Viaggio sentimentale di Yorick (Laterza, 1920)/LXII. Parigi

LXII. Parigi

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Laurence Sterne - Viaggio sentimentale di Yorick (1768)
Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
LXII. Parigi
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LXII

PARIGI

Noi ci facciamo largo nel mondo non tanto col fare quanto col ricevere de’ servigi: tu trovi un germoglio mezz’arido; lo pianti, perché l’hai raccattato; e perché l’hai piantato, lo adacqui. [p. 128 modifica]

Monsieur le comte de B***, pel favore ch’ei mi fece del passaporto, continuò, ne’ pochi giorni ch’egli andava capitando a Parigi, a favorirmi spontaneamente; e mi fece conoscere ad alcuni signori d’alto affare, i quali m’avrebbero fatto conoscere a’ lor conoscenti, e di mano in mano cosí.

Ed io aveva scoperto il secreto in tempo da convertire questi onori in profitto: altrimenti, avrei desinato e cenato, come suole avvenire, una o due volte in giro, e, traducendo i cenni e gli sguardi francesi in inglese schiettissimo, mi sarei presto avveduto ch’io m’usurpava la couvert1 d’un piú piacevole commensale; e, per la semplicissima ragione ch’io non avrei potuto serbarmele, avrei rassegnate ad una ad una tutte le mie sedie. Ma per allora i fatti miei non camminavano male.

Ebbi l’onore d’essere presentato al vecchio marquis de B***, segnalatosi in gioventú per parecchie non gravi imprese cavalleresche nella corte d’Amore. Da indi in poi si vestí alla foggia delle giostre e de’ torneamenti, e imbizzarriva a far credere ch’ei non era campione d’Amore solamente in fantasia.

— Avrei caro — mi diceva egli — di dar una corsa per l’Inghilterra; — ed informavasi intorno alle dame inglesi.

— Rimanga, monsieur le marquis — gli diss’io — rimanga dov’è: les messieurs anglais penano anche troppo a impetrare un’occhiata dalle loro dame. —

Il marchese mi convitò a cena.

Monsieur P ***, gabelliere generale, moveva altrettante interrogazioni su le nostre tasse. — Odo — diceva — che le sono ragguardevolissime.

— Se si sapesse riscuoterle — rispos’io; e gli feci un inchino profondo.

Io non mi sarei ad altri patti meritato un invito a’ concerti di monsieur P***2. [p. 129 modifica]

S’era fatto mal credere a madame de V*** ch’io mi fossi un esprit. Ella si ch’ell’era un esprit, e spasimava di vedermi e d’udirmi: né io aveva preso una seggiola, che m’accorsi che, per sincerarsi del mio spirito, quella dama non avrebbe dato un pistacchio, ma che io invece era ammesso per far poi testimonio del suo; e Dio sia testimonio anche a me che, conversando con essa, non ho levato il sigillo a’ miei labbri3.

Madame de V*** non incontrava uomo vivente a cui non asserisse che non aveva mai conversato con tanto profitto in sua vita.

Una francese riparte il proprio regno in tre epoche: nella prima è coquette, poi déíste, finalmente dèvote; e durante quest’epoche il regno fiorisce sempre, e solo rimuta vassalli. Intorno all’anno trentesimosesto suole per lo piú spopolarsi di tutti gli altri schiavi d’Amore, e si ripopola a un tratto degli schiavi dell’Incredulità, a’ quali sottentrano le colonie degli schiavi della Chiesa.

Madame de Q*** stava in forse tra la prima epoca e la seconda: il colore di rosa smarrivasi alloramai a occhio veggente, e, quand’io le feci la prima visita, fuggiva il quart’anno da che essa avrebbe dovuto appigliarsi al deismo.

Mi fe’ sedere seco sopra un sofà per disputare posatamente de’ punti di religione: madama insomma mi disse che non credea nulla.

Risposi che, ov’ella pur s’attenesse in cuore a questi principi, io era nondimeno sicuro che non le tornava a conto di radere le fortificazioni esteriori, senza le quali mi pareva miracolo che una cittadella sí fatta potesse difendersi; che il deismo era pure la pericolosissima cosa per una bella persona, e ch’io per obbligo di coscienza non poteva dissimularle come [p. 130 modifica] non erano corsi cinque minuti da ch’io m’era seduto su quel sofà, ed aveva già fatti non so quanti disegni: se non che i sentimenti miei religiosi e la persuasione che fosse anch’essa armata di religione mi soccorsero a reprimere i miei desidèri nel punto che avevano cominciato a tentarmi.

— Non siamo — e la presi per mano — non siamo, no, di diamante: però dobbiamo confidare la nostra salute negli ostacoli esterni, finché l’età non venga a concentrarli invisibilmente dentro di noi: ma — e le baciai la mano — è ancor presto, gentil mia donna; assai presto. —

Perché nol dirò? io fui per tutto Parigi in concetto d’avere convertita madame de Q***; e molti l’hanno udita affermare a monsieur D*** e a l’abbé M***4 ch’io aveva piú in poche parole detto a favore che non essi in tutta la loro Enciclopedia contro della rivelazione; e fui senz’altro nel registro della côterie5 di Madame de Q***, la quale procrastinò l’epoca del deismo ad un paio d’anni.

Mi ricordo che appunto in quel crocchio, mentr’io nel fervore del ragionamento andava provando la necessità d’una Prima Causa, mi sentii tentare nel gomito; e il contino di Fainéant mi chiamò in disparte in un canto di quella sala, per avvertirmi che il mio solitaire6 mi calzava troppo nel collarino.

— Guardi; sta plus badinant — diceva egli, accennandomi il suo; — e basta una parola, monsieur Yorick, al savio.

— E dal savio, monsieur le comte, — risposi con un inchino.

Né verun uomo mortale mi strinse con amplesso sí sviscerato come allora il contino di Fainéant.

Per tre continue settimane non ebbi opinione fuorché quella di chi mi parlava. — Pardi! ce monsieur Yorick a autant d‘esprit [p. 131 modifica] que nous autres. — Il raisonne bien — diceva un altro. — E un altro: — Cest un bon enfant. — Onde, finché Dio mi lasciava vita, io poteva mangiare e bere e darmi buon tempo in Parigi, ma pagando pur sempre un disonestissimo scotto. M’avvilii di vergogna: lucri da schiavo! L’onore e tutti quanti i suoi sentimenti virili si sollevarono per dissuadermene: quant’io piú saliva tra’ grandi, io mi vedevo costretto al mio sistema d’accattone; e le piú fiorite conversazioni avevano piú alunni dell’arte. Io sospirava gli alunni della natura; e una sera, dopo d’essermi abbiettissimamente prostituito a mezza dozzina di varie persone, mi sentii nauseato, e mi ricovrai nel mio letto, raccomandando a La Fleur che ordinasse i cavalli, perch’io all’alba voleva affrettarmi verso l’Italia.

Note

  1. La posata [F.].— È l’unico caso questo, in cui il F. abbreviò il testo inglese, il quale annotava: «Plate, napkin, knife, fork and spoon» [Ed.].
  2. Perceval; e, se piú ne vuoi, leggi la Vita di Marmontel e le Lettere e le Memorie degli altri letterati pettegoli di quell’età [F.].
  3. Il testo: «Non ho aperto l’uscio de ’miei labbri»; ed è frase del salmo cxl, 3: «Pone ostium labiis meis». Ma perché non mi pare che suoni bene in italiano, l’ho mutato con la frase equivalente del l’Ecclesiastico: «Quis dabit ori meo custodiam, et labiis meis signaculum certum?» Cap. xxii, 33 [F.].
  4. Diderot e Morellet [F.].
  5. Crocchio [F.].
  6. Qui è anello d’una gioia sola, nel quale si passavano le due cocche del fazzoletto da collo [F.].