Trattato di architettura civile e militare I/Trattato/Libro 2/Capo 3

Trattato - Libro 2 - Capo 3

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CAPO III.

Dei camini.

Non è parte alcuna delle case che per le rovine e reliquie degli edifizii antichi meno si possa comprendere e la forma sua descrivere, che i camini. Perocchè quelli sono locati nella suprema parte, la quale prima alle altre ruina1 il più delle volte. Pure con diligenza cercando le ruine che in Italia sono, ne ho visti alcuni, de’ quali la figura mi pare a proposito descrivere, essendo nota a pochi.

In prima, presso a Perugia sopra al Pianello (tav. I. 1.) in antico edifizio ho visto un camino, il quale intorno aveva tre emicicli dove si sedea, e in mezzo una buca tonda d’onde il fumo usciva in una volta, di muri chiusa intorno, di lunghezza come appare nel disegno2. L’altro a Baia vidi appresso alla piscina mirabile di Nerone, il quale era in un quadro di lunghezza di piedi diciannove per ogni faccia, in mezzo del quale erano quattro colonne, sopra alle quali un epistilio (tav. I. 2.) si posava, sopra del quale intorno erano le volte in altezza da terra piedi dieci, ornate di mirabili figure di stucchi: in mezzo di queste colonne era come una copuletta (sic) piramidale con un buso in cima donde il fumo usciva, come appare nel disegno3. Non molto [p. 162 modifica]dilunge da Civitavecchia un altro ne ho visto, il quale era in un quadro quasi della medesima grandezza dell’antedetto (tav. I. 3.), fatto in questa forma, che negli angoli uscivano quattro modiglioni sopra i quali quattro architravi si posavano: sopra di questi poi era la piramide del camino d’onde usciva il fumo, e in ogni faccia delle pareti erano due piccole finestre e un emiciclo dove stimo fossero statue collocate alte da terra piedi quattro, eccetto che nella faccia dell’entrata, come per lo disegno si conosce4. Questi sono quanti camini antichi ho potuto trovare, e credo in Italia non ne siano altrettanti, nè ho mai parlato con uomo che di notare simili antichità si sia dilettato, o che ne abbia avuto notizia di alcuno: onde mi ha dato non poca ammirazione, massime perchè nè Vitruvio5, nè altro architetto nelle loro opere di questi hanno fatto menzione6. [p. 163 modifica]

Detto degli antichi, conveniente è trattare dei moderni, dove per non essere tedioso e superfluo nello scrivere, di molte forme eleggendo le più utili, l’altre passerò con silenzio. E prima dirò della bocca del camino da basso, la quale nelle camere debba essere alta piedi due, [p. 164 modifica]o tre e mezzo al più: quelli delle sale tre e mezzo in quattro, larghi o stretti secondo la comodità del luogo; le quali bocche sono in quattro differenze quelle delle quali voglio determinare.

La prima è eguale sino a piedi sei, di poi per figura piramidale lunga piedi otto in dieci alla strettezza della gola si ridurrà. Il secondo modo, che ella sia più amplia insino piedi cinque, e poi per piramide di otto in dieci piedi si riduca alla strettezza della gola7. Il terzo, che dove sia il fuoco si faccia un cartoccio, nel quale sia una buca da un canto dove si mettano le legna, il qual modo con poco fuoco e per conseguente con poco fumo rende per la reverberazione assai caldo. Il [p. 165 modifica]quarto è facendo più ampla e lata la linea del vacuo verso la parte di dentro, che verso gli uomini stanti al fuoco, come meglio il disegno ne dimostra8. Le gole in tre modi si possono fare; il primo, facendo la gola semplice e retta, ma questa avvertenza è da avere che essa sia nella grossezza del muro locata, possendo questa compatirlo; il secondo, facciasi la gola con un tondo buco largo in diametro piedi uno, il quale entri in un’ampia concavità larga piedi tre, di poi alla grossezza della gola si riduca; il terzo, facciasi il camino di più rette linee ritorto, il quale da’ Greci è chiamato Zita (perchè è simile alla lettera Z), lodato assai, e più volte si è visto la bontà sua. In altro modo si può fare non meno buono dei detti, facendo insieme tre gole volte da capo in triangolo, acciocchè offendendo un vento possa senza impedimento escire il fumo per la gola opposita al vento regnante, come di tutto il disegno ne dà notizia: la larghezza della gola è di piedi tre, e un piè insino uno e mezzo per profondità, ovvero grossezza del muro.

Ultimamente è da dire dei cimasii suprema parte dei camini, dove prima è da sapere che debbano essere tanto elevati sopra del tetto, che percotendo il vento per il tetto non dia impedimento all’uscire del fumo: e questa altezza è piedi otto in dieci. Due figure metterò nel disegno, e con queste porrò fine a questo capitolo. La prima, facciasi nella cima quattro portelle, infra le quali sieno quattro alette che tramezzino, sicchè il vento che entra o esce dell’una, non entri per altra: e così il fumo; e sotto queste facciasi una gola reversa, acciocchè il vento che entra di sotto passi appresso al mantello di fuore, e trasportando il fumo non entra nel camino. Il secondo modo è facendo una bandiera che per i venti si volti alla parte opposta, e dopo questa un mantello con due alette mobili di metallo sottile, sicchè venga a coprire i due terzi del tondo: il qual mantello sia continuato con la predetta bandiera, e così ad ogni vento lo scoperto del camino sarà opposito, essendo il mantello opposito alla bandiera9. E questo modo è utilissimo,

Note

  1. Questa ruina ci avrebbe privati delle cappe de’ camini antichi, non della parte inferiore che è l’essenziale.
  2. Questa descrizione dei tre pretesi camini antichi, oltre il saggio presso il Della Valle (Lett. San. III. pag. 119.), è riportata per intiero dal Fea in nota ad una lettera di Winckelmann (St. delle Arti del disegno. Roma 1784. Vol. III. pag. 212) colle tre piante che li risguardano, ogni cosa tratta dal cod. Sanese. Il camino di Perugia fu stampato da M.or Barbaro (Comm. al lib. VI cap. 10 di Vitruvio) in elevazione, togliendo descrizione e disegno da una copia del codice Magliabechiano, come è evidente al confronto.
  3. Il camino presso la Piscina mirabile è solamente descritto dal Barbaro al l. cit. Anche lo Scamozzi (Archit. lib. III. cap. 21) lo dà come cosa da se veduta, benchè sia chiaro che lo ha tratto dal nostro autore.
  4. Il camino a Civitavecchia è stampato esso pure dal Barbaro ed accennato dallo Scamozzi. Le elevazioni che io do sono tratte dal cod. Magliabechiano, le piante dal cod. Sanese. Avendo avuto agio di percorrere i luoghi dall’autor nostro indicati, ho ricercato le tracce di questi edifizi, ma invano: nè fra gli scrittori locali ne trovai cenno alcuno.
  5. Vitruvio al cap. 3 lib. VII accenna buiamente ed a caso il fumo de’ lumi e de’ bracieri, nè altro dice dei mezzi di riscaldarsi, forse perchè non ne trovò parola presso gli architetti greci. Ed è noto che il buon Vitruvio cessava di copiare quando mancavangli gli originali.
  6. Che gli antichi avessero camini è cosa certa, e certo è pure che la forma loro differiva assai da quella dei nostri, specialmente per la mancanza della cappa o fumaiuolo, poichè tale non può dirsi un foro fatto nel tetto per l’esito del fumo: per questo punto, qualunque opinione avessero avuta i dotti degli ultimi secoli, le scoperte di Ercolano e Pompei ci hanno dimostrato che nè gole nè bocche di camini nelle case antiche non esistevano. Furono per gli antichi i camini come la stampa; trovarono la cosa, non la seppero applicare, o non vi pensarono; ciò dico, perchè i sotterranei a pilastrelli degli ipocausti, con le pareti loro tutte rivestite di tubi di sezione quadrilatera, rappresentano assai dappresso le gole de’ camini nostri, e non una sola, ma a diecine, in un sol ipocausto, raccoglievano e tramandavano il calore; ne abbiamo innumerevoli esempi. Pure, un camino quali sono i nostri, non lo trovarono. Chi fosse curioso d’istruirsi sopra una questione che menò tanto romore tra gli archeologi, consulti i lessicografi, ed alcuni che trattaronne incidentemente, fra i quali vanno distinti il Benedetti nelle animadversioni all’Aulularia di Plauto, ed il Fea in nota alle lettere di Winkelmann, uno (e certo il più dotto) fra i pochissimi che sostengano conosciuti i camini nostri agli antichi: P. F. Hébrard in una dissertazione apposita (premessa alla Caminologie. Dijon 1756) il quale lasciò indecisa la questione: il Maffei (Dissertazione nel tomo 47. degli op. Calogeriani) che pure peritandosi, infin lo nega: Paolo Manuzio in lunga nota a Cicerone (Epist. Famil. VII. 10. Venezia 1583), e Giusto Lipsio nella centuria terza N.° 76 delle Epistolae ad Belgas, che lo negano essi pure: ed un anonimo dello stesso parere nel tomo 65 della Biblioteca Italiana. E questi, specialmente il Fea, il Manuzio ed il Lipsio, raccolsero quanti passi di antichi autori potessero dar lume alla disquisizione: tralascio altri non pochi. Vedansi adunque i loro scritti, e poichè ad essi nulla si può aggiungere, io parlerò de’ camini ne’ tempi bassi ed in quelli più a noi vicini.
    Nulla di più ovvio che trovare ne’ documenti de’ secoli di mezzo la formola Actum in caminata, ed uno de’ più antichi nel quale se ne faccia menzione è quello dell’800 edito dal Fumagalli (Cod. diplomatico Sant’Ambrosiano, N.° 81), che vi aggiunse un cenno per impugnarne agli antichi la conoscenza e l’uso: ancor prima, cioè circa l’anno 830, parlava Anastasio Bibliotecario di tre caminate fatte da papa Valentino. In quella così generale infrequenza di comodi che regnava ne’ bassi secoli, era la caminata la sala ove si faceva fuoco, la gran sala de’ palazzi d’allora ove adunavansi le persone per gli atti pubblici; perciò la notata formola. Quindi io credo che le parole in Caminata Salae, che fastidiano il Muratori (Antiqq. Italicae, dissert. XXV) indicano che quella carta fu scritta al camino della sala, poichè assai soventi trovansi allora confuse le voci camino e caminata, la qual ultima non è che un addiettivo di sala, come vedesi ne’ rozzi versi che citerò qui sotto, e deriva dal camino che eravi, non dal verbo caminare, come leggesi nella Crusca. Bruciavasi nella caminata, o camino della sala caminata, carbone e soprattutto fascina, ed ecco come la descrive un poeta del XIII secolo (presso Frisi Memorie di Monza, Vol. III. pag. 235). Aula sit ornata..... Ampla fenestrata..... Clara. Caminata. sit fronde vel igne focata. Perciò, dalla forma di simili camini e dai materiali degli edifici, resi facili gl’incendi, ne sorse la famosa ed antica legge del Coprifuoco (Ignitegium). La forma delle caminate de’ tempi bassi si può vedere tuttora negli scaldatori de’ conventi de’ mendicanti, e di quelli conici ne cita il Della Valle (Lettere Sanesi, Vol. III pag. 119.) fatti in un suo castello da Federico II prima del 1250: ed era pochi secoli fa comune per tutta l’Europa settentrionale. Ecco descritti nel 1600 dal Busca (Archit. Milit., cap. 60) i camini nelle case rustiche di Francia, Borgogna e Savoia. «Fannogli nel mezzo della camera con una gran cappa, tanto capace, o poco meno, quanto è il cielo del luogo: acciò porti fuori il fumo senza impedimento. Restringendosi a poco a poco verso la sommità, la quale chiudono con due portelle a pendio, alzandole e calandole secondo che i venti battono. All’intorno di questo luogo si fanno panche per sedersi; et in questa maniera capiscono il doppio più della gente, che facendoli accostati da un lato». Parmi che all’aspetto di simili camini alluda un passo di Sidonio Apollinare, tenuto per assai buio, ma che per tal modo si spiega benissimo (Epistol., lib. II. 2). «In hyemale triclinium venitur, quod arcuatili camino saepe ignis animatus pulla fuligine infecit» cioè archeggiato su pilastrelli, ma lasciante tuttavia vagare il fumo per la stanza, quali insomma facevansi ne’ bassi tempi.
    I camini nostri li troviamo dapprima in Firenze, ove di uno ne è menzione sin da circa l’anno 1266. (Cronichetta di Neri degli Strinati): frequenti dovevano essere in Venezia nel 1348 (Giov. Villani XII. 121): pare che nel 1357 Francesco da Carrara ne portasse l’uso in Roma (R. Ital. Script. XVII. 45): bellissimi e smisurati sono quelli del castello di Verrez in Val d'Aosta, fatti nel 1390, cioè contemporanei alla fabbrica del castello, come dimostralo la costruzione e lo stile: nel 1400 eranvi nelle case di Piacenza molti camini con gola (camini a fumo) e molti all'antica (camini ab igne) (R. It. Scr. XVI. 882): nel 1416, a scanso d'incendi, ordinarono i Sindaci di Ginevra di fabbricare camini a chi non li avesse, indizio certo di camini con gola (Fragmens sur Génève, pag. 5); pure, nel 1460 notava L. B. Alberti (lib. V. 17) che togliendo Toscana e Lombardia (col qual nome comprendeva anche la Venezia), sino a’ tempi suoi non eransi in Italia veduti camini che colle gole sortissero dal tetto: le quali parole sono alquanto esagerate.
    Quanto poi alle figure qui disegnate da Francesco di Giorgio, e da lui credute di camini, mi tocca notare che veramente ei s'ingannò, quantunque degno egli sia di scusa pel tempo in cui visse, quando cosa ignota era tuttora l'Architettura comparata, ed i camini di simil forma pei conventi e per le case dovevano troppo agevolmente trarlo in errore per l'analogia delle apparenze. Poco scusabile è bensì chi venuto in più dotta età, non s'avvide non essere camini quelli, ma vere sale di bagni, coi sedili attorno, colla volta e l'occhio in essa pel regolatore della temperatura (Vitruvio, lib. V. 10). Vedasi nella pianta delle Terme di Pompei il Frigidario (Mazois, Partie. III. pl. 48) che richiama codesti edifici, i quali furono certamente parte di terme pubbliche, o di bagni in case o ville romane. Paragonisi ancora la forma loro colla descrizione che dei Frigidari nella villa sua fa Sidonio Apollinare (l. cit.) Hinc Frigidaria dilatatur.... Primum tecti apice in conum cacuminato cum ab angulis quadrifariam concurrentia dorsa cristarum tegulis interiacentibus imbricarentur; ipsa vero convenientibus mensuris exactissima spatiositate quadratur etc. Le finestrelle poi (nel disegno 3) corrispondono a quelle descritte da Seneca nel bagno di Scipione (Epist. 86). Se la sezione orizzontale fosse stata dall'autore condotta con maggior cura, potressimo vedere se ne’ muri fossero stati compresi i tubuli del calore, e quindi con esattezza decidere se di frigidari o di ipocausti siano questi disegni. Androuet du Cerceau promise nel 1550 di dare i Camini veteres; li diede poi, ma invece di essere antichi, sono parto della vivace e sregolata sua fantasia.
  7. Il cod. Sanese legge «Il 2.° che sia amplia infino piedi 5, et poi per altri 5, o 3 piedi torni a la strecteza de la gola» (f.° 60 v.°).
  8. Poichè le parole dell’autore sono di per se stesse chiare assai, si è creduto superfluo l’unirvi le figure.
  9. Questa pratica è pressochè quale la suggerisce l’Alberti (lib. V. cap. 17), essendo minime le differenze. Narra il Marchi (Archit., lib. I, 46) di un ingegno simile adattato ai camini del palazzo Farnese.