XI — Il medico

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CAPITOLO XI.

Il Medico.

Il dottor Carlo Chiari che prestava a Maria le cure più intelligenti, non era cieco, nè ingiusto, nè reso insensibile da una passione sfrenata, come Sandro il cavallante.

La vita del giovine colto e ambizioso, condannato dalla povertà a cominciar la carriera con quella misera condotta, aveva poche gioie, molti fastidi. La fatica e il tedio l’opprimevano spesso. E se la sua ambizione sempre desta, non gli lasciava perdere di vista l’avvenire, non perciò erano meno pressanti le esigenze del presente. La giovinezza lo sferzava; e i piaceri grossolani che trovava alla sua portata non po[p. 134 modifica]tevano soddisfarlo. La società pavese dove faceva qualche rapida apparizione, lo annoiava; troppi vincoli di idee provinciali; troppi pregiudizi. E poi, egli non voleva legarsi con una di quelle relazioni che possono avere troppo peso nella vita di un giovine. Neppure ammogliarsi voleva, come certi suoi colleghi che gli predicavano la rassegnazione. Le ragazze da marito che i soliti smaniosi di fare la felicità altrui gli vantavano ed anche gli offrivano segretamente, non parlavano al suo cuore, non gli destavano la indispensabile simpatia; e le famose doti erano miserie: ventimila lire al massimo! Egli sorrideva con disprezzo. Ci sarebbe voluto una vera ricchezza per deciderlo al sacrificio; tanto ei sentiva alto di sè, tanta fede aveva nella fortuna. Aspirava ai massimi gradi sociali, con la freddezza tranquilla di chi non vede che il proprio valore, e non teme rivali. Ma intanto, qualche cosa gli ci voleva per passare alla meno peggio quei maledetti anni!

Da principio aveva sperato nelle avventure. Ne aveva sentite raccontar tante, quand’era studente, di giovani medici accarezzati da nobili [p. 135 modifica]e capricciose signore, specialmente in campagna, nell’ozio delle villeggiature.

Ma dopo un anno, dopo due, quelle speranze erano morte e sepolte. Di signore belle, eleganti e capricciose come s’intendeva lui, non ne capitavano da quelle parti. Qualche moglie di fittabile lo aveva guardato di buon occhio, ed egli non si era fatto pregare; ma non valeva la pena; bisognava pagare troppo di persona, fare la corte al marito, alla suocera, alle cognate, ai vecchi zii; col rischio di essere scoperti e fare uno scandalo. Veri gineprai dell’amore.

Da qualche tempo era ridotto a sognare una piccola relazione, non sprovvista di una tal quale poesia, e che lo lasciasse, nel medesimo tempo, completamente libero.

Se non fosse stato così scarso a denari, qualche cosa avrebbe combinato. Mah!

— Una vita da diventare idrofobi! — diceva certe volte agli amici ammogliati, accompagnando la frase con una di quelle sue mezze risate che squillavano e davano rilievo anche alle banalità, facendo scintillare i suoi bei denti [p. 136 modifica]bianchi sotto ai baffi neri graziosamente arricciati.

— Di tratto in tratto bisogna fuggire per salvarsi dalla pazzia — soggiungeva con un’aria fredda di giovane cinico.

E scappava a Milano a immergersi in una orgia. Ma sempre quella tirannia del denaro, che tarpava l’ali alla fantasia; e poi, appena partito doveva ritornare per qualche malato. Crepavano di miseria que’ disgraziati!

Dopo tutto non era soltanto codesto. Le orgie gli lasciavano una certa nausea; e i nervi, irritati piuttosto che appagati, rimanevano renitenti allo studio. Non era quello che gli ci voleva, a lui.

In tali frangenti, un giorno la Cristina gli era parsa una salvezza. Un bel frutto da mordere allegramente, senza paura, senza rancori. E finito il capriccio, essa non l’avrebbe seccato, era troppo altera.

Ma don Giorgio gli aveva guastato il giuoco: maledette sottane nere!...

Quante glie ne aveva dette dietro alle spalle.

In seguito però, i due amanti essendo scom[p. 137 modifica]parsi, e specialmente dacchè si buccinava che fossero marito e moglie, la bizza del medico si era quietata. Sposarla?...

Oh! no, davvero! Se quello era il patto, meglio niente. Ci voleva un curato di campagna, un novizio, per fare di quelle pazzie. Spretarsi per prender moglie? Rinunziare al principale vantaggio della professione!... E quando il dottore si trovava al caffè di Gel, o in qualche osteria col fittabile di Val Mis’cia, si sfogavano a ridere di quell’amore e di quel matrimonio; consolandosi così, a vicenda, dello smacco patito.

Da alcuni mesi tuttavia le cose erano cambiate. Il dottore non pensava più a Cristina, e se qualcuno gliene parlava, mostrava di giudicarla benevolmente. Finito il bruciore, la naturale bonarietà dell’uomo spregiudicato ripigliava il sopravvento.

Gli è che a poco a poco frequentando Maria, imparando a conoscerla, e, per il genere della cura, avendo occasione di vederla nella maggiore intimità, egli si era penetrato, quasi senza avvedersene, di quella bellezza positiva e ideale nel medesimo tempo. [p. 138 modifica]

Nessuno meglio del medico poteva intenderla quella bellezza: forse neppure un artista. Da principio, guardandola appunto con l’occhio del medico che notomizza, egli cominciò semplicemente dall’ammirare quella perfetta corrispondenza di parti, formate dalla natura con tanta sapienza per il suo scopo fatale.

Molte volte, mentre la povera giovane si sentiva morire di vergogna, ei le ripeteva ridendo:

— Hai torto di vergognarti... sei bella! Davvero. Non avrei creduto che tu fossi così perfetta. Sei bellissima. Te lo dico io che me ne intendo.

Una mattina, essendo appunto ritornato da una di quelle sue scappate a Milano, egli entrò a dirle secco secco:

— Vuoi venire a Milano con me la prossima volta?... Ti condurrò dallo scultore Grandi che cerca una modella. Meglio di te non può certo trovare... Oh!... Che faccia fai?... Ti darebbe dei bei denari, credi!

Ella ebbe un impeto istintivo di collera; egli, una risata. In fondo però, non era lontano da [p. 139 modifica]una certa commozione. E per tutto quel giorno, la figura della sua giovine ammalata gli restò nella memoria suscitandogli un senso di vago malcontento, quasi di rimorso.

Da quella volta il dottore non si sentì più di scherzare così brutalmente con Maria. Cominciava a imporgli rispetto. Non avrebbe voluto veramente rispettarla; ciò gli pareva noioso e sciocco. Ma non poteva a meno. Per quanto mal preparato, doveva pur riconoscere che quella non era soltanto una «stupenda materia» come aveva detto tante volte discorrendone con qualche collega. Una scintilla animava quel bronzo pallido, di sì mirabile forma.

E quasi ei diceva: Peccato!

Il desiderio gli si destò all’improvviso. Allora non ebbe pace. Divenne riguardoso, quasi timido. Aveva paura di essere indovinato, e che ella non volesse più farsi curare da lui. Innanzi tutto egli voleva guarirla; e si mise a studiare la malattia con instancabile ardore.

Una volta guarita, poi, con l’aiuto della riconoscenza, non gli pareva difficile di poterla commovere. [p. 140 modifica]

E sempre guidato da quel suo epicureismo cinico, che era una parte caratteristica della sua natura, egli faceva dei piani molto pratici ed egoisti.

Meno appariscente di Cristina, meno seducente, Maria gli appariva più dolce, più sottomessa, quindi preferibile. Certo non gli avrebbe dato alcun fastidio; ma non per orgoglio, bensì per quella mitezza che era l’essenza dell’anima sua. Proprio la donna di cui aveva bisogno per quei tre, quattro — tutt’al più sei anni di vita oscura a cui poteva essere condannato, se un colpo di fortuna, inatteso, non cambiava le cose. Passato quel tempo, egli se ne sarebbe andato; e lei sarebbe rimasta; le contadine non si allontanano dal marito. Ma intanto, quegli alcuni anni potevano passarli bene. Perchè non doveva accettare lei, con quel marito che la trattava come un cencio di casa? Sarebbe stata troppo stupida. E stupida non era.

Se non che, i mesi passavano, e questi bei progetti non trovavano la loro attuazione. Sfinge incomprensibile, la malattia si accaniva, deridendo gli sforzi del medico. E giorno per giorno [p. 141 modifica]parlando con Maria, facendola abilmente discorrere, egli acquistava la convinzione che la virtù della donna non sarebbe stata meno crudele, nè meno ostinata della malattia, nella sua resistenza.

Ma anche lui si accaniva, mostrando in fondo poca saggezza.

Di tratto in tratto però perdeva la pazienza e scappava via brontolando: — Peggio per te, sciocchina!

Nel cuore dell’estate, mentre il sole e i miasmi facevano stragi fra i più poveri contadini, il dottore, essendo appunto un po’ spazientito, trovò ancora un pretesto per assentarsi alcuni giorni. Quando ritornò trovò tanto da fare a Gel e in Val Mis’cia che non ebbe il tempo di recarsi alla Cascina dove il male attaccava meno.

Tra i malati c’era anche la Virginia, che soccombeva alla tisi lungamente covata.

Il medico, per quanto giovine e forte e non pigro, non bastava quasi all’immane fatica di curare tanta gente; e in certi cascinali lontani, alcuni poveri contadini morivano prima ch’egli arrivasse a soccorrerli. [p. 142 modifica]

Un giorno fu chiamato anche alla Cascina Grande per un caso di tifoide. Vi si recò subito, desideroso di vedere Maria.

Appena entrato nella corte, saltò dalla sua carrozzella e si lasciò condurre presso l’ammalato da una vecchia contadina che era lì ad aspettare.

La vasta corte della Cascina Grande conteneva sei edifici. Due belli: la casa del fittabile, grande e comoda e provvista di un largo portico, per mettervi il formentone quando la raccolta si faceva con la pioggia: e la stalla per le bestie.

Quattro bruttissimi, neri, maltenuti: casupole da contadini. L’ammalato di tifoide abitava nell’ultima casupola quasi nascosta dietro la stalla, nelle esalazioni del letame. Poco discosta, ma assai migliore era l’abitazione di Sandro e Maria. Si componeva di due stanze, vicino al fenile.

Finita la visita con tutte le regole, il dottore andò direttamente alla casa di Maria, sperando di trovarla. Ma non vi era.

Una giovine macilente che tesseva sola sola in una specie di cantina, facendo un rumore [p. 143 modifica]assordante col suo vecchio telaio a mano, vide il medico e smettendo un momento il lavoro, gli gridò dal finestrino:

— La cavallante è laggiù a filare, vicino ai gelsi.

Ei la scorse subito. Sedeva su una carriuola arrovesciata e filava all’ombra di un gelso.

Senza addarsene egli affrettò il passo. Ella si levò e gli mosse incontro.

— Oh! Maria! Come va eh?

— Bene, signor dottore.

— Bene?... Non mi par tanto! Sei pallida; hai le occhiaie violacee.

Andiamo in casa che ti medicherò: ho appena il tempo.

— Oh! no...

— Perchè, no?

E corrugò la fronte, vicino ad adirarsi.

— Non vada in collera!...

— Andiamo, dunque.

— No... non c’è più bisogno.

— Che ne sai tu?

— So... È inutile.

Egli divenne pallido a sua volta.

— Non ti fidi più di me? [p. 144 modifica]

— Oh! signor dottore!

— Vorresti un altro medico?

— Mai più! Morirei piuttosto.

E la protesta fu così impetuosa, che il medico ne ebbe una scossa. Fissò la giovine con intensa attenzione.

Ella teneva gli occhi fermi sul filo che le sue abili dita andavano assottigliando; ma un leggero tremito rendeva stentato il lavoro.

Essi erano quasi soli nella vasta corte. La vecchia, che aveva aspettato il medico poco prima, era in casa presso il suo figliuolo ammalato; la giovine tessitrice non poteva vederli dal finestrino del suo bugigatolo. Del resto, uomini, donne, ragazzi, tutti fuori al lavoro. Soltanto due piccini — due testine color della canape — si rincorrevano di porta in porta senza dir motto, come due muti.

Vicino alla stalla, sotto a una tettoia, dove stavano alla rinfusa carri e carrette, e aratri, e arnesi d’ogni genere, un vecchio, consumato dalla pellagra, preparava lo strame per le bestie: e la cavalla del dottore, buona e pacifica bestia, brucava tranquillamente l’erba ingiallita della corte. [p. 145 modifica]

Un calore plumbeo, insoffribile, si sprigionava dalle nuvole biancastre, abbaglianti la vista, che velavano il sole ancora abbastanza alto. Il dottore trasse di tasca una pezzuola di batista, impregnata di una essenza acutissima che gli serviva a combattere i cattivi odori delle camere dei contadini e l’odore d’acido fenico a cui la professione lo condannava: e si asciugò la fronte madida di sudore.

Provava in sè una inquietezza, uno struggimento, qualche cosa di strano, d’inesplicabile. Il desiderio banale che l’aveva tormentato negli ultimi tempi era quasi sopito. Ben altro carattere aveva l’angoscia che gli serrava il cuore adesso; ben altra cosa era la sottile tristezza che gli penetrava l’anima, disperdendo i piccoli progetti egoistici di gaudente povero, già tanto accarezzati; e mettendo un senso di amarezza fin nella visione del piacere inconsciamente evocata.

— Senti — disse, dopo un lungo e penoso silenzio — devo dirti una cosa che ti farà, forse, cambiare idea. Tua cognata muore...

Ella smise un istante di filare, e alzò gli occhi stupefatti sul medico. [p. 146 modifica]

— Eh! figliuola mia — fece lui, ritrovando ancora una volta il suo bel sorriso di cinico. — Non c’è da stupire. Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. Lei ci lascierà il corpo e l’anima al suo peccato. È il contrario di te, vedi. Ma è giusto che muoia: ti ha fatto troppo male.

— Oh! per me — mormorò la moglie di Sandro, tirando adagio adagio una ciocchetta di lino — per me, quello che è stato è stato: non auguro la morte a nessuno io.

— Capisco. Ma Sandro è ancora abbastanza giovine, e non è cattivo. Morta quella lì, ritornerà a te, e sarete felici; potrai avere figliuoli ancora... se sarai guarita. Dunque, bisogna che tu ti lasci curare.

Ella scrollò il capo tre o quattro volte rapidamente.

— No, no, no! Non guarirei lo stesso. E poi non me ne importa. Quando una cosa è finita... D’altra parte c’è quella povera anima che dev’essere al limbo — dice il curato — e se avessi altri figliuoli patirebbe di gelosia. Meglio non darglielo questo dispiacere. [p. 147 modifica]

E sorrise in pelle, indovinando vagamente che il dottore doveva ridere della sua superstizione.

Difatti egli voleva gridarle:

— Maledetti preti! Come v’infinocchiano!

Ma non potè: era troppo commosso.

Volle dire dell’altro: Che le voleva bene, tanto tanto: che l’avrebbe fatta felice.

Ma la coscienza schiacciante dell’inutilità gli troncò la parola. Anche se l’avesse commossa e vinta — ciò che gli pareva quasi impossibile — non sarebbe stato inutile?... Anche se lo avesse amato... Inutile! Inutile!... Questa parola crudele risuonava dentro di lui; e gli pareva che tutta la sua vita ne fosse attossicata.

Malinconie di un istante, certo. Ma intanto, in quell’istante, egli le subiva.

Scrollò il capo e le spalle, come per cacciarsi di dosso quell’ossessione.

— A rivederci! Spero di trovarti più ragionevole la prossima volta.

Maria lo salutò dolcemente chiedendogli scusa. Si era fatta rossa e aveva delle lagrime nella voce. [p. 148 modifica]

Egli provò una pazza voglia di stringersela fra le braccia; ma si contenne.

E partì.

Immobile, la rocca sotto il braccio, il filo tra le dita, il fuso appoggiato allo stomaco, Maria seguiva con lo sguardo intento il calessino che si allontanava sulla strada bianca, deserta, sollevando nugoli di polvere.