Vera storia di due amanti infelici ovvero Ultime lettere di Iacopo Ortis (1912)/Lettera XXVII

Lettera XXVII

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LETTERA XXVII

17 aprile.

Ti risovviene, Lorenzo, di quella magretta che villeggiava, quattr’anni addietro, appiè di queste colline, e che (perch’era innamorata del nostro Olivo P*, il quale per la sua povertá non potè ottenerla in isposa) si ridea della boria della sua ricca famiglia? Quante grazie da noi si rendevano alla madre natura, perché, fra tanti suoi figli appestati dalla societá, si compiaceva di preservar tratto tratto qualche sua creatura prediletta. Or bene: oggi l’ho riveduta maritata a un nobile, nel cui cervello s’è fitto il capriccio di essere letterato.

Passando per le sue possessioni, venne a visitare Teresa, da le conosciuta l’anno scorso a Vicenza. Io mi sedeva per terra, [p. 114 modifica] attento all’esemplare della mia Giovannina, che, appoggiata a una sedia, scrivea l’«abbici». Coni’io la vidi, m’alzai correndole incontro, quasi per abbracciarla. Caro amico, quanto diversa da quella di prima! Fredda, contegnosa, affettata, stentò pria di conoscermi e poi fece le meraviglie, come s’ella avesse imparato a memoria tutto quello che volea fare o dire. Cianciò di gioielli, di nastri e di cuffie. Noiato io di sì fatta falastrocca, incominciava a rammemorarle la nostra fanciullezza si dolcemente trascorsa fra gli ingenui trastulli di queste campagne. — Ah, ah! — rispose sbadatamente, e prosegui ad anatomizzare l’oltramontano «travaglio» de’ suoi pendenti. Il marito frattanto, gemmando il suo pretto «parlare» toscano di mille frasi francesi, magnificava il prezzo di quelle inezie e il buon gusto della sua sposa. Stava io giá per andarmene, ma un’occhiata di Teresa mi fe’ ritornare alla mia sedia. La conversazione venne di mano in mano a cadere sui libri che noi leggevamo in campagna: allora tu avresti udito messere tesserci il panegirico della «prodigiosa» biblioteca de’ suoi maggiori e della collezione di tutte l’edizioni degli antichi storici, ch’ei ne’ suoi viaggi si prese la cura di completare. Mi sovvenne del nostro Olivo, il quale stava di e notte co’ suoi cinque maestri1, ridendosi di coloro che siedono a scranna professori di frontespizi; e ne chiesi novella. Immagina qual io mi restassi, quando m’intesi freddamente rispondere dalla antica sua amante: — Egli è morto. — È morto! — sclamai, balzando in piedi e guatandola istupidito. Descrissi quindi a Teresa l’egregio carattere di quel giovine senza pari, e la sua nemica fortuna, che l’astrinse a combattere con la povertá e con l’infamia; e morì nondimeno scevro di taccia e di colpa. Il marito ci narrò la sua morte, avvenuta presso a’ colli vicentini, ov’egli s’avea ritirato per celare il delitto di piangere la sua patria; e soggiunse: — Non mi oppongo all’elogio del vostro amico; ma voi per aitro m’accorderete che le sue tante disgrazie sono state tutte figlie della sua stravaganza... [p. 115 modifica]

Io. Certo, egli vi avea dello stravagante, perché parlava un linguaggio al quale i tempi e gli uomini non sono assuefatti. Egli perdé inoltre l’aiuto di coloro che lo lodarono forse nel loro secreto, perché restò soperchiato dagli scellerati, essendo piú agevole approvar la virtú che applaudirla palesemente e seguirla. Per questo l’uomo dabbene in mezzo a’ malvagi rovina sempre; e noi siam soliti ad associarci al piú forte, a calpestare chi giace e a giudicar dall’evento.

Il marito. Egregiamente! Ma, s’egli menò una vita meschina, chi può non ascriverla al suo carattere rigido e malinconico, che diffidava sempre del beneficio?

Io. Tristo colui che ritira il suo cuore dai consigli e dal compianto dell’amicizia, e sdegna i mutui sospiri della pietá, e rifiuta il parco soccorso che la mano dell’amico gli porge! Ma ben mille volte piú tristo chi confida nell’amicizia del ricco, e, presumendo virtú in chi non fu mai sciagurato, accoglie quel beneficio, che dovrá poscia scontare con altrettanta onestá! La felicitá non si collega con la sventura che per comperare la gratitudine e tiranneggiar la virtú.

Il marito. Vi prego, vi prego...: voi andate al di lá. Io non intendo di rimproverare con ciò il vostro amico; ma... diffatti egli rifiutò sdegnosamente l’impiego, che riuscì a’ suoi amici di ottenergli nel governo austriaco.

Io. Ma voi, che pur avete meno fervidamente operato nella rivoluzione, avreste smentito il vostro carattere, diventando ministro della tirannide dopo d’essere stato uno de’ propugnatori della libertá?

La moglie (in fretta). Certo che no: ma chi ha bisogno di pane non deve assottigliar tanto l’onore!

— Inaudita bestemmia! — proruppi; — voi dunque, perché favoriti dalla fortuna, volete avere voi soli il diritto alla virtú; o, perché ella su la oscura vostr’anima non risplende, vorreste reprimerla anche nei petti degl’infelici e illudere in questa maniera la vostra coscienza e la pubblica fama? — Gli occhi di Teresa mi davano ragione, ed io proseguiva: — Coloro che non furono mai sventurati non sono degni della loro felicitá. [p. 116 modifica] Orgogliosi! non guardano la miseria che per insultarla: pretendono che tutto debba offrirsi in tributo alla ricchezza e al piacere. Ma l’infelice che serba la sua dignitá è uno spettacolo di coraggio ai buoni e di rimbrotto a’ malvagi. — Io mi andava infiammando... Fuggii senza cappello e, fremendo lungo la via, giunsi al Iago de’ cinque fonti. Grazie ai primi casi della mia vita, che mi costituirono povero! Mio Lorenzo! io non sarei forse tuo amico; io non sarei l’amico di questa donna senza pari!

Mi sta sempre d’avanti l’avvenimento di questa mattina. Qui..., dove siedo solo, perfettamente solo, mi guardo d’intorno e temo di rivedere alcuno de’ miei conoscenti. Chi l’avrebbe mai detto? Il cuore di quella fanciulla non ha palpitato al nome del suo primo amore! Ella anzi ha osato turbare le ceneri di colui che le ha per la prima volta ispirato l’universale sentimento della vita. Né un solo sospiro?... Ma che stravaganza! Affliggersi perché non si trova fra gli uomini quella virtú che forse, ahi! forse non è che vuoto nome...

Si, Teresa, io vivrò teco, ma teco soltanto. Tu sei uno di que’ pochi angeli, sparsi qua e lá su la faccia della terra per accreditar la virtú ed infondere negli animi perseguitati ed afflitti l’amore della umanitá.

Ma, s’io ti lasciassi, quale scampo si aprirebbe a quest’anima infastidita di tutto il resto del mondo? Qual angolo di terra sará illuminato da’ raggi sereni e pacifici, simili a questi in cui vivo?

  1. Omero, Plutarco, Tacito, Machiavelli, Montagna. L’editore [F.].