Trattato di architettura civile e militare I/Trattato/Libro 3/Capo 3
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CAPO III1.
Della origine e delle proporzioni delle colonne e dei pilastri.
Perchè la colonna è una parte la quale ad ogni specie di templi si può applicare, e da cui molte proporzioni di templi si traggono, è conveniente e necessario dichiarare prima a tutte le altre parti della simmetria e figura sua, e tutte le specie d’essa approvate dai periti architetti, e parimente da chi e come origine avessero. Circa all’intelligenza di questo è da sapere che l’architettura fu trovata successivamente siccome tutte le altre scienze e arti, l’uno uomo alle considerazioni dell’altro aggiungendo e correggendo, e conferendo l’uno con l’altro la verità dubbia manifesta restava: e così si può affermare anticamente gli uomini essere stati rozzi e imperiti in quest’arte come nelle altre, e questo così segue ponendo il mondo essere stato ab eterno, come esso avere avuto principio di tempo: perocchè quei filosofi che il mondo ponevano eterno di necessità concedevano che infinite volte si era trovata una medesima scienza e persa: così adunque infinite volte gli uomini sono stati ignari in architettura, e infinite esperti. Ma quelli che con migliori ragioni e più salde autorità affermano il mondo avere avuto principio di tempo da chi non ha principio alcuno, ma ad ogni cosa è principio e cagione, per altro rispetto non concedono quel medesimo. Onde puossi manifestamente affermare per alquanto spazio di tempo innanzi essere stata l’umana generazione semplice, e nell’abitare ai bruti essersi assimilata, e avere abitato spelonche e semplici capanne non con piccola incommodità di quella, secondo che ne scrive tra gli altri Vitruvio2. Così cominciando a edificare con legna e canne intessuti coperti di loto, ovvero bitume, di poi alquanto più regolandosi li muri di calcina e sassi componeano, intanto che a comode figure ridussero quest’arte. Dopo questo, essendo gli uomini costretti per ragione a fabbricare templi a Dio, furono costretti i primi inventori di templi a complimento di essi trovare un sostegno di pesi, il quale fosse in apparenza piacevole, e questo sostegno è chiamato in latina lingua columna. E benchè l’opinione di molti, quale sia stato primo inventore di templi sia varia, perocchè alcuni dicono Epimenide filosofo il primo essere stato, Vitruvio niente di meno, al quale in quest’arte e cose ad essa appartenenti è da prestar fede, afferma Doro figliuolo di Elleno e della ninfa Esperide in prima avere edificato un tempio a Giove in Argo città antichissima3. E questa forma fu appellata dorica e denominata da Doro di essa compositore. Dopo questo gli Ateniesi per detto dell’oracolo di Apolline mandando in Asia tredici colonie e sopra di queste costituito Ionio figliuolo di Essuto e di Eleusa, occupando i confini di Caria, quivi molte città edificò, tra le quali fu Melita, quella che per arroganza degli abitanti fu desolata, oltre ai Carii avendo depopulato e debellato gli Eligii, quella provincia dove i detti popoli abitarono fu chiamata Ionia, dal detto Ionio denominata: come conversamente gli Scipioni furono Affricani denominati perchè Affrica superarono. In questa provincia più templi edificando, in prima fondarono un tempio ad Apollo Panionio, detto protettore di tutta la Ionia, il qual tempio chiamaron dorico, perchè fatto era a similitudine di quello che da Doro dorico fu appellato. Dove benchè in molte cose imitassero la composizione di Doro, nientedimeno la simetria delle colonne, o perchè nel tempio di Doro non fossero colonne, o perchè quelle non piacessero ai predetti compositori, escogitarono una figura di corpo dove fusse attitudine a sostenere il peso e parimente all’aspetto e bellezza. Onde essendo la figura del corpo umano più proporzionata degli altri corpi, deliberarono a quella assomigliarlo in quello che possibile fosse e conveniente. Misurando adunque tutto il corpo dell’uomo trovarono che il piè, il quale è il fondamento d’esso corpo, fosse la sesta parte della lunghezza d’essa colonna. Secondo adunque questa proporzione la lunghezza della colonna è sei volte il diametro del circolo, ovvero circonferenza della colonna da piedi; questa proporzione stabilita e approvata la domandarono dorica, perchè il tempio dove furono locate tali colonne, a similitudine di quello di Doro fu ordinato e formato. Dopo questo, volendo edificare un tempio a Diana, e desiderando ripulire e alquanto ringentilire con diverse apparenze e ornamenti la predetta forma di colonne, piacque agli inventori, dove prima presero la figura delle colonne dalla forma virile, pigliare detta simetria dal corpo muliebre, perchè la donna benchè animale imperfetto sia (e come afferma Aristotile in più luoghi, il maschio occasionato4), è più vaga all’apparenza e massimo in tempo di gioventù che l’uomo di mascolino sesso: e così giudicarono più formose rendersi le colonne che prima, quando a similitudine del corpo della donna fussero fatte. Onde siccome il piè della donna proporzionato è l’ottava parte dell’altezza sua, così costituirono che il diametro delle colonne nel luogo predetto fusse l’ottava parte della sua longitudine: e a questa sotto locarono la spira in luogo di scarpa, e al capitello fatto a similitudine del capo umano aggiunsero i cincinni, ovvero capellamenti da ogni parte pendenti; siccome ancora più è ornata di capelli la testa della donna che del maschio. E più oltre aggiungendo, sotto i cincinni e cimasii ornamenti di frutti e fiori locarono in luogo degli ornamenti che le donne sopra li crini usano portare. Oltre a questo, per tutto il tronco, ovvero stilo della colonna tirarono strigie simili alle falde o rughe delle vesti muliebri. E questa seconda forma fu chiamata ionica, perchè in Ionia fu trovata e applicata al tempio non fatto a similitudine d’altri templi, ma secondo l’invenzione dell’architetto in Ionia operante.
Dopo questo, continuamente più accedendo alla perfezione d’esse, considerato questa seconda forma all’aspetto esser più dilettevole, aggiunsero alle colonne doriche un diametro, e similmente alle ioniche: sicchè le doriche erano di sette diametri, e le ioniche di nove (sic). Chiamaronle corintie, forse perchè l’inventore o fattore d’esse fu di quei popoli corinti, ovvero perchè ivi furono prima fabbricate: sicchè concludendo, e lasciando la prima proporzione di sei diametri, la quale parea all’aspetto molto bassa, quella di sette appellarono dorica, quella di otto ionica, e quella di nove corintia: le quali tre specie così si possono alla figura umana applicare, perchè la prima alla virile, la seconda alla muliebre, e la terza alla verginale si assomiglia.
Oltre a queste tre principali specie, per ornamento degli angoli, un’altra chiamata angolare (detta dal luogo suo) fu trovata, simile ed affine alle tre predette, perocchè in ciascuna delle tre principali si può applicare le angolari alle altre propinque; solo in questo sono differenti che sono di figura quadra, ed hanno le cosce, ovvero facce, che devono essere la quarta parte maggiori del diametro delle propinque ad esse; sicchè se le colonne del tempio fussero corintie, le cosce delle colonne sue angolari dovriano essere la nona parte e la quarta d’una nona più della lunghezza loro, che viene ad essere secondo aritmetica 3/365; e così delle altre specie proporzionatamente s’intenda.
Per maggiore ornamento del tempio fu escogitata un’altra specie di colonne, detta colonna morta, che intorno al tempio debba essere locata, sopra le quali la cornice intorno al tempio posta (ovvero recinto) si posa: la quale richiede il medesimo diametro delle propinque tonde, pigliando per diametro la sua faccia o costa, e non quella da angolo ad angolo più distante. Oltre a questo, ricercano sei strie per stilo per faccia, ornate secondo la invenzione dell’architetto6: le quali colonne devono avere la 1/16 o 1/18 parte della faccia sua di sporto, senza alcuna diminuzione di stilo.
Ultimatamente circa alla proporzione delle colonne è da intendere che la lunghezza, ovvero altezza della colonna sempre si debba intendere insieme la base, stipite (sic) e capitello: e non solo lo stipite, ovvero stilo.
Note
- ↑ Nel cod. Magliabechiano sta qui (f.° 30 e 31) il prologo al quarto libro. Io lo rimando a più giusto luogo, stantechè ne’ seguenti capitoli non si parla propriamente de’ templi, ma sì degli ordini, comuni ad ogni edifizio. Così ottiensi anche più giusto ordine nella mole dei libri, e più ragionata distribuzione che non sia quella che l’autore tolse da Vitruvio.
- ↑ Lib. II, cap. 1.
- ↑ Lib. IV, cap. 1. Doro era figlio della ninfa Ottico, chè le Esperidi non eran ninfe. Tralascio altri sbagli di nomi, quali ognuno può correggere da Vitruvio.
- ↑ De generatione animalium, I. 20.
- ↑ Codesta, che l’autore chiama colonna angolare, è il pilastro d’angolo. Però il diametro loro non può essere ad un tempo = 1. diam. 1/4 delle colonne, ed = 1. diam. 5/36; ritengasi l’aumento del 1/4 per i pilastri dorici, e quello dei 5/36 pei corintii, avvertendo che per lunghezza delle colonne intendesi in questo caso la lunghezza in pianta, vale a dire il diametro. Negli edifizi de’ tempi bassi, e specialmente nelle facciate delle chiese il diametro de’ pilastri angolari eccede quasi sempre la proporzione fissata dall’autore, essendo eguale pel solito alla grossezza del muro laterale esterno.
- ↑ Il cod. sanese (f.° 46 r.°) aggiunge che le strie si facciano alcune diricte o perpendicolari per tutto, alcune altre tutte a viti: altre però diricte et parte a viti, cioè la terza parte diricte da basso et li due altri terzi superiori lumacati, chome per experientia si vede. Et essi canali, ovvero strigie, alcuna volta ornavano di altre concavità angolari overo astragali, o intavolature a guisa di scorniciati: le quali proportioni io con gran diligentia et non pichola fatigha per sperientia ho trovato, visto, et misurato più e più volte. Le colonne scanalate con infinito studio, quali rette, quali torse, nella Basilica di S. Agnese e nel museo Vaticano, lavori egregi, assai dimostrano che codesta decorazione precedè d’assai la decadenza del buon gusto. Colonne scanalate a spira, ed altre cinte di viticchi, e foggiate come alberi mozzi, sono rappresentate al f.° 14, 15 del cod. membranaceo 1. Fatto più senno, l’autore non le ripetè. Simili ne fece Bramante nel chiostro di S. Ambrogio in Milano.