Vera storia di due amanti infelici ovvero Ultime lettere di Iacopo Ortis (1912)/Lorenzo F. all'amico Angelo

Lorenzo F. all'amico Angelo

../Angelo S. al sensibile lettore ../Lettera XLVI IncludiIntestazione 7 settembre 2020 75% Da definire

Angelo S. al sensibile lettore Lettera XLVI

[p. 146 modifica]

Lorenzo F. all’amico Angelo.

Dalle rive di*** 20 giugno 179...

Anche un’ora... e perdo forse per sempre la speranza di rivederti. Amico, credi tu che il cielo sia cotanto inquieto di mia sorte, che pur voglia sconvolgere la muta natura a mio favore, ond’io respiri tranquillamente alcun breve giorno di piú? Oh! gl’infelici traggon conforto dal pianto... e dalla morte. L’uomo virtuoso è sempre misero; ma lo scellerato sovente nuota nelle delizie.

I miei feroci padroni vogliono trascinarmi carico di ceppi nel tempestoso oceano: hanno costoro il barbaro piacere d’insultare perfino a’ miei sospiri. Né certo tu stupirai ch’io ti parli di «padroni», io... le di cui fibre, i sentimenti, l’anima, gli aneliti stessi non respirano che libertá. Io schiavo? Fortunato colui che sa esser libero in seno della schiavitú, egli il piú libero di tutti gli uomini. Obbedisce alla ragione, brama niuna cosa e comanda ai propri affetti; e tale io sono, o pur mi lusingo d’esserlo... Approfitto della umanitá che ritrovo nel mio albergatore per iscriverti queste poche linee, che tu riceverai dalla mano di quel vetturino che mi conduce or ora alle carceri di***. Fra poco adunque non vedrò piú quest’aere placido e sereno, e questi colli, e queste frondi solitarie, che offrono all’uomo curvato dalle fatiche il ristoro di amic’ombra ove adagiarsi tranquillamente. Quanti agricoltori, che si credono infelici perché grondanti di sudore su un campo sterile, mi sono oggetto d’invidia. La mia salute è poi vacillante a segno, ch’è un prodigio s’io non soccombo al peso delle mie disavventure.

Addio! Mi ti raccomando le poche mie cosucce ed i miei scritti. Bada bene, per la nostra amicizia te ne scongiuro, che la memoria del caro Iacopo non rimanga inonorata ed estinta. E molte di lui lettere sono stampate: del rimanente ne avrai tu cura, che giá ben sai gli avvenimenti tutti degli ultimi suoi dí.

Dirai alla povera mia Marianna... Eterno Iddio! parmi ancor di vedere il suo pianto, sentir l’ultimo addio e l’estremo suo bacio!... Le dirai... che viva; io ne la prego pel nostro tenero amore, per me stesso, che le fui sí caro, e per i suoi negri occhi, [p. 147 modifica] che idolatro... Tu la consola e le rasciuga le lagrime... Che altro posso dirti? Le consegnerai inoltre la qui acclusa lettera. Perdona, o diletto Angelo, ad un moto di tenerezza e d’amore, che mi strappa, mio malgrado, una lagrima. Sono io debole forse?... Ov’è l’uomo tanto stoico ed insensibile, che freddo si stia qual rupe al raggio ineffabile della bellezza e della virtú? Infelice! No: egli non ha cuore!

Addio... forse per l’ultima volta. Sento che le forze mi abbandonano, e appena stringo a grave stento la penna. La pesante catena, che m’aggrava il destro braccio, illanguidisce la mano, la ritira verso il terreno, ed il suo ferale suono mi riempie di tristezza. O morte! io t’invoco, e tu pietosa non odi?

O Angelo..., o dolce amico..., addio!


L’incognito poscia mi narrò minutamente alcune cose circa lo stato di Lorenzo. — Se lo vedeste! o signore. In mezzo a tanta disgrazia fa invidia ai piú felici: si contenta di cosí poco! Suol dir sovente che «Dio non abbisogna di nulla, e l’uomo saggio di poche cose». Questo virtuoso prigioniero comincia ad essere amabile perfino a’suoi nemici. Tanto può la forza della virtú! —

Io mi sentiva commosso. Ogni parola dello straniero era una ferita al mio cuore, e mi mancava perfino la forza del respiro e delle lagrime. E, quando poi giunse a narrarmi la sua partenza sopra di una nave, quando... — Italia — io dissi, — Italia ingrata! cosí lo perdi? Oh, felice quella terra (e sia pur barbara!...) che nel suo seno accoglierá Lorenzo e coprirá di alcune zolle le sue misere ossa!

Qui forse, o lettore, amerai di sapere ove e per qual destino fosse tratto Lorenzo a cosí duro servaggio. Ma tu perdona al mio silenzio: il mistero deve ascondere di un denso velo la sorgente fatale, le circostanze atroci e i luoghi stessi delle sue sventure!

Non tardai d’avviarmi ben tosto alla casa di Marianna. Gli onesti amori della vezzosa fanciulla sono assai noti: adorava ella teneramente Lorenzo, e Lorenzo non viveva che per lei. Entro nella sua camera. Giaceva scapigliata e discinta sopra un soffá; neglettamente le pendeva un bianco braccio sopra il rosato gonnellino, ed, appoggiando il mesto volto ad una mano, teneva immobile lo sguardo su la terra. Il rumorio de’ miei passi la riscosse. [p. 148 modifica] Mi vide appena, che, alzandosi con una spezie di furore, corse con le aperte braccia verso di me: — E il mio Lorenzo?... — Un torrente di parole pareva che uscir volesse da quella bocca: non parlava... I lunghi aneliti, i singhiozzi, le lagrime le troncarono la voce: guardommi fisa, e, leggendomi forse nel sembiante il suo destino, muta si ristette... ed ambe le caddero le belle braccia stese e pendenti verso il terreno. — Oh Dio! — altro non proruppe.

È fuor di luogo ch’io descrivendo vada coteste cose, straniere no, ma separate dall’oggetto delle presenti lettere. Io sol dirò che la vezzosa Marianna inconsolabil piange il suo Lorenzo: la sua salute è cosí languida, che temo forse non spiri fra poco. Ed ecco il frutto delle umane passioni!

Tempo è alfine di proseguir la storia funesta di Iacopo. Andrò pure interompendo anch’io coteste lettere, siccome Lorenzo incominciò, descrivendo circostanze ed aneddoti interessanti. Anzi v’aggiungerò alcune lettere e cose altre a me sol note, poich’io seco vissi negli estremi suoi di. Infelice! tu lo vedesti morire, e tu pur vivi?


Nota bene. Tutto quello, che narrerò di Lorenzo e di Teresa, o essi medesimi me lo raccontarono e scrissero, od io stesso fui presente ai fatti ed ai ragionamenti. [p. 149 modifica]

Iacopo sul far del giorno, come giá si è detto, partì. Giá non attese i cavalli, ma trascinavasi passo passo verso la posta vicina: si fermava ad ogni istante, e rivolgeva addietro gli sguardi. — Giammai — egli mi disse dappoi, — forse giammai la passione mi rese tanto debole e spossato. Sembrava che un dio arrestasse i miei passi. Vedeva, ahi misero!... mi pareva di vedere Teresa istessa piangente additarmi da lunge ch’io non partissi. — Infatti un interno tremito lo assale: ei vacillava, e, non reggendo piú oltre, si posò sovra l’erba allor fresca e rugiadosa. Balenavano i primi raggi del mattino, leggiadramente colorando le cose, e scendeano le vive stille dell’aurora ad animare i cespi fioriti ed aprire il vergin seno delle rose. Iacopo sedeva intanto in un tetro silenzio, e di tratto in tratto alzava un poco gl’indeboliti suoi lumi: ivi brev’ora si giacque, sempre a capo chino, muto e pensoso. — La vedrò anche una volta! — alfine esclamò, e, levandosi con qualche impeto, diresse il suo piè vacillante verso la casa di Teresa. La disperata passione, che movea tutte le sue fibre e continuamente le agitava, diede forza e vigore a’ suoi passi; e l’immagine di Teresa, sempre fitta davanti i suoi occhi e fin entro il suo cervello, lo condusse vicino al desiato albergo.

Il cuore di Teresa non era piú quello. Da qualche giorno ella provava i veementi palpiti dell’amore, e, volendo pur sopprimerli, li accresceva. Non piú dolce e pacifica vezzosamente sorridea, ma spesso arrossiva e chinava alquanto i neri occhi molli d’alcuna stilla di pianto; spesso coprivasi d’un mesto pallore le guance; le sue parole erano tronche, fredde e le morivano sui labbri; ora vedeasi pensosa ed immota come una statua, ed ora un lungo ed affannoso sospiro le usciva dal profondo del petto, ed ella poi si chiudeva nella sua camera. Oh, come quivi allargava il freno alle tristi sue lagrime! La pietá, l’amore e i suoi doveri di sposa la laceravano crudelmente. Volea pur strapparsi dal cuore la dolce immagine del caro Iacopo...; ma questa vi si stampava piú forte.

Dopo che l’infelice giovane erasi ultimamente da lei congedato, Teresa non ebbe piú pace: una certa tenera malinconia erasi sparsa nel suo volto, ed i suoi gentili lineamenti spiravano il dolore e la tristezza. Piú volte prese l’arpa e suonò le patetiche canzoni [p. 150 modifica] del suo Iacopo; ma le mancavano poco a poco le forze, le cadeva il braccio, e piangeva. Venne la notte, che placidamente invitava lo stanco mortale al riposo. Invano ella si coricò sulle piume, invano sovente agitava le sponde coll’uno e l’altro fianco: l’invocato sonno a lei non scese..., ma solo il pianto ed il dolore. «Temeva — un giorno mi scrisse — di non piú rivederlo: avrei voluto per l’estrema volta dargli almeno un addio!... A questa idea palpitava il mio cuore, e, quasi pentita, poscia tremava al pensiero di sol vederlo».

Così lung’ora lottò contra la feroce passione che la struggeva. Alfine chiuse alquanto le gravi e stanche pupille. Fu breve il suo sonno, o piuttosto un languido e cupo sopore: turbata da lugubri visioni e da spaventevoli sogni, ben presto si risvegliò. Sbalza smaniosa dal letto al balcone, per consolarsi pure (ed il poteva?) all’aspetto sereno della natura, osservando la tacita luna, che lentamente coll’altre stelle andavasi disperdendo nel colorato orizzonte. Solo il bel astro di Venere si vedea timido tremolar di pallida luce, ed uscire intanto dalle nubi dorate i rossicci raggi dell’alba nascente; ma la bella natura non presentava all’occhio di Teresa che orrore, desolazione e vuoto. Tanto le umane passioni dipinger sanno i circondanti oggetti a norma dei loro felici o pur funesti deliri!

Passava da quell’ora appunto l’ortolano: la vide alzata, e, ricordandosi della lettera di Iacopo, gliela porse. Teresa palpitò nell’aprirla; la lesse sospirando piú volte; incerta ancora, la rileggeva, e di nuovo tornava a leggerla. — L’amico del mio cuore! — essa diceva teneramente — del mio cuore! — Poi ad un tratto, ammutolita, si abbandonò sopra una sponda del letto. Ivi non piangeva, non sospirava: le sue lagrime s’erano disseccate sul ciglio, e spenti sul labbro i suoi sospiri. Un freddo gelo, un brividio le corse per le vene e le piombò di repente sul cuore. Guardava istupidita la lettera, e, crollando languidamente la testa, movea le ciglia, quasi in atto di compassione e di pietá. La fida sua cameriera mi raccontò piú volte che in quei momenti tremava per la salute della sua padrona.

Intanto la sua virtú faceva gli estremi sforzi: essa non avea perduto i sublimi sentimenti dell’onore e de’ coniugali doveri. Amava Odoardo; ma qual colpa se il suo cuore tenero e sensibile s’era fatalmente troppo commosso alla seducente passione d’un amabil giovane, che assolutamente si moriva per lei? [p. 151 modifica] Dopo alcun poco rinvenne da quella terríbil situazione. Seco prese l’amata lettera ed anche l’arpa, e andò nel giardino.

Qui si giacque a piè del frondoso ciriegio, ove sovente adagiò il bel fianco vicino al giovane amico. I vaghi cardellini, che vi tenevan lor nido, saltellavano fra le mosse frondi dai zeffiri del mattino, soavemente salutando la rosata aurora e ’l fiammeggiante astro del giorno. Essa, malinconica e mesta, suonando cantò:

               Aura soave e querula,
          perché t’aggiri e mormori?
          m’inviti a sospirar?
               Aura, non piú!... di pianto
          pasco il mio core intanto...;
          ma che potrò sperar?
               Doman verrò? — dove, o pastor gentile,
          ove — dirò — sei tu?...—
               Un venticello allor basso ed umile
          risponderá: — Giá fu!... —
               Domani, io non son più!... Povera Nice!
          d’aft’anno, oh Dio! morrá.
               E invan mi chiamerá l’aura felice,
          ma non mi troverá!...
               Solo del mio pastor l’ombra pietosa
          verrá gemendo ove il mio cor riposa!

Iacopo frattanto era giunto presso il giardino: il flebile arpeggiar di Teresa, il mesto e dilicato suo canto gli passò di slancio nel cuore. Si arresta, quasi sorridendo, ad un tratto; tende ansante le orecchie e le braccia in atto d’ascoltarla e di vederla; van tremolando le sue ciglia umide d’alcune stille di gioioso pianto: poi ricade in un mortale languore, basso basso ripetendo: — Ma non mi troverá! — Il canto cominciava un poco a illanguidirsi; il suono era spesso interrotto; la voce fievole, sottile pareva l’ultimo sospiro d’un venticello, che abbandona i cespi delle rose; alfine piú non s’udì. Iacopo s’accostò al giardino, che, rimanendo alquanto diviso dalla casa, concedeva libero l’accesso ad ogniuno.

Egli entra e muove pian piano il dubbio piede per que’ viali odorosi. I zeffiri del mattino, che voleggiavan lascivi fra le tremule erbette e le ascose viole, passavano talvolta leggermente scherzando tra il velo e il bianco seno di Teresa. Sdraiata su le verdi zolle all’ombra del favorito ciriegio, la sua testa posava sul pedale [p. 152 modifica] dell’albero, e le ignude braccia stese pendevano neglettamente sopra i ginocchi. L’innamorato giovane ancor da lunge vide luccicar tra ramo e ramo la sua candida vesta. Non avanzava un passo senza provare quei soavi trasporti, che sono le vere delizie d’amore. Ma, quando le si appressò, e vide le sue negre abbassate pupille in braccio a un dolce sonno, ed il labbro di rosa vagamente socchiuso e mosso da soavi respiri; quando mirò quel ricolmo seno un cotal poco ondeggiar fuori del velo agitato, e lento lento sollevarsi ai forti palpiti del suo cuore... Iacopo piú non resisteva: respirava per tutti i sensi di si cara vista, e, prostrato d’innanzi ad essa pateticamente, pendea cogli occhi, col labbro, colle braccia, co’ l’intero e tremante suo corpo sopra quello di Teresa. Ma neppure osava di trarre un solo sospiro: non palpitava, non si raovea, adorando coll’anima, tutta su le ciglia, quella dea, quell’angelo terrestre che si dormiva.

S’accorse ch’ella teneva fra le dita la lettera che le scrisse, e ben conobbe le orme ancor vive del pianto che dalle guance le scendeva infino al petto. L’infelice non sostenne tal vista; e, mentre giá prorompeva in una certa smania, in una ansietá, in un furore..., Teresa, mezzo ancor sonnacchiosa, movendo il fianco in atto di destarsi, con fiacca e tronca voce sciamò: — Domani io non son piú! Povera Te...; — e non fini la parola, che, aprendo gli occhi: — Oh Dio!... Iacopo?... — altamente gridò, e, con un rapido moto di meraviglia e di spavento, arretrando la testa, con ambo le mani si velò la faccia. Iacopo non parlava; le prese teneramente una mano, la copriva di baci e di lagrime; balbettava, tremava, piangea. La sensibil Teresa lo respingeva, ma debolmente; teneva chino lo sguardo, e sparso il volto d’un amabil rossore. — E tu ancora — le disse, — e tu, o crudele amico, vieni ad assalire la mia virtú! Quando tu stesso m’hai finalmente svelato la tua passione — gli additava intanto la sua lettera, — quando tu m’hai annunziato la tua partenza, quando io ti credeva lontano, tu vieni a strapparmi un secreto... in questo stato!... cosí!... quivi!... Ah! lasciami la mia pace, il mio cuore, la mia virtú: fuggi. Tu troppo, o tenero amico! hai funestato questi ultimi miei giorni. — Tali parole, miste di sdegno e di tenerezza, facevano travedere i suoi mal frenati sentimenti di pietá e d’amore; e Iacopo ben comprese che anche la di lei bocca, benché con tronchi e confusi accenti, gli diceva quasi: — Io t’amo! — Egli, stando nella stessa posizione e continuando a baciarle ardentemente la mano: — Ah! lo so — con un [p. 153 modifica] lungo sospiro le rispose, — la mia passione ha funestato i tuoi giorni! Ma vivi, e vivi pure in pace; io l’ho perduta per sempre!... per sempre! Perdonami, Teresa, se ho turbato il tuo ritiro, il tuo sonno..., le tue lagrime stesse. Erano forse spremute dalla pietá, da un moto di compassione, di... ah! dalla memoria del tuo povero amico! Io le rispetto, io le adoro queste lagrime; ma il mio cuore, l’anima, tutt’i miei sensi mi chiedevano questo addio, sì, Teresa, quest’ultimo addio! Poco ancor mi rimane di vita: io mi sento così debole, cosí sfinito..., cosí arso...; tu verserai ben presto, lo spero, una lagrima, un sospiro di rimembranza sulle ceneri fredde del tuo Iacopo. —

Il discorso di Iacopo era molto appassionato, i suoi gesti espressivi e quasi di moribondo: Teresa sedeva ancora, e, fissandogli l’occhio con dolcezza ed un patetico sorriso, tentava di calmarlo e racconsolarlo. — Sono abbastanza umiliata? — le aggiunse. — Tu vedi il mio stato. Le tue virtú medesime stavano per sedurmi; beveva forse, senza avvedermene, il veleno che tu m’inspiravi: l’ho conosciuto da poco tempo; e i tuoi occhi, i tuoi sentimenti, i tuoi discorsi, le tue smanie, i tuoi deliri me lo rendono piú crudele e mortale. Perché tanta vivacitá di carattere ed un genio cosí impetuoso ed indomabile! Cálmati una volta, ed ascolta la tua ragione... Qual è l’oggetto della tua passione? Una giovane donna che non è piú padrona di se stessa, legata da nodi e giuramenti sacri, inviolabili...; che deve tutti i suoi pensieri, ogni sospiro, ogni occhiata al suo sposo..., e che assolutamente null’altro può che compiangerti..., e inutilmente! — Egli si rialzò con aria cupa e feroce, e strappando la propria mano da quelle di Teresa, lampeggiò sovr’essa d’un’occhiata cosí orrenda, che la fece tremar tutta. — «Assolutamente»! — stritolando i denti con rabbioso dispetto le rispose, — «inutilmente»! — Poi, con un tuono fermo e spaventevole: — Tu l’hai pronunziato!... La finirò io... per sempre... Teresa!... addio. — La voce di Iacopo avea un accento forte e vibrato; si vedea dipinta una disperata passione in tutti i suoi gesti, ogni moto era animato ed acceso. — Insensato! — ella riprese con forzata severitá, — se vi sono cari i miei giorni,... tremate di attentare ai vostri! — Frattanto lo riprese per mano e dolcemente gli disse: — Amico! tranquillizzatevi un momento per pietá!... E Teresa che ve ne prega. Via! riposatevi anche un poco, e rispettate la vostra salute, e poi!... — Non ci vedremo mai piú! — con un gran sospiro egli l’interruppe. [p. 154 modifica]

La scena diveniva piú placida: Iacopo si pose meno agitato accanto di Teresa, che ripigliò l’arpa fra le mani. Giá il sole era comparso fiammeggiante sull’indorato orizzonte, e d’ora in ora traspariva da alcun leggiadro nuvoletto, che lo velava lievemente, e poscia si disperdeva nell’immensa ampiezza dell’azzurro celeste; i suoi raggi brillavano fra li ondeggianti rami degli arbori; un fresco zeffiro mollemente agitava le fronde ed i fioretti, increspando con grado mormorio le limpide acque de’ ruscelli. Era l’aere sereno, e solo da lungi si vedeva una densa nebbia e de’ neri nugoloni sovrastare alle valli profonde. La benefica natura spirava nelle piante, nei fiori, negli augelli e nei mugghianti armenti la dolce sensazione d’amore.

     L’acque parlan d’amore, e l’aura, e i rami,
     e gli augelletti, e i pesci, e i fiori, e l’erbe!

Il giardino di Teresa presentava tutto l’aspetto soave d’un asilo pacifico e ridente: vi si riconosceva per tutto la mano della natura e la sua maestosa semplicitá. Qui si assidevano in un delizioso raccoglimento, discorrendo tratto tratto or d’un tenero cespuglio, che, stendendo giovani rami e nuove fronde, spuntava allora in un gentile disordine dal seno della verdura, or d’una pallidetta viola, che umile ancora s’ascondea fra foltissime foglie, spargendo l’aria d’un olezzo soave, ora d’una rosa nascente, or d’un pomo caduto, or d’una pianta moribonda e disseccata. Iacopo per altro appena incominciava un qualche spensierato discorso, che lo rompea con un sospiro o lo finiva sul nascere. Ella se ne avvide, e cominciò a suonare alcune ariette graziose. Dopo alcuni tocchi di arpa, egli la pregò vivamente che suonasse la canzonetta «Aura soave e querula» a lui tanto cara, e che dippiú l’accompagnasse colla sua voce che anelava di udire — forse!... per l’ultima volta! — gli dicea. Essa lo compiacque.

È inesprimibile lo sconvolgimento d’affetti, che provavano ambidue. Il canto di Teresa diveniva lento e fioco, e le pendevano le lagrime dagli occhi infiammati; e, quando poi arrivò a quel passo:

          Solo del mio pastor l’ombra pietosa
          verrá gemendo ove il mio cor riposa!

allora Iacopo non frenò piú la smania, l’agitamento e le grida soffocate. Essa taceva e lagrimava; non poteva piú rimettersi [p. 155 modifica] nella sua calma, e stava in atto d’abbandonar l’arpa ed alzarsi: ma egli a forza la rattenne e la scongiurò tremando a proseguire. Teresa raccolse tutto il suo spirito, ed, asciugandosi le umide ciglia e la pallida guancia, prosegui:

               Ah, per pietá lasciatemi,
          astri crudeli e torbidi,
          lasciatemi il mio ben!
               Se lo sapeste!... oh Dio!...
          egli era l’amor mio!...
          l’idolo del mio sen!
               Silenzio!... io sento un mormorio piacevole
          ed un lontan sospir...
               Questa è del mio pastor la voce fievole!
          vedetelo morir!
               Ombra cara, t’arresta: anch’io son teco;
          teco, mio ben, verrò!
               Teco, sotto quel sasso e quello speco,
          pace e riposo avrò!
               Ma tu taci!... mi guardi!... e passi intanto!
          mi lasci sola e m’abbandoni al pianto?
               Sulle cime del monte nemboso,
          sulle rive del fonte muscoso,
          ombra ignuda, piangendo starò.
               Se mai erri fra il muto mio sasso,
          su vi spargi un sospiro d’amore,
          un sospir lamentevole e basso,
          e un momento felice sarò!

Qui Teresa s’arrestò e tacque: tutta innondata di pianto, volea pur comprimere i suoi profondi sospiri. Indarno! Fisamente sogguardava in atto di tenera pietá l’infelice Iacopo, ora pallido, ora avvampante, or furibondo. Le si oscurarono i sensi, e, lasciandosi svogliatamente cadere l’arpa di mano, ripiegò un poco, quasi svenuta, fra le braccia dell’amico. No: che amore giammai presentò una vista sí dolce e commovente! Giaceva essa mollemente appoggiando il capo fra l’omero destro ed il collo dell’amato giovanetto; una sua mano posava con forza sopra il di lui cuore e lo premea soavemente; coll’altra, talor schiva e sdegnosetta, respingeva, ma inutilmente, i di lui labbri, avidi di baci. Le sventolavano intanto all’aria i suoi negri capelli; il leggiadro velo scomposto, cedendo alle scosse violente de’ suoi palpiti, scopriva [p. 156 modifica] un seno cosí candido, cosí ricolmo e vezzoso... E quella bocca di rose, la bocca di Teresa! vagamente congiunta ai labbri infocati dell’amante... Il caldo sudore che traspirò da tutta la di lui fronte aggricciata e impallidita, l’umida fiamma che li tralucea fuori degli occhi, le veementi battute del suo cuore, gl’intorbidarono la vista, i sensi e l’intelletto (ah! egli abbracciava un angelo di beltá!)... Non vede, non ode piú nulla. Ansante, tremante e quasi furioso, s’abbandona sopra la bella, scolorita Teresa. La copre tutta di baci, di lagrime e di sospiri... Se la stringeva forte al suo seno, la ribaciava, raccoglieva anelante i sospiri su la sua bocca; e quelle socchiuse pupille, e quel vago labbro, e quel seno ignudo, e quella... Stavasi per cominciare l’atroce attentato. — Iacopo! Iacopo! — dimenando essa furiosa le braccia, gridava, ululava... L’onore, la virtú, il cielo le avevano spirata la forza e la voce. Egli non udiva. La passione gli ribolliva tutta nelle vene; a lunghi sorsi beveva il piacere; non vedea, non concepiva che i moti dell’amore e della voluttá. Ma troppo debole per altro, e troppo agitato da un continuo tremore e dalla furente passione, indarno faceva forza e tentava, ché, sempre fieramente respinto, soltanto ricadea sudante, abbracciato e boccone sopra di lei. Alfine, mossa da prodigioso coraggio: — Lasciami, o scellerato, e trema — con un tuono terribile di voce gli gridò; e, strappandosi con tutta forza dalle sue braccia, si spiccò rapidamente dal suo fianco, e, palpitante e affannosa correndo verso il cancello, irata e fiera: — Addio per sempre..., Iacopo, per sempre! — esclamò: poi, volgendosi addietro, poi riguardandolo con occhio tenero e dolente: — Addio per sempre — gli replicò, e gli sparí dalla vista.

Iacopo, stupido, immoto, allungava ancora le mani in atto di abbracciarla; pendea colla bocca anelante, come se la baciasse; piú volte stese le braccia, per stringerla; e l’infelice non strinse che un’ombra, che un vento..., nulla! Si riscosse dopo lung’ora dal funesto sogno, e, divorando cogli occhi ora qua or lá i luoghi piú riposti e folti del giardino, disperatamente si alzò. — Per sempre! — quasi trasognato borbottava, e fissava lo sguardo sulla terra. Per sorte era caduto dal seno di Teresa un piccolo e semplice monile, che racchiudeva il suo ritratto. Era stato dipinto da Odoardo, e Iacopo forse lo sapea. Lo prese, lo aperse e, con atto di adorazione e di culto religioso baciandolo ben cento volte, alzò gli occhi al cielo, sommessamente sciamando: — Ti ringrazio! — Poi se lo portò verso il petto, ed ivi lo racchiuse. S’incamminò [p. 157 modifica] indi alla casa di Teresa. Quando stava per volervi entrare, se gli affacciò in quel punto alla turbata immaginazione tutto l’orrore dell’atroce attentato, le grida affogate di Teresa, le sue minacce, il suo sdegno ed il proprio irrequieto e crudele rimorso. Non eseguí, è vero, ma osò, benché fuor di se stesso, di attentare all’innocente candore...; e basta! Egli conosceva perfettamente Teresa e le sue virtú. Non sostenne piú a lungo un’immagine che gli straziava le viscere; e, inorridito e piangente, trasse il piede fuor del primo gradino della porta, vacillando e tremando sui ginocchi. Frattanto s’udivano i nitriti dei destrieri, che, spargendo per l’aria un nembo di polvere, s’affrettavano di galoppo verso quel luogo. Qual colpo di fulmine! Era Odoardo stesso, che tornava dal suo viaggio. Iacopo ne conobbe da lungi la carrozza e lo staffiere. Ma in tale stato, in que’ momenti, presentarsi all’amico!... allo sposo di Teresa!... Il cielo cominciava ad abbuiarsi; spessi lampi squarciavano il seno alle sorgenti nubi, che, raggruppate Scavallandosi, mandavano rare e grosse stille di acqua; fischiavano fortemente le fronde agitate degli arbori; e s’udiva il romorio della vicina tempesta e il lontano rimbombo del tuono. Iacopo volse un’occhiata di foco alla casa fatale, e, come meglio potea, diresse i languidi passi verso la propria abitazione. Vi giunse tutto molle e grondante di acqua: ivi raccolse tutte le sue piú care cose, ed, avendo di nuovo ordinato i cavalli, appena cessata la pioggia, si partí.

Prima di montare su la carrozza, consegnò premurosamente all’ortolano un’altra elegante edizione del Werther1, segnata da lui stesso di molte note sui margini. Lo pregò di darla a Teresa con tutta segretezza, assieme colla lettera seguente che aveva scritta.

  1. I libri accennati nella lettera xlv erano giá presso Teresa.