loro più invecchiate malattie, e fu cosa assai notabile, mentre che dalla sera dei 28 agosto sino alli 22 novembre furono ridotti negli atti pubblici molti riguardevoli miracoli, cioè tre persone date per morte, che furono [p. 34 modifica]restituite in vita, nove ciechi, che ricuperarono la vista, cinque attratti nelle membra, un sordo, un muto, un fatuo, quattro epiletici, due idropici, due leprosi, un paralitico, che furono istantemente guariti, e molti altri che per brevità si tralasciano, essendosene numerati fino a cinquanta, come ricavasi dagli atti riferiti da’ Bollandisti N. 6.

Fra gli stupendi miracoli operati da S. Secondo a pro de’ suoi Concittadini uno si è quello seguito nel 1526 essendo Vescovo Bernardino Serrone, nel qual tempo tenevano i Francesi la Città d’Asti, quando venne assalita con potente esercito da Fabrizio Maramaldo Colonnello dell’Imperatore Carlo V. Vedendo i Cittadini, ch’essi non erano in caso di far difesa per esser stati colti all’improvviso, ebbero ricorso a S. Secondo. Già l’artiglieria avea gettato a terra tanto di muro, che ben avrebbero i nemici potuto entrare in Città, e darle il sacco; ma, mentre a ciò disponevansi i nemici, si [p. 35 modifica]udì una voce per aria, che forte gridava indietro, indietro, dalla qual voce essi spaventati si diedero ad una precipitosa fuga, non ostantechè persona alcuna loro non tenesse dietro (come riferì un Officiale Cesareo, che in tale azione restò prigioniere): ed affinchè non si dubitasse, che tal voce venisse dal Santo, fu egli stesso veduto da moltissimi Cittadini cavalcare sopra bianco destriere in atto di abbattere il nemico; onde in ringraziamento della riportata vittoria fabbricarono gli Astesi nello stesso sito una Cappella dedicata a S. Secondo chiamata ancor al presente S. Secondo in vittoria.

Il Clero d’Asti ogn’anno ne rinnova la memoria di così miracolosa liberazione nel giorno 13 di novembre con farne l’officio di rito doppio, e il corpo di Città in detto giorno portasi processionalmente dopo il Capitolo della Collegiata a detta Cappella, ove da un Canonico si celebra la messa, indi ritornano alla Collegiata suddetta [p. 36 modifica]portando il celebrante una Reliquia posta in un piccolo Busto d’argento rappresentante il Santo, il qual Busto è un dono fatto dalla Città alla suddetta Collegiata, come consta dalle lettere seguenti scolpite attorno a detto Busto: Secundum gerentem Sindicatum Ill.mo D. Antonio de Alferiis pietas aurea Patrum Civit. Ast. argenteam hanc statuam conflavit anno 1680.

Leggesi pure il miracoloso successo descritto in un’elegia stampata nel sinodo del mentovato Monsignore Ajazza del tenor seguente:

Hæc sancti sunt ossa tui, quæ tempore in omni
Mœnia servarunt, teque, tuosque Lares.
Testis Fabricius Maramaldus pulsus ab urbe
Dum premeret Cives ense, cruore, face.
Dirutus est murus testis, Victoria testis,
Et testis quisquis templa dicata videt.
Voti namque rei cives, memoresque dicarunt,
Perspicuas Ædes; perpetuasque faces.

Fu nel 1764 ristorata la suddivisata Cappella, e le fu posta sopra la porta la seguente iscrizione: [p. 37 modifica]

D. O. M.
MARAMALDO HISPANORVM DVCE DEVICTO
CIVITAS ASTENSIS SERVATA
DIVO SECVNDO PATRONO OPTIMO PRAESENTI
SACELLVM EREXIT ANNO MDXXVI
BENEFICII VSQVE MEMOR EADEM
EXORNABAT
CONSVLE D. I. M. C. ANNO MDCCLXIV.

Nell’anno 1817 la Città d’Asti nel Sindacato dell’Ill.mo sig. Conte D. Carlo di Bestagno Brivio fece alcune riparazioni alla detta Cappella, e nella ristorazione della facciata, fu rifatta l’iscrizione, che si legge presentemente nel modo seguente:

D. O. M.
MARAMALDO HISPANORVM DVCE DEVICTO
CIVITAS ASTENSIS SERVATA
DIVO SECVNDO PATRONO OPTIMO PRAESENTI
SACELLVM EREXIT ANNO MDXXVI
BENEFICII VSQVE MEMOR EADEM
EXORNABAT
CONSVLE D. I. M. C. ANNO MDCCLXIV
D. C. D. B. B. CONSVLE RESTAVRABAT
ANNO MDCCCXVII.


Note

  1. Questa Torre Rossa ne’ tempi posteriori servì di campanile alla Chiesa Parrocchiale detta S. Secondo della Torre Rossa, eretta in Commenda della Sacra Religione de’ Ss. Maurizio, e Lazzaro, la quale nel 1559 venne uffiziata col titolo di Santa Catterina Vergine, e Martire da’ PP. Servi di Maria in occasione che la loro Chiesa poco distante nel Borgo di san Marco fu nel 1539 dalle guerre diroccata. Nel fondo di questa Torre scavato nel tufo delle fondamenta, in cui fu rinchiuso il nostro Santo, si vede ancora al presente un Altare, dove si celebrò fino circa la metà del secolo passato la Santa Messa, sopra del quale in una nicchia incavata nella Torre esiste una statua di marmo bianco alta trent’oncie, rappresentante S. Secondo, la quale nel 1618 fu inalzata dal Cavaliere della suddetta Sacra Religione D. Domenico Coardo, come si legge nella seguente Iscrizione in marmo esistente allato di detto Altare.

    VBI SANCTVS SECVNDVS
    IMPIE CONCLVSVS FVIT
    D. DOMINICVS COARDVS EIVSD. ECCL.
    COMMEND. EQVES SS. MAVRIT. ET LAZ.
    NICOLAI FIL. COMIT. QVARTI ET PORTAC.
    SVO ET VRBIS PATRONO MARM.
    SIMVLACRVM HVMIL. DEDICAVIT
    ANNO MDCXVIII.

    Sotto la finestra in un pezzo di marmo bianco, che tiene tutto lo squarcio d’essa finestra si vede uno scavo, che si crede l’impressione d’un dito del Salvatore, quando andò a visitare Secondo; questo scavo è coperto da una ferrata larga due oncie di diametro.

  2. Questa miracolosa apparizione del Salvatore si legge in fine della presente vita.