Storia segreta/Capo XXVII

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Procopio di Cesarea - Storia Segreta (VI secolo)
Traduzione dal greco di Giuseppe Compagnoni (1828)
Capo XXVII
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CAPO XXVII.

Giustiniano ruina i causidici, i medici, i maestri delle arti liberali. Rapisce alle città i fondi destinati alla istruzione, all’ornato pubblico, e agli spettacoli. Questi pure sopprime in Costantinopoli. Toglie ai popoli i vantaggi soliti a trarsi per le largizioni ai nuovi consoli. Affama quello di Costantinopoli, e gli fa mancar l’acqua. Tratta i poveri di Roma e di Alessandria colla stessa sevizie. Iniquità di Alessandro Forficola, e di Efesto.

Come poi Costantinopoli e le altre città Giustiniano spogliasse de’ loro principali ornamenti, sono ora per dire.

Primieramente stabilì di distruggere l’ordine de’ causidici, tolti tutti i premii de’ quali, in eminente grado [p. 172 modifica]avendo esercitata l’avvocatura, erano soliti in addietro a vedersi onorati. E tolse anche con infamia e rammarico de’ causidici la stessa avvocatura, avendo ordinato ai litiganti di giurare in sè e nella lite. E dacchè, siccome già narrai, a’ senatori, ed altri opulenti uomini, o in Costantinopoli, od in altra parte qualunque dell’Imperio romano, levò le sostanze, l’ordine de’ causidici cadde in sommo ozio, non essendovi più soggetto meritevole di eccitare gli uomini a litigio. Laonde fattisi pochi e di numero e di giusta rinomanza, caddero in somma abbiezione e in somma inopia per tutti i paesi; e fu questo tutto quello, che della condizione loro ad essi rimase.

Ed escluse pure i medici, ed i maestri delle liberali discipline dalle cose necessarie alla vita, togliendo loro la sportula, che gl’Imperadori romani facevano loro dare dall’erario. I fondi, che gli abitanti delle città si aveano procacciati, sia per sè, sia pei bisogni pubblici, sia per feste e spettacoli, non si vergognò di applicare al censo dello Stato; onde in appresso non vi furono più onorarii nè de’ medici, nè de’ maestri; non più cura alcuna de’ pubblici edifizii; niuna più nelle città comunione di lumi, niuna letizia ne’ cittadini: giacchè da lungo tempo giaccionsi gli spettacoli teatrali, i circensi, le cacce, nelle quali cose Teodora sua moglie nacque, fu allevata, ed esercitò l’adolescenza sua.

In fine volle che anche Costantinopoli fosse senza spettacoli per risparmiare le spese solite a farsi per essi dall’erario. Con che recò danno ad una quasi infinita moltitudine, che di tratto in tratto ne traeva di che [p. 173 modifica]vivere. Per la qual cosa e in pubblico ed in privato tutti stannosi immersi in un vero squallore, con nissun senso di piacer della vita, quasi dal cielo s’aspettino imminente ruina: di non altro in casa, nel foro, nelle chiese parlando ognuno che di miseria, che di calamità, che di qualche prodigioso caso di fortuna recentemente seguito. Questa fu la condizione di ogni singola città. Ma occorre dire quello che ancora manca.

Ogni anno due consoli creavansi a’ Romani, uno in Roma, e l’altro in Costantinopoli. Quegli che a tale dignità era chiamato, doveva spendere più di due mila libbre d’oro per la cosa pubblica. Poco metteva fuori del suo: il più veniva dal pubblico erario secondo la liberalità dell’Imperadore. E come tutto quel denaro serviva a dare spettacoli, a soccorrere poveri, a pagare spezialmente attori di scena, è meraviglia dire quanto da ciò le città si sostentassero. Dacchè però Giustiniano ebbe l’Imperio, per queste cose non vi fu più tempo fisso, poichè o lungamente alcuno ritenne il consolato, o non si videro consolari elezioni. Onde per questo verso ancora gli uomini soffrirono povertà estrema, e perchè l’Imperadore negò a’ sudditi quanto erano avvezzi ad avere, e perchè la fortuna li cacciò de’ posti tutti, e de’ mezzi, onde potevano sussistere. E credo d’avere già abbastanza detto de’ pubblici denari, e delle sostanze degli uomini consolari, sì in comune, che in particolare, che questa peste famelica s’ingoiò; e de’ beni che per mezzo di calunnie rapì ai più ricchi, o ai satelliti suoi stessi, e agli altri ministri; e di quanto rubò ai soldati, sì negli accampamenti, che nella reggia; e [p. 174 modifica]ai coloni, ai possessori di campi, ai cultori delle discipline liberali, ai mercatanti, ai naviganti d’ogni specie, agli artefici, alla turba forense e teatrale, e a tutti quelli finalmente, i quali ebbero a partecipare dei danni di tante classi di persone. Ma giusto è aggiugnere che scempio egli facesse de’ poveri, e della tanta turba giacente nella estrema miseria; giacchè di quanto facesse contro i sacerdoti parlerò poi in appresso.

Giustiniano, come ho soventi volte detto, a suo guadagno avea tratto tutti i Fori, e ridotto a monopolio ogni cosa necessaria alla vita, estorcendone a tutti i sudditi un prezzo tre volte maggiore. Nè in questo proposito potrei anche con lunghissimo discorso dire le cose che a me sono parute infinite. Sopra il pane che gli artigiani, i poveri, ed ogni magagnato miserabile è costretto a comprare, s’avea egli costituito un profitto, crudele e perpetuo, quale si era quello di trecento libbre d’oro ogni anno; sicchè era quello un pane sordidissimo, e pieno di polvere: a tanta empietà avendo l’avarizia condotto quell’Imperadore. Quindi i prefetti dell’annona, presa occasione di guadagno, immense ricchezze accumularono per sè, e scarseggiando i generi, con maligna arte i poveri trassero inaspettatamente alla fame. E la ragione si è, che a nessuno era lecito procurarsi frumento, ma doveano tutti vivere di pane compro.

Videro questi due Imperanti, che rotto essendosi l’acquidotto, pochissima acqua veniva alla città; e non pertanto trascurarono di provvedere, non volendo spendere, sebbene accorrendo in gran folla il popolo per [p. 175 modifica]avere acqua, presso le fonti si opprimesse. Similmente mancavano i bagni; ed invece di rimediare a questo disordine, l’Imperadore in tutti i sobborghi pazzamente profondeva immense somme di denaro intorno ad edifizii marittimi, come se lui e la moglie non fosse capace di contenere la reggia, nella quale gli antecedenti Imperadori e lungamente e comodamente aveano abitato. Con che manifestamente dimostrarono entrambi, che non per parsimonia, ma per niuna misericordia verso un popolo che tanto penava, aveano essi trascurato di far ristaurare l’acquidotto: perciocchè d’altronde non fu mai uomo al mondo, come Giustiniano, nè più pronto ad attrappare con ogni iniquo modo il denaro, nè più prodigo ad immantinente gittarlo. Ridotti adunque i poveri ad estrema indigenza, e non avendo altro di che cibarsi che pane, e per abbeverarsi che acqua, Giustiniano anche in queste due cose li angariò, rendendo il pane difficile, e l’acqua mancante.

Ma non fu co’ soli poveri di Costantinopoli, che sì crudelmente si comportò: lo stesso fece con altri; e giova qui esporlo. Teodorico, sottomessa l’Italia, per lasciare in Roma qualche ombra di repubblica volle conservati i soldati pretoriani, e lasciò loro la razione giornaliera. Ed era il corpo d’essi numeroso, poichè vi erano compresi anche i silenziarii, i domestici, gli scolarii, i quali, se non altro, almeno aveano il distintivo militare, e i viveri, che veramente appena bastavano loro, ma che Teodorico permise che passassero ai loro figli e nipoti. A’ poveri poi stanziati presso il tempio di s. Pietro egli fece distribuire dal pubblico tre mila medinni [p. 176 modifica]all’anno. Queste cose durarono sino all’arrivo in Italia di Alessandro Forficula. Ma costui levò via subito tutto; e l’imperador de’ Romani Giustiniano, informato del fatto, gli diede la sua approvazione, e in molto onore ebbe colui, il quale odasi come in questo suo viaggio trattò gli Elleni. Gl’indigeni abitanti presso le Termopili già da assai tempo tenevano ivi un presidio, e temendosi le incursioni de’ Barbari nel Peloponneso, essi facevano la guardia a vicenda presso il muro, onde le strette di que’ monti sono chiuse. Capitato Alessandro colà, quasi curasse assai gl’interessi de’ Peloponnesii disse non aversi a confidare nel presidio di villani in quel luogo; e decretò che vi si tenesse una guarnigione di due mila uomini, i quali però dovessero essere pagati, non già dall’erario pubblico, ma sivvero dalle singole città della Ellade, incamerando nel tempo stesso tutti i fondi che servivano al mantenimento de’ teatri civici sotto pretesto di provvedere a quel presidio; e intanto nè nella Ellade, nè in Atene medesima fu più pensato a quanto i pubblici spettacoli, o gli edifizii, od altri comodi urbani richiedevano. E queste operazioni del Forficula Giustiniano approvò ed aggradì. Di ciò basti: passiamo ora a’ poveri di Alessandria.

Fra i causidici di Alessandria era un certo Efesto, il quale entrato prefetto, con crudele severità compresse bensì la plebe sediziosa, ma i cittadini ridusse a calamitoso stato. Imperciocchè costui, messo in monopolio ogni genere di cose venali in tutte le piazze della città, escludendo gli altri venditori, e a sè stesso unicamente il diritto riserbando delle vendite, ad arbitrio della [p. 177 modifica]prefettura inoltre fissò i prezzi. Somma fu quindi la penuria che delle cose necessarie la città patì; e a’ poveri mancarono i generi, che innanzi a vilissimo prezzo vendevansi; e spezialmente li oppresse la carestia del pane. Di che la cagione era, che fattosi egli il solo che potesse trar frumento dall’Egitto, non lasciando agli altri di poterne comprare nemmeno un medinno, il pane tariffò secondo che la sua cupidigia gl’inspirava. In breve tempo adunque acquistossi grandi ricchezze, e diede occasione all’Imperadore di fare altrettanto. Mentre poi il popolo alessandrino per paura contenevasi dal mormorare apertamente di queste iniquità, Giustiniano giulivo delle continue spedizioni di denaro che Efesto gli faceva, colui solo amava. Per vie meglio poi assicurarsi della grazia dell’Imperadore, ecco cosa inoltre quel briccone immaginò. Diocleziano avea ordinato che ogni anno fosse in favore de’ poveri distribuita al popolo alessandrino una grande quantità di frumento, la quale da quel tempo in poi ripartita fra loro, anche di presente era trasmessa a’ posteri. Ora Efesto ordinò che ne’ granai pubblici si mettessero i due milioni di medinni, che doveano servire ai poveri, rappresentando all’Imperadore, che gli Alessandrini se gli aveano senza ragione appropriati contro gl’interessi dello Stato. L’Imperadore confermò coll’autorità sua il fatto; e sempre più caro ebbe Efesto. Ognuno intanto può figurarsi come gli Alessandrini, che in quella distribuzione di frumento mettevano tutta la speranza della sussistenza loro, tratti in tanta necessità sentissero quella crudele sevizie.