Vera storia di due amanti infelici ovvero Ultime lettere di Iacopo Ortis (1912)/Lettera LII
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LETTERA LII
Ferrara, 8 giugno.
Eccomi giunto pur anche qui. Se mi vedessi! La febbre ostinata s’ingagliardisce e mi toglie affatto le forze. Io giaccio in letto; ma non dormo, non ho pace né tregua, e sempre la dolce immagine di Teresa, ovunque giri lo sguardo, mi si mostra, or su la sponda del letto pietosamente stringendomi una mano, ed or la veggio in un angolo dell’oscura mia stanza; rasciugandosi gli occhi, e turbata e tacita sogguardarmi.
Par che l’invocato sonno mi scenda mestamente su le stanche pupille... Buona notte, Lorenzo.
Ore 5.
Poco fa, tentai di alzarmi. M’affaccio al balcone, e a cento a cento s’accavallavano, sorgendo dalle vicine paludi, altissime colonne di torbida, fredda e densa nebbia; cosicché piú non vidi le mura, le porte e le finestre delle case propinque; il cielo sparve al mio ciglio; e tutto divenne un vasto mare di nebbia. Benché spossato e languente, pure il mio spirito si trasportava con avido pensiero colá nei nebulosi monti di Cromia e di Mora, fra l’urlante possa degli alpini torrenti e il lontano rombo dei fosco-mugghianti nembi. Vedeva perfino, o Lorenzo, fra que’ nugoloni addensati, le pallide taciturne ombre de’ guerrieri bardi errar lentamente, e inabissarsi poi e disperdersi colle loro lance di nebbia. Non mi contenni dal pronunziar con tutta energia alcuni versi divini del celtico Omero:
E sola e lenta si movea quell’ombra:
faccia avev’ella pallida qual nebbia,
guancia fosca di lagrime: piú volte
trasse l’azzurra man fuor dalle vesti,
vesti ordite di nubi, e la distese
accennando a Fingallo, e volse altrove
i taciturni sguardi. — E perché piangi,
figlia di Starno? — domandò Fingallo
con un sospiro: — a che pallida e muta,
bell’ospite dei nembi? — Ella ad un tratto
sparve col vento e lo lasciò pensoso1.
E poi, sommessamente lagrimando, soggiungea:
Ti rivedrò... Di cava nube in seno
le nostre fredde e paliid’ombre in breve
s’incontreranno, o figli, e andrem volando,
spirti indivisi, a ragionar sul Cona!2.
Chi sa? Le nostre anime, o Teresa, un giorno forse passeggeranno dolcemente assieme le orbite celesti. Oh, come, al nostro incontrarsi, s’abbracceremo con gioia, e quali cose, quai dolci cose ci diremo al folgorante rotear de’ pianeti ed alla soave armonia degli astri!
Ma che mania è mai questa, o Lorenzo, che sempre m’agita e mi stravolge lo spirito? Ben tosto mi prese veemente desio di gittarmi ed immergermi tutto fra quella nebbia. — E che tardo — diceva — a depor lá, tutto lá dentro, l’orrendo peso che mi opprime?... — Il domestico entrò nella stanza, e, vedendomi molto acceso nella faccia, mi pregò ad avermi caritá e tornarmene in letto. Rivolsi un ultimo sguardo fuor del balcone; ed ecco giá giá diradarsi alquanto la folta nebbia, e pallido trasparirvi l’astro del giorno. Allargai le braccia, e, salutandolo riverente, esclamai: — Tu ben ti mostri alla dolente natura, e la consoli, e riscaldi...; ma la mia Teresa... spari! — Mi buttai boccone sul letto, e un pietoso sonno m’addormentò.