Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. II)/Libro settimo - Capo IV

Libro settimo - Capo IV

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C a p o   IV.


Meccanismo della pittura - Monocromi . . . fatti col bianco . . . col rosso . . . e col nero - Colorito - Lumi ed ombre — Maniera di contornare . . . e di dipingere a secco - Statue dipinte - Carattere di tre antichi pittori - Decadenza della pittura - Lavoro a musaico.

Meccanismo della pittura. Le notizie sull’antica pittura trasmesseci dagli scrittori, e quelle che abbiamo potute acquistare dai monumenti di quell’arte sino a noi conservatisi, ci somministrano de’ lumi per determinare in parte almeno la maniera di dipingere usata dagli antichi. Questa, come tutte le altre arti, s’andò perfezionando a poco a poco.

Monocromi... §. 1. A principio1 la pittura era d’un sol colore, e le figure erano segnate con semplici linee, per lo più rosse fatte col cinabro o col minio2. Alcuni in vece del rosso usarono il bianco, e così dipingea Seusi3. Gli antichi sepolcri di Tarquinia presso Corneto, de’ quali ho parlato altrove4, son dipinti coi contorni bianchicci su un fondo scuro. Tal maniera di dipingere chiamavasi monochromatica, cioè d’un sol colore5.

[p. 75 modifica] ... fatti col bianco... §. 2. A questa sembra doversi applicare la voce λευκογράφειν (bianco-pingere ) usata da Aristotele6, e sinor poco intesa da’ suoi traduttori. Parlando egli delle tragedie [p. 76 modifica]dice che quelle, nelle quali il poeta o non s’è curato d’introdurvi della passione, o non v’è riuscito, possono assomigliarsi alle pitture a cui manca l’espressione, o perchè il pittore, ancorché abbia adoperati i più bei colori, pur non ha saputo usarne in maniera da soddisfare l’occhio dello spettatore, o perchè ha tutto dipinto il quadro col solo color bianco (λευκογραφήσας εἰκόνα); e con tal voce volle forse Aristotele alludere a Seusi, il quale, come testè s’è osservato, in tal maniera dipingeva, e delle cui pitture avea detto poco prima, che erano senza ἦθος (espressione). Appare quindi quanto siansi allontanati dal vero senso dell’autore Daniele Heinsio, il quale tradusse: quam qui creta singula distincte delineat; e Castelvetro che così interpretollo: Perciocché cosa simile avviene ancora nella pittura, poiché così non diletterebbe altri, avendo distesi bellissimi colori confusamente, come sarebbe se di chiaro e di scuro avesse figurata un immagine7.

... col rosso... §. 3. Monocromi dipinti col solo rosso sono i quattro mentovati disegni fu tavole di marmo bianco del museo Ercolanense, dalle quali si può inferire che questa prima e originale maniera di dipingere siasi per lungo tempo conservata. Sebbene il colore di quelli disegni, pel caldo delle ceneri e degli altri corpi volcanici che Ercolano coprirono, siasi annerito; vi si veggono tuttavia le tracce del rosso primitivo.

...e col nero. §. 4. I più ragguardevoli e i più numerosi monumenti di questa maniera di dipingere, che ci siano rimasti, gli abbiamo ne’ vasi di terra cotta, de’ quali a lungo parlammo al capo IV. del Libro III. Sono essi per la maggior parte dipinti col solo nero sul rossiccio, color naturale dell’argilla esposta al fuoco, e poffono perciò chiamarsi [p. 77 modifica]monocromi. In simil maniera si dipingono anche oggidì de’ vasi in ogni paese.

§. 5. I bellissimi pezzi fra le pitture Ercolanensi, che rappresentano donne danzanti, Ninfe, e Centauri in figure alte un palmo su un fondo scuro, sembran essere fatte con quella prestezza con cui mettonsi sulla carta i primi pensieri d’un disegno.

Colorito §. 6. Quando la pittura cominciò a perfezionarsi, dopo che furono trovati i lumi e le ombre, s’andò più oltre, e determinossi fra quelli e queste il color naturale proprio d’ogni parte, che i Greci chiamavano il tono del colore: termine dell’arte che noi pure usiamo, dicendo, il vero tono del colore. Plinio, che traduce la voce τόνος , splendor, dice esser questo diverso dal lume, e fra mezzo il lume e l’ombra; perciocchè diffatti né i lumi né le ombre non danno il vero colore d’un oggetto. Così, a mio parere, deve interpretarsi quest’oscuro e sinor mal inteso luogo di Plinio8. Studiando i pittori antichi l’armonia del color principale, giunsero a perfezionare il colorito, per mezzo di tinte insieme frammiste e di varj colori impattati, l’unione de’ quali diceasi da’ Greci ἁρμογὴ9. I colori forti e pieni chiamavansi da’ Romani saturi, e diluti quelli, che tendevano più al chiaro, ed erano d’una tinta più leggiera10.

§. 7. Si può fare un’osservazione generale, ed è che l’antica pittura era più atta a dare un certo grado di vita e una certa verità di carnagione che la moderna, in cui i colori stemprati a olio per la sola azione dell’aria e del tempo s’alterano e s’oscurano11. Aggiungasi che gli [p. 78 modifica]antichi nel dipingere sopra del legno preferivano il fondo [p. 79 modifica] [p. 80 modifica]bianco12, e forse su questo principio cercavasi, come dice Platone13, la più candida lana per darle il miglior colore porporino.

§. 8. Questo è quanto sappiamo riguardo al colorito degli antichi. Per ciò che spetta alla maniera loro di dipingere, di quella sola pittura parlar possiamo che faceasi sul muro, e che diversa era presso di loro dalle pitture sul legno, come lo è anche oggidì presso di noi.

Lumi, ed ombre. §. 9. Nella maggior parte delle antiche pitture sul muro i lumi e le ombre fon date per mezzo di tratteggiamenti, in linee ora parallele, ora incrocicchiate, dette da Plinio incisurae14: questa maniera si usa anche oggidì nelle pitture sul muro, e chiamasi tratteggiare. In altre pitture però le masse intere delle tinte vengono or sollevate, or abbassate dalla diversità de’ colori or più chiari, or più cupi, come osservasi nella pretesa Venere del palazzo Barberini, ne’ descritti quattro bei pezzi del museo Ercolanense, e in altre pitture che sono state con diligenza finite. Su alcuni pezzi però dello stesso museo e, fra gli altri, in quello che rappresenta Chirone e Achille, vedonsi amendue le maniere di ombreggiare: Achille è dipinto a intere masse di tinte, e Chirone è tratteggiato.


[p. 81 modifica] Maniera di contornare... §. 10. La mentovata prima maniera di dipingere a semplici tratti di color bianco si conservò anche dopo che si seppe dare alle figure il color proprio ad imitazione del vero, e servia per disegnare, poiché faceansi col pennello i contorni di color bianco, ai quali s’applicava poi il convenevole colorito. Abbiamo di ciò una prova in un lungo pezzo di muro dipinto scoperto a Pompeja, da cui s’è per la maggior parte scagliato il colorito in guisa che sol vi sono rimasti i contorni bianchi. Da questo pur si argomenta aver gli antichi usato disegnare le loro pitture fui muro diversamente da’ moderni; poiché questi sogliono sulla fresca intonacatura del muro disegnare i contorni incavandoli con un ferro acuto; laddove gli antichi, avendo più frequenti occasioni di dipingere lui muro, aveano acquistata maggiore abilità, e col loro pennello sapean le figure esattamente delineare. Diffatti in nessuna delle tante centinaja di pitture del museo Ercolanense ho veduti i contorni incavati.

... e di dipingere a secco. §. 11. E’ da osservarsi per ultimo, che le suddette pitture, per la maggior parte almeno, non sono già state dipinte sulla calcina umida, ma sul muro già secco; la qual cosa chiaramente si osserva in alcune figure che si sono come sfogliate e staccate, onde si vede il fondo su cui sono state dipinte15 Più chiaramente ancora ciò si ravvisa nel mentovato quadro di Chirone ed Achille, in cui gli ornati [p. 82 modifica]dell’ordine dorico posti dietro alle figure sono stati dipinti prima di queste in una maniera affatto opposta a quella che s’usa oggidì; poiché i nostri pittori in un quadro fanno prima le figure, e poscia il fondo; e così dee farsi naturalmente.

Statue dipinte. §. 12. Per nulla omettere di ciò che riguarda la pittura degli antichi rammenterò qui la statua di Diana del museo Ercolanense, lavorata nel più vetusto stile, in cui non solo dipinti sono gli orli della veste, ma eziandio altre parti del panneggiamento. Sebbene questa statua, come s’è detto al Libro III. Capo II.16, etrusca sia anziché greca, pur s’inferisce da un luogo di Platone, che vi fosse anche tra i Greci un simil uso17. Dice quello filosofo, adducendo una similitudine: „ Se colui che ci vede dipingere le statue, volesse rimproverarci perché non applichiamo alle più belle parti i più vaghi colori, perchè, a cagion d’esempio, gli occhi che son certamente la più bella parte della figura, indichiamo con color nero, anziché con uno smalto porporino ec.„: ὥσπερ οὖν ἂν εἰ ἡμᾶς ἀνδριάντας γράφοντας προσελθών ἄν τις ἔψεγε, λέγων ὅτι οὐ τοῖς καλλίστοις τοῦ ζῴου τὰ κάλλιστα φάρμακα προστίθεμεν, οἱ γὰρ ὀφθαλμοὶ κάλλιστον ὂν, οὐκ ὀστρείῳ ἐναληλιμμένοι εἶεν, ἀλλὰ μέλανι. κ. τ. λ. 18. Io ho tradotto il senso di queste parole come le ho intese19; e non le intenderò in altro modo sinché non mi si dimostri che la voce ἀνδριάς, la quale generalmente significa una statua, possa significare [p. 83 modifica]che una pittura: del che lascerò che altri sia giudice.

Carattere di tre antichi pittori. §. 13. Siccome pocanzi due oscuri passi d’Aristotele e di Plinio mi hanno data occasione di parlare del colorito degli antichi; così il giudizio che porta quel filosofo di tre pittori, mi apre il campo a ricercarne il loro carattere. Polignoto, dic’egli, ha dipinte le figure meglio, Pausone più volgarmente, e Dionisio più somiglievolmente20. Non so se il signor conte di Caylus tocchi questo luogo, e se, parlandone, abbiane compreso il vero senso. Non avendo io ora nè il tempo nè il comodo di esaminare gli Atti accademici che trattano dell’antica pittura, ove probabilmente quello passo d’Aristotele si vorrà rischiarare, mi contenterò di qui esporre la mia opinione, lasciando al leggitore la cura di confrontarla coli’ interpretazione degli altri21. Nulla dirò del traduttore Castelvetro, il quale non ha inteso il suddetto testo. Ecco quel che in mio senso ha voluto dire Aristotele. Polignoto ha dipinte le sue figure meglio (siccome secondo lui22 avrebbe dovuto fare ogni buon pittore), cioè si sollevò al di sopra delle sembianze comuni e dell’ordinaria figura degli uomini; poiché egli, come la maggior parte degli antichi pittori, essendo solito a rappresentare la mitologia e la storia eroica, ha pur fatte le sue figure simili agli eroi, ed espresse la natura nel suo più bello ideale. Più volgari e basse, che esser non sogliono comunemente, erano le figure di Pausone; né ciò probabilmente gli si attribuisce a biasimo, poiché Aristotele lo annovera fra i gran maestri, e lo colloca presso a Polignoto: altronde il filosofo fa qui la similitudine dei tre [p. 84 modifica]pittori per rischiarare le tre diverse maniere d’imitazione (μιμήσεων) sì nella poesia che nella danza, quali dicendo; siccome le figure di Polignoto sono quel che in poesia è la tragedia, che solo si occupa di avvenimenti eroici; così le figure di Pausone debbono rassomigliarsi alla commedia, in cui il carattere delle persone più caricato si rappresenta, come dic’egli stesso nel medesimo capo: ἡ μὲν (Κωμῳδία) χείρους. ἡ δὲ (Τραγῳδία) βελτίους μιμεῖσθαι βούλεται τῶν νῦν23, e o ripete nel seguente capo quinto dicendo: Κωμῳδία μιμήσις φαυλότερων24: cioè che per migliorare i costumi degli uomini la commedia ne esprime le follie più grandi che realmente non sono, affinchè siane vieppiù sensibile il ridicolo. Quindi è da conchiudersi che Pausone abbia dipinti più soggetti comici che tragici o eroici, e che avesse un particolar talento di rappresentare quel ridicolo che è lo scopo della commedia; poiché il ridicolo, prosiegue Aristotele, fa veder le persone sotto l’aspetto il più ignobile (τοῦ αἰσχροῦ ἐστι τὸ γελοῖον μόριον)25. Dionisio, il quale pur era uno de’ più famosi dipintori26, teneva un luogo di mezzo fra i primi due, ed era riguardo a Polignoto, com’Euripide riguardo a Sofocle; poichè questi rappresentò le eroine delle sue tragedie quali esser doveano, e quegli le fece quali erano diffatti. Dionisio, dice Eliano27, imitò Polignoto in tutto, fuorchè nel sublime (πλὴν τοῦ μεγέθους).

§. 14. In conseguenza di questo giudizio sul carattere de’ mentovati artisti dobbiamo dare a ciò, che dice Plinio de’ medesimi, una significazione ben diversa da quella che attribuir si suole generalmente alle sue parole. Dionisio, dic’egli, non altro mai dipinse che uomini, e fu perciò detto [p. 85 modifica]l’antropografo28; cioè egli dipinse gli uomini sotto le forme naturali della nostra specie, non sublimandoli sopra l’esser d’uomo, e da ciò gli venne il cognome di pittor d’uomini. Nè ciò in altra guisa egli poteva eseguire, fuorchè col dare alle sue figure ancorché eroiche, la somiglianza di persone viventi, prendendo probabilmente de’ modelli naturali, senza nulla aggiugnervi d’ideale, come far si suole nei disegni delle accademie.

Decadenza della pittura §. 15. Sulla decadenza della pittura molte lagnanze abbiamo degli antichi scrittori, e principalmente di Vitruvio29. Quell’architetto romano acremente declama contro l’uso introdottosi a’ suoi tempi di coprir le pareti delle case e delle stanze con pitture insignificanti, che non occupano lo spirito nè istruiscono, laddove gli antichi Greci rappresentavano col pennello la storia de’ loro dei e de’ loro eroi. Queste insulse pitture condanna pur Luciano, dicendo: io vorrei nelle pitture non sol vedere delle città e de’ monti, ma eziandio degli uomini, e scorgere ciò che fanno e che dicono30.

Lavoro a musaico §. 16. Alla pittura appartiene il lavoro a musaico, che è una vera pittura fatta talora di pietruzze naturali31, e talora di paste di vetro colorate e insieme unite. Della prima specie sono generalmente quelle che fono formate di piccole pietruzze quadrate bianche e nere; e anche nei [p. 86 modifica]lavori più fini di quella maniera, fatti di semplici pietre, sembra che si schivasse di adoprare i colori forti e vivi, come il rosso, il verde ec., forse perchè non v’è nessun marmo che abbia que’ colori particolari d’un bel tono: nel più bel musaico di questa specie, che son le colombe del ninfeo Capitolino32, non sono stati adoperati se non colori deboli e, come a dire, mezze-tinte. Ma non voglio per quello asserire che in musaico adoprati non fossero i colori gialli, rossi, ed altri; il che dall’ispezione oculare verrebbe smentito. Io parlo soltanto della vivezza maggiore di alcuni fra que’ colori33. I musaici della seconda specie, cioè di paste di vetro, hanno tutt’i colori possibili; e tali sono due pezzi del museo Ercolanense, lavoro di Dioscoride di Samo, de’ quali si riparlerà nei Libro XII.34.

§. 17. Questo lavoro serviva principalmente pei pavimenti nei tempj e nelle altre fabbriche, e in seguito si adoperò eziandio nelle volte, come si vede anche oggidì in un Sotterraneo della villa d’Adriano a Tivoli, e come s’è pur fatto sì nella gran cupola che ne’ cupolini di san Pietro a Roma35. I pavimenti son fatti di pietruzze larghe quanto l’ugna del dito mignolo insieme unite: alcuni sono stati ridotti a tavole, che veggonsi nel museo Capitolino e in varie case di Roma. Nel celebre musaico di Palestrina le pietre sono della stessa grossezza. Nelle stanze più ragguardevoli, ove i pavimenti erano di pietre bianche o nere, talora nel mezzo e in altri lati v’erano de’ fregi a più colori, e tale [p. 87 modifica]peè il musaico d’una camera scoperta alcuni anni fa parimenti a Palestrina36. I musaici che sono d’un lavoro finissimo trovansi come incassati fra sottili lastre di marmo al di sotto e a’ fianchi, oppure rinchiusi da musaico più grossolano. Tali sono le mentovate colombe del museo Capitolino, e i detti due pezzi di Dioscoride trovati nel pavimento di due camere a Pompeja.


Note

  1. Prima di ogni altra cosa imparavasi a ben disegnare sopra tavolette di busso: il quale studio, dopo del pittore Panfilo, di cui si parlerà in appresso, cominciando prima in Sicione, poi in tutta la Grecia, si facea fare a tutti i fanciulli ingenui prima d’ogni altro studio, Plinio lib. 35. cap. 18. sect. 36. §. 8.
  2. Plin. lib. 33. cap. 7. sect. 39.
  3. Id. lib. 35. cap. 9. sect. 36. §. 2.
  4. Lib. iiI. cap. iI. pag. 192.
  5. Plinio, che in più luoghi della sua Storia naturale fa menzione delle pitture monocromatiche, l’origine ne ripete da’ tempi più remoti. Secondo lui lib. 35. cap. 3. sect. 5. incominciò a formarsi il primo embrione della pittura dai tratti condotti intorno l’ombra gettata da un corpo lui muro. A quella prima più tozza maniera succedette l’altra di pingere con un solo colore: maniera detta perciò monocromatica, che, secondo lo stesso Plinio, erasi mantenuta sino a’ giorni suoi. Il signor conte di Caylus Refl. sur quelq. pass. du livre 35. de Plin. pr. part. Acad. des inscript. Tom. XXV. Mém. pag. 159. seq]., pretende d’inferire da alcuni passi pliniani esservi stati due generi di pitture monocromatiche, ed amendue composti di più d’un colore. Consisteva il primo, a suo avviso, nel disegnare su di un fondo colorato i profili soltanto dell’oggetto con un altro colore; e il secondo nel dare il chiaro-scuro, se non eguale, non molto dissimile almeno da quello che si usa presentemente. Io però non ravviso in Plinio che una sola maniera, la quale eseguivasi collo stendere sul campo, che occupar doveano le figure, il cinabro, o il minio, Plin. lib. 33. cap. 7. sect. 39., od anche il bianco, id. lib. 35. cap. 9. sect. 6. Sopra questo colore uniforme compieva poi il pittore il suo disegno co’ necessarj tratteggiamenti, i quali probabilmente formavansi con una tinta nera, che esser dovea pur quella di tutto il fondo del quadro. Dalle pitture, che veggonsi su i vasi etruschi, eseguici per lo più nella maniera divisata, trarsi può l’idea delle vetuste pitture monocromatiche, come avverte l’istesso nostro Autore.

    Gli antichi ebbero bensì anche la pittura risultante dai lumi e dalle ombre: pittura, che chiamar potrebbesi a chiaro-scuro. Questo genere però non rammentasi, che io sappia, da Plinio, ma sol da Filostrato Vita Apoll. lib. 2. cap. 22. oper. Tom. I. pag. 75., il quale τὸ ἄνευ χρώματος lo nomina, pittura cioè senza colore; poiché gli oggetti in essa non distingueansi con diverse tinte e colori, ma soltanto con lineamenti nel fondo medesimo impressi. Ecco ciò che Filostrato ne scrive:„ Si usa, dic’egli, dipingere qualche volta con alcuni lineamenti lenza colore. Tal pittura dir dobbiamo che risulti unicamente dall’ombra e dai lumi. Vi si ravvisa in essa la rassomiglianza dell’oggetto ritratto, la fisonomia, l’indole, la vergogna, l’audacia, quantunque non sieno quelli affetti sostenuti dai colori. Né vi manca la vivacità del sangue, e l’espression de’ capelli e della stessa nascente lanugine. Ed avvegnachè semplici sieno e perfettamente uniformi queste pitture, ci rappresentano nondimeno la faccia dell’uomo o bianca o gialliccia, come si è voluto ritrarla. Anzi se la figura d’un Indiano si sarà disegnata con tai bianchi lineamenti, lo spettatore ravviserallo, come se fosse nero. Il naso simo, i capelli ricciuti, la gonfiezza delle labbra, ed un certo stupore sparso sul viso rende nero ciò, che l’occhio vi vede bianco, e a chi lo voglia considerar bene, lo rappresenterà per un Indiano „. Le figure con la punta d’uno stile disegnate sull’intonacatura ancora recente delle pareti, colle quali, nel secolo XVI. specialmente, si è praticato di ornar le case al di fuori, non son elleno una specie di quelle antiche pitture senza colore da Filostrato descritte? [ Io credo che Filostrato vada inteso diversamente da ciò, che dice secondo la detta versione tutta alterata. Egli parla di pittura a semplice contorno; dicendo, che uno può capire il soggetto d’una pittura non solamente quando esso è dipinto a uno, o più colori; ma ancora quando sia dipinto a semplice contorno, purché però abbia già in mente l’idea, del medesimo: e per esempio, dice, si può capire, che una pittura di tal maniera rappresenta un nero Indiano, e capirvi anche nei lineamenti del volto un’aria di verecondia, o di fierezza, non solo se sia dipinto a contorno di color nero, ma anche di color bianco; imperocchè uno che già abbia in mente l’idea dell’Indiano, tosto lo riconosce in quella pittura al vedergli il naso simo, e schiacciato, crespi i capelli, le guancie gonfie, e un non so che di scintillante negli occhi. Eccone l’esatta versione latina secondo l’edizione dell’Oleario, di cui mi servo; e potrà ognuno giudicarne. Picturam (parla Apollonio a Dami) non eam solam mihi videris putare, quæ coloribus absolvitur: nempe unus etiam color veteribus illis pictoribus satis erat: incrementa vero capiens ars quatuor adhibuit, inde plures etiam; at & linearum picturam, & quod coloribus destituitur, quod ex umbra & luce compositum est, picturam fas est appellare; in talibus enim etiam similitudo cernitur, figura item, & mens, & pudor, & audacia. Atqui coloribus destituuntur istæ., neque sanguinem, aut comæ, aui barbæ nitorem repræsentant: sed simplici colore picta fuscum tamen hominem referunt, candidumve. Sique Indorum istorum aliquem albis lineamentis pinxerimus, tamen niger videbitur. Nasi enim simitas, & erecti capillorum cinni, tum genæ protuberantes, & micans quidpiam quasi in oculis efficiunt, ut nigra appareant, quæ oculis subjiciuntur, atque Indum repræsentent spectantibus, quorum est aliquod in videndis istis judicium. Quapropter dixerim ego & eos, qui pictoria artis opera aspiciunt, imitatrice opus habere facultate. Nemo enim laudaverit pictum equum, aut taurum, qui animai illud mente non intueatur, cujus similitudinem refert.
  6. Poet. cap. 6. op. Tom. IV. pag. 8.
  7. Poet. d’Arist. volgar. Par. iiI. pag. 134.
  8. Il conte di Caylus Reflex. sur quelq. pass. du livre 35. de Pline, I. par. Acad. des Inscript. Tom. XXV. Mém. pag. 163. lo spiegava per un lume di mezzo, per l’accordo, il tono, la forza d’un quadro.
  9. l. 35. c. 5. s. 11. Deinde adjedus est splendor, alius hic quam lumen; quem, quia inter hoc & umbram esset, appellaverunt tonon; commissuras vero colorum, & transitus, harmogen.
  10. Plin. lib. 9. cap. 39. sect. 64.
  11. Se gli antichi sapessero dipingere non solamente a fresco, ma anche a olio, è una quistione dibattuta fra gli eruditi. È più probabile però che quella maniera sia stata loro ignota, almeno come usasi dai moderni dopo il fiammingo Giovanni van Eick, che ne fu l’inventore sul principio del secolo XV., [ come si crede volgarmente; ma può ben provarsi una tale invenzione più antica di quel pittore, se possiamo trarre giusto fondamento da ciò, che riferisce il ch. sig. Lessing bibliotecario del principe di Brunswik, di trovarsi cioè nella biblioteca del principe di Wolfenbuttel un manoscritto d’un certo Teofilo, che visse nel secolo X., o XI. al più tardi, ove non solo questi fa menzione della pittura a olio, ma ne ha insegnato l’arte sino alla preparazione dell’olio, quali per non lasciarne dubbio alcuno. Veggasi l’Antologia Romana anno 1775. num. 7. Tom. iI. pag. 45. e segg. In oltre il signor Cristiano de Mechel nella descrizione, che fece nel 1781. dei quadri della imperiale, e regia galleria di Vienna, stampata poi nel 1785., dà notizia di un quadro a olio di un certo Tommaso de Mucina, col nome scrittovi in quelli due versi:

    Quis Opus hoc finxit Thomas de Mulina pinxit:
    Quale vides Lector Rarisini Filius Auctor.

    e colla data del 1297. Non mi essendo di più a parlare di altri quadri esistenti in altre parti, creduti anteriori a van Eick, perchè non è qui luogo a diffondermi su tal questione, che meglio esaminerà il diligente e dotto cavaliere d’Agincourt nella continuazione della Storia delle arti dalla loro decadenza sino al risorgimcnto. ] Ma ebbero essi in vece un’altra foggia di dipingere, di cui i moderni sino a’ dì nostri ignorano l’uso. Encaustica dicevasi questa, perchè eseguita col fuoco, ossia per inustione. Non essendo avanzato quadro alcuno di tal forte, che si sappia, per poterne formar Giudizio ci conviene rivolgerci a quel poco che sopra di ciò, e in termini poco chiari scrisse Plinio. Afferma egli l. 35. c. 11. sect. 41. essersi anticamente dipinto coll’encausto in due maniere, colla cera cioè e col cestro, ossia col bulino nell’avorio: cera, & in ebore cestro, idest viriculo. Alle due accennate maniere una terza ne aggiugne in appresso per le navi, dicendo essersi adoperato a quell’effetto il pennello intinto nelle cere squagliate col fuoco: pittura, che non guastavasi punto né per sole, né per vento, né pel salso dell’acqua. Chi stato sia l’inventore di dipingere colle cere, e per inustione, ceris pingere, ac picturam inurere, il medesimo Plinio confessa di non saperlo. Osserva soltanto che attribuir non poteasene l’invenzione ad Aristide, perfezionata poi da Prassitele, come credevano alcuni; poiché prima di essi fecero delle pitture encaustiche Polignoto, Nicanore, ed Agesilao. Panfilo altresì maestro d’Apelle non solamente esercitossi nell’encaustica, ma l’arte istessa insegnò a Pausania.

    Un’altra maniera più semplice di dipingere per inustione, o piuttosto di colorare a fuoco un muro con una tinta eguale accennasi da Vitruvio lib. 7. cap. 9., che insegnò per tal modo a conservare sul muro il minio, facile altronde a scolorarsi. „Dopo che avrà il pittore, dic’egli, renduto liscio e secco il muro, vi spanda sopra con un grosso pennello della cera cartaginese sciolta al fuoco con un poco d’olio. Indi accollandovi un recipiente di ferro con carboni accesi lo riscaldi in guisa che faccia sudar quella cera col muro, riducendo il tutto ad uno stato uniforme. Poi con cera consistente e con netti pannilini lo vada strofinando, come si usa colle statue di marmo „. Quasi lo stesso ripete Plinio lib. 33. cap. 7. sect. 40., se non che per riscaldare il muro vorrebbe si adoperassero carboni di galle.

    Ricavasi in primo luogo dalle riferite testimonianze che per fare una pittura encaustica della prima specie bisognava innanzi ogni cosa aver pronte le cere impastate coi colori. A quest’effetto, come nota Seneca, e Varrone De re rust. lib. 3. cap. 17., usarono i pittori certe cassette a varj ripartimenti, ove tenevano discolores ceras. La preparazione di tali colori sarà stata probabilmente quella medesima che Varrone e Plinio riportano adoperatasi per dipingere sul muro, vale a dire li faranno messi a cuocere con la cera, aggiugnendovi una leggiera dose di olio. Quegli stessi colori, usati per dipingere a fresco, usaronsi anche per le pitture encaustiche, come in altro luogo ci avvisa il citato Plinio lib. 35. cap. 7. sect. 31. Si aveva in oltre a riscaldare il fondo del quadro dopo d’esservi stati applicati i colori: lo che accenna il Naturalista coll’espressione picturam inurere. Faceasi tal inustione con carboni accesi posti in un recipiente, oppure con una lastra infuocata, come abbiamo da Plutarco De sera Num. vind. oper. Tom. iI. pag. 568.: e questi forse sono quegli arnesi pittoreschi, che dagli antichi giureconsulti detti furono cauterj, come da Marciano nella l. Item pictoris 17. ff. De instructo, vel instrum. leg. Se coll’inustione aveansi a far svaporare tutte le particelle fluide dei colori e del fondo, dovea quella essere gagliarda anzi che no. Restava per ultimo il lisciar la pittura con altra cera e con pannilini: con che formavasi una specie di vernice, la quale hanno costumato spesso gli antichi maestri di mettere anche sulle altre pitture a fresco per renderle più durevoli, più belle, e più rilucenti. Qualche volta i pittori, per dinotar la pittura encaustica eseguita da loro, vi hanno scritto ἐνέκαυσεν (fatta per inustione). Così usarono fra gli altri Nicia e Lisippo, Plin. lib. 35. cap. 4. sect. 10., & c. 11. sect. 39.: dal che si può inferire che poca diversità vi fosse nell’apparenza tra le altre e le pitture encaustiche: altrimenti inutile sarebbe stato l’avvertimento. Tali sorta di pitture esser doveano delle altre più durevoli. Ciò dà per supposto Plutarco in Amator. oper. Tom. iI. pag. 759. C. allorchè paragona le immagini, che in noi ritraggonsi dalla semplice vista, alla pittura a fresco; quelle, che la vista c’imprime al vedere un oggetto amato, alla pittura encaustica. Le prime facilmente svaniscono, laddove le altre lungamente conservansi nella memoria. Siccome assai antica fu l’invenzione delle pitture encaustiche, e se ne fece uso ne’ tempi, in cui pochi colori adoperavansi nel dipinger a fresco, così pochi colori vi saranno in esse entrati, e forse anche pochi tratti e pochi lineamenti. Io immagino che faranno a un di presso riuscite come le pitture dei vasi detti etruschi: e chi sa che quelle non siano elleno pure pitture encaustiche? Le figure e gli altri disegni rappresentati su que’ vasi sono per lo più monocromatici, ossia d’un solo colore, e questo gialliccio, per cui distaccansi dal fondo scuro de’ medesimi. Sono esse in oltre su di una materia, alla quale applicarsi potea l’inustione; ed un certo lustro vi si scorge, effetto probabilmente di quella lisciatura che dar solevasi colla cera a sì fatti lavori. Ateneo e lo Scoliaste di Teocrito in Idyl 1. vasi rammentano dipinti con cera a varj colori; e Plinio lib. 36. cap. 25. sect. 64., parlando delle terme d’Agrippa, osserva che tutte le opere in terra cotta vi erano in simil guisa dipinte. Dall’analisi però, che il signor d’Hancarville fece dei colori di alcuni vali etruschi, non risulta che siavi in essi entrata la cera. Vedasi ciò che dicemmo nella nota 1. al Capo IV. del Libro III. nel Tomo antecedente pag. 228.

    E quella seconda sorte di pittura encaustica indicataci da Plinio lib. 35. c. 11. sect. 41., in ebore cestro, id est viriculo, in quale maniera sarà ella mai stata eseguita? Il testo è oscuro, e forse vi si deve sottintendere qualche parola, quale sarebbe scalpto, od altra simile, dinotante essere stato l’avorio lavorato col cestro, termine greco, viriculum detto dai Latini, e bulino dagl’Italiani. Ammessa per tanto quell’interpretazione, sarebbe egli assurdo il dire che alle figure incavate con leggiera mano nell’avorio siensi adoperati i colori encaustici, e siasi con quelli eseguito il metodo praticato colle altre pitture di tal sorte? Lala cizicena ne’ primi anni di Marco Varrone chiara si rendè in Roma nel dipingere col cestro in avorio, Plin. loc. cit. sect. 40. §. 43.

    Sopra la terza specie di pittura encaustica, con cui dipingeansi le navi, ci ha dato una dissertazione Caylus Acad. des Inscript. Tom. XVIII. Mém. pag. 179. seqq. Tal pittura faceasi sulla prora, o sulla poppa, ove si soleva effigiare il Dio tutelare della nave, o qualche di lui simbolo o attributo, Lucian. in Navig. §. 5. op. Tom. iiI. p. 251., Ovid. Trist. lib. 1. eleg. 9. vers. 2. & seqq. Una Cibele sulla poppa d’un vascello dipinta coloribus ustis ci vien accennata da Ovidio Fast. lib. 4. vers. 275. Una simile dipintura si è verisimilmente usata anche sulle porte delle case: del che sono un indizio una greca iscrizione presso Salmasio Plin. Exercit. in Sol. Polyhist. c. 20. Tom I. p. 164. B., in cui rammentasi ἔγκαυσις θυρῶν, e un epigramma d’Ausonio num. 26. v. 10, & 11., in cui si legge:

    Ceris inurens januarum limina,
    Et atriorum pegmata.

    L’ultima delle quattro maniere di dipingere a fuoco, essendo la più semplice di tutte, è pur quella su di cui si sono più chiaramente spiegati Plinio e Vitruvio. Fra le molte vetuste muraglie scopertesi in varj tempi e in varj luoghi colorate d’una tinta uniforme, egli è facile che alcune sieno state di quelle dipinte per inustione. Si è continuato a far uso di pitture encaustiche per lo meno fino al VI. secolo, poichè se ne fa qualche cenno da Procopio De caif. Justin. lib. 1. cap. 19.; e nelle leggi di Giustiniano, ove parlasi del cauterio de’ pittori loc. cit. Anche nelle memorie de’ secoli susseguenti s’incontrano non di rado nominati i colori encaustici e l’encausto; non ci consta tuttavia essersi quelli adoperati nella maniera, con cui gli usarono i più antichi pittori. Che che ne sia, ciò che avvi di certo si è che coll’andar degli anni si è smarrita quell’arte nell’Europa, come nota il Bulengero De pict. plast. stat. lib. 1. cap. 6.; e ’l nome soltanto ne rimase a quella tinta nera, fatta ella pure a fuoco, che gl’Italiani poi dissero inchiostro.

    Non è però gran tempo che risvegliossi il desiderio di rimetterla in pratica, e due illustri soggetti nella Francia vi si applicarono efficacemente, cioè il detto conte di Caylus e il signor Bachelier. Ne tentò questi il progetto nell’anno 1749., sebbene con esito non troppo felice. Dopo pochi anni propose l’altro le sue idee sopra di ciò all’Accademia della pittura di Parigi, e nell’anno I754. fece eseguire dal signor Vien un quadro encaustico d’una testa di Minerva, il quale con altri due quadri accompagnati d’una nuova memoria nell’anno 1755. furono da lui presentati all’Accademia delle belle lettere. Il rumore, che tal novità destò nel pubblico, mosse il signor Bachelier a ripigliare i suoi tentativi; e molti quadri dipinse per inustione, che gli riuscirono più felicemente del primo. Lo stesso signor conte di Caylus loc. cit. ci ha esposto le quattro diverse maniere, con cui ha tentato di ristabire la pittura encaustica. Sono state le medesime descritte dal sig. Monnoye nell’Enciclopedia, art. Encaustique, il quale aggiunse altresì le cinque praticate dal signor Bachelier. Egli è d’uopo nondimeno confessare che niuna di esse corrisponde esattamente alle usate dagli antichi, e da Plinio, da Vitruvio, e da altri descritteci.

  12. Galen. De usu part. lib. 10. cap. 3. oper. Tom. IV. pag. 534- E. [Parla soltanto di quelli, che dipingevano sulle pelli bianche, (e forse erano le pergamene) i quali, per non faticarsi la vista col sempre star fissi sul color bianco, adoperavano altri colori cerulei, e foschi: Memoriam ubi resicere conabimur, in primis quidem pictorum, & potissimum quando in albis coriis pingunt (ὅταν ἐν λευκαῖς διφθέραις γράφωσιν); offenditur enim facile eorum visus si omni remedio fuerit destitutus; quod sane prudentes, colores cœruleos, ac fuscos apponunt, in quos subinde intuentes, recreant oculos, ac reficiunt. Teofrasto Hist. plant. lib. 3. cap. 10. e lib. 5. cap. 8. . dice che adopravano tavole di abete.
  13. De republ. l. 4. op. Tom. iI. p. 429. D.
  14. lib. 33. in fine.
  15. Davano gli antichi dei colori diversi per fare il fondo, come vedesi in alcune vetuste pitture, e come si raccoglie apertamente da Plinio lib. cap. 35. sect. 26., il quale afferma che i pittori prima d’adoperare il pennello soleano applicar alla tavola la sandice, poi colla chiara d’uovo stemprarvi un colore, e sopra quello nella stessa guisa un altro. Cosi sotto il porporino mettevano una mano di verde-scuro, e sotto il minio, per renderlo rilucente, una mano di porporino. Un’altra ancor più singola maniera riporta il medesimo Plinio ib. cap. 10. sect. 37. §. 20. praticata da Protogene per riparare dalle ingiurie del tempo lo studiato suo quadro di Jaliso, lavoro di fette anni, Plut. in Demetr. op. Tom. I. pag. 898. E., & Ælian. Var. hist. lib. 12. cap. 41., su cui ben quattro volte replicò gli stessi colori l’uno sopra l’altro, acciocchè, se mai si fosse guastata la prima superficie, si potesse averne tosto un’altra eguale. Il Perrault e il de Piles con altri pigliano motivo dal riferito racconto di tacciar Plinio come di troppo credulo o di poco intendente. Plinio però parla d’un quadro esistente in Roma a’ giorni suoi nel tempio della Pace, ed esposto alla vista di tutti. Se questo non fosse stato tale, come egli lo rappresenta, sarebbesi messo al cimento d’essere da chichesia riconvenuto di falsità. Per poter i moderni negare questo fatto bisognerebbe che sapessero tutt’i segreti degli antichi. E chi sa che Protogene non possedesse quello di comporre i colori con tale gradazione di glutine, ossia di colla, che levar si potesse la prima superficie senza guastar la seconda, levar la seconda, senza guastar la terza, e la terza senza guastar l’ultima?
  16. §. 12. pag. 182.
  17. Può vedersi anche il P. Ansaldi De sacro, & publ. apud Ethnic. pict. tab. usu, c. 6. pag. 92. e segg.; e ciò che abbiamo detto coll’Autore nel Tomo I, pag. 21. e 22., e qui avanti pag. 8. not. a.
  18. De republ. lib. 4. princ. oper. Tom. iI. pag. 420. C.
  19. E come già le aveva intese, e tradotte Serrano in latino, ed altri.
  20. Poet. cap. 2.
  21. Tra le molte ed erudite Dissertazioni sopra le Arti del Disegno del signor conte di Caylus, e riportate nelle Memorie di letteratura, non ne ho riscontrata alcuna ove citisi questo passo di Aristotele. Parla bensì il Caylus de’ suddetti maestri Reflex. sur quelq. pass. du l. 35. de Pline, iiI. part. Acad. des Inscript. Tom. XXV. Mém. pag. 190. seqq.; ma ne parla soltanto presso ciò che di loro scrisse Plinio.
  22. ibid, cap. 15.
  23. In eadem differentia & Tragœdia, & Comœdia separata est: hæc enim pejores, illa meliores imitari vult, quam ii, qui nunc sint.
  24. Comœdia imitatio pejorum.
  25. Turpitudinis est particula ridiculum.
  26. Plin. lib. 35. cap. 11. sect. 40. §. 43.
  27. Var. hist. lib 4. cap. 3. [ E così ha capiti questi passi, con quello di Plinio, che siegue, Perizonio a questo luogo di Eliano.
  28. Dionysius nihil aliud quam homines pinxit, oh id Anthropographus cognominatus, [loc. cit. cap. 18. sect. 37. Per ciò che riguarda i passi di Aristotele, e di Eliano mi pare, che il nostro Autore li abbia intesi a dovere. Ma diverso è il parlare di Plinio. Egli espone i varj generi di pitture, ne’ quali si resero eccellenti alcuni pittori; tra i quali Pireico fu dei più valenti in fare soggetti bassi, come già si è notato alla pag.?. n. 1.; Serapione era famoso per le decorazioni; ma non sapeva dipingere figure umane, all’opposto di Dionisio, il quale altro non sapeva dipingere, che uomini; e perciò era chiamato antropografo. Per conciliare insieme questi scrittori non potrebbe dirsi, che Dionisio fosse un pittor di ritratti, e che per conseguenza non dipingesse altrochè figure umane, come dice Plinio; e le dipingesse al naturale, come vogliono Aristotele, ed Eliano? Non so come quella difficoltà sia sfuggita al minuto critico signor Falconet nelle sue note ai libri di Plinio, che trattano dell’arte.
  29. Vedi appresso lib. VIII. capo iiI. §. 4.
  30. Contemplant. §. 6. op. Tom. iI. p. 497.
  31. Apulejo Metam. l. 5. princ. op. Tom. I. pag. 142. parlando della casa di Psiche, dice, che pavimenta ipsa lapide pretioso cæsim diminuto in varia pictura genera discriminabantur.
  32. Vedi appresso libro XII. capo I. §. 9.
  33. Si osserva però in tanti pezzi di musaici fatti di pietruzze, che i colori vivi, come il verde, e altri, sono stati fatti di pezzetti di smalto.
  34. capo I. §. 10. e 11.
  35. E anticamente nel tempio di s. Costanza, di cui ho parlato alla prefazione degli Editori Viennesi nel Tom. I. pag. xxxj. n. a.; e ne riparlerà Winkelmann nel libro XII. cap. iiI. §. 1. Potrebbe intendersi anche di volte a musaico il luogo di Stazio, che ho portato nel detto Tomo I. pag. 37., come ivi ho accennato; e l’altro parimente libro 1. Sylv. cap. 3. vers. 53., spiegato bene dal Petavio nelle note a Temistio Orat. 18. p. 486., e dall’Arduino colle di lui parole nelle note a Plinio lib. 6. cap. 25. sect. 60.
  36. Pretendono molti che il musaico abbia avuto origine nella Persia. In prova di ciò si suol citare quel pavimento nel palazzo del re Assuero messo coi marmi a diversi colori imitante la verità della pittura, Esther c. 1. v. 6. Da questo però si ricava soltanto che siasi ivi esercitata tal arte, ma non già che v’abbia avuta l’origine. Plinio lib. 6. c. 25. sect. 60. espressamente l’attribuisce a’ Greci. Che che ne sia, i musaici, specialmente ne’ pavimenti, sono assai antichi, e ne fecero un uso frequentissimo non meno i Greci che i Romani. V. Athen. lib. 12. cap. 11. princ. pag. 529. D. [ Tanto il pavimento di Demetrio Falereo, di cui parla Ateneo, come quello di Assuero, non erano di musaico, ma di pezzi più grandi di marmo a varj colori, che imitavano in certo modo la pittura, come osserva anche il P. Niccolai nell’esposizione del detto libro di Ester Dissert. iI. pag. 59. Ma per il resto si veda la celebre opera di monsig. allora, poi cardinal Furietti De Musivis. ] Nel decadimento universale delle arti questa non si perde affatto, ma si mantenne ancora con qualche lustro in Costantinopoli, dove quasi tutte le chiese e le case erano adorne di musaici, e da dove ne’ bassi tempi i compositori di essi erano chiamati in Italia per farne de’ simili. Sussistono ancora in Roma, in Venezia, in Ravenna, in Milano e altrove, musaici nelle volte e cupole delle chiese comporti per la maggior parte di minuti pezzi di vetro, a cui si è applicata una foglia d’oro. Dalla maniera non meno che dalle iscrizioni in lingua greca che talora vi si leggono, ben si scorge questo essere lavoro di greci artisti. Allorché risorsero le belle arti in Italia, anche i musaici ridotti furono in uno stato migliore, perfezionato poi in quelli ultimi tempi in Roma, che sola oggidì alimenta i maestri di quest’arte. Ciò non ostante in tutte le pitture fatte a musaico ravvisa il sig. de Jaucourt nell’Enciclopedia, art. Mosaique, qualche cosa di duro, per cui non producano il loro effetto che in distanza; onde non le giudica atte che a rappresentare de’ grandi quadri: né crede esservi opere in piccolo di questo genere, che vedute da vicino appaghino l’occhio. Tal giudizio però non s’accorda punto con quello di molti altri conoscitore, che in questi quadri, fatti a così dire per l’eternità, riconoscono una perfetta imitazione del pennello, sì nei grandi che nei piccoli, i quali al par di quelli rendono l’occhio pienamente pago.