Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Libro quarto - Capo II

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C a p o   I I.


Dell’essenziale dell’arte - Introduzione — L’idea del bello in generale è piuttosto negativa che positiva ~ Si considera la bellezza ne’ lavori dell’arte, o individua... e specialmente nella giovinezza... o ideale... formata di parti singolari di varj individui... quali sono negli Eunuchi... e negli Ermafroditi... e per un certo rapporto che ha talora coi tratti d’alcuni animali.

Dell’essenziale dell’arte Ho parlato finora dell’arte storicamente, or tratterò di ciò che ne costituisce l’essenza; e come la greca gioventù dai privati esercizj passava ai pubblici giuochi, io così dopo il fin qui detto delle arti presso gli Egizj e gli Etruschi, che può considerarsi come un preludio della Storia, ne esaminerò la natura e ’l pregio con viste generali, formando, a così dire, un sistema dell’arte appoggiato principalmente su quella de’ Greci.

Introduzione. §. 1. Già mi par d’essere nell’olimpica arena, ove le statue veggo de’ vincitori atleti d’ogni età, e le loro immagini su bighe e quadrighe di bronzo, con migliaja di altri pregevoli monumenti dell’arte in ogni genere. M’atterrisce il pericolo: difficile è l’impresa; e non uno o pochi, ma, come già a quelle pubbliche gare di bellezza, infiniti sono coloro, che hanno a giudicarmi. Né vano volo di libera fantasia è il mio trasporto in Elide. Deggio diffatti coll’immaginazione colà trasferirmi, ove tutti io suppongo adunati i monumenti dell’arte de’ Greci che rimasti ci sono, o che almeno descritti abbiamo dagli storici; e deggio per ben giudicarne tutti ordinarli, siccome in Elide far si solea1, e in un colpo [p. 264 modifica]d’occhio comprenderli; onde paragonarli insieme, e formar de’ principj coi risultati delle mie osservazioni.

§. 2. Ma dond’avvien mai che mentre d’ogni altra scienza si sono determinati i principj, non siansi fissati ancora i fondamenti della bellezza e delle arti del disegno? Ciò, a mio credere, nasce da due cagioni: da una non so quale inerzia dello spirito umano, per cui difficilmente pensa da sé stesso, e da un certo scolasticismo introdotto da coloro che su tale argomento hanno scritto. I monumenti dell’arte antica, simili a quelle bellezze cui non si spera mai di possedere, possono bensì riscaldare alcun poco l’immaginazione, ma non giungono mai a commovere il cuore. Altronde gli storici dell’arte pieni d’una pesante erudizione, o copiandosi l’un l’altro, hanno soffocata la sensibilità; e nulla ispirando all’anima de’ loro leggitori l’aggirano in un labirinto di sottigliezze, e l’affaticano con istudj penosi, dai quali una sola idea giusta e sublime per avventura non raccolgono.

§. 3. Queste sono le cagioni, cred’io, per cui non si son fatte su questo importante argomento profonde filosofiche ricerche. Possa io trattarne come il soggetto lo richiede! E’ la bellezza, dopo Dio, il più sublime oggetto, di cui occupar si possa l’umano spirito.

§. 4. Per serbare qualche ordine nell’esaminare la bellezza parleremo prima del nudo, che comprende anche i bruti, indi de’ panneggiamenti. Il disegno del nudo fondasi sulla cognizione e sull’idea del bello; e quest’idea consiste in parte nelle misure e rapporti, e in parte nelle forme, la bellezza delle quali era, al dir di Cicerone2, l’oggetto [p. 265 modifica]de’ primi artisti greci: quelle determinano la figura; quelle ne fissano le proporzioni.

L’idea del bello in generale è piuttosto negativa che positiva. §. 5. Trattando della beltà in generale dobbiamo esaminar prima ciò che distrugge il bello, ossia l’idea del bello negativo, per quindi formarci una qualche idea positiva della vera bellezza. Dir si può del bello (come Cotta presso Cicerone3 dir solea di Dio) che più facil cosa è l’asserire ciò che e’ non sia, che affermar ciò che sia; e in qualche maniera avviene della bellezza e della deformità, come della sanità e della malattia: questa si sente, e non già quella.

§. 6. E’ la bellezza uno de’ più grandi arcani della natura: ne vediamo tutti e ne sentiamo l’azione; ma il darne un’idea generale, chiara, e ben determinata non è per anco riuscito ad alcuno. Diffatti se l’idea, che gli uomini ne hanno, fosse chiara e distinta come l’idea d’una verità geometrica, né sì diverso sarebbe il loro giudizio intorno a un bell’oggetto, né sì difficil cosa il dare una dimostrazione del vero bello4. Allora non si troverebbono uomini o sì poco sensibili, o cotanto in contraddizione con loro stessi che, o adottar non volendo una giusta idea del bello, o formandosene una falsa, dir potessero con Ennio:

Ma quel che l'occhio vede, il cor non sente5.

I primi più difficili sono a convincersi, che i secondi ad essere istruiti, poiché nei loro dubbj, mentre mostrano di [p. 266 modifica]negare l’esistenza d’un vero bello, non altro vogliono che far pompa di spirito. Vedendo essi le grandi opere dell’antichità, che in molta copia ancor ci rimangono, possono sgombrar l’ignoranza loro, riformare il loro gusto, e avvezzar l’occhio a ben giudicarne; ma per correggere la mancanza di sensibilità non v’è alcun mezzo.

§. 7. Una delle ragioni, per cui discordi sono i pareri degli uomini intorno al bello, si è perchè non abbiamo, come disse Euripide6, una certa norma su cui giudicare del deforme. Così avviene, che siccome intorno al vero bello, nello stesso modo anche riguardo al vero buono si discordi. Questi dispareri intorno al bello si manifestano maggiormente riguardo ai lavori dell’arte, che riguardo alle opere della natura: e così deve succedere, poiché quella meno lusinga, e meno attrae. Indi è che una figura formata sull’idea della più sublime bellezza, sotto sembianze maestose e piene di dignità, ad uno che non sia conoscitore men piacerà d’una bella figurina di sembianze comuni che abbia vita, parli, e si muova. Il fondamento d’un siffatto giudizio sta nell’amor dei piacere, dal quale al primo sguardo si lascia dirigere la più parte degli uomini; e di già l’anima loro trovasi occupata, quando l’intelletto vorrebbe freddamente dell’oggetto assaporar la bellezza. Non è questa allora che ci piace e ne attrae, ma bensì la voluttà. Per tale ragione ad un giovane, in cui ferve l’amor del piacere, sembra una dea colei, che senza essere veramente bella, pur ha nel volto un non so che di vezzo languido, e di vivace che alletta; laddove mirerà egli con indifferenza una bella donna che ne’ gesti e nel contegno spiri modestia, ancorché abbia per avventura le sublimi forme e la maestà d’una Giunone.

§. 8. Sovente molti degli artisti formansi l’idea del bello [p. 267 modifica]sulle prime informi impressioni che ricevono, e ben di rado avviene che l’osservazione di un bello più sublime e più perfetto la indebolisca, o la cancelli dalla fantasia loro, principalmente ov’essi, lontani dai bei monumenti dell’antichità, non possano riformare, direm così, l’immaginazione, e correggere lo spirito. Succede nel disegnare come nello scrivere. Tra i fanciulli, che a scrivere imparano, ben pochi ve n’ha che comprendano i fondamenti della diversa forza dei tratti, onde composte sono le lettere, e del chiaroscuro che ne costituisce la vaghezza: loro mettesi innanzi un esemplare da imitarsi, il che essi fanno machinalmente; e la mano già formata si ha l’abitudine d’una maniera di scrivere, avanti che il fanciullo sappia in che confida la bellezza dei carattere. In questo stesso modo molti apprendono a disegnare; e siccome la maniera di scrivere presa da fanciullo rimane generalmente anche negli anni più maturi; così nella mente del disegnatore restan dipinte le idee della bellezza, quale suol essergli presente allo sguardo, e quale gli restò dipinta nell’immaginazione. Quindi succede, che forme imperfette imitando, anche imperfette si formi le idee della bellezza.

§. 9. Egli è pure assai verosimile che negli artisti, come in tutti generalmente gli uomini, l’idea della bellezza alla tessitura ed all’azione de’ nervi ottici corrisponda; onde dal colorito falso d’un pittore possiamo generalmente inferire, che dipingasi negli occhi suoi una falsa immagine de’ colori, e bella gli sembri una tinta che agli occhi altrui dispiace. Diffatti gli Scettici, osservando che diverso era il colore degli occhi negli uomini e nei bruti, ne inferivano, e non senza fondamento, che incerte fossero le nostre cognizioni sulla vera qualità de’ colori7. Se pertanto il color degli umori [p. 268 modifica]dell’occhio può esser cagione della varia sensazione che fanno negli uomini i colori degli oggetti, dir potremo eziandio che dalla diversa tessitura ed energia dei nervi della vista nasca la differente idea delle forme, nelle quali la bellezza consiste. Per ciò meglio comprendere si ponga mente all’infinita varietà di frutti d’ogni specie; essi hanno differente forma, colore, e gusto: differenza cagionata unicamente dalla varietà delle moltiplici fibre, alle quali intessuti sono e intrecciati i canaletti, per cui circolano gli umori, si dolcificano, e maturano. E tanto più sembra probabile doversi alla differente tessitura dell’organo della vista le diverse idee del bello, quanto che osserviamo una stessa bellezza far differenti impressioni fu coloro medesimi, che occupati si sono ad imitarla e rappresentarla.

§. 10. Altri sortirono dalla natura un gusto fino e dilicato per la bellezza pura; ma non l’ebbero, a così dire, maturo abbastanza e sicuro: onde alcuni tra di elfi coll’arte, cioè col voler troppo finire le opere loro, e far pompa del loro sapere, si sono renduti duri e secchi, eziandio quando hanno voluto effigiare giovanili figure, come avvenne a Michelangelo. Altri hanno interamente guastato quel loro gusto per una popolare adulazione collo studiarsi di piacere a’ sensi grossolani, rappresentando loro oggetti facili a concepirsi; e in quello difetto cadde Bernini. Egli è certo che Michelangelo ha principalmente studiata la bellezza sublime, siccome appare dalle sue poesie, sì pubblicate che inedite, ove parla di essa con espressioni sollevate e grandi; quindi è stato mirabile nel dipingere figure d’uomini robusti, ma per la stessa ragione nelle sue figure giovanili o di donne ha rappresentate creature d’un altro mondo, per le forme non meno che per le azioni e per gli atteggiamenti. Egli è riguardo a Raffaello ciò che Tucidide è in paragone di Senofonte. Bernini ha [p. 269 modifica]presa la stessa strada di Michelangelo; ma laddove questi giunse per una via impraticabile a scoscesi dirupi, quegli andò a finire in bassa valle fra paludi e stagni. Prendendo il Bernini le sue forme nella più vile natura, credea poi di nobilitarle collo straordinario ed eccessivo: perciò le sue figure rassomigliano a colui, che dallo stato di misero plebeo ad una subitanea grandezza pervenne: l’espression loro sovente contraddice all’azione; e potrebbono paragonarsi ad Annibale che rideva in mezzo a’ maggiori disastri. Ciò non ostante questo artista ha per lungo tempo regnato, e v’è chi oggidì ancora gli rende omaggio.

§. 11. Coloro, che muovono dubbio se aver si possa una giusta idea della bellezza, fondansi principalmente sull’essere quell’idea diversa presso differenti e lontane nazioni, come diverse sono le fattezze de’ loro volti. E siccome molti popoli paragonano coll’ebano il colore delle loro belle; colore certamente più lucido che non è quello d’una pelle candida delle nostre, che noi paragoniamo all’avorio; così forse potrebbon essi paragonare le forme del volto umano a tali fra i bruti, le cui parti per avventura laide ci sembrino e deformi.

§. 12. Non può negarsi, è vero, che eziandio nell’effigie degli Europei non trovinsi talora forme simili ai tratti degli animali. Oltre il Porta, ce lo ha fatto vedere in un’opera scritta su quell’argomento Ottone van-Veen, maestro di Rubens; ma desfi concedere altresì, che quanto più stretta è quella somiglianza in alcune parti, tanto più s’indebolisce e si guasta nell’uomo la firma propria alla sua specie, restando ora troppo diminuita, ora soverchiamente ingrossata, per la qual cosa rompesi quell’armonia, quell’unità si perde, e quella semplicità, che formano l’essenza del bello, siccome più sotto si dimostrerà.

[p. 270 modifica]§. 13. Quanto più inclinati, per esempio, e posti ad angolo fra di loro sono gli occhi, come ne’ gatti, tanto più la loro posizione s’allontana dalla base ossia dalle linee fondamentali del volto umano, che formano una croce la quale lo divide in quattro, tagliando in due parti eguali perpendicolarmente il naso, ed orizzontalmente gli occhi. Se questi sono inclinati vengono a far angolo con una linea parallela a quella che si suppone passare pel loro centro. E questa è pur senza dubbio la cagione per cui dispiace il vedere una bocca che va un po’ di traverso, poiché generalmente ripugna all’occhio il vedere due linee, delle quali una dall’altra diverga senza ragione. Per tanto gli occhi obbliquamente polli, che presso di noi pur talora s’incontrano, e che si vedono ne’ Cinesi e ne’ Giapponesi come sulle teste egiziane, sono un’irregolarità e un difetto. Tale è pure il naso compresso e simo de’ Calmucchi, de’ Cinesi, e d’altre lontane nazioni, poiché guasta l’armonia delle forme, secondo la quale tutte le altre parti sono costruite: né scorgesi ragione alcuna, per cui la Natura abbia dovuto comprimerlo e incavarlo, anziché continuare la linea retta incominciata dalla fronte. Se però all’opposto un solo osso diritto formasse nell’uomo, siccome ne’ quadrupedi, la fronte tutta e ’l naso, farebbe quello pure un difetto, perchè allontanarebbesi dalla forma ordinaria della nostra specie. Le labbra gonfie e rilevate, che sono comuni ai Mori colle scimie del loro paese, sono un’escrescenza superflua e una gonfiezza che devesi al caldo del loro clima; e così veggiamo presso di noi gonfiarsi talora le labbra pel caldo, talora per un concorso d’umori acri e salsi, e talor anche per la collera. Gli occhi piccoli de’ popoli più settentrionali ed orientali sono un difetto forse derivante dalla costruzione loro piccola e ristretta.

[p. 271 modifica]§. 14. Tali imperfette forme la natura produce, quanto più agli estremi del caldo e del freddo s’avvicina, nella stessa guisa che colà sorgono le piante precoci e forzate, qui imperfette ed immature; e come al troppo fervido raggio del sole i fiori avvizzirono, così rimangono accartocciati e senza colore, se il sole non veggon mai, e le piante stesse a deteriorar si vengono se in tetro luogo sieno collocate. Ma per l’opposito quanto più la Natura s’avvicina a un clima temperato, che sembra essere il suo centro, tanto più ne sono regolari le forme, siccome osservammo nel Libro I. Capo iiI., e nell’antecedente. Quindi è che le idee della bellezza che abbiam noi, e che ebbero i Greci, prese dalle forme più regolari, denno essere più giuste che quelle de’ popoli da noi lontani, sì verso il polo che verso l’equatore: popoli che, secondo l’espressione d’un poeta moderno, differiscono quasi per metà dall’originale uscito dalle mani del Creatore; e ciò che non è bello, dice Euripide8, non può esser bello in niun luogo.

§. 15. Ma presso di noi eziandio i diversi uomini hanno molto differenti idee del bello, e più differenti forse che nol sono in essi le idee del sapore e dell’odore, delle quali non abbiamo idee ben chiare e distinte. Difficil cosa certamente farebbe il trovare cento persone che fossero d’accordo su tutte le parti che costituiscono la bellezza d’un volto: parlo di persone che non abbiano su quell’argomento seriamente meditato; poiché quelli, che hanno fatta della bellezza una profonda disamina, non possono rimanere incerti fu ciò che costituisce il vero bello, essendo questo unico e non moltiplice. Avviene quindi che coloro, i quali l’hanno studiato nelle più perfette statue dell’antichità, non sanno trovare nelle donne d’una nazione orgogliosa e saggia [p. 272 modifica]quella beltà che tanto vien celebrata, poiché abbagliar non si lasciano al candore della carnagione. La bellezza commove i sensi, ma egli è lo spirito che la conosce; onde per lo più l’uomo meno sensibile ne sarà il miglior giudice. Nelle forme generali però, che costituiscono la bellezza, hanno idee uniformi pressochè tutti popoli inciviliti sì dell’Europa, che dell’Asia, e dell’Africa; e da quella osservazione può forse inserirsi che l’idea del bello, sebbene sempre non se ne trovi nella natura una ragione, pur non dee nemmeno credersi affatto arbitraria e d’umana convenzione.

§. 16. Alla bellezza molto contribuisce il colore; ma non è desso la beltà, e solo serve a darle un certo risalto, e a rilevarne le forme: così par migliore il vino in un bicchiere di vetro, ove bevendoli se ne vegga il colore, che in un vaso di opaco metallo, ancorché prezioso. Il color bianco, siccome quello che riflette più raggi, è il più sensibile all’occhio, e perciò la candidezza accresce la beltà d’un ben formato corpo; anzi se sia nudo, fembra per tal candore più grande che non è diffutti: da ciò nasce che le figure di gesso ricavate dalle statue, finché si conservano candide, sembrano più grandi degli originali medesimi, a cui sono perfettamente uguali. Un Moro può esser bello se belli e regolari ne siano i tratti; e ci fa fede un Viaggiatore9, che al continuo conversar co’ Mori il color loro sembra perdere quel ributtante, che ha a prima vista, e lascia vedere in loro i tratti della bellezza, che pur veggonsi nelle antiche teste malgrado il color di bronzo, e ’l nero o ’l verdognolo del basalte. La bella testa muliebre di bafalte verdognolo esistente nella villa Albani non potrebbe esser più bella se fosse scolpita in marmo bianco; quella di Scipione il seniore10 di basalte ancor più cupo esistente nel [p. 273 modifica]palazzo Rospigliosi supera in bellezza le tre altre teste dello stesso in bianco marmo11. Tali teste, come pur altre statue in pietra nera, piaceranno agli osservatori anche i meno versati nell’arte, quando null’altro ricerchino che di vedere delle statue. Può dunque il bello manifestarsi talora a noi anche sotto un inviluppo strano, e sotto un colore naturalmente disaggradevole; onde possiamo inferire che l’essere bello è un non lo che di diverso dall’essere amabile e piacevole. Piacevole e amabile può dirli eziandio quella persona, in cui l’onesto carattere, l’ingegno pronto, la dolce eloquenza, le maniere graziose, la giovinezza sembrano abbellirne le forme e ’l colorito, quantunque essa bella non sia: tali persone Aristotele12 chiama ἄνευ κάλλους ὡραίοις, e Platone13 dice ὡραίων προτώποις καλῶν δὲ μὴ.

§. 17. Avvien nella varietà de’ giudizj sulla bellezza, come nella diversa inclinazione che altri ha per una bella bruna, altri per una bionda e candida: quegli che preferisce la bruna non mal s’appone certamente, se più dal tatto che dallo sguardo si lasci attrarre; poiché generalmente la pelle d’una mano bruna (quando tal sia naturalmente, e non per l’azione del sole e dell’aria) è più dilicata e morbida che quella d’una mano candida, la quale, perchè appunto più raggi riflette, deve anche avere, la pelle di fibre più compatte e più dure. Perciò una pelle bruna è più trasparente, essendo quel colore, quando è naturale, l’effetto del sangue che traspare; e quindi è che se una bruna espongasi ai raggi del sole, più presto si colora che una bianca. Il color bruno ne’ fanciulli presso i Greci era un indizio di coraggio; e quelli che aveano la carnagione candida chiamavansi figli degli dei14.

[p. 274 modifica] Idea positiva del bello. §. 18. Abbiamo considerato finora l’idea negativa della bellezza, cioè le qualità di cui è priva, e le falle idee che di essa abbiamo. Ciò non era tanto difficile quanto l’esaminarne l’idea positiva. Per quella bisogna conoscerne l’essenza; e ben poche son le cose, la di cui essenza ci sia dato d’intimamente conoscere. Né possiamo in quelle ricerche procedere geometricamente, e con metodo sintetico argomentare dal generale al particolare, dall’essenza alla proprietà; ma dee ballarci d’inferire da alcune osservazioni singolari una qualche idea generale, diducendo da pochi dati delle conseguenze probabili. Ove per tanto, nell’analisi che son per fare della bellezza, qualche penfiere s’incontri che da’ miei leggitori si giudichi per avventura mal fondato o men vero, non devon essi tosto condannarmi, né tampoco esserne sorpresi. Avviene sovente che, da coloro eziandio i quali dirittamente pensano, colla miglior buona fede si pronunci una sentenza, che ad altri troppo aspra sembri o men vera: così Platone ed Aristotele, maestro e discepolo, oppostamente opinarono sullo scopo della tragedia, che al dir di quello, era il depuramento delle passioni, e fecondo quello erane l’esca. Ciò io avverto principalmente per coloro, i quali leggendo quanto ho scritto sulla capacità di sentire il bello, hanno formato tal giudizio che era ben lontano dal mio pensiere.

§. 19. Que’ saggi, che hanno meditato sulle cagioni del bello in generale, ricercandolo fra le cose create, e quindi sollevandosi fino alla contemplazione del Sommo Bello, hanno fatta consistere la bellezza in un perfetto accordo fra la creatura e ’l suo fine, e nell’armonia delle parti fra di loro e col tutto. Ma poiché ciò viene a costituire una definizione della bellezza sinonima della perfezione di cui, per esser di un ordine tanto elevato, l’uomo non è capace, quindi è [p. 275 modifica]che per tal modo reità indeterminata l’idea che abbiamo del bello generale. Noi non possiamo in altra guisa formarcela, se non per mezzo di nozioni e di idee particolari, le quali, quando siano giuste, unite, e combinate insieme, ci forniscono la più sublime idea dell’umana bellezza; idea, che possiamo sollevare ancora, e render più pura, quanto più sappiamo sollevar noi stessi e staccarci, a così dire, dalla materia. Questa idea però non sarà mai ben chiara e distinta, perchè, essendo la beltà in tutte le creature proporzionata alla loro natura, e al grado che occupano nella catena degli esseri; e ogni idea fondata essendo su una ragione, che da un’altra debbesi ricavare, la ragione della bellezza, la quale può dirsi la stessa cosa che la perfezione, fuori della bellezza medesima non può trovarsi, poiché quella in ogni essenza creata si rinviene. E per fine non altro essendo le nostre cognizioni che idee di comparazione, farà Tempre più difficile il dare una definizione della bellezza, che generale sia e adequata; non potendo essa a cosa alcuna più elevata compararsi.

§. 20. Il compimento della bellezza non esiste se non in Dio, e la bellezza umana tanto più in alto si leva, quanto più conveniente, proporzionata, e corrispondente uno può idearsela a quella dell’Esser Supremo, che per la sua unità e indivisibilità distinto viene dalla materia15. Quell’idea [p. 276 modifica]della bellezza è come una quintessenza, uno spirito estratto da più crassa sostanza coll’azione del fuoco: essa è il prodotto della mente, che si studia d’immaginare una creatura secondo il prototipo del primo uomo ideato nella mente di Dio. Semplici devon essere i tratti di tal figura, come uniformi uopo è che siano le parti d’un corpo, che mette un suono dolce e piacevole; ma nella unità de’ tratti, come delle voci, v’è pure una varietà, dal che nasce l’armonia. L’unità e la semplicità sono i due sovrani principj d’ogni bellezza, e ognun cerca vederli negli objetti, che gli si presentano: e diffatti ciò che già per sé è grande, se sia semplice e naturale, più grande ancora diviene e più sublime. Un oggetto, che tutto in un colpo d’occhio si comprende e si misura, e tutto in una sola idea si racchiude, non per questo s’impiccolisce e perde di sua grandezza; anzi, perchè appunto è così ridotto all’unità, in tutta la sua grandezza ci si presenta, e per tal maniera lo spirito nostro ben comprendendolo, può ingrandirlo vieppiù e sublimarlo. Per l’opposito tutto ciò che, essendo composto di molte parti, non può comprendersi con un guardo solo, e dee considerarsi ripartitamente, pare esser men grande. Da ciò deriva che la varietà degli oggetti che incontra, e la moltiplicità de’ luoghi ove riposa e si ristora, sembrano abbreviare il cammino al viaggiatore16. L’armonia che più ne piace e ne incanta, non consistie già in una infinità d’arpeggi, di trilli, e di suoni continuamente interrotti e ripresi; ma bensì in note semplici, succedentisi senza interruzione, o lungamente tenute. Per la stessa ragione piccolo ci pare un gran palazzo che soverchiamente carico sia d’ornati, e grande giudichiamo una mezzana casa con bella semplicità fabbricata.

[p. 277 modifica]§. 21. Dall’unità nasce un’altra proprietà del bello sublime, cioè la sua indeterminazione: e beltà indeterminata io chiamo quella, che altre linee non ha né altri punti fuorché que’ soli che servono ad effigiare la bellezza; onde un volto, in cui questa esprimer si voglia, non dev’essere il volto d’alcuna determinata persona, né dee lo stato dell’animo o ’l sentimento delle passioni esprimere, poiché framischierebbonsi allora nella bellezza de’ tratti ad essa stranieri e s’interromperebbe l’unità. Quindi la beltà dev’esser come l’acqua la più perfetta attinta ad una sorgente, la quale tanto più salubre vien giudicata, quanto meno ha sapore, ossia quanto più purgata è dai corpi eterogenei. E siccome la miglior felicità (cioè la privazion dei dolore, e ’l godimento del piacere) nello stato naturale è quella che è più facile a conseguirsi per mezzi i più semplici, senza fatica e senza dispendio; così semplicissima esser deve e facilissima l’idea della bellezza sublime, per formarsi la quale necessaria non sia una cognizione filosofica dell’uomo, né v’abbisognino ricerche sulle passioni dell’animo e sull’espression loro17.

[p. 278 modifica]§. 22. Ma poiché nell’umana natura fra la pena e ’l contento non v’è, nemmeno secondo Epicuro, uno stato di mezzo: e son le passioni quelle che muovono l’uomo e lo scuotono, quelle che eccitano l’estro del poeta, e sollevano il genio dell’artista; perciò la bellezza pura non dev’essere il solo oggetto delle nostre ricerche, ma dobbiam anche collocarla nello stato d’azione e di passione: il che, usando il termine dell’arte, chiamasi espressione. Per tanto noi qui prima della semplice bellezza, e poscia della espressione imprenderemo a trattare.

Si considera la bellezza ne’ lavori dell’arte. §. 23. La formazione della bellezza ne’ monumenti dell’arte o è individua, cioè d'una data persona, ovvero è una scelta delle parti più belle di molti individui combinate in una sola figura: questa seconda chiamasi bellezza ideale. Osservisi però che non tutto quel che è ideale, è bello; poiché le figure egiziane, nelle quali non iscorgonsi né muscoli, né nervi, né vene, sono certamente ideali, eppur non ci presentano nessuna bellezza; e molto meno possono chiamarsi belli i panneggiamenti delle figure loro muliebri, i quali sicuramente sono stati immaginati dagli artisti, e non copiati dal vero, e perciò sono ideali18.

Beltà individuale... §. 24. La formazione della bellezza ha cominciato dal bello individuo, cioè dall’imitare una bella persona, [p. 279 modifica]anche nel rappresentare qualche divinità. Ne' tempi eziandio, in cui le arti fiorivano, effigiavansi le dee sul modello di belle donne, e di quelle pure che a pubblico comodo vendevan piaceri: tale fu Teodota, di cui parla Senofonte19. Né siavi chi di ciò si scandalezzi, poiché gli antichi su quello proposito pensavano ben diversamente da noi. Strabone chiama sante le membra di coloro, che consagrate si erano al servigio di Venere sul monte Erice20; e un'ode del sublime Pindaro, in lode di Senofonte corintio, vincitore per la terza volta ne' giuochi olimpici, dedicata alle fanciulle desinate al pubblico servigio di Venere, cosi cominciava:

Voi Giovanette, che d'amor le grazie
A scelta, schiera compartir solete,
E dolcemente i cuori altrui piegate ec.21.

§. 25. I ginnasi, e tutti que' luoghi, ne' quali la gioventù esercitavasi ignuda alla lotta o ad altri giuochi, e ove s'andava espressamente per vedere il più bel fiore della nazione22, erano scuole, in cui gli artisti concorrevano a studiare la bella natura. Ivi, avendo essi una continua occasione di mirar de' bei nudi, si sentivano accendere l'immaginazione, e la bellezza delle forme rendeasi loro famigliare e sempre presente. A Sparta esercitavansi così nella lotta eziandio le donzelle spogliate23 o poco men che ignude24.


...e specialmente nella giovinezza. §. 26. La bellezza è propria d'ogni età, ma, come nelle dee delle stagioni, diversi ne sono i gradi e le forme principalmente però sta in compagnia della gioventù, e quindi le più belle opere dell'arte sono l'immagine di giovanili figure. Gli artisti trovarono nella giovinezza, più che [p. 280 modifica]ne’ tratti dell’età virile, le sorgenti del bello, cioè l’unità, la varietà, e l’armonia, assomigliandosi, per così dire, le forme giovanili alla superficie del mare, che veduto in qualche distanza tranquillo sembra e terso come uno specchio, sebbene in fatti sia sempre in moto, e volga incessantemente le sue onde. Nella stessa guisa che nell’anima, quali su una pulita e liscia superficie, in un medesimo istante molte e diverse idee s’imprimono, così avviene nel contorno d’una bella figura giovanile: sembra tersa, uguale, ed uniforme, eppure vi si fanno in un punto mille cangiamenti diversi.

§. 27. Poichè dunque nella grande semplicità delle forme giovanili i contorni insensibilmente l’uno dall’altro derivano, e di molti non si può determinare il vero punto in cui comincia l’elevazione, né la linea che la circoscrive; perciò il disegnare una giovanil figura è più difficil cosa che disegnare uomini maturi, ovvero d’età provetta, ne’ quali la Natura o ha interamente compiuta l’opera sua, o già già comincia a distruggerla; onde l’unione delle parti salta qui chiaramente agli occhi, laddove ne’ giovani, trovandosi la figura in uno stato fra ’l crescere e la perfezione, rimane indeterminata. Minor difetto per tanto è il dare un soverchio risalto ai contorni de’ corpi di forte e rilevata muscolatura, ed eccedere in quelli, eziandio nell’espressione de’ musculi o delle altre parti; che far la menoma alterazione, e dalle dovute proporzioni per poco scostarsi ne’ contorni delle membra giovanili, ove, per così dire, ogni più leggiera ombra divien corpo. Un regolo, che più sottile o più corto sia di una data misura, le proprietà non perde del regolo; ma tale chiamar non si potrà giammai, se dalla retta linea si discosti; e colui, che per poco nel centro del proposto segno non coglie, nulla più ottiene, che se interamente la sgarri.

[p. 281 modifica]§. 23. Questa osservazione può servire a rettificare, ove abbisogni, o a render vieppiù fondato il nostro giudizio, ed a convincere coloro, i quali in ciò poco versati generalmente ammirano molto più l’arte nelle figure in cui tutti ben espressi siano i muscoli e le ossa, che nelle molli e semplici forme della gioventù. Queste richiedono maggiore abilità e studio; diffatti una maggiore difficoltà s’incontra a copiare le giovanili figure che le senili, come potrà esserne convinto chiunque paragonerà le antiche gemme incise colle copie che fatte ne furono posteriormente. Egli costantemente vedrà che i moderni artisti sono assai meglio riusciti ad imitare le teste de’ vecchi che quelle de’ giovani; e potrà bensì un conoscitore ingannarsi riguardo a quelle nel giudicare se originali siano o copie, ma non prenderà certamente abbaglio, ov’abbia sott’occhio la giovanil testa d’una bellezza ideale. Sebbene la celebre Medusa del museo Strozzi a Roma, che pur non è del bello più sublime, sia fiata imitata dai migliori artisti moderni, e copiata nella grandezza dell’originale; pur quello sempre sarà riconoscibile: e lo stesso può dirsi delle copie della Pallade d’Aspasio imitata nella sua vera grandezza da Natter e da altri.

§. 29. Quanto ho sin qui detto deve intendersi semplicemente della percezione e dell’idea del bello preso nel più stretto senso, e non già della scienza e dell’abilità in disegnarlo od eseguirlo; poiché pel disegno e per l’esecuzione più sapere si richiede e più maestria nelle figure forti che nelle dilicate. Così il Laocoonte è un’opera di maggiore studio ed abilità che l’Apollo di Belvedere; e Agesandro, che la prima figura ne scolpì, esser doveva un artista più versato e più profondo che lo scultore dell’Apollo; ma quelli per l’opposto aver dovea più elevato lo spirito, e [p. 282 modifica]l'anima più tenera, ravvisandosi nell’Apollo quel sublime che non si trova nel Laocoonte.

Bellezza ideale... §. 30. V’ha di rado o non mai un corpo senza difetti, e di cui tutte le parti siano tali che in altri corpi ritrovar non se ne possano o figurare almeno delle più perfette. Di ciò persuasi i più saggi artisti, imitando l’abile giardiniere che su una vigorosa pianta innesta i germogli de’ frutti migliori, e apprendendo dalle api che da molti fiori raccolgono il mele, non ristringevansi ad un solo individuo per copiare le forme della bellezza, siccome far sogliono sovente i poeti sì antichi che moderni, e come fanno i più fra i nostri artisti; ma il bello su varj oggetti ricercando studiavansi di combinarlo insieme25, come diceva il celebre pittore Parrasio, ragionando con Socrate26. Così nel formare le loro figure non erano diretti da quella inclinazione personale, per cui sovente il nostro spirito, seguendo una beltà che piace, abbandona la vera bellezza.

...formata di parti singolari di varj individui. §. 31. Dalla scelta delle più belle parti e dalla loro armonica unione in una figura nasce il bello ideale: né è già questa un’idea metafisica, poiché ideali non sono tutte le parti dell’umana figura separatamente prese; ma solo deve ideale chiamarsi la figura intera. Si possono trovare in varj oggetti naturali le parti tutte con cui formare la più sublime bellezza che la mano dell’uomo abbia mai effigiata; benché, ove ogni persona singolarmente s’esamini, si veda esser l’arte superiore alla natura. Quando però Raffaello e Guido, quegli fra le donne e questi fra gli uomini, una bellezza non trovavano su cui dipingere Galatea e l’Arcangelo, siccome appare dalle lettere da loro scritte, io oso dire che essi così giudicarono per non aver ben osservato ciò che v'ha [p. 283 modifica]di bello nella natura. Diffatti Raffaello sebbene, parlando della sua Galatea, dica rare essere le belle donne, ond’egli ebbe a dipingere secondo un’idea somministratagli dalla propria immaginazione; pure diede alla sua figura sembianze assai comuni, ed è agevol cosa di trovare in ogni luogo donne più belle della sua Galatea, il cui ginocchio scoperto è altresì troppo caricato per una giovane ninfa, e per una bella che s’annovera fra le divinità. Anche l’Arcangelo di Guido27 è men bello d’alcuni bei giovani che io conosco.

Eunuchi... §. 32. La scelta che faceano i greci artisti delle più perfette parti di varie belle persone non si ristringeva soltanto alle figure della gioventù sì dell’uno che dell’altro sesso; ma estendevasi eziandio alle forme degli Eunuchi, pei quali sceglievansi i più ben fatti fanciulli. Queste bellezze ambigue, che per la privazione delle parti genitali molto s’avvicinano alla dilicatezza del sesso femminile nelle membra gentili e molli e nella forma loro ritondetta e piena, furon prima in uso presso i popoli dell’Asia28 per arrestare così, al dir di Petronio, le poco durevoli sembianze della fuggente giovinezza; e pofcia anche presso i Greci dell’Asia Minore i fanciulli privavansi degli organi della virilità29 per essere consacrati al servigio di Cibele e di Diana in Efeso30. Fra i Romani eziandio si cercava di tener lontani i segni della pubertà dal volto, ungendosi il mento e le altre parti col sugo delle radici di giacinto fatte cuocere nel vino dolce31. [p. 284 modifica] ...Ermafroditi. §. 33. L’arte andò ancor più oltre, e combinar seppe le bellezze e le qualità d’ambidue i sessi nelle figure degli Ermafroditi, i quali, almeno come li vediamo rappresentati dagli antichi artisti, sono figure ideali; poiché sebbene io creda che vi siano stati in fatti e vi siano anche oggidì degli Ermafroditi (e tale era, al riferir di Filostrato32, il filosofo Favorino di Arles nelle Gallie), è però certo che ben pochi artisti avranno avuta l’occasione di vederli, e ’l comodo di copiarli33. Tutte le figure di questa specie hanno un seno verginale, e tali ne son pure i tratti del volto. Oltre le due statue sdrajate nella villa Borghese34, che rappresentano Ermafroditi, ve n’ha nella villa Albani una piccola e non men bella figura in piedi, che tiene la man destra sul capo.

§. 34. La conformazione degli Eunuchi si ravvisa sulle figure non ben osservate finora dei sacerdoti di Cibele ai fianchi loro rilevati, quali a donna convengonsi; e questa pienezza de’ fianchi è riconoscibile, eziandio sotto i panneggiamenti, nella statua d’uno di questi sacerdoti di grandezza naturale, che è stata trasportata in Inghilterra. Rappresenta questa un fanciullo di circa dodici anni con una veste corta: alla berretta frigia che porta in capo s’è creduto di ravvisarvi Paride, e per meglio indicarlo le fu posto nella destra [p. 285 modifica]un pomo. Ma il vero significato di quella figura dee rilevarsi dalla fiaccola rivoltata all’ingiù, come usar si solea nei sacrificj e ne’ sacri riti, la quale sta presso ad un albero appiè della figura medesima. Così rilevati e femminili ha i fianchi un altro ministro di Cibele in un basso-rilievo, che anche dai più abili scultori di Roma fu preso per una figura di donna; ma che rappresenti uno de’ summentovati sacerdoti lo dimostrano e ’l tripode a cui sta innanzi, ed il flagello che ha in mano, poiché solean essi flagellarsi. Queste figure, e un basso-rilievo a Capua rappresentante un Archigallo, cioè il prefetto di que’ sacerdoti castrati, possono servire a darci una qualche idea della famosa pittura di Parrasio35, che rappresentava uno di que’ prefetti, e venne perciò chiamata l’Archigallo36.

§. 35. Il Bernini37 confiderò come impossibile e sognata la scelta delle più belle parti di cinque avvenenti donne di Crotona, fatta da Seusi quando volle dipingere Giunone38, asserendo che le parti e le membra d’un individuo non possono ad altri ben convenire, fuorché a quello di cui sono proprie; ma in ciò il Bernini s’ingannò, come s’ingannaron tutti coloro i quali negando, come lui, esservi altra bellezza fuorché l’individua, così ragionarono39: le [p. 286 modifica]antiche statue son belle perchè alla bella natura s’assomigliano, e la natura sarà bella allor solo che sarà simile alle belle statue40. La prima proposizione è vera, non già riferendola alla bellezza d’un individuo, ma alla bellezza presa collettivamente, cioè in generale. La feconda proposizione è falza, essendo, a cagion d’esempio, molto difficile e poco men che impossibile di trovare una struttura simile all’Apollo del Vaticano.

Rapporto dell’umana figura coi tratti d’alcuni animali. §. 36. L’artista non contento della scelta e dell’armonico combinamento delle più eccellenti parti prese dalle più belle figure umane, si argomentò eziandio di ricavare un bello ideale dai più nobili tra i bruti, cosicchè non solo rappresentava talora nelle forme d’un sembiante umano una certa somiglianza colle fattezze del volto di qualche animale, ma studiavasi ben anche di nobilitare e di sublimare per mezzo di questa somiglianza le umane e le divine figure. Ciò sembrerà forse al primo aspetto strano ed irragionevole; ma ove bene osservarsi vogliano le belle opere degli antichi, se ne ravviseranno evidenti prove, principalmente nelle teste di Giove e d’Ercole. Al padre e re de’ numi si scorgerà in volto tutta l’effigie del leone, re delle fiere, non solo negli occhi aperti e rotondi, nell’ampiezza della fronte rilevata e quasi gonfia, e nel naso; ma eziandio ne’ capelli, i quali a somiglianza della chioma del leone gli scendono giù dalla testa, e gli si rialzano sulla fronte, e divisi poi, quasi formando un arco, giù gli ricadono: il che della chioma del leone è proprio, anzichè dell’umana capigliatura41. [p. 287 modifica]

§. 37. Nell’Ercole si scorge la forma d’un possente toro nel capo e nel collo, essendo quello più piccolo, e questo più grosso che generalmente non suol essere nelle umane proporzioni. Hanno gli artisti cercato questo tratto di somiglianza per indicare in quell’eroe tale robustezza e possanza che ogni umana forza superasse; anzi potrebbe anche conghietturarsi, che brevi capelli sulla fronte dati siano ad Ercole a somiglianza dei corti crini, o piuttosto peli della fronte del toro.



Note

  1. Ove molte erano le statue, venian queste segnate con cifre numeriche, probabilmente secondo il luogo che occupavano. Ciò ricavasi dalla greca lettera Η incisa sullo zoccolo della statua d’un Fauno nel palazzo Altieri, che occupar dovea il settimo luogo. La medesima lettera essendo incisa su un busto, di cui fa menzione un’iscrizione greca, è un altro argomento donde rilevasi che quel busto occupane il settimo luogo fra gli altri nel tempio di Serapi. A ciò non avendo avvertito il traduttore dell’iscrizione, ha ommessa la lettera H, come insignificante e inutile. Per la stessa ragione io penso che la N incisa sul torso d’un’Amazzone del museo Capitolino, indichi che la statua fosse la tredicesima di quelle tra le quali era collocata.
  2. De Fin. lib. 2. cap. 34.
  3. De Nat. Deor. lib. 1. cap. 21.
  4. Comunemente i metafisici costituiscono il bello nella varietà congiunta all’unità spiegandola così. Il bello consiste in una rappresentazione piacevole: questa nasce da una sensazione tanto più piacevole, quanto più esercita gli organi del corpo, senza però offenderli coll’esercitarli soverchiamente. Così il nero, che manda minor quantità di raggi all’occhio, è il men bello de’ colori: il più bello è il bianco, se non che colla soverchia copia de’ raggi talora offende l’organo, e cessa d’esser bello. Come s’esercitano gli organi corporei, s’esercitano del pari le facoltà dell’animo, e in proporzione dell’esercizio loro ne risulta il bello degli oggetti che si considerano. La varietà, che negli oggetti si scorge, accresce questo esercizio; ma se lo rende troppo faticoso, non è più bella. Una certa corrispondenza delle parti, ancorché varie, diminuisce la fatica, e in essa consiste l’unità. Così combinansi l’unità e la varietà a formare il bello. Ci potremmo rendere più chiari con molti esempj, se la brevità d’una nota lo permettesse. [ Vedi appresso al §. 21.
  5. Ap. Cic. Lucull. cap. 17. Sed mihi neutiquam cor consentit cum oculorum adspectu. [ Alcmeone, non Ennio.
  6. Hecub. v. 602. [ Dice che l’idea del turpe si cava dalla regola dell’onesto.
  7. Sext. Empyr. Pyrrh. hyp. lib. 1. cap. 14, pag. 10. B. C. [Ne inferivano che vediamo diversamente gli oggetti.
  8. Phœniss. vers. 821. [Lo dice del disonesto.
  9. Carletti Viaggi, Ragion. I. pag. 7.
  10. Vedi appresso lib. XI. cap. I. §. 2.
  11. Vedi quella, che darò nel libro XI.
  12. Rhet. l. 3. c. 4. op. Tom. iiI. p. 806. A, [ Similes esse sine pulchritudine venustis.
  13. De Republ. lib. 10. op. T. iI. p. 601. B. [Formosi potius sunt, quam revera pulchri.
  14. Plat. ibid. lib. 5. pag. 474. in fine.
  15. Fra le descrizioni della bellezza, dopo quella di Platone, è questa una delle più oscure. Riporteremo qui ciò che ne dice l’autore de la Philosophie de la nature, Tom. I. pag. 90. „ Colui, dic’egli, che più d’ogn’altro era in istato di darci de’ lumi su i principj della bellezza, era Winkelmann: egli avea passata la sua vita a studiare i libri degli antichi, le loro statue, i loro quadri; era più artista che metafisico, e non aveva altri pregiudizj, fuorché quelli che da l’entusiasmo per li bei monumenti della Grecia e di Roma. Ciò non ostante ecco com’egli definisce il bello! La Sfinge, che quell’Antiquario ha sì ben descritta nel suo libro, potrebbe sola darci la chiave di quest’enimma „. Ma la definizione dell’autore del mentovato libro è ella poi abbastanza chiara? Eccola: „ La filosofia, dic’egli, può definir la bellezza, l’accordo espressivo d’un tutto colle sue parti.... Io trovo, prosiegu’egli, in quell’idea della bellezza gli attributi che la caratterizzano, cioè il colorito, le belle forme, e l’espressione„. Vedi la nota antecedente.
  16. Forse ha equivocato il nostro Autore nel Tratt. prelim. ai Monum. ant. cap. IV. pag. XXXVIII. princ., ove scrive su questo stesso propofito, che al viandante tanto più s’allunga la via, quanti più sono i riposi, ch’egli vi prende.
  17. Moltissimi sono gli autori, che hanno scritto da metafisici intorno alla bellezza. Passandoli sotto silenzio, aggiugnerò soltanto, secondo che ne scrive il più volte lodato Faletti Del Gius naturale-divino, Par. I. capo V. § I. n. VIII, nella nota n. 9. seg., che il bello per l’uomo nasce da quell’oggetto, il quale considerato dall’uomo stesso ne’ giudizj suoi, per la maggior parte taciti, e sottointesi, porta 1. una totalità di parti somiglianti al medesimo uomo, o per analogia, siccome parlano i Logici (e quello vedesi esempigrazia nella pianta), o per equivocazione (e ciò si osserva nella bestia), o per univocazione, e ciò si ammira negli altri individui della specie umana. 2. Una distribuzione di coteste parti fatta così equabilmente, che una parte sopra delle altre per troppa vivacità o di mole, o di colore, non attragga, e non occupi l’attenzione dello spettatore più di quello, che naturalmente lo deve occupare, in modo che quest’attenzione possa rimanere per un dato intervallo equabilmente diffusa, per cosi dire, su la totalità dell’oggetto medesimo. La somiglianza di univocazione per la similitudine della specie umana, quanto è da se, vince nell’animo dell’uomo tutte le altre, e forma per lui la ragione del bello migliore. Cresce questa ragione di bello in quello genere quando alla somiglianza della specie si unisce la dissomiglianza d’una classe diversa di questa specie, quale si è quella della diversità del sesso. Cresce qui infatti il cumulo, per così dire, de’ giudizj taciti dell’anima sopra la maggiore, o minore confidenza, e varietà nella disposizione e vivacità delle parti, sopra i rapporti di reciproca esigenza più o meno vivi, più o meno soddisfacenti di questa medesima, qualunque si voglia dire, esigenza. Ma perché poi s’intrecciano nell’anima dell’uno, e dell’altro uomo spesse volte de’ taciti giudizj, e per conseguenza delle segrete inclinazioni, per le quali trovasi disposto l’animo a fissarsi in su dell’una più che in su dell’altra parte, non ostante che la totalità dell’oggetto sia nelle sue parti equabilmente distribuita; ovvero in su di uno più che in su dell’altro rapporto di vicendevolezza; ne avviene quindi che questo, e quell’altro uomo sentasi propenso verso un oggetto, che pur egli confesserà non esser bello; o anche giunga a chiamarlo, e difenderlo per più bello d’un altro, che avrà in sé stesso e la totalità, e la distribuzione equabile suddetta, e la più giusta contemperazione di tutti insieme i rapporti. Quest’uomo perciò farà detto d’un gusto depravato. E qui noi abbiamo, senza quali avvedercene, analiticamente definito, che cosa sia il buon gusto in questo genere: vale a dire, egli è quel sapere spogliarsi di tutti gli intrecci, specialmente segreti, delle particolari inclinazioni del proprio individuo, per così darsi con uguaglianza di attenzione a rilevare in un dato oggetto e la totalità, e la distribuzione delle parti fu mentovate, e la contemperazione di tutti insieme i detti rapporti: e rilevate queste condizioni, pronunciare per quell’oggetto la sentenza del bello.

    Per il bello, che più da vicino riguarda le arti del disegno, potranno vedersi le Riflessioni su la bellezza, e sul gusto della pittura, del celebre pittore signor cavaliere Mengs, sul principio delle di lui opere; e le più giuste osservazioni, che ha fatte su di esse l’illustre editore signor cavaliere de Azara. Secondo i pnncipj esposti sin qui, e quelli che seguono, ha ragionato, sviluppandosi in qualche cosa, e mettendoli in altro aspetto, il chiarissimo Bettinelli Ragionam. filosof. ragion. I annotazioni, op. Tom. I. pag. 130. e segg.
  18. Nol crederei. Vedi pag. 97. 98. 109.
  19. Memorab. lib. 3. c. 2. p. 783. C. [Prassitele fece la Venere di Cnido ritrattando la meretrice Frine, e Apelle la Venere, che usciva dal mare. Ateneo lib. 13. c. 6. p. 591. B.
  20. lib. 6. pag. 418. B.
  21. Ath. lib. 13. c. 4. p. 574. A. Πολύξειναι νεάνιδες ἀμφίπολοι Πειθοῦς ἐν ἀφνειῷ Κορίνθῳ.
  22. Aristoph. Pac. vers. 761.
  23. Idem Lysistr. vers. 82.
  24. Polluc. Onom. lib. 4. cap. 14. sect. 103., Eurip. Androm. vers. 596. [ Su questo, e su i ginnasj , e le palestre si possono vedere gli Accademici Ercolanesi Tom. iI. de Bronzi Tav. 58. pag. 114. n. 4. segg.
  25. Arist. De Republ. lib. 3. cap. 11. oper. Tom. iiI. pag. 467. C.
  26. Xenoph. Memorab. lib. 3. cap. 10. §. 2. pag. 781. princ.
  27. Nella chiesa dei Cappuccini in Roma.
  28. Si potrà vedere il signor Goguet Della Orig. delle leggi, delle arti, ec. Part. I. Tom. I. lib. VI. cap. iI. in fine. e ciò, che vi annoteremo.
  29. L’evirazione è un tratto dell’insensatezza e barbarie umana che s’incontra in quasi tutte le superstizioni, e sovente è stata immaginata per tutt’altro fine che per quello di di conservare la bellezza. Ometto l’evirazione stabilita dalle leggi per castigo. Vedasi la storia di Combabo in Luciano de Dea syria, §. 20. op. Tom. iiI. p.467., e leggasi Giovenale Sat. 6. vers. 366. ove dice che a' tempi suoi amavansi gli Eunuchi dalle dame romane, perchè

    ......mollia semper
    Oscula delectent, & desperatio barbæ,
    Et quod abortivo non est opus.

  30. Strab. lib. 14. pag. 960. A. Tom. iI.
  31. Plin. lib. 21. cap. 26. sect. 97.
  32. Philostr. Sophist. vitæ, lib. 1. num. 8. c. 1. p. 489. oper. Tom. iI.
  33. Molti esempi vengono portaci dal Mollero De Hermaphroditis, c. 2., e dallo Schurigio Spermatologia, cap. 13.; ma i moderni probabilmente più periti nella notomia, e nella fisica, e meno creduli ai racconti del volgo, siccome anche altri de’ tempi andati, negano con tutto fondamento, che si diano veri Ermafroditi. Veggasi Teichmeyero ''Instit. medicina leg. cap. XIV., e il signor Caluri Relazione sopra un preteso Ermafrodito, negli Atti dell’Accademia delle scienze di Siena, Tom. V. pag. 167. segg. Nessuno però nega che quelli pretesi Ermafroditi portino all’apparenza un carattere misto d’uomo e di donna, prevalendo in qualche modo o questa, o quello, come già cantò Ausonio Epigr. 100.:

    Mercurio genitore satus, genitrice Cythere,
    Nominis ut mixti, sic corporis Hermaphroditus,
    Concretus sexu, sed non perfectus, utroque:
    Ambigui Veneris neutro potiundus amore.

  34. Ve n’è ora una in piedi in atteggiamento osceno come di far vedere clic partecipa dei due sessi. Altre non poche di quelle figure di Ermafroditi li trovano in altri luoghi di Roma.
  35. Plinio lib. 35. cap. 10. sect. 36. num. 5.
  36. Come mai Winkelmann con tutti i lumi esposti in questo §. non ha pensato che sia pure un Archigallo la figura nel basso-rilievo del Museo Capitolino, che nei Monumenti antichi, Par. I. sez. 2. cap. 1. princ. num. 8. ha spiegato per una Cibele? In questo luogo lo da anche per un basso-rilievo inedito; ma era già pubblicato, e spiegato per un Archigallo fin dall’anno 1737. dal sig. abate Giorgi in una particolare dissertazione, e per tale accennato anche prima dal P. Volpi nella Dissertazione intorno alla villa Tiburtina di Manlio Vopisco, ec. nei Saggi di dissertaz. dell’Accademia di Cortona, Tom. iI. p. 191. Alla rara, e tanta erudizione raccolta dal lodato Giorgi in quello proposito aggiugnerò un bel passo di Tertulliano in Carmine ad Senator. v. 9. segg. oper. in fine, p. 1200., che è sfuggito alla di lui oculatezza, e gioverà per confermare ciò che dice il nostro Autore.
  37. Baldinucci Vita di Bernini, pag. 70.
  38. Cioè quando fece il quadro rappresentante Elena per commissione della città di Cortona da collocarsi nel loro tempio di Giunone Lacinia, Cicer. De Invent. l. 2. c. 1. Nello stesso modo dipinse in Girgenti un quadro, di cui s’ignora il soggetto, per esser collocato a nome di quella città nel medesimo tempio, Plinio lib. 35. c. 9. sect. 36. n. 2.
  39. Pare che Platone. De Republ. lib. 5. op. Tom. iI. pag. 472. D. condanni pure questo modo di pensare: Censesne igitur aliquem ideo minus bonum fore pictorem, quod descripto exemplari quodam, in quo pulcherrimi cujusdam hominis forma omnibus numeris suis absoluta repræsentaretur, & nihil ad summam perfectionem in eo desideraretur, non possit tamen ostendere hominem talem existere? Nequaquam per Jovem, inquit.
  40. De Piles Remarq. sur l’Art de peind. de du Fresnoy pag. 107.
  41. Winkelmann ha fatto tutto questo raziocinio principalmente sopra un celebre cameo in agatonice mandato di Francia al sig. cardinale Alessandro Albani, e colà ritornato, nel quale era scolpita la testa di Giove con questo carattere appunto di leone. Noi ne daremo appresso il disegno nella giusta sua grandezza, cavato da una stampa, che ne fece in creta il più volte lodato signor consigliere Reiffenstein.