Vera storia di due amanti infelici ovvero Ultime lettere di Iacopo Ortis (1912)/Alcune memorie appartenenti alla storia di Teresa/Lettera III

Lettera III

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LETTERA III

30 luglio.

Deh! vieni, o bella Enrichetta, ad abbracciar la tua tenera amica. Quante volte essa non ti chiama e sospira! Ed a quest’ora, io credo, avrai ricevute sue lettere. Forse amore ti trattiene?... Una breve lontananza sará nobile e degno sacrifizio che gli farai. Sorridi? Confessa che Vinegia è un amabil recinto di giovani amorosi. Perdona, i’ ti prego, l’innocente scherzo, che m’ispirarono i leggiadri vezzi della brillante tua lettera. Noi qui viviamo fra la tristezza ed il pianto. Certo che Iacopo dovea forse richiamar dal cielo l’afflitta sua madre, o essa forza non ebbe di sostener gli urti dolorosi della gemebonda natura. Ier sera, dopo aver lottato dieci e piú giorni con un fierissimo male di punta..., ma piú coll’affannoso tormento della disgrazia del figlio, chiuse per sempre gli occhi alla luce del giorno! Lei fortunata! che dalle celesti regioni tranquillamente osserva e si ride delle strane follie e delle dure ingiustizie di questi miserabili insetti, rampanti sopra cotesto vile e basso atomo di terra!

Teresa... oh, si può dire che spiri una minima aura di vita! Ed io temo purtroppo che una fatal consunzione... Ah! vieni, dunque, o Enrichetta.

P. S. Mi è pur forza di proseguire. In questo momento nuovi guai. Tu conosci quell’uomo orgoglioso, prepotente, libertino, il signor di ***. Ebbene, non so poi in qual modo, ma certo gli riuscí [p. 199 modifica] di rapir fuor di casa la Paolina, cosí modesta e cara fanciulla!... Sí, quella appunto che ti portava le uova fresche ed il latte, allorché tu qui villeggiavi. Costei è povera, ma bella. Ahi! dunque perciò l’innocenza dovrá sempre cascar vittima de’ scellerati? La vide l’iniquo, e subit’arse di sfrenata ed impura fiamma. Ma pur non gli valsero le soavi parole, non le grandi promesse, né la nobiltá, ne l’oro. S’appigliò dunque alla forza; e, trovatala forse sola, giá se la traeva piangente e disperata verso il vicino bosco. Volle il cielo che vi passasse Odoardo assieme con Lorenzo: ambedue s’accesero di sdegno al turpe atto esecrando, e, toltagli di mano la gentile preda, acremente lo rampognarono. La contesa si riscaldò. Vuoisi che le parole aspre e villane del rapitore muovessero una seria zuffa. Ti dirò che il signor di*** trasse fuori la spada, attentando contro la vita di Odoardo; ma questi, dato di piglio ad un nodoso bastone, appuntato di ferro, si scagliò ferocemente contro il ribaldo, ed a furia d’orrendi colpi giunse a disarmarlo ed a stenderlo, avvampante d’ira e di vergogna, sulla terra. Oh Dio! l’assassino è potente, ricco, ed ha giurato di vendicarsi. Il perché si teme d’ora in ora, purtroppo! per Odoardo, il quale intanto non si sgomenta, ed intrepido suol dire: — Salvai l’innocenza, difesi la mia vita, vendicai l’onore oltraggiato...; e di che debbo temere? — Di che?... Della fellonia degli uomini.

Qualora io vo meditando sopra il narrato avvenimento, non mi do pace: penetro, leggo nel cuore dell’uomo, e mi arrabbio e quasi mi sdegno di esserlo. O voi che osate di credervi tiranni della virtú, voi soli pretendete che l’onestá, l’innocenza, il candore siano un nome vano, una parola vuota di senso, un nulla. No, per voi non v’ha cosa tanto sacra su la terra, ch’esser non deggia schiava della vostra cieca libidine. E questa è pure la brutal vostra filosofia. Poi, sempre parlate di natura, di amore? Ma intendete voi dunque le loro sante voci, i legami, le leggi? E amor forse il sedurre un cuore, il comprarsi un’amante al vile lampo dell’oro, l’abusarsi della semplicitá d’una fanciulla? fe amor forse l’usurpar de’ piaceri?... Ah! tiriamo una benda sopra cotesti orrori. Enrichetta, perdonami, e non m’adiro a ragione? Oh!... Addio.