Viaggio in Dalmazia/Del Primorie, o sia Regione Paratalassia degli Antichi/7. De' Fiumi Norin, e Narenta, e della pianura allagata da essi
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§. 7. De’ Fiumi Norin, e Narenta, e della pianura allagata da essi.
Verso la fine della faticosa giornata mi trovai rientrato nell’angolo del confine Veneziano, che passa fra gli aspri colli marmorei, da piè de’ quali scaturisce il fiume Norin abbandonato a se stesso sin dalle sorgenti, e che impaluda quindi un vasto tratto di campagna ingombrato di canne, di salci, e d’alni spontanei. Picciolo spazio di terreno rimane asciutto fra le radici de’ colli, e la palude nel luogo chiamato Prud: ed egli è tutto seminato di pietrame antico riquadrato, di frammenti d’Iscrizioni, di colonne rotte, di capitelli, di bassorilievi d’ottima età stritolati, per così dire, e deformati dal tempo, e dalla barbarie de’ popoli Settentrionali, che di là incominciarono a distruggere Narona. Gli abitanti, che vanno a tagliar canne sovente nella palude, assicurano che sott’acqua vi si veggono ancora vestigj della vasta Città. Ella dovette stendersi chi sa quanto nella pianura, e certamente più di tre miglia in lunghezza appiè de’ monti. Il cammino antico è sommerso: e noi dovemmo salire per una strada dirupata onde varcare la punta del colle asprissimo, su di cui sorgevano probabilmente prima de’ tempi Romani le fortificazioni, che dierono tanto da sudare a Vatinio. Lungo quel sentiere si vedono nelle rupi le traccie d’antiche Iscrizioni, che vi furono scolpite. La povera Villa di Vido è adesso nel luogo dov’erano i Tempj, e i Palagj de’ Romani conquistatori; vi si riconoscono gran vestigj di Bagni, d’Acquedotti, di nobili edificj, di mura; e i miserabili alloggi di que’ Morlacchi che v’abitano sono tutti fabbricati di bel pietrame antico. Poche Lapide vi restano sopra terra attualmente, essendone stata trasportata una gran quantità in Italia per adornarne i Musei degli Amatori. Io ve ne ò ricopiato due sole: ma è probabile, che ve ne sieno dell’altre ricopiabili, alle quali la maliziosa pigrizia di quegli abitanti non mi avrà voluto condurre. Della formidabile popolazione di Pirati, che nell’età di mezzo dominava in questo paese, e che finalmente dopo lunghissime guerre fu da’ Veneziani estirpata, non rimane monumento veruno. Sarebbe forse stato inutile il cercarne anche se avessero occupato un luogo difeso dalle inondazioni; imperocchè que’ rapaci Corsari probabilmente saranno stati privi d’arti, e disprezzatori de’ posteri, come degli antenati loro.
Alcuni geografi, fra’ quali il Signor Busching, dicono che l’antica Narona sorgeva precisamente sul colle dove ora è Citluc, picciolo luogo fortificato, e posseduto da’ Turchi; ma il fatto prova in contrario. Citluc è intorno a otto miglia lontano dalle rovine di Narona: e se v’ànno delle pietre antiche impiegate nel fabbricarlo, si dee credere che vi sieno state trasportate da Vido. La Martiniere, e varj Autori di Carte segnano col nome di Narenta una Città, che Tav. XIII. non esiste. li Norin dopo il breve corso di sei miglia mette nel fiume Narenta, detto dal solo Porfirogenito Oronzio, che ingrossato dalle di lui acque, e da quelle, che dai monti di Xaxabie concorrono ad ingrandirlo, allargasi in forma di Lago, indi facendo due gran rami prende in mezzo l’Isola d’Opus, tre miglia più sotto. Le acque della Narenta sono salmastre intorno a quest’Isola, e non di raro l’amarezza marina rimonta sino a dodici miglia fra terra, e va al di là delle foci del Norin. Gli abitanti bevono però indifferentemente queste acque, dal che forse denno ripetersi come da principalissima cagione i malori, a’ quali vanno soggetti. Sull’Isola d’Opus è un picciolo luogo fortificato con arginature di terra, al quale sono vicini due Casali di Morlacchi, che portano il nome di Borghi; uno di questi due Casali è de’ Morlacchi di rito Greco. Gli uomini vestono come tutti gli altri Morlacchi; le femmine, quando sono nella loro maggior gala, portano un Caftan, o sopravvesta all’uso delle Turche. (Tav. XIII. Fig. II.).
Io mi sono fermato parecchi giorni in Opus cortesemente sofferto dalla nobile famiglia Noncovich, colla speranza di poter penetrare addentro sino a Mostar, e farvi disegnare il Ponte antico, che dà il nome a quella Città mercantile de’ Turchi Bossinesi1: ma un Ufiziale della Craina Narentina dopo d’avermi dato solennemente parola di scortarmivi mi mancò in un modo vergognoso, e impudente. Potete ben credere, Mylord, ch’io sono stato tanto più sensibile al di lui mal tratto, quanto più mi stava a cuore in questo affare il piacere, e servigio vostro.
Sembra, che gli antichi Geografi non abbiano ben conosciuto questa parte della Dalmazia, come non ben la conoscono i nostri, che prendono tanti sbagli sì nel derivarne i fiumi, come nel situarne, e nominarne i luoghi abitati. Scilace Cariandeno, che dal Farlati viene censurato come poco esatto nel descrivere il paese di Narenta, mi sembra che ne avesse un’idea più giusta di tutti gli altri antichi Scrittori, e infinitamente più che tutti i moderni. Egli probabilmente non pensò mai a dire, che il fiume Narone uscisse dal Lago d’Imoski, come pende a credere il Farlati: ma sì bene dalla pianura allagata detta di Narenta a’ giorni nostri. Ecco le di lui parole tradotte alla lettera. „Dopo i Nestei (abitanti delle rive del Fiume Cettina, e del Primorie) è il Fiume Narone. La navigazione in esso non è angusta, imperocchè lo rimontano le galere, ed altri navigli sino all’Emporio, ch’è situato addentro, ottanta stadj lontano dal mare. Colà abitano i Manii, razza di gente Illirica. Al di là di questo Emporio è un vasto Lago, che arriva sino ai confini degli Autariati, Nazione pur Illirica, ed in esso Lago è un’Isola di centoventi stadj, i di cui campi son ottimi da coltivare. Da questo Lago esce il Fiume Narone.“2. Se si volesse dire che il testo di Scilace è corrotto là dove leggesi τό έισω τοΰ έμπορίου, e che doverebbesi sostituire una lezione di senso contrario, ogni cosa si troverebbe accomodata. L’Isola da lui mentovata sarebbe quella d’Opus, la di cui grandezza quadra sufficientemente co’ centoventi stadj; il Lago rinverrebbesi nell’ampia estensione del fiume, laddove dividesi per abbracciarla. L’Emporio Narona non era poi più d’ottanta stadj lontano dal mare a dritta linea; e Plinio ebbe il torto nel metterlo a maggiore distanza. Non volendo però punto alterare il testo di Scilace, si può credere, che il Lago di cui egli parla, fosse la pianura di Rastok3 e del Trebisat, che ben merita questa denominazione nella stagione delle inondazioni, e da cui resta prominente un gran tratto di coltivabile campagna, che forma adesso il midollo del Territorio di Gliubuski. In questo caso Scilace avrebbe preso pel Narone il Trebisar, che da quelle pianure discende a metter foce in Narenta. Forse anche l’Isola, di cui quell’antico Scrittore vanta la fecondità, è il tratto di campagna Narentina, che stendesi fra il Norin, e la Narenta, e che potè benissimo essere isolato anticamente per una regolata comunicazione de’ due fiumi, che passasse appiè del colle di Citluc, dove adesso è un terreno paludoso, e un canale mal navigabile. Volendo andare un po’ più addentro, sarebbe da esaminare le terre elevate del Mostarsko-Blato, vale a dire del Lago paludoso di Mostar, da cui si può assai giustamente asserire che il Fiume di Narenta si parta per venirne a scaricarsi maestosamente in mare pel mezzo di tre ampie foci.
Le rive di questo fiume furono negli andati tempi famose presso i Professori di Farmacia, a’ quali Nicandro nella Teriaca, prescrive di raccogliervi l’Iride. Teofrasto, citato da Ateneo, dà il vanto, sopra tutti gli altri paesi produttori di questa pianta ai monti Illirici lontani dal mare, il che potrebbe accordarsi benissimo con Nicandro, intendendo de’ Monti, da’ quali esce la Narenta4. E giacchè sono a ricordare gli Antichi, credo opportuno d’aggiungervi, che a Mostar, e nel resto della Bossina si prepara ancora dai Turchi coll’infusione de’ favi nell’acqua, e pel mezzo della fermentazione una sorte d’Idromele da essi chiamata Scerbèt, che corrisponde a quella, che usavano gli antichi Taulanzj abitatori del paese medesimo, della quale trovasi riferita per esteso la manipolazione dall’Autore dell’Opuscolo Περί θαυμασίων άκουσμάτων, attribuito ad Aristotele5. I nostri vicini, che avrebbono un rimorso grandissimo se bevessero un bicchiere di vino, non ànno poi gran difficoltà d’ubbriacarsi collo Scerbèt. Eglino cioncano anche de’ buoni bicchieri di Rakia, ch’è l’acquavite fatta di graspi; ed ànno inoltre varie preparazioni di mosto cotto, delle quali si servono senza veruno scrupolo. Il Muscelez, e la Tussìa sono bevande di questa fatta, che riescono attissime ad ubbriacare: ma i Probabilisti Turchi ànno facilitato su questo articolo. La proprietà del Muscelez invecchiato, che à bisogno d’essere sciolto in qualche altro liquore per divenire bevibile, ricorda i vini degli Antichi.
L’ampio fiume di Narenta non è navigabile oltre alla Villa di Metkovich da grosse barche; le picciole vanno sino a Pocitegl, e non più oltre, per quanto me ne fu detto dagli abitanti. Fa d’uopo fossero stati mal informati quegli Scrittori, che lo credettero atto a portare navigli sino a Mostar: d’onde certamente discenderebbono, se lo potessero fare, gli Zopoli carichi di merci Turchesche, con molto minor incomodo, e dispendio di quello richiedano i viaggi di terra.
La Pesca delle Anguille è la più considerabile, che si faccia nelle Paludi Narentine, dove questo pesce ascende in gran copia dal mare vicino. Non v’è forse luogo in Dalmazia più opportuno all’istituzione di Valli chiuse, e regolate come le Comacchiesi; ed è certa cosa, che il prodotto delle Anguille da mettere in sale, e da marinare in breve giro d’anni avvicinerebbesi a quella quantità, per acquistare la quale dalla Nazione profondesi annualmente un tesoro, che passa in Estero Stato. Adesso questo prodotto di Narenta non ascende a gran cosa, perchè vi si esercita la pesca con un metodo rozzissimo; i fondi non sono disposti come dovrebbono, nè le Valli regolarmente piantate. Nello stato poi attuale di quelle Paludi il pesce, che vi si prende, à poco concetto di salubrità, quando si voglia mangiarlo appena uscito dell’acqua: purgato però ne’ vivaj diviene usabile senza pericolo veruno, come lo è quando sia messo in sale.
Oltre alle Anguille della Valle, si prendono varie spezie di pesci fluviatili nella Narenta, e di quelli che ànno maggior pregio nelle mense de’ ghiotti. Le Trote vengono frequentemente dalla parte superiore del fiume, e vi si prendono anche de’ Salmoni. Verso le foci, e ne’ contorni dell’Isola d’Opus frequentano i Muggini nella stagione opportuna alla fecondazioe dell’uova; ed anche di questi vi si farebbe gran preda da un popolo mediocremente industrioso. Le barchette, colle quali i Narentini vanno nel fiume loro, sono picciolissime, e leggerissime. Essi le chiamano Ciopule col medesimo nome, ch’è usato dai Morlacchi della Kerka, e della Cettina per le loro Canoe. Le Ciopule, o Zopoli, di Narenta non sono d’un solo tronco d’albero, ma d’assiccelle ben sottili, unite insieme da costole interiori. Questi Zopoli non ànno differenza dalla poppa alla prua, nè orlo, o banda veruna; sono acuminati dalle due estremità. La loro estrema picciolezza, e la poca distanza dall’acqua, in cui si ritrova chi naviga con essi, fa raccappricciare. Gli Zopolieri non ànno remi, e spingono avanti il loro barchetto con certe palette lunghe intorno a quattro piedi, le quali maneggiano stando a sedere su le proprie gambe incrocicchiate.
Il suolo di Narenta ne’ luoghi non ricoperti dalle acque permanenti è arenoso, come dev’essere il terreno frequentemente inondato da un fiume totalmente privo d’argini, e che si gonfia co’ torrenti de’ luoghi montuosi. A queste alluvioni l’Isola d’Opus, che vi soggiace tuttora, deve un alzamento di dieci piedi da’ tempi Romani ai nostri. Uno scavo fatto colà nell’Orto de’ Signori Noncovich mi à mostrato le differenti stratificazioni, che ànno successivamente coperto il terreno antico campestre, nel quale si trovano alla detta profondità rottami di vetri, e di stoviglie Romane. L’Isola ad onta di questo alzamento non è coltivabile in ogni sua parte, restandovene grandissimi tratti paludosi, i quali però si potrebbono facilmente ritrarre, e mettere a profitto. L’abbondanza d’ogni genere di prodotto, che si mette nelle campagne Narentine, dovrebb’eccitare quella popolazione, s’ella non fosse d’un inerzia ineccitabile, ch’è probabilmente una conseguenza dell’aria crassa, che la preme, e circonda. Gli erbaggi d’ogni sorta, il grano Turchesco, il Frumento, e gli Ulivi poi singolarmente vi fanno meravigliosa riuscita; i Mori vi si alzano in breve giro d’anni a una procerità sorprendente, e i Bachi che se ne pascono fanno una bellissima seta. Le Viti non vi danno assai buona rendita; ed è un prodigio che vi si conservino restando per lungo tempo ogni anno sott’acqua, spezialmente nella pianura, che stendesi fra’ due fiumi rimpetto a Metkovich, Villa ben abitata da gente sana, laboriosa, e coraggiosa.
Ad onta del terreno ubertoso, e della situazione più che ogni altra felice rapporto al commercio colla Turchia, il paese di Narenta è pochissimo popolato, e meno ancora frequentato da’ naviganti, che temono gli effetti di quell’aria, da cui forse dee ripetersi la qualificazione di Neretva od Boga procleta, Narenta maladetta da Dio, ch’è passata in proverbio presso i Dalmatini. Il cel. Dottor Giuseppe Pujati, che morì Pubblico Professore a Padova dopo d’avervi con somma lode per varj anni insegnato la Medicina, diede alla luce un Trattato de Morbo Naroniano, atto a spaventare qualunque avesse voglia di colà portarsi spezialmente in Autunno. Io però vi fui d’Ottobre, vi restai quindici giorni, e la mercè di semplicissime precauzioni ne uscii sano con tutti i miei marinaj, che aveano fatto di molte difficoltà prima di venirvi. L’acqua, che stagna in alcuni luoghi, vi diventa pestilenziale a segno d’uccidere il pesce che vi nuota; il Pujati assicura che gli uccelli palustri, de’ quali v’è un’immensa abbondanza, cadono sovente avvelenati dalle micidiali esalazioni. Egli qualifica le febbri autunnali Narentine come una spezie di peste, da cui è difficilissimo il liberarsi.
Ogni abitante di quella Contrada à il suo picciolo padiglione per ripararsi dalle zanzare, e insetti congeneri nel tempo del sonno; le persone più comode stanno sotto il padiglione di velo anche il giorno, durante la stagione calda. Il numero di queste incomode bestiuole nel tempo ch’io mi trovava colà era ancora sì grande, ch’ebbi a disperarmi. Un Ecclesiastico mi mostrò una picciola escrescenza, o natta, che avea in fronte, e mi assicurò che la gli era venuta dalla puntura d’una zanzara. Egli è uomo d’ingegno acuto anzicchè no; e mi disse, che sospettava le febbri, dalle quali erano tormentati i Narentini, potessero essere occasionate dalle punture di quest’insetti, che dopo d’aver succhiato un pesce, o un quadrupede fracido, o forse un’erba malefica passano a succhiare gli uomini. Veramente non sembra impossibile la comunicazione d’un qualche miasma anche per questa via; ed il sospetto è per lo meno ingegnoso. L’insalubrità del paese di Narenta non è però irrimediabile; alcune porzioni vi si sono rese abitabili dopo la coltivazione de’ terreni contigui. Il cercare d’incoraggirvi l’Agricoltura, e i Ritratti in particolare, potrebbe ancora farlo divenire un Territorio ricco, e ridente, come dovette essere stato ne’ tempi antichi.
I colli, che circondano quella Contrada, sono per la maggior parte marmorei: non v’à differenza dagl’impasti delle loro pietre a quelle dell’Isole. Nè curiosità fossili, nè cose utili vi si osservano, se una Miniera di Pissasfalto se ne voglia eccettuare, che trovasi appiè del Monte Rabba, nel tenere di Slivno, in Xaxabie. Io non ò visitato quel sito, come nemmeno una cava di marmo bianco nel luogo detto Comin, che m’era stata indicata. La regione montuosa v’è tutta piena d’antri, e di voragini, delle quali si raccontano gran meraviglie. Io ebbi nella mia barca un Frate, da cui m’era stato fatto sperare che avrei ritratto qualche buona notizia, il quale mi raccontò le più matte fole, che possano formarsi in un capo guasto dalla superstizione. Questo strano vivente giurava su le strida de’ bambini nelle voragini, e su le danze delle Fate nelle caverne, come s’egli ne avesse veduto le mille volte. Egli mi assicurò che avea in un suo libro particolare una benedizione, contro la quale nessuna febbre poteva resistere. Interrogato del perchè non guariva tutta quella meschina popolazione, e non faceasi così un merito presso Dio, e gli uomini? rispose ingenuamente, che voleva essere ben pagato per fare di questi miracoli, e non si curava di operarli per gente meschina, e spilorcia. Io restai poco edificato, come potete ben credere, di questa sincerità: e tanto più mi parve mostruosa, quanto che gli altri di lui Confratelli sono pieni d’umanità, e di carità verso i poveri Morlacchi. Sarebbe lunga cosa, ed inutile il ridirvi tutte le pazzie, e le falsità dettemi dal fantastico uomo sul proposito dell’antica estensione, de’ monumenti, e delle Lapide che si ritrovano in quelle Paludi. Io mi sono fidato delle di lui parole una sola volta; ed ebbi da pentirmene. V’è anche un libriccino stampato, nel quale si leggono molte cose mattamente apocrife del paese di Narenta; io non voglio sapere se il mio Frate ne sia l’Autore, ma, comunque siasi, è lavoro che non merita d’essere letto, nè censurato.
Io abbandonai il paese di Narenta penetrato da un intimo sentimento d’obbligazione inestinguibile verso i cortesi miei Ospiti, ma nel tempo medesimo stomacato dell’impudenza, dello spirito bugiardo, mancatore, scompiacente di qualche altro, che ò avuto la disgrazia di conoscere a prova. Mi resta l’esacerbazione ancora nell’animo pel progetto, che mi vi fu guastato, dell’andata al Ponte di Mostar. Spero ciò non pertanto ancora, Mylord, di potervi servire in questo, se mai ritorno a internarmi nella Dalmazia, e di darvi così una prova di quel giusto, e inalterabile attaccamento, cui la continuazione della Bontà vostra per me rende vieppiù forte ad onta del tempo, e della distanza, che mi allontana da Voi.
- ↑ Most stari, Ponte vecchio.
- ↑ Scyl Cariand. inter Geograph. min. Hudsoni. pag. 9.
- ↑ Potrebbe alcuno condotto dalla maggior analogia de’ nomi credere che Ραδώτζα del Porfirogenito fosse Rastok, e non Zaostrog: ma dovendo Rastotza essere al mare come Mocros, ed esercitare la Pescagione, non si può ragionevolmente confonderla con Rastok fra terra.
- ↑ Athen. Dipnosoph. Lib. XV. cap. VIII.
- ↑ „Narrasi che gl’Illirj detti Taulanzj fanno vino del miele; imperocchè spremono i favi dopo d’avervi gettato sopra acqua, e questa cuociono fino a che ne resti la metà, poi la mettono in vasi di creta ch’ella è di già dolcissima al bere; indi ripongonla in botti di legno, e la conservano per molto tempo sino a che contragga il sapore di perfetto vino. Questa bevanda poi è dolce, e salubre. Raccontasi che qualche volta ne sia stato fatto anche in Grecia, e che non distingueasi dal vino vecchio.“ Aris. Περί θαυμασίων άκουσμάτων.