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Procopio di Cesarea - Storia Segreta (VI secolo)
Traduzione dal greco di Giuseppe Compagnoni (1828)
Capo XVI
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CAPO XVI.

Giustiniano per avere denaro ordina a tutti i settarii di abbandonare i loro dogmi sotto pena di perdere i loro beni. Estende la legge ai Samaritani, e ai Gentili. Sedizioni, stragi, fughe, orrori. Processi per turpi amori. Crudeltà contro gli Astrologi. Come egli e Teodora usurpino i beni de’ Senatori, e di ogni ricca persona. Le loro scelleratezze li fanno sospettare demonii piuttosto che creature umane. Dicerie in questo proposito.

E quasi nel tempo stesso a ruina de’ Romani suscitò sedizioni e guerre, onde in tutte le provincie, con diverse arti empiute di sangue, più ricche spoglie cogliesse. Hannovi in tutto l’Impero romano parecchie sette di Cristiani non approvate, e volgarmente dette eresie; quelle de’ Montanisti, de’ Sabbaziani, e di altri molti, che le menti degli uomini travvolgono. A tutti questi Giustiniano comandò che avessero ad abbandonare i loro dogmi; e a chi così non facesse, tra le altre cose comminò che non avrebbe potuto lasciare i suoi beni nè a parenti, nè a’ figli. Ne’ templi di questi chiamati eretici, e spezialmente in quelli degli Ariani, conservavansi ricchezze, le quali niuno potrebbe credere quante mai fossero. Chè nè tutto intero il senato, nè altra classe principalissima dell’Imperio, in fatto di [p. 106 modifica]ricchezze poteva stare a fronte di que’ templi; pieni essendo di sacre suppellettili, d’oro, d’argento, di pietre preziose, con ogni sfoggio di opulenza, e con abbondanza anche maggiore della opulenza stessa. E n’erano pienissime inoltre le case, e i borghi; e dappertutto s’aveano possedimenti di terre, e di checchè altro presso gli uomini si ritiene per dovizia; e ciò perchè nissun principe mai v’avea posto mano, od impedimento di alcuna sorte; chè anzi a molti virtuosi uomini per occasione d’arte, o d’istituto, da quei fondi si erano somministrati soccorsi, e quanto fosse necessario alla vita. Tutto ciò adunque, che in que’ templi era, o che ad essi apparteneva, fu confiscato, e diventò bottino di Giustiniano imperadore!

Dopo tutto questo a moltissimi fu tolto di vivere. Altri da sgherri qua e là mandati, ove fossero colti, erano forzati ad abjurare la fede dai loro padri ricevuta. La qual cosa, riguardata da contadini come una empietà, fece che pensassero di opporsi a chi ciò loro predicava. Ma questi dai popoli alzatisi contro di loro, qua e là vennero trucidati; intanto che altri presi da insana superstizione si ammazzarono colle proprie mani. Una parte poi a torme si prese bando dal patrio suolo. Nella Frigia i Montanisti chiusisi ne’ loro templi, e a questi attaccando fuoco, preferirono di perire abbruciati coi medesimi. Da quel tempo non si videro più in ogni verso dell’Imperio romano che fughe e stragi. E come la stessa legge si applicò pur anco ai Samaritani, tutta fu in tumulto la Palestina. Per lo che quelli ch’erano in Cesarea presso di noi, o nelle altre città di quella [p. 107 modifica]provincia, riputando indegna cosa il sottoporsi a tanti guai per un dogma, che per loro non valeva più di qualunque altro, mutato nel nome cristiano che potevano assumere, quello che portato aveano fino allora, con questo mezzo scansarono i pericoli, in che la nuova legge li metteva. Però quelli, che più fortemente pensavano, non abbandonarono gli antichi riti; e la maggior parte non potendo tollerare d’essere contra la loro volontà costretti a disertare dalla religione degli avi, si trasse immantinente a’ Manichei, e a quelli che chiamansi Politeisti. In quanto a’ contadini, unitisi insieme e prese le armi, crearonsi in imperadore un ladrone di nome Giuliano, figliuolo di Sibaro; e vennero a battaglia co’ soldati, e per qualche tempo la vittoria fu incerta: se non che in fine sconfitti, insieme col loro capo furono trucidati, dicendosi che in quella battaglia perissero cento mila persone. Spoglie per tal fatto di coltivatori campagne ch’erano singolarmente feracissime, grande perdita ebbero a soffrire i Cristiani che n’erano i padroni: i quali mentre dalle terre loro non aveano più frutto, doveano pure l’annua gabella pagare all’Imperadore, e fortissima, e senza trovare nella esazione alcun umano riguardo.

Fatto questo rispetto agli Eretici, Giustiniano rivolge la sua sevizie contro i Gentili, ove uccisi, ove di ogni sostanza spogliati: tra i quali quelli che si fecero Cristiani, giacchè a tal passo eran ridotti per sola apparenza onde sottrarsi a tante calamità, furono poi sorpresi, ed arrestati tra i libamenti e i sacrifizii, e l’empie loro superstizioni. Diremo in appresso quanto Giustiniano commise contro gli stessi Cristiani. [p. 108 modifica]

Dopo queste cose egli proibì i turpi amori dei ragazzi, non con legge che espressamente egli facesse, ma richiamando in giudizio quelli, che assai tempo prima erano stati notati di quella macchia; e contro d’essi procedette affatto indecorosamente, poichè li punì senza che alcuno avesse fatta querela, e sopra la fede di un testimonio unico, o ragazzo, o per lo più servo, ed anche renuente, e forzato a testificare contro il suo padrone: così dicevasi essere la causa comprovata! I ritenuti poi rei di tale delitto pubblicamente erano sottoposti per ludibrio al taglio delle pudenda. Non per tutti sul principio si usò questa severità: ma non ne scamparono nè quelli che appartenevano alla fazione de’ Prasini, nè quelli che aveano fama di gran facoltosi, nè quelli ch’erano in dispetto al Principe.

Giustiniano odiava gli Astrologi; e questi il magistrato che dovea far giustizia de’ latrocinii commessi, ancorchè vecchi d’età, e uomini di eccellente condotta, fece condurre per tutta la città sopra camelli e frustare, fatti così infame spettacolo solamente per questo che essendo periti nella scienza degli astri, non doveano, diss’egli, vivere in città. Per tutte queste persecuzioni una grande moltitudine d’uomini non solamente passò a’ Barbari, ma cercò d’internarsi presso le nazioni più lontane dall’orbe romano. E in ciascheduna provincia e città avresti veduti accorsi moltissimi, ed insieme uniti per emigrare in estranei paesi onde a tante persecuzioni togliersi, non diversamente che se la loro patria per nemica devastazione fosse rimasta deserta.

Di questa maniera i più ricchi senatori, i quali erano [p. 109 modifica]o in Costantinopoli, o in altre città, furono di tutti i loro beni derubati da Giustiniano e da Teodora. Come poi i senatori potessero essere da essi spogliati di ogni loro fortuna, sono ora qui per dire. Trovavasi allora in Costantinopoli Zenone, nipote di quell’Antemio, che in addietro era stato Imperadore di Occidente. Questo Zenone gli Augusti con loro segreto fine nominarono governatore dell’Egitto, e colà mandaronlo. Già caricata la nave andava egli di giorno in giorno differendo la sua partenza, e copia immensa d’argento, e vasi d’oro tempestati di gemme, di smeraldi, e di pietre di gran prezzo, portava seco. Essi inducono alcuni che tenevansi fedelissimi a Zenone, a trar prima della nave ogni cosa preziosa, e poi darle fuoco, dicendo a Zenone che pel fortuito incendio tutte quelle sue ricchezze erano perite. Poco dopo Zenone morì all’improvviso; ed essi subitamente andarono al possesso di ogni sostanza di lui in qualità di eredi: e produssero tavole, le quali era fama che da lui in nessuna maniera fossero state scritte.

Con questo stesso artifizio si fecero eredi di Taziano, di Demostene, e d’Ilara, personaggi, che e per altri titoli e per dignità erano i primi nel senato romano. Di altri non con tavole testamentarie, ma con false lettere occuparono le sostanze. Così si fecero eredi di quel Dionigi, che vivea presso il Libano, e di Giovanni, figliuolo di Basilio, uomo chiarissimo fra tutti quelli di Edessa, il quale, siccome negli altri libri narrai, da Belisario, contro il proprio volere, stato era dato ai Persiani in ostaggio. Cosroe lamentandosi che da’ Romani non fossero state osservate le stipulate convenzioni, [p. 110 modifica]ricusava di restituire Giovanni datogli per sigurtà, salvo che a’ patti con cui si restituiscono i prigionieri. Laonde la zia di Giovanni, la quale era ancor viva, tenevasi pronta a pagare pel riscatto del nipote due mila libbre d’argento. Saputo che Giustiniano ebbe come quella somma era stata trasportata a Dara, proibì che si convenisse oltre coi Barbari, dicendo non doversi le ricchezze de’ Romani di tal maniera dare a quelli. In quel frattempo Giovanni preso da malattia di languore morì; e il Governatore di Dara finse una lettera di Giovanni, come a lui suo amico di recente scritta, colla quale dichiarava erede il Principe di ogni sua sostanza, e questa essere l’ultima sua volontà.

Ma è diffìcile dire di quante persone si facessero da sè stessi eredi. Prima che seguisse la sedizione altrove rammentata, di ciascheduno in particolare de’ Vittoriati ricchi essi si attribuirono i beni; e quando quelli insorsero, confiscate in massa le facoltà di quasi tutte le persone dell’ordine senatorio, di esse tutta la suppellettile, e le possessioni migliori a loro arbitrio occuparono. Quelle poi chiamale decumane, soggette a gravissimi tributi, per una specie di umanità ai padroni restituirono, i quali, vessati dagli esattori delle gabelle, ed oppressi dalle continue usure a cui aveano dovuto soggiacere, ridotti erano a loro malgrado vivere, vedendosi ritardata la morte. Laonde e a me, e alla maggior parte delle persone del mio ordine, codesti due non parvero mai uomini, ma perniciosi demonii, e funestissime pesti, accordatisi tra loro onde ben presto ruinare tutte le generazioni e tutti gli affari; e vestiti bensì di umane [p. 111 modifica]sembianze, ma in sostanza vere furie mezzo uomini, sorte a travagliare e a metter sosopra l’universo mondo. Il che e d’altronde può facilmente argomentarsi, e dalla qualità delle strane scelleratezze, nelle quali i demonii di gran lunga superano ogni ingegno ed ogni tentativo umano. E di vero quantunque ne’ passati secoli sieno vissuti uomini, o per natura, o per circostanze oltre ogni misura formidabili, i quali città, provincie, e contrade intere abbiano maltrattate; niuno però fuvvi che da fondo in colmo sovvertisse il genere umano, e l’universo mondo, siccome fecero questi due. Ed ai crudeli loro attentati in minar gli uomini si prestò ministra anche la fortuna, perciocchè in quel tempo medesimo, siccome or ora dirò, tante, e sì grandi devastazioni avvennero e per tremuoti e per pestilenze e per alluvioni, che come queste, anche le accennate iniquità paiono di tutt’altri opera che di uomini. Ma vero egli è che la madre di Giustiniano dicesi aver raccontato ad alcuni suoi intrinseci non essere egli stato prole di Sabbazio suo marito, nè di alcun altro uomo; ma che prima d’essere di lui incinta molte volte venne a lei una specie di Genio, che non per veduta, ma per contatto solamente conversava con essa e giacevasi; e come se fosse stato il marito la trattava, e di poi quasi per sogno spariva. Alcuni camerieri d’animo purissimo, dissero che mentre di notte stavano presso a Giustiniano parve loro di vedere in vece sua l’insolita larva di un Genio. Ed uno di essi affermava aver veduto Giustiniano tutto ad un tratto dalla sedia reale alzatosi, giacchè non era mai solito a star lungo tempo seduto, [p. 112 modifica]porsi a passeggiare, ed allora svanita sul momento per l’aria la testa, col rimanente corpo continuare il passeggio: di che egli stupefatto, ed accagionando i suoi occhi come infermi, in fine poi avea inaspettatamente veduta la testa riunita al corpo. Un altro rammentava, che stando innanzi a Giustiniano il quale sedeva, avea osservato che la sua faccia in un istante cambiavasi in un pezzo informe di carne, senza sopracciglia, senza alcun segno del sito ove stanno gli occhi, senza infine alcuna vera fisonomia; nè molto dopo avere poi veduto apparire certe fattezze del volto. Scrivo cose non vedute da me, ma seriamente a me affermate da altri che dicevano averle vedute. Narrasi ancora, che un monaco assai grato a Dio, indotto da quelli che seco lui viveano in solitudine, a venire a Costantinopoli per trattare la causa di popolazioni vicine, le quali per violenza, e contra giustizia erano travagliate, avendo avuto facile accesso all’Imperadore, giunto alla soglia della camera, ne avea sull’istante ritratto il piede, ritornando sulla strada fatta prima. L’eunuco che stava all’uscio, ed altri che ivi erano, grandemente lo pregavano che si fermasse, ed egli simile a uomo impazzito, senza nulla rispondere, a dirittura s’era nascostamente ritirato alla sua solitudine. E come poi i suoi compagni gli domandarono la cagione di tale suo fatto, apertamente confessò loro aver veduto nella reggia sedersi in trono il Principe dei demonii, a cui non avea avuto coraggio nè di accostarsi, nè di porgere preghiere. Ed io in vero non so chi non credesse di vedere una orrenda testa di furia, considerando lui, che quantunque perdutamente [p. 113 modifica]dato ai piaceri di venere, sì poco usò nel bere, nel mangiar, nel dormire, che gustata appena or l’una or l’altra vivanda, come dirò, la notte quasi intera passava scorrendo per tutta la reggia.

In quanto a Teodora, di lei, mentre frequentava ancora la scena, i suoi amorosi raccontarono come venivano giù dalla volta della camera notturni folletti, e per la stessa via ritiravansi dopo essere stati con essa molta parte della notte. E di lei pure altra notabil cosa raccontò una piccola saltatrice de’ Veneti antiocheni, chiamata Macedonia, stata potente presso Giustiniano a segno che anche vivente Giustino, secondando essa la cupidigia del nipote lo eccitava a levar di mezzo gli ottimati dell’Oriente, e a confiscarne i beni. Diceva dunque costei qualmente, salutando Teodora la quale veniva dall’Egitto e dall’Africa, e vedutala tribolatissima per le ingiurie ricevute da Eccebolo, e per la perdita di denaro che in viaggio avea fatta, volendo essa confortarla coll’insinuarle a sperare nella fortuna, la quale poteva darle di nuovo grandi ricchezze, rispose: in quanto a ricchezze, in quella stessa notte esserlesi in sogno ordinato di non pensarvi per nulla; chè giunta a Costantinopoli sarebbe ascesa al letto di un Genio massimo, e che coll’arte sua sarebbesi congiunta con esso lui in nodo maritale; e con ciò avrebbe avute tutte le ricchezze desiderabili. Tali erano le cose, che da assaissime persone credevansi.