Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Libro primo - Capo II

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C a p o   II.


Gli artisti cominciarono a lavorare in argilla... formandone statue... modelli... e vasi — Scolpirono quindi il legno... l’avorio... le pietre... il marmo... e le statue medesime colorirono — Lavorarono in bronzo anticamente... e v’ebbero di questo metallo de’ vasi... e delle figure... sì presso i Greci... che presso i Romani — Incisero poscia le gemme — Fecero molto uso del vetro... non solo pe’ vasi d’ogni maniera... e pei pavimenti... ma eziandio formandone una specie di musaico fuso... delle paste di vetro a imitazion delle gemme... e de’ vasi con figure e altri lavori rilevati.

Gli artisti cominciarono a lavorare in argilla... Esaminando le materie diverse su cui lavorarono gli antichi scultori, vedremo al tempo medesimo il vario progresso delle arti, che in tanto più dure e difficili materie impiegaronsi, quanto più s’avvicinavano alla perfezione. Che l’argilla sia stata la più antica materia, su cui s’esercitò la scultura, lo dimostrano i più vetusti idiomi, ne’ quali la voce istessa che significava il vasajo, indicava eziandio lo scultore e lo statuario1.

..formandone statue. §. 1. Esistevano ancora a’ giorni di Pausania in varj tempj immagini di divinità formate d'argilla, come a Tritia in Acaja in quello di Cerere e di Proserpina2; e in un tempio di Bacco in Atene eravi Amfizione il quale accoglieva ad ospital mensa questo ed altri dei3; ivi pure nel portico detto Ceramico, appunto pei lavori d’argilla, vedeasi Teseo nell'atto di precipitare Scirone in mare, e a canto ad esso [p. 21 modifica]l'Aurora che rapiva Cefalo: opere tutte d’argilla4. Si sono trovate nell’antica già da lungo tempo sepolta città di Pompeja quattro statue di terra cotta, che or veggonsi nel museo d’Ercolano: due di queste, alquanto minori dell’ordinaria grandezza umana, rappresentano due figure comiche dell’uno e dell’altro sesso con maschere sul capo, e le altre due, alquanto maggiori della grandezza naturale, un Esculapio raffigurano ed una Igeia. Ultimamente vi si è pur disotterrato un busto di Pallade di naturale grandezza che ha un piccolo scudo rotondo dalla parte della sinistra mammella.

§. 2. Sogliono tali statue talora esser pinte in rosso5, e così dipinta è una testa d’uomo, ed una statuetta vestita a foggia di senatore d’un pezzo solo collo zoccolo, dietro a cui leggesi il nome della figura CRVSCVS: questi pezzi trovati furono in Velletri nel giugno del 1767., ed or sono amendue presso di me6. Leggiamo che principalmente si dipingeva con quello colore il volto di Giove7, e tal era quello, che veneravasi a Figalia in Arcadia8: anche il dio Pan così talora di rosso tigneasi9. Tal costume è in uso ancora oggidì presso gl’Indiani10 e tutti generalmente i [p. 22 modifica]popoli barbari11. Forse da siffatta dipintura è venuto a Cerere il soprannome di φοινικόπεζα12, cioè rossi-peda.

..modelli.. §. 3. L’argilla, allora eziandio che l’arte era nel suo più bel fiore, e ne’ tempi posteriori, continuò ad essere la materia principale degli artisti, sì pe’ bassirilievi, che pei vasi dipinti. Quelli non solo adoperavansi nei fregi de’ tempj13, ma servivano ancora per modelli, e questi col mezzo delle forme o matrici moltiplicarsi agevolmente potevano. Fanno di ciò fede i moltissimi pezzi che ci restano rappresentanti una medesima cosa, e simili fra di loro. A tali figure cavate dalla forma dava l’artefice l’ultima mano collo stecco, come scorgesi al sol vederle; que’ modelli pendevano per lo più infilati in una corda nello studio dell’artista; indi è che alcuni hanno un pertugio nel mezzo14.

§. 4. Ne’ lavori d’argilla gli antichi maestri sovente facean mostra di tutta la loro abilità, come nelle opere più durevoli di marmo e di bronzo; anzi quelle esposero agli occhi del pubblico, anche per alcuni anni dopo la morte di [p. 23 modifica]Alessandro, ai tempi di Demetrio Poliorcete nella Beozia, nelle città vicine ad Atene, e nominatamente a Platea15, in occasione delle feste, che in memoria di Dedalo loro primo maestro colà si celebravano. Esaminando que’ lavori ognuno atto rendevasi a portare un più sicuro giudizio delle opere dell’arte; e questa molto vantaggio traeva dall’emulazione degli artisti, poiché il modellare in argilla per lo statuario è appunto come pel pittore il disegnar sulla carta. E siccome il sugo che stilla dal primo pigiar de’ grappoli, è il vino migliore; così l’ingegno dell’artista scorgesi in tutta la sua naturalezza e verità ne’ lavori su materie molli, o sulla carta da lui fatti; ma quando produce quadri finiti, o statue alle quali data sia l'ultima mano, la diligenza usatavi, o la sovrappostavi vernice ne vela, a così dire, l’abilità e i talenti.

§. 5. Che tal maniera di lavoro sia stata sempre tenuta in pregio dagli antichi, rilevasi dal leggere presso gli storici, che quando, per la colonia mandatavi da Giulio Cesare, risorse Corinto dalle sue ceneri, tra i lavori dell’arte che diseppellivansi da quelle rovine, non meno le opere di argilla si ricercavano, che quelle di bronzo. Abbiamo ciò da Strabone16, la cui espressione sembra non essere stata ben intesa da Casaubono suo traduttore seguito poi dagli altri17, [p. 24 modifica]il quale in vece di rendere le greche parole τορεύματα ὀστράκινα con dire testacea opera, scriver dovea anaglypha figulina; poichè τορεύματα, siccome in appresso più chiaramente dimostrerò18, significa bassi-rilievi. Sanno gli amatori quanto anche oggidì abbiansi in pregio quelle opere in argilla; e tener si può come regola generale, che non trovasi nulla di cattivo in questa specie di lavori, la qual cosa de’ bassi-rilievi in marmo non si può sì francamente asserire.

§. 6. Veggonsi alcuni de’ più bei lavori antichi in argilla nella magnifica villa del signor cardinal Alessandro Albani. Havvi tra gli altri un Argo che lavora alla nave degli Argonauti: presso a lui v’è una figura d’uomo, probabilmente Tifi, che fu di quella nave il piloto, e Minerva che lega la vela all’antenna. Se ne può vedere la figura al frontispizio del primo volume de’ miei Monumenti Antichi ec. Questo pezzo è accompagnato da due altri che ne erano parte, e da alcuni altri pezzetti, che probabilmente appartennero ad un basso-rilievo trovato nelle mura d’una vigna fuori di Porta latina, ove in luogo di mattoni era stato adoperato.

§. 7. Questi bassi-rilievi hanno d’ordinario più di tre palmi per ogni verso, simili presso a poco a quelle larghe tavole di terra cotta, impropriamente chiamate mattoni, che per lo più adoperavansi nelle arcate; e sì gli uni che le altre sono cotte per modo, che percosse rendono un suono chiaro, nè dell’umidità si risentono, nè del caldo, nè del freddo19. L’argilla non solo serviva di materia pei bassi-rilievi, e per le [p. 25 modifica]statue, ma adoperavasi eziandio mista con fiore di farina da coloro che lavoravano in bronzo per farne le forme20.

§. 8. D’altra specie di opere degli antichi in argilla, e nominatamente de’ vasi dipinti, ne sono rimasti fino a’ nostri dì delle migliaja: noi ne tratteremo più diffusamente in appresso. L’uso di tali vasi, cominciato negli antichissimi tempi, lungamente durò nelle cerimonie religiose21 eziandio dopo che il lusso aveali renduti inutili agli usi domestici: teneansi per lo più dagli antichi, come le porcellane presso di noi, per ornamento anziché per servizio22, e diffatti alcuni se ne trovano che mai non ebbero fondo23

Scolpirono quindi il legno.. §. 9. Le statue de’ più antichi Greci erano di legno24 come tutte le loro fabbriche, a somiglianza de’ palazzi dei re medi25, avantiché in pietre e in marmi edificassero. In Egitto trovansi ancora oggidì delle antiche figure egizie in legno di sicomoro, e se ne veggono in alcuni musei. Pausania specifica i varj legni26 de’ quali formavansi presso i più [p. 26 modifica]antichi le statue27; e Plinio ne dice che preferir soleasi quello di fico a cagione della sua mollezza28. Esistevano ancora a’ giorni del mentovato Pausania delle antiche statue di legno ne’ più illustri luoghi della Grecia. Vedeasi a Megalopoli in Arcadia una Giunone e un Apollo colle Muse, siccome anche una Venere ed un Mercurio, amendue lavoro di Damofonte scultore antichissimo29. Eravi a Delfo la statua d’Apollo pur di legno e d’un sol tronco mandatavi da’ Cretesi30. A Tebe celebri erano, al riferire di Pausania, le statue d’Ilaira e Febe, e i cavalli di Castore e Polluce in ebano e in avorio, opere di Dipeno e Scilli31 scolari di Dedalo32. Di ebano era una statua di Diana a Tegea in Arcadia33, lavoro de’ più rimoti tempi; e tale era quella d’Ajace a Salamina34. Statue colossali di legno vidersi in Egitto a Sais e a Tebe35. Troviamo che statue di legno erette pur furono all’olimpiade lxi., per coloro che ne’ pubblici giuochi avessero riportata vittoria36. Mirone formò un Ecate di legno ad Egina37; e Diagora, il più sfrontato artista dell’antichità, fecesi cuocere le vivande con una statua [p. 27 modifica]d’Ercole38. Crede Pausania39 che dedali si chiamassero le statue di legno anche prima di Dedalo40.

§. 10. Si passò quindi a indorare tali statue specialmente presso gli Egizj41 ed i Greci42; due statue egizie così indorate vedevansi nella raccolta del Gori in Firenze43. E quando gli statuarj sdegnarono di più adoperare il loro scarpello sul legno, questo nondimeno restò una materia su cui i più grandi artisti esercitarono i loro talenti. Rileviamo da una lettera di Cicerone44, che Quinto suo fratello fecesi intagliare un lucerniere (lychnuchum) a Samo, verosimilmente da un qualche celebre intagliatore.

..l’avorio.. §. 11. Sin da’ più rimoti tempi aveano i Greci cominciato a scolpire l’avorio45; e Omero parla non solo d’impugnature e di foderi di spade, ma ben anche di letti, e molti [p. 28 modifica]utensili di tal materia formati46. D’avorio pur erano le sedie de’ primi re di Roma, e quindi de’ consoli47, anzi di qualunque romano posto in tal dignità che a lui convenisse la sedia curule48; e su consimili sedie stava il Senato quando nel Foro s’adunava a udir dai rostri qualche orazione funebre49. Lavoravano in avorio le cetre50 e i piedi delle tavole: il solo Seneca avea in una sua casa a Roma cinquecento deschi di cedro co’ piedi d’avorio51.

§. 12. Eranvi in Grecia ben cento statue d’avorio e d’oro52, fatte per la maggior parte ne’ primi tempi della statuaria, e quasi tutte maggiori dell’umana grandezza. Vedeansi di tali materie formati un assai bello Esculapio53 in un piccolo villaggio d’Arcadia, e una Pallade in un tempio a lei sacro sulla pubblica strada presso Pellene in Acaja54. A Cizico nel Ponto55, in un tempio in cui tutte le commessure delle pietre eran da fili d’oro segnate, adoravasi un Giove d’avorio cui un Apollo di marmo coronava56. Properzio57 accenna un Ercole d’avorio esistente a Tivoli, e Cicerone parla di alcune statue della Vittoria rubate da Verre nell'isola di Malta, le quali, comeché antichissime, pur erano con somma maestrìa lavorate58. Erode attico famoso e ricco oratore de’ tempi di Trajano e degli Antonini collocò a Corinto nel tempio di Nettuno un cocchio a quattro cavalli dorati, che aveano le ugne d’avorio59.

[p. 29 modifica]§. 13. Di tante statue e monumenti scolpiti anticamente in avorio ora altro più non ci rimane fuorché alcune piccole figure. Ciò avviene perché l’avorio, come le zanne di tutti gli altri animali, fuorché quelle del lupo60, calcinansi stando lungo tempo in terra sepolte61. A Tirinto in Arcadia62 veneravasi una Cibele d’oro, il cui viso era formato di denti d’ippopotamo insieme commessi63.

§. 14. Nel lavorare tali statue di diverse materie composte gli artisti finivano la testa prima di fare le altre parti, come inferir si può dalla descrizione lasciataci da Pausania d’una statua di Giove a Megara, il di cui volto d’avorio e d’oro combinati insieme era formato. Ma siccome la guerra del Peloponneso interuppe il lavoro, o almeno frastornò gli artefici, questi contenti di finire la testa, il restante in gesso e in terra modellarono64. Un Antico assai raro e veramente particolare è quella figura d’avorio, alta un palmo e tutta indorata, rappresentante un fanciullo, che trovasi ora nel gabinetto del signor Hamilton.

[p. 30 modifica] ..le pietre.. §. 15. Il sasso, di cui dapprincipio formaronsi le statue, fu probabilmente quella specie di tufo biancastro, di cui era edificato il tempio di Giove in Elide65 e che forse serviva a tutte le fabbriche della Grecia. Di questo tufo era formata una statua di Sileno rammentata da Plutarco66.

§. 16. In Roma adoperavasi a tal uopo il travertino, della qual pietra havvi una statua consolare nella villa Albani, un altra sedente con una tavola sulle ginocchia nel palazzo Altieri situato nel Rione Pigna vicino al Campidoglio, e una terza, rappresentante una donna di grandezza naturale con un anello al dito indice, nella villa Belloni. Le figure di questa specie di pietra ordinaria metter soleansi intorno ai sepolcri67.

..il marmo.. §. 17. Gli artisti ne’ primi tempi adattarono alle figure di legno la testa le mani ed i piedi di marmo bianco. Tali erano una Giunone68 ed una Venere69 del summentovato Damofonte70, e quella usanza sussisteva ancora ai tempi di Fidia, poiché tale pur era la sua Pallade a Platea71. Le statue così lavorate colle sole estremità di marmo chiamaronsi [p. 31 modifica]acrolithi72, vocabolo di cui né Salmasio73 né altri74 trovar seppero la vera significazione. Scrive Plinio che non prima dell’olimpiade l. cominciossi a scolpire in marmo75; ma probabilmente delle intere figure di marmo intender si deve.

..e le statue medesime colorirono. §. 18. Talora vestiansi di veri panni le statue marmoree76, come la Cerere di Bura in Acaja, e ’l più antico Esculapio di Sicione rammentati da Pausania77. Ciò fe’ nascer l’idea di pingere tali vesti sulle figure stesse di marmo78, quali veggonsi su un’antichissima statua di Diana scoperta l’anno 1760. ad Ercolano, alta quattro palmi e tre pollici e mezzo: questa ha biondi i capelli, e bianca la sotto-veste e la veste, alla quale son dipinte all’intorno verso il lembo inferiore tre strisce o strette fimbrie: di color d’oro è la più bassa; più larga delle altre è la seconda ornata di fiori e di festoni bianchi su un fondo di scarlatto; e dello stesso colore è la più alta. Darò nel libro VI. capo I. e il. una più minuta descrizione di questa statua. Quella che, secondo Virgilio, Coridone consacrò a Diana esser di marmo dovea coi calzari rossi79.

§. 19. Trovansi statue di marmo d’ogni specie, e anche a varj colori lavorate, ma niuna se n’è trovata finora di verde di Laconia, detto verde antico, che scavavasi nel famoso promontorio lacedemone chiamato Tenaro80. Quando [p. 32 modifica]Pausania fa menzione delle due statue dell’imperador Adriano esistenti in Atene, che aveano l’estremità di marmo bianco, ed erano nel resto formate l’una di marmo tasio, l’altra d’una specie di sasso d’Egitto81, egli probabilmente indicar volle per questo il porfido, e per quello un marmo macchiato82; forse lo stesso che presso noi paonazzo s’appella.

Lavorarono in bronzo anticamente. §. 20. In Italia molto prima che in Grecia cominciarono a lavorarsi statue di bronzo, se prestiam fede a Pausania. Secondo lui i primi ad occuparsi in Grecia di questa specie di statuaria furono un certo Roeco, e quindi quel Teodoro di Samo, che scolpì il famoso smeraldo83 di Policrate tiranno allora di quell’isola84, e lavorò il vaso d’argento capace di .. e v’ebbero di questo metallo de’ vasi.. seicento secchi, di cui Creso re di Lidia al tempio di Delfo fe’ dono85. Al tempo stesso gli Spartani fecero lavorare un vaso della capacità di trecento secchi, con figure d’animali per ogni parte ornato, per mandarlo a Creso in dono86.

..e delle figure... §. 21. Ma ne’ più prischi tempi, anteriori alla fondazione di Cirene in Africa, v’aveano già a Samo tre statue di bronzo alta ciascuna sette cubiti, le quali inginocchiate sosteneano un ..sì presso i Greci.. gran bacile. I Samj vi avevano impiegata la decima parte del profitto della loro navigazione a Tartesso87. La prima quadriga in bronzo fu fatta per ordine degli Ateniesi dopo la morte di Pisistrato, vale a dire, dopo l’olimpiade lxvii., e dinanzi al tempio di Pallade collocata88. Sono queste le più antiche notizie che abbiamo de’ lavori in bronzo presso i Greci.

..che presso i Romani. §. 22 Per ciò che riguarda i Romani, raccontano gli storici che molto prima Romolo avea fatta formare di bronzo [p. 33 modifica]una quadriga colla propria statua coronata dalla Vittoria, e che il cocchio e i cavalli erano parte della preda riportata da Camerino89. Or siccome ciò dev’essere succeduto al trionfo riportato da Romolo sui Fidenati l’anno settimo del suo regno, dobbiamo fissarne l’epoca all’olimpiade viii. L’iscrizione di questo lavoro, al riferir di Plutarco90, era in lettere greche; ma, siccome osservò Dionisio91, le lettere romane di que’ tempi alle antiche greche cotanto somigliavano, che potea quello ben essere lavoro d’un artefice etrusco. Trovasi in oltre fatta menzione d’una statua di bronzo ad Orazio Coclite eretta92, e d’un’altra alla famosa Clelia93 ne’ cominciamenti della romana repubblica; e allorché fu punito Sp. Cassio del suo attentato contro la libertà, tanto si prese su la confiscazione de’ suoi beni da ergere una statua di bronzo a Cerere94. Le piccole figure in bronzo degli dei, che in grandissimo numero si trovano, erano di uso comune, e fra le altre le più piccole aveansi quasi divinità da viaggio, che seco ben anche indosso portar soleano gli antichi. Silla in tutte le sue spedizioni portava sempre sul petto una piccola figura aurea d’Apollo Pitio, cui pur sovente baciava95. L’arte d’incider le gemme e le pietre dure deve incisero poscia le gemme. certamente esser antica, poiché la troviamo usata da diverse nazioni ne’ più rimoti secoli. Gli Etiopi incidendole con altre pietre faceansene de’ sigilli96. Gli Egizj come i Greci e gli [p. 34 modifica]Etruschi quest’arte d’incidere in pietra alla sua perfezione portarono, siccome in appresso dimostreremo. Estesissimo era presso gli antichi l’uso di siffatti lavori, del che abbiamo chiarissimo argomento nelle due mila tazze incavate in pietra dura, che al riferir d’Appiano97, trovò Pompeo nel tesoro di Mitridate. In oltre la quantità pressoché infinita delle gemme antiche che abbiamo, e che si vanno disotterrando tuttodì, fa prova del prodigioso numero d’artisti, che in ciò s’occupavano.

§. 23. Osservo quì, che Euripide e Platone98 chiamarono col nome di fionda (Σφενδόνη) una pietra incassata in un anello. Di questa denominazione nessuno finora, che io sappia, ha indovinata la ragione, per non avere osservata la somiglianza tra la fionda e l’anello, dalla quale tal nome deriva. Diffatti la pietra incassata in un anello somiglia in qualche maniera al sasso nella fionda, e l’anello stesso può ai cordoni di questa paragonarsi. Anche i Romani chiamarono funda, cioè fionda, la pietra che al di sopra dell’anello suole incassarsi99.

Fecero molto del vetro.. §. 24. Nell’indicare le materie diverse su le quali gli antichi artefici lavorarono, non dobbiamo omettere di far menzione delle opere loro sul vetro, su cui hanno portata l’arte a tanta perfezione, che noi siamo ancora ben lontani dall’uguagliare: basta vedere i lavori loro più belli per esserne persuasi. In generale faceasi anticamente maggior uso del vetro che fatto non si è di poi; e adoperavasi non solo ad uso domestico pe’ vasi d’ogni maniera, de’ quali gran copia sen vede nel museo d’Ercolano; ma eziandio per le urne destinate a contenere ne’ sepolcri le ceneri de’ trapassati100. Il [p. 35 modifica] ...pe’ vasi d'ogni maniera... sig. Hamilton ha presso di sé due de’ più grandi vasi di questa specie che siansi conservati interi: uno, alto tre palmi, fu trovato in un sepolcro presso Pozzuolo, e l'altro più piccolo fu disotterrato presso Cuma nell’ottobre del 1767., che ancor pieno era di ceneri, e stava in una cassa di piombo, la quale dall’operajo, che scavando la scoprì, fu fatta in pezzi e venduta.

§. 25. Tra i rottami de’ vasi di vetro, che in grandissima quantità si sono scavati nel luogo chiamato Isola Farnese, a nove miglia da Roma sul cammino di Viterbo, e che alle vetriere di Roma si sono venduti, mi sono venute alle mani alcune tazze da bere, che devono essere state lavorate al torno101; poiché hanno degli ornamenti a rilievo, come se vi fossero stati saldati, su’ quali chiaramente scorgesi l’azione della ruota, che le punte ne ha formate e gli angoli102. [p. 36 modifica] ..e pei pavimenti. §. 26. Oltre l’uso, che faceasi del vetro comune per tali vasi, adoperavasi eziandio ai pavimenti; e questi fatti talora con vetri di vario colore compartiti ad arte, veniano a formare una specie di musaico. Nella summentovata Isola Farnese si sono trovati de’ pezzi di pavimento di vetro d’un colore uniforme, cioè fatto di lastre verdi della grossezza di una tegola ordinaria103.

Specie di musaico fuso. §. 27. Nel connettere insieme i vetri composti e colorati sembra che l’arte sia giunta al punto di perfezione in due pezzi, che vidersi pochi anni addietro in Roma. Sì l’un che l’altro appena hanno un pollice in lunghezza, e un terzo di pollice in larghezza. Uno di questi su un fondo cupo, ma di vario colore, rappresenta un uccello, simile ad un’anitra, colorito con tinte vivissime, sul gusto cinese anziché ad imitazione della natura: franchi e forti ne sono i tratti, il colore è bello [p. 37 modifica]spiccato, e insieme morbido e pastoso, avendo l’artista or vetro trasparente, or vetro opaco in alcuni luoghi opportunamente adoperato. Il più dilicato miniatore non avrebbe potuto con maggior finezza esprimere il giro della palpebra e le penne del petto e delle ale, disposte a piccolissime squamme: non parlo della coda, poiché mancava. Ma ciò che più sorprendeva in quel pezzo, si era il vedersi nel rovescio alla stessa maniera l’uccello, senza la menoma differenza nelle più piccole parti; dal che s’inferiva che la pittura ne penetrasse tutta la grossezza.

§. 28. Questa pittura sembrava da ambo i lati come granita e formata di pezzetti separati a foggia d’un musaico; ma questi erano sì ben connessi, che eziandio a traverso un’ottima lente veder non se ne poteano le commessure. Ciò osservando, e vedendo il colore passato da parte a parte, niun potea immaginare in qual maniera fatto si fosse tal lavoro; e sarebbe ciò stato per lungo tempo un mistero, se nella parte in cui il vetro era rotto, e come fiaccato da un altro pezzo, non si fossero osservati de’ fili, i quali per tutta la grossezza aveano il colore medesimo che alla superficie. Si potè da [p. 38 modifica]ciò congetturare, che tal pittura formata fosse da diversi fili di vetro colorato, l’un presso l’altro strettamente collocati, e quindi fusi al fuoco104. Non è però verosimile, che l’artefice occupandosi in sì penoso lavoro dar gli volesse soltanto la grossezza che ha attualmente d’un sesto di pollice: mentre con più lunghi fili potea nel medesimo tempo dargli parecchi pollici di altezza; onde v’ha luogo a credere che fosse questa pittura una parte d’un pezzo, non solo più lungo, ma eziandio più grosso e profondo, in cui s’estendessero nello stess’ordine i fili, cosicché si potesse tante volte moltiplicare l’immagine, quante volte un sesto di pollice conteneasi nell’intero pezzo.

§. 29. L’altro pezzo rotto, che ha a un di presso la medesima grossezza, è stato lavorato alla stessa maniera. Vi si veggono su un tondo azzurro de’ fregi verdi gialli e bianchi che rappresentano delle piramidi formate di fili di perle, e ghirlande di fiori frammiste a punticelle. Tutto ciò è esatto e distinto, ma di tal piccolezza, che il più acuto sguardo può appena seguire le ghirlande fino al punto ove cominciano. Questi fregi trapassano interi da una parte all’altra per tutta la grossezza del vetro.

§. 30. II lavoro di tali opere in vetro scorgesi visibilmente in un cilindro lungo una spanna, esistente nel museo del mentovato sig. Hamilton. Ne è azzurra l’esterna circonferenza, e l'interno rappresenta come una rosa a varj colori, la quale, siccome l’azzurro istesso della superficie longitudinale, penetra internamente da cima a fondo il cilindro. Sappiamo che il vetro tirasi in tenuissimi fili a qualunque lunghezza facendo fondere al fuoco delle lastre o tubi di vetro uniti in [p. 39 modifica]mazzi; e que’ fili conservano sempre la medesima posizione rispettiva, come appunto nella filiera una verga d’argento indorata sempre uniformemente indorata allungasi fino alla fine. È quindi verosimile che per siffatti lavori gli antichi abbiano adoperati de’ grossi tubi tirandoli in fili d’una somma sottigliezza.

Fecero paste di vetro imitando le gemme. §. 31. Ma i più utili tra i lavori di vetro degli antichi sono le impronte che facevano in esso non solamente delle gemme, sì di rilievo che incavate, ma eziandio di opere più grandi, tra le quali esiste anche oggidì un intiero vaso. Queste paste prendevano tutte le forme, i più minuti tratti, e le vene istesse delle pietre su cui erano formate; anzi in alcune, al riferir di Plinio105, vedeasi pur imitato in rilievo il doppio color de’ camei. V’ha de’ pezzi di questo genere, assai rari certamente, ne’ quali la figura rilevata è stata ricoperta d’una grossa foglia d’oro: tale è una testa di Tiberio, di cui è ora possessore il sig. Byres in Roma. Siffatte paste ci hanno conservate molte antiche figure, delle quali si sono smarrite le gemme originali106.

[p. 40 modifica]     §. 32. Di bassi-rilievi in vetro più non ci restano se non alcuni frammenti, i quali però bastano a farci conoscere l’abilità degli antichi in tal maniera di lavori, e l’uso che ne faceano. Incassavano talora quelli vetri ne’ marmi e ne’ cartocci o arabeschi che serviano di ornamento alle pareti de’ palazzi107. La più considerevole delle grandi opere di questa maniera è un cameo descritto dal Buonarroti108, ed esistente nella Biblioteca Vaticana. È questo una tavola quadrilunga, di lunghezza poco più d’un palmo, e larga due terzi di palmo: vi si veggono su un fondo azzurro-cupo delle figure bianche in basso-rilievo di poco risalto, rappresentanti un Bacco giacente in seno d’Arianna presso a due Satiri109.

.. e formandone vasi a figure rilevate. §. 33. Ma le più pregevoli opere di questo genere erano i vasi ornati di figure a mezzo rilievo lucide, e sovente a diversi colori su un fondo cupo, lavorati alla maggior perfezione sul gusto de’ vasi incisi nella sardonica. Un solo di questi vasi s’è sino a noi conservato; quello cioè che erroneamente chiamasi l’urna sepolcrale d’Alessandro Severo, alto a un dipresso un palmo e mezzo, trovato ancor pieno delle ceneri d’un morto, e che vedesi tra le rare antichità del palazzo Barberini110. Dalla sua stessa bellezza si può agevolmente [p. 41 modifica]rilevare l’errore di coloro111, che lo hanno sinor descritto come un vaso di vera sardonica112.

§. 34. Or quanto più dagli uomini di buon gusto, e intelligenti stimar non si dovrebbono siffatti antichi vasi, che tutte le sì preziose porcellane, che ornano oggidì gli [p. 42 modifica]appartamenti de’ ricchi? Queste altro merito non hanno fuorchè la bellezza della materia, e nulla vi si ravvisa mai di rimarchevole e d’istruttivo; essendo per lo più figure ridicole e informi, dalle quali ebbe origine quel gusto frivolo e incoerente, che poi cotanto si è steso.





Note

  1. Gusset Comment. L. Hebr. V. [testo ebraico] קצל
  2. Paus. lib. 7. cap. 22. pag. 580. lin. 32. [Era, come dice Pausania, un tempio solo dedicato agli dei maggiori; non come pare abbia capito il nostro autore, alle dee maggiori, che appunto erano Cerere, e Proserpina, al dir dello stesso Pausania lib. 8. c. 31. princ. pag. 664.
  3. Id. lib. 1. cap. 2. pag. 7. lin. 20.
  4. Paus. lib. cap. 3. pag. 8. lin. 14. [Ceramico si chiamava una contrada di Atene, in cui era il detto, ed altri portici, e fu così chiamata, per testimonianza di Pausania in questo luogo, non dai lavori d’argilla, che l’adornavano; ma da Ceramico eroe figlio di Bacco, e di Arianna. Plinio lib. 35. c. 12. sect. 45. la vuole così detta dall’officina di lavori di creta che vi avea Calcostene. Parla di Ceramico Cicerone de Fin. lib. I. cap. XI., e dice che vi era a’ suoi tempi una statua di Crisippo. Nel libro iI. c. XXXVI. de Legib. parla di un altro luogo detto Ceramico, fuori di Atene destinato per le sepolture, ove né ermi, né lavori d’intonacatura si potevano mettere. Attico vi avea in quella parte una villa, che chiamava Ceramico, al riferire di Cicerone stesso Epist. ad Attic. lib. I. ep. X. Vegg. Meursio Ceramicus geminus, sive de Ceram. Athen. antiquitat. liber singul. cap. I. e segg. oper. Tom. I. pag. 466. e segg.
  5. Si adoperava il minio, Plin. l. 33. c. 7. sect. 36.: e per quanto si può raccogliere da questo luogo, pare si cominciasse a tingere in rosso le statue, ed altre cose, perché il minio era d’un colore vivo, e stimatissimo tra tutti.
  6. Altra statuetta di terra cotta così dipinta, e rappresentante una furia, trovata in quei contorni, venne collocata nel museo della nobile famiglia Borgia sopralodato.
  7. Plin. lib. 35. cap. 12. sect. 45.
  8. Id. lib. 23. cap. 3. [Non lo dice. Forse sarà il Bacco, di cui ora diremo.
  9. Paus. lib. 8. cap. 39. pag. 681. lin. penult. [Pausania parla di un simulacro del dio Bacco in un tempio di Figalia. Di Pan lo dice Virgilio Ecl. X. v. 26. 27.; e forse di tal colore si dipingeva anche in Egitto. Erodoto lib. 2. cap. 46. pag. 126.
  10. Pietro della Valle Viaggi par. iiI. lett. I. §. VII. pag. 37. §. XIII. pag. 72.
  11. Fra gli Etiopi, al dire di Plinio l. 33. c. 7. sect. 36., non solo si colorivano col minio i simulacri delle divinità, ma se ne colorivano anche i magnati. Gli Egizj lo usavano talvolta anche per qualche loro idolo, come si vede in una pittura del Museo d’Ercolano Tom. IV. tav. 52., e come ivi osservano gli Editori pag. 253. num. 8.; e alcuni se ne conservano nel lodato museo Borgiano. In Roma l’uso di colorire le statue degli dei si manteneva ancora ai tempi di Arnobio, come rileviamo dal suo libro Adv. Gentes l. 6. p. 196., e Plinio lib. 35. cap. 12. sect. 43. ne attribuisce l'invenzione a Dibutade, che soleva anche impastare la creta col color rosso. In appresso fu introdotto, come osserva lo stesso scrittore lib. 33. cap. 7. sect. 36., e Tzetze Chiliad. 13. hist. 461. v. 43., di dipingere così il corpo di quei che trionfavano; in quel modo, che fin dal tempo d’Omero fra li Greci se ne dipingeva la prora di qualche nave. Iliad. lib. 2 e num. nav. v. 144. Si usava anche dagli antichi, principalmente dagli Egiziani, d’inverniciare bene le statue di creta per modo, che rassomigliavano ai lavori di porcellana d’oggidì, e prendevano in tal maniera più consistenza. Di tali lavori egiziani se ne veggono nei musei, come osserva Guasco De l’usage des stat. chap. XI. p. 130.; e cosi è la piccola figura, che noi daremo in appresso.
  12. Pind. Ol. 6. Antistr. 5. v. 4. [Noi vedremo in appresso, che questo epiteto dato da Pindaro a Cerere si potrà spiegare anche in altro senso.
  13. Plin. lib. 35. c. 12. sect. 43. e 46.
  14. In un di questi fregi rappresentante una donna, che sostiene la cista mistica, presso il signor abate Visconti Presidente delle antichità di Roma, si vedono tre buchi, ai quali dovea corrispondere il quarto, che non si vede per essere il pezzo alquanto mutilato. Tal numero indica manifestamente, siccome lo fa vedere anche la forma del buco, che erano stati fatti per fissare i bassi-rilievi coi chiodi nel porli in opera alla parete. E chi mai potrà persuadersi che pezzi di terra così pesanti si tenessero infilati alle corde nello studio dell’artista?
  15. Dicæarch. Geogr. pag. 9. V. Meurs. Græcia feriata, sive de fest. Græc. lib. iI. v. ΔΑΙΔΑΛΑ, oper. vol. iiI. col. 834. [Dicearco parla dei figuli di Atene, che nei giorni di festa solevano mettere in mostra i loro lavori di creta rappresentanti figure d’uomini, e di animali: Ecco il passo restituito dal P. Paciaudi Monum. Pelop. Tom. iI. §. IV. pag. 43.: His vero, qui eam (urbem Athenarum) habitant id bene evenit, ut omnibus suis artificibus (figulinis) magnam laudem ab adventantibus comparent, cum læto die in publicum efferunt admiranda animalium, et hominum exemplaria argillacea excellentissima. Nelle feste di Dedalo a Platea si esponevano quattordici statuette di legno, in memoria di Dedalo, che in quello avea lavorato, come riferisce Meursio al luogo citato coll’autorità uniforme degli scrittori antichi.
  16. Geogr. lib. 8. pag.785. B. e seg.
  17. Già abbiamo avvertito pag. 18., che Casaubono non ha tradotto Strabone ma commentato soltanto. Dopo di lui nell'edizione fattane nell'anno 1707. in Amsterdam, alla pagina citata num. 3, è stato rilevato colle ragioni di Salmasio Exercit. in Solini Polyhistor. capit. LII. Tom. I. pag. 378., che τορεύματα ὀστράκινα andava spiegato per cælata fictilia, bassi-rilievi in creta. Winkelmann che ha più volte citata questa edizione non dovea ignorarlo.
  18. Lib. VII. cap. I. §. 5. Tomo iI.
  19. Il basso-rilievo posseduto dal sig. abate Visconti, del quale si è fatta menzione sopra alla p. 22., è largo e lungo circa un palmo e un terzo. Di questi altri lavori di creta, che si dicono tavoloni, e sono specie di mattoni, ne parla Plinio lib. 35. cap. 14. sect. 49., dicendo che i Greci li facevano anche di 4. e di 5. palmi in largo e in lungo, chiamati perciò tetradoron, e pentadoron, e si usavano nelle fabbriche pubbliche, e regie. Così li vediamo anche adoprati in Roma, benchè di forma minore. Hanno la più parte l’impronta, o marco dell’artista che li lavorava, o del padrone dell’officina, col nome di esso, e dei consoli di quel tempo, in cui si facevano, come è ben noto agli eruditi, e l’osservano anche il Fabretti Inscript. cap. 7. pag. 496., e il Passeri Storia dei fossili ec. Dissert. VI. §. iiI. e IV.
  20. Plin. lib. 18. cap. 10. sect. 20. §. 2.
  21. V. Brodæus Misc. lib. 5. cap. 1.
  22. Il Passeri Picturæ Etrusc. Tom. I. prolegom. pag. XIV. crede che si tenessero per ornamento principalmente nei lararj, e nei tempj; e pag. XVII. che si dessero anche in regalo in occasione di feste, di nozze ec. Parla anche di quelli, che servivano per uso domestico, uso che non fu tolto dal lusso, come dice Winkelmann, anzi il lusso fu occasione che più si raffinassero. Plinio lib. 23. cap. 12. sect. 46. dice, che ancora a suo tempo la maggior parte degli uomini si servivano di vasi di terra, che si gareggiava in tante città d’Italia, della Grecia, e di Spagna, a farli più fini, e migliori. Se ne faceva gran commercio, e si vendevano più dei vasi murrini, non isdegnando le persone più distinte di servirsene. L’imperator Vitellio, come racconta anche Svetonio nella di lui vita capo 13., fece fare un piatto sì vasto per una cena, che per cuocerlo fu fabbricata la fornace a posta. Ma dell’uso di tali vasi antichi se ne parla più a lungo in appresso l. iiI. cap. IV.
  23. L’Autore in questo capo dà all’argilla il primo luogo tra le materie adoperate dagli artisti, e quindi al legno, all’avorio, ai sassi, al bronzo ec. Circa l’argilla v’è tutta l’apparenza, ch’egli abbia ragione, ma tal verità non si prova abbastanza col mentovare i lavori di terra trovati ne’ tempj antichi. Bisognava pur dimostrare, che tai lavori non fossero stati preceduti da altre sculture in legno, in marmo ec., e in prova di ciò si potevano apportare le testimonianze di Seneca Epist. 131., di Plinio lib. 35. cap. 12. sect. 44., d’Ovidio Fast. lib. 1. v. 202., e di Giovenale Satyr. 11. v. 115. Dopo l’argilla si sarà adoperato il legno, come la materia più molle; a meno che, appoggiandosi su ciò che narra Mosè di Tubalcaimo fonditor di metalli, Gen. cap. 4. v. 22., del vitello d’oro, e de’ Cherubini fusi nel deserto, Exod. cap. 32. v. 4., c. 35. v. 32., taluno non pretenda essere più antica l’arte di fonder i metalli, che d’intagliate il legno.
  24. Delle statue degli dei lo attesta Ovidio Metam. lib. 10. fab. 11. v. 694.
  25. Polyb. l. 10. p. 598. A.., Schol. Apollon. v. 170.
  26. Oltre Pausania l. 8. c. 17. princ. p. 623., anche Teofrasto Hist. plant. lib. 5., e Plinio lib. 16. cap. 40. sect. 78., ci fanno menzione di varj legni adoperati per l’intaglio, e sono questi l’ebano, il cipresso, il cedro, la quercia, il tasso, il busso, il loto, e pei lavori più piccoli anche le radici dell’ulivo. Ciò però non esclude l'uso d’altre specie di legni, quali oltre il fico, Horat.. lib. 1. sat. 8. v. 1., sono l’acero, Prop. lib. 4. el. 2. v. 59., Ovid. lib. 1. de Art. am. v. 325., il faggio, Anthol. gr. epigr. lib. 1. cap. 68. num. 2. v. 1., la palma, Theophr. lib. 5. cap. 4., il mirto, Plin. lib. 12. cap. 1. sect. 2., il pero, Paus. lib. 2. cap. 17. pag. 148. lin. 37. [Clem. Aless. Cohort. ad Gentes, num. 4. pag. 41. l. 33.], il tiglio, Tertul. de Idol. cap. 7. num. 5. op. Tom. I. pag. 495., la vite, Plin. lib. 14. c. 1. sect. 2.
  27. Paus. lib. 8. c. 17. princ. pag. 633.
  28. Lib.16. c. 40. sect. 77. [Col fico andava del pari il salce, il tiglio, la betulla, il sambuco, e due specie di pioppo. Si preferivano agli altri legni non solo per la mollezza, ma per la bianchezza, leggerezza, e certa consistenza. Plinio ivi.
  29. Paus. lib. 8. cap. 31. pag. 665. lin. 13.
  30. Pind. Pyth. 5. v 56.
  31. Lib. 2. cap. 22. pag. 161. lin. 42. e segg. [Ovvero, come dice Pausania, in Argo, non in Tebe, vi era un tempio dedicato a Castore e Polluce, colli loro simulacri, quei delle loro mogli Ilaira e Febe, e dei due figli Anaside e Mnasinoo, in ebano; e i loro due cavalli per la maggior parte in ebano, e il resto in avorio.
  32. Fuor di proposito qui Winkelmann fa questi due scultori scolari di Dedalo, mentre nel Tomo iI. lib. IX. c. I. §. 4. lo nega quanto al primo Dedalo, e lo mette in dubbio quanto all’altro.
  33. Id. lib. 8. cap. 53. pag. 708. in fine.
  34. Id. lib. 1. cap. 35. pag. 85. lin. 28.
  35. Herodot. lib. 2. cap. 130. pag 166.
  36. Paus. lib. 6. cap. 18. in fine, pag. 497. [Due furono questi Atleti, che ebbero i primi l’onore di alzarsi una statua in Olimpia; uno per aver vinto col cesto nell’olimpiade lix., e l’altro per aver superati i pancraziasti nell’olimpiade lxi. Il secondo la fece di un tronco di fico, e il primo di legno di cipresso, ma assai più rozza.
  37. Paus. lib. 2. cap. 30. pag. 180. lin. 33.
  38. Schol. ad Arist. Nub. v. 828. [Clemente Alessandrino Cohort. ad Gen. num. 2. p. 20. per questo fatto mette anzi Diagora tra i più saggi e illuminati filosofi dell’antichità, come quello che così fece vedere, che giusta idea aveva degl'idoli, e delle divinità de’ suoi tempi; e si maraviglia che sia stato messo tra gli artisti. È da osservarsi ancora che secondo Clemente, la statua d’Ercole era piccola, perocché Diagora la prese in mano, dicendole, che voleva farne l’istesso uso, che già fatto ne aveva Euristeo d’una consimile.
  39. Lib. 9. cap. 3. pag. 816. lin. 19. e segg.
  40. Di molte altre statue, e simulacri di legno esistenti ancora a’ suoi tempi fa menzione Pausania principalmente nel libro 2.; tra gli altri di quello di Apollo Licio antichissimo fatto da Attolo Ateniese, e dedicatogli con un tempio in Argo da Danao, cap. 19. pag. 152. lin. 34.; e nello stesso tempio vi furono dedicati poco dopo da Ipermestra il simulacro di Venere, e quello di Mercurio lavorato da Epeo, lb. pag. 153. lin. 29. Aggiugne Pausania nel primo luogo citato, che crede fossero di legno tutti i simulacri dei primi tempi, e quelli principalmente, che facevano gli Egizj. In Roma, e in tutta l’Italia le statue degl’iddii si continuarono a far di legno, anche dopo trovato l’uso del marmo, e del bronzo, finché non vi s’introdusse il lusso dopo vinta l’Asia. Plin. lib. 34. c. 7. sect. 16. Può vedersi anche Guasco De l’Usage des stat. chap. XI. ove più a lungo tratta delle statue di legno presso gli antichi.
  41. Herod. lib. 2. cap. 129. pag. 166.
  42. Ai tempi di Pausania stavano ancora nella città di Corinto due simulacri di Bacco fatti di legno, e tutti dorati fuorché il volto, che era colorito di rosso col minio. V. lib. 2. cap. 2. pag. 115. lin. pen. Di una statua di Pallade si dirà al §. 12. appresso nota A.
  43. Mus. Hetr. Tom. I. Tab. 15. pag. 51.
  44. Cicer. ad Q. Fr. lib. 3. ep. 7.
  45. Non è probabile che siansi lavorate statue in avorio avanti che in marmo. Comeché dalla storia, e più ancora dalle ossa fossili d’elefanti che incontransi in grandissima copia in tutte le parti del globo, Trans. Filos., e Scelta d’opusc. interess. Vol. iiI. pag. 57., inferirsi debba che l’avorio fosse una volta molto più abbondante, che ora non è; pure esser mai non potea sì comune quanto le pietre e i marmi, ed è altronde più duro, e difficile a lavorarsi; sebbene gli antichi artefici avessero il segreto d’ammollirlo, come leggiamo in Plutarco, in opusc. An vitiositas etc. op. Tom. iI. pag.499. D. Se Omero rammenta varie manifatture in avorio, dobbiamo crederle piccoli lavori, o fregi apportati in Grecia per mezzo del traffico da’ paesi nativi degli elefanti. Seneca Ep. 90. ne ascrive l’invenzione a certo Democrito, menzionato pur da Laerzio Vit. phil. lib. 9 p. cap. 43., e ivi Menagio Tom. iI. pag. 410., ma nessuno dei due c’indica a quali tempi vivesse. Delle statue d’avorio sì greche, che romane ne da una copiosa notizia Francesco Giunio de Pict. vet. lib. 3. cap. 11. pag. 289.
  46. V. Paus. lib. 1. cap. 12. pag. 30. princ. et Casaub. ad Spart. pag. 20.
  47. Dion. Halic. Ant. Rom. l. 3. c. 61. p. 187. lin. 25., lib. 4. c. 74. pag. 257. lin. 28.
  48. Liv. lib. 5. cap. 22. num. 41.
  49. Polyb. lib. 6. pag. 495. in fine.
  50. Dionys. Hal. Ant. Rom. lib. 7. cap. 71. pag. 458. lin. 59.
  51. Xiph. Ner. pag. 161. in fine.
  52. Cioè, per lo più d’avorio si faceva il volto, le mani, e i piedi, come era un simulacro di Pallade in Egira, di cui il rimanente era di legno dorato, e dipinto a varj colori, Pausania lib. 7. cap. 26. pag. 592. l. 10. Tutta d'avorio era una Venere nuda, di cui arse Pimmalione di Cipro. Clem. Aless. Cohort. ad Gent. num. 4. pag. 51. princ.; siccome in Roma lo era la statua di Minerva nel foro di Augusto, Paus. lib. 8. cap. 46. p. 694. in fine; e quella di Giove nel tempio di Metello, Plinio lib. 36. cap. 5. sect. 4. num. 12. Il Giove Olimpico era d’avorio, e d’oro, Paus. lib. 5. cap. 11. pag. 400.
  53. Strab. Geogr. lib. 8. pag. 520. B. [D'avorio.
  54. Paus. lib. 7. cap. 27. princ. pag. 594.
  55. Nella Propontide. Plinio l. 5. in fine.
  56. Plin. lib. 36. cap. 15. sect. 22.
  57. Lib. 4. el. 7. v. 82.
  58. Cic. Verr. act. iI. lib. 4. cap. 46.
  59. Paus. lib. 2. cap. 1. in fine p. 113. princ.
  60. V’è in Roma chi possiede un dente di lupo, su cui sono scolpiti i dodici dei maggiori. [Forse il nostro Autore ha creduto che i denti del lupo non si calcinino stando lungo tempo sotterra, perché avrà veduto qualcuno di essi, che si è conservato da tempi antichi fino a noi. Ma questo non potrebbe mai essere un giusto argomento, altronde anche falso, perché si sono conservati dei pezzi di avorio, che secondo il di lui sentimento, e per tutta l’esperienza, si calcina, come si calcinano denti di altre bestie più duri di quelli del lupo. Il signor di Buffon Hist. natur. Tom. VII. des loups, pag. 46. ha osservato, che questa fiera nella vecchiaja li ha tutti logorati.
  61. Della calcinazione dell’avorio, e dei tanti lavori, che di esso si facevano presso gli antichi, può vedersi il Buonarroti Osservazioni istor. sopra alcuni medaglioni, pref. pag. XXII. segg. Di tavolette di avorio si solevano coprire anche i libri, e principalmente quei libretti, che si solevano distribuire dai consoli nelle feste, e spettacoli pubblici, che davano sul principio del loro consolato, e si chiamavano Dittici, come anche gli altri così coperti. In queste tavolette in basso-rilievo s’intagliava l’immagine del console vestito in abito proprio della sua dignità, i giuochi ec. Vegg. Gottofredo nelle note al Codice Teodosiano libro 15. tit. 9. l. 1., e il lodato Buonarroti Osservazioni sopra tre dittici antichi d’avorio nell’appendice alle Osservazioni sopra alcuni frammenti di vasi antichi ec. pag. 231. Tra i molti altri, che si sono conservati, due ne illustra il signor abate Olivieri in una particolar Dissertazione inserita nella Raccolta d’opusc. scientifici, T. XXXII. pag. 69., uno de’ quali molto bello, e pregiabile egli lo crede fatto in occasione delle nozze di Marco Aurelio.
  62. In Proconneso, ora Marmora, piccola isola dell’Asia minore, e quindi in Cizico, dopo soggiogati questi isolani. Pausania nel luogo da citarsi. Winkelmann ha equivocato con altre statue di Tirinto, delle quali discorre Pausania immediatamente avanti.
  63. Paus. lib. 8. cap. 46. pag. 694. lin. 32.
  64. Id. lib. 1. cap. 40. pag. 97. princ.
  65. Paus. Lib. 5. cap. 10. pag. 398. princ.
  66. Vit. Reth. Andocid. op. T. iI. p. 852. [Plutarco parla di una statua di Mercurio, e di un tripode dedicato da Andocide in un luogo sublime dalla parte di Porino Selino; non già di statue di Sileno, né di tufo.
  67. Gli scultori romani prima di usare nei loro lavori il travertino, usarono probabilmente il marmo albano, detto volgarmente peperino, come ne fa fede una testa giovanile coronata di lauro con molta diligenza scolpita, che si è trovata nel sepolcro degli Scipioni scoperto il dì 23. maggio 1780. nello scavo aperto col permesso dell’E(minentissim)o Camerlingo dai signori Sassi, in presenza del più volte lodato signor abate Visconti diligentissimo Presidente delle Antichità, che ne era specialmente incaricato da sua Eminenza: ed essendosi per ordine di nostro Signore felicemente regnante proseguito lo scavo, si rinvenne l'antichissimo sarcofago di Lucio Scipione Barbato intagliato eccellentemente anch’esso in un saldo peperino. Noi riparleremo di amendue questi monumenti più a lungo in appresso nel Tomo iI. libro XI. capo I. §. 2.
  68. Paus. lib. 7. cap. 23. pag. 582. l. 30. 31.
  69. Id. lib. 8. cap. 31. pag. 665. lin. 13.
  70. A’ tempi di Damofonte esistevano già statue intere di marmo, Paus. lib. 8. cap. 31. pag. 664. lin. 17. [e Damofonte stesso ne fece diverse tutte di marmo, come può vedersi presso lo stesso Pausania lib.4. c. 31. p. 377., e pag. seg. l. 23., l. 8. c. 37. p. 675. in fine.] Onde quelle di legno colle estremità di marmo furono probabilmente un raffinamento posteriore immaginato per dare ai lavori maggior varietà, [e forse per risparmio di tempo, e di spesa; perché di qualche statua così fatta abbiamo che fosse vestita di panni, come ci dice Pausania della citata statua di Giunone Lucina, che era coperta, e vestita da capo a piedi di un sottil velo, fuorché la faccia, e le estremità delle mani, e dei piedi, che erano di marmo pentelico. Alle statue di legno si formavano anche le dette parti con avorio, e il legno poi s’indorava, come abbiamo avvertito sopra al §. 12. nota A.
  71. Id. lib. 7. cap. 27. princ. pag. 594.
  72. Vitruv. lib. 2. cap. 8.
  73. Not. ad Scrip. hist. Aug. pag. 322.
  74. Triller. Obs. crit. lib. 4. c. 6., Paciaud. Mon. Pelop. Vol. iI. §. IV. pag. 44.
  75. Lib. 36. cap. 4. sect. 4. [Plinio dice, che intorno all’olimpiade l. si resero famosi nel lavorare in marmo Dipeno, e Scillide; e nel seguente capo al principio scrive, che vi furono scultori nell’isola di Scio fin dalle prime olimpiadi.
  76. E quelle di legno, e di bronzo, Pausania lib. 2. cap. 11. pag. 137. princ. Dionisio il giovane tiranno di Sicilia avendo fatta spogliare una statua di Giove della veste d’oro, la fece vestire, forse per irrisione, d’una di lana Clem. Aless. Cohort. ad Gent num. 4. pag. 46. lin. 7. segg. Da un passo di Tertulliano De Idololatr. c. 3. n. 3. op. Tom. I. p. 484. pare che si possa raccogliere, che nella Frigia si vestissero gl’idoli di abiti ricamati.
  77. Lib.7. c. 25. p. 590. l. 15. et lib. 2. c. 17. pag. 137. princ. [Pausania non dice che sia di marmo la statua d’Esculapio, ma soltanto che non sa se sia di legno, o di metallo.
  78. E di legno, come degli Egizj nota il Gori Mus. Etrusc. Tom. I. cl. 1. Tab. 15. p. 51.; e forse la Pallade in Egira, di cui si è parlato sopra §. 12. nota A., avea dipinte le vesti.
  79. Ecl. 7. v. 31.
  80. Sext. Emp. Pyrr. Hypot. lib. 1. cap. 14. §. 7. pag. 26. [S. Isidoro Orig. Lib. 16. cap. 5. princ. pag. 215. D.
  81. Paus. lib. 1. cap. 18. pag. 42. in fine. [Le statue di Adriano erano quattro, due di un marmo, e due dell’altro; né Pausania in questo luogo dice che avessero le estremità di marmo bianco.
  82. Plin. lib. 36. cap. 6. sect. 5.
  83. Vi scolpì una lira musicale. Clem. Aless. Pædagog. lib. 3. cap. 11. pag. 289. lin. 8.
  84. Paus. lib. 8. cap. 14. pag. 629. princ., lib. 9. cap. ult. pag. 796. princ., lib. 10. cap. 38. pag. 896. lin. 21.
  85. Herod. lib. 1. cap. 51 pag. 24.
  86. Id. lib. 1. cap. 70. pag. 24.
  87. Id. lib. 4. cap. 152. pag. 348.
  88. Id. lib. 5. cap. 69. pag. 421.
  89. Dionys. Halic. Ant. R. lib. 2. cap. 54. pag. 112. lin. 41.
  90. In Romulo, oper. Tom. I. pag. 33. [Parla della sola quadriga, e della statua di Romolo, esistenti l'una e l’altra nel tempio di Vulcano. Che vi fosse posta da Romolo l’iscrizione, in cui si parlava delle sue imprese, e che fosse scritta in lettere greche, lo dice Dionisio l. c.
  91. Lib. 4. cap. 26. pag. 221. in fine.
  92. Id. Lib. 5. cap. 25. pag. 284. lin. 44.
  93. Id. Lib. 5. cap. 35. p. 291. l. 28., Plutar. De virtut. mulier. op. Tom. iI. p. 250. E.
  94. Dionys. l. 8. cap. 79. p. 524. l. 79. [Plinio lib. 34. cap. 4. sect. 9.
  95. Plut. Sylla, oper. Tom. I. pag. 471. B.
  96. Si vuole che i Greci a luogo di sigillo abbiano usati de’ pezzi di legno corrosi da vermi, Θριπόβρωτος. Veggasi Prideaux Marmora Oxoniensia ex Arundellianis, Seldenianis, aliisque constata etc. pag. 43. [Tzetze ad Lycophronis Cassandr. v. 508., Giunio De Pict. vet. lib. 2. cap. 8. pag. 114.]; e v'è nel celebre museo del signor Barone di Stosch, Description des pierres gravées du cab. de Stosch, cl. 5. sect. 4. num. 214. pag. 513. una gemma incisa in maniera che imita le corrosioni fatte da un verme nel legno.
  97. De Bello Mitrid. pag. 251. E.
  98. Eurip. Hippol. Act. IV. v. 862., Plat. De Republ. lib. 2. princ. oper. Tom. iI. p. 359. lin. pen.
  99. Plin. lib. 37. cap. 8. sect. 37. [È il cavo stesso, ove s’incassa la pietra, che Plinio in questo luogo, e poco dopo cap. 9. sect. 42. chiama funda.
  100. Se ne formavano anche delle grandi colonne. S. Clemente, o altri che sia l’autore del libro delle Ricognizioni, al l. VII. c. XII. XIII. e XXVI., racconta, che s. Pietro fu pregato di trasferirsi in un tempio dell’isola di Arad, per vedervi un’opera degna di ammirazione; e ciò erano alcune colonne di vetro (se pure in luogo di vitreas, non va emendato viteas, di vite, come ivi nota Cotelerio) di una grandezza, e grossezza straordinaria. Il signor Goguet Della Origine delle leggi, delle arti, ec. Tom. iI. par. iI. lib. iI. capo iI. art. iiI. in fine, vuole che di vetro fossero le colonne del teatro di Scauro, così spiegando Plinio lib. 36. cap. 15. sect. 24. num. 7., come lo spiega ivi anche l’Arduino. Il passo è un poco oscuro: Scena ei triplex in altitudinem CCCLX. columnarum, in ea civitate, quæ sex Hymetias non tulerat fine probro civis amplissimi. Ima pars scenæ e marmore fuit: media e vitro, inaudito etiam postea genere luxuria: summa e tabulis inauratis. Qui pare che Plinio intenda di colonne di vetro; ma pel luogo, che riporteremo nella pag. seguente, pare che si debba intendere di altro lavoro di vetro. Il Passeri Lucernæ fictil. etc. tab. LXXI. pag. 67. vorrebbe che fossero bassi-rilievi. Dei lavori di vetro, e principalmente dei bicchieri, come anche dei vasi, che solevano mettersi nei sepolcri dai Cristiani con entro il sangue de’ martiri, si potrà leggere la prefazione, e l’opera intiera del senator Buonarroti: Osservazioni sopra alcuni frammenti di vasi antichi di vetro ornati di figure trovate nei cemeterj di Roma.
  101. Uno de’ frammenti delle tazze da bere, delle quali parla Winkelmann in questo luogo, con un avanzo di lavoro a rilievo, simile a quello, di cui parlano gli Editori Milanesi, lo abbiamo veduto nella bella raccolta, che ha fatto in genere di lavori di vetro antichi e moderni il sig. Reiffenstein, prussiano di nazione, e consigliere aulico di S.M. l'Imperatrice di tutte le Russie, che da molti anni fa conoscere in Roma, e fuori il suo amore, e gusto per le belle arti.
  102. Un’idea del lavoro in vetro qui indicato dal nostro Autore, e un argomento dell’abilità degli antichi artefici l’abbiamo in una pregevolissima antica tazza scopertasi circa l'anno 1715. sul Novarese, posseduta già dal sig. D. Everardo Visconte Marchese di sant’Alessandro, ed esistente ora nel ricco Museo del sig. D. Carlo de’ Marchesi Trivulsi, che non solo gentilmente ci ha permesso di farla disegnare, qual si vede alla fine di questo capo nella vera sua grandezza, ma ci ha pur comunicate su di essa delle giudiziose osservazioni, che inseriamo in questa nota: La tazza esteriormente è reticolata, e la rete è ben tre linee distante dalla coppa, a cui è unita per mezzo di sottilissimi fili, o asticelle di vetro distribuite in quasi eguali distanze fra di loro. Al di sotto del labbro, in caratteri prominenti e staccati dal fondo, come la rete, per mezzo d'asticelle lunghe due linee o poco più, gira intorno questa iscrizione: BIBE VIVAS MULTIS ANNIS: la quale è una di quelle acclamazioni convivali, che secondo l’osservazione del Buonarroti, Osservazioni sopra alcuni frammenti ec. tav. XV. pag. 98., cav. XIX. pag. 212., metter soleano gli antichi sulle tazze di vetro. Questa non ha piede né base, come non l’aveano molte tazze antiche; onde per sostenerle ritte era d’uopo d’una base incavata nel mezzo, che engytheca, o angotheca chiamavasi. V. Buonarr. cit. pag. 212., e Venuti Dissert. sopra i coli vinarj degli ant. Tom. I. Saggi di diss. dell’Accad. di Cortona, dissert. VII. pag. 83. I caratteri dell’iscrizione sono di color verde, e azzurra è la rete: amendue assai lucenti. La coppa ha il colore dell’opalo, quel misto cioè di rosso, bianco, giallo, e azzurro, che acquistar sogliono i vetri quando stanno lungamente sotterra, Boldetti Osserv. sopra i cimit. di Roma, T. I. lib. I. c. 38. p. 185.; colore che nasce dalle sottilissime e impercettibili laminette vitree, che sollevansi nella superficie. [Se pure questo colore non gli fu dato dall’artista, come si dava al vetro per farne gemme false, Plinio lib. 37. cap. 16. sect. 22., e forse anche bicchieri, come pare si abbia dallo stesso Plinio lib. 36. cap. 16. sect. 67.] In quella tazza certamente né la rete né i caratteri furonvi saldati in alcun modo; ma il tutto è stato lavorato al torno su una soda massa di vetro freddo colla ruota, nella stessa guisa in cui si fanno i camei. L’azione della ruota scorgesi ad evidenza nelle asticelle, le quali riescono più o meno angolose, secondo che quella più o meno ha potuto girarvi dentro. Di tal maniera di lavoro parla Plinio lib. 36. cap. 26. sect. 66. descrivendo i varj modi, con cui a’ suoi tempi si dava la forma al vetro cavato dalla fornace. Essendone estratto per la prima volta, dic’egli, ora fondesi di nuovo, e tingesi d’un qualche colore, ora col soffio se gli dà quella figura che più piace, ora lavorasi al torno, e qualche volta ancora s’incide come l’argento. La città di Sidone, al dire del medesimo Storico, celebre si rendette per siffatti lavori, i quali sotto il nome di vasi murrhini crebbero in tanto pregio che a’ tempi di Nerone due ne furono pagati sei mila sesterzj.
  103. Meriterebbero una particolare illustrazione, Plinio lib. 36. cap. 25. sect. 64., ove scrive: Pulsa deinde ex humo pavimenta in cameras transiere, e vitro: novitium et hoc inventum. Agrippa certe in Thermis, quas Romæ, fecit, figlinum opus encausto pinxit: in reliquis albaria adornavit: non dubie vitreas facturus cameras, si prius inventum id fuisset, aut a parietibus scenæ, ut diximus, Scauri, pervenisset in cameras; e Seneca Epist. 86.: Pauper sibi videtur, et sordidus etc., nisi vitro absconditur camera. Arduino li spiega di lavori di pezzetti di pasta di vetro a musaico; Buonarroti Osserv. istor. sopra alc. medagl. pref. pag. XVI. crede si debbano intendere quei lavori, che dice il nostro Autore appresso nel §. 22; e Dutens Origine des decouvertes attrib. aux modern. Tom. iI. ch. X. §. 276. pag. 218. di grandi specchi, come si usa a’ dì nostri adornare gli appartamenti. Potrebbe anche dirsi, che con espressioni così forti, e piene di maraviglia quegli scrittori abbiano voluto intendere di un lavoro più grande, cioè che con gran lastre di pasta di vetro, forse di diversi colori, si coprissero non solo i pavimenti interi, ma anche le pareti delle stanze, e le volte; se pure queste non erano a bassi-rilievi, o fregi, come pare che fossero le volte del bagno di Claudio Etrusco, del quale cantava Stazio Sylv. lib. 1. cap. 5. v. 42.:

    Effulgent camera, vario fastigia vitro
    In species, animosque nitent.

    Plinio dice, che dal pavimento il lavoro di pasta di vetro passò alle volte, in cameras, colla qual parola probabilmente intendeva anche le pareti. Ora gli antichi solevano fare il pavimento tutto di un pezzo di tali paste, o almeno di più pezzi così perfettamente uniti, che non era possibile scorgervi commessure. Il Passeri Lucernæ fictiles etc. tab. LXXI. pag. 67. attesta di aver veduti simili pavimenti, senza però dire di che grandezza, in alcune antiche camere sotterranee in una vigna di Roma tra la porta Capena, e la chiesa de’ Ss. Nereo, ed Achilleo. Uno era di color verde tutto eguale, dell’altezza di mezz’oncia; e per quanto diligentemente lo esaminasse non potè accorgersi, che vi fossero stati impiegati a farlo più pezzi. Onde ei crede, che avessero gli antichi delle macchine, ed istrumenti portatili per fondere, e gettare quelle gran lastre ovunque volevano. Simile a questo pavimento sarà stato quello, che dice Winkelmann dell’Isola Farnese; e l’uno e gli altri ci persuadono, che fossero molto in uso presso gli antichi doviziosi; e che i detti scrittori di essi forse intendessero parlare. Non escludo per altro il musaico, del quale meglio si parlerà in appresso.

  104. Anche nell’originale tedesco Winkelmann usa qui, e dopo nel §. 30. una parola, che corrisponde all’italiana fondere; ma dal senso istesso si capisce, che è un termine improprio; perocché fondendosi questi fili sottilissimi non produrrebbero mai l'effetto, che egli va esponendo. Volea dunque scrivere, mollificare.
  105. Lib. 35. cap. 6. sect. 30. [Plinio in molti luoghi racconta, che si falsificava ogni sorte di pietre preziose in maniera, che difficilmente si distinguevano; così dell’opalo, come si è detto poc’anzi, lib. 37. cap. 6. sect. 22.; del carbonchio, ivi cap. 7. sect. 26.; del jaspide, cap. 8. sect. 37.; del giacinto, del zaffiro, e di tutti i colori, lib. 36. cap. 26. sect. 67. Può vedersi anche il Galeotti Museum Odescalc. præfat. §. XX. pag. XXII. Il Buonarroti Osservaz. istoric. sopra alcuni medagl. prefaz. pag. XVI. scrive, che si veggono in questo genere camei, e intagli per ordinario di buon disegno, impressi colle stampe, come si conosce da molti vetri, che si trovano, i quali non sono ancora finiti di ripulire, e ritondare, e hanno tuttavia quell’avanzo, e sbavatura di vetro. Aggiugne però che crede che qualche volta anche s’intagliasse il vetro per farne camei.
  106. Tutto ciò che sin qui ha detto Winkelmann intorno agli antichi lavori di paste di vetro, gli fu comunicato dal di lui amico signor consigliere Reiffenstein sopralodato, presso del quale non solamente avea spesse volte osservata la collezione di lavori di vetri, che rammentammo poc’anzi, ma ancora le esperienze, e produzioni fatte dal medesimo per rimettere in uso cotesti lavori curiosi insieme ed utili, de’ quali erasi perduto il meccanismo, se sene eccettuino le impronte d’intagli, perfezionate in questi ultimi tempi dal signor Hamberg, e dal sig. barone di Stosch. Winkelmann di fatti parla di queste esperienze, e tentativi nel supplemento alla prima edizione di questa Storia, sul fine del primo capo pag. 9., dandovi notizia del loro buon esito, e indicando particolarmente la riuscita de’ camei dalla forma annulare similissima a’ camei effettivi sino alla grandezza d’un palmo in lungo; e di altri lavori o consimili agli antichi, o affatto nuovi, come quello, per esempio, di far comparire camei fra due lastre di vetro trasparenti, quasi ermeticamente sigillate al fuoco, ove si mirano come tanti insetti nell’ambra rinchiusi. Ho ammirati anch’io tali lavori, e parecchi altri ad uso di musaico fatto di fili, che si trovano nella stessa raccolta. La maggior parte di queste esperienze, e ritrovamenti si fecero qui in Roma negli anni 1764. e 1765.; e avendone l’inventore comunicato in parte il segreto a diverse persone, ne furono fatti, e continuano a farsi in quella città, e quindi anche in Londra, in Francia, e in Germania, più o meno felicemente, camei, ed altre impronte di pasta di vetro, con quel vantaggio delle belle arti, che accenna il signor Heyne nel riferito elogio del nostro Autore, pag. lxxj.
  107. Plin. lib. 36. cap. 25. sect. 64., et Vopisc. in Firm. cap. 3.
  108. Osservazioni istoriche sopra alcuni medaglioni antichi, pag. 437.
  109. È considerabile un altro basso-rilievo anche più lungo d’un palmo, distinto in tre celle, nelle quali si veggono le statuette di Apollo, e di due muse, riportato dal Passeri Lucernæ fictiles musei Passerii, tab. LXXVI., che il signor abate Olivieri nella citata Dissertazione sopra due tavole di avorio, p. 69. dice lavoro di eccellentissimo artefice, e superiore ai tempi dell’imperator Filippo. Lo stesso Passeri alla tav. XC. in fine pag. 76. scrive, che possedeva un basso-rilievo di tal fatta, rappresentante un Taurobolio, lungo quasi tre piedi, e illustrato dall’anzidetto Olivieri.
  110. Il vaso, di cui parla il nostro autore, custodito nel museo Barberini, fu trovato dentro un’urna, detta l’urna di Alessandro Severo, che si conserva nel museo Capitolino. Monsignor Foggini nel quarto volume di questo museo dà in più tavole in rame il disegno dell’una, e dell’altro: cioè dell’urna, nella tavola I. il. iiI. IV., e del vaso nella pagina 1., ove racconta minutamente la storia del luogo, ove furono disotterrati, e del tempo, colle diverse spiegazioni che ne fecero allora gli eruditi. Michelangelo de la Chausse nella esposizione della tavola 60. citata dal nostro Autore qui appresso afferma essere stata comune opinione in quel tempo, che le figure scolpitevi piuttosto dovessero riferirsi ad Alessandro il Grande, anziché ad Alessandro Severo: al qual pensamento vuole Foggini, che desse per avventura occasione una delle facciate del vaso, nella quale si vede una donna mezzo nuda sedente, che tiene in seno un dragone; imperocché pare che essa manifestamente rappresenti la favola di Olimpia quando si giacque con Giove Ammone, e ne concepì Alessandro il Grande. Egli poi stima assai più giusta, e sicura l'opinione del conte Girolamo Tezi nelle sue Ædes Barberinæ, pag. 27., il quale pensò che vi sia figurato il sogno, che ebbe Giulia Mammea il giorno avanti di partorire Alessandro Severo, nel quale pareale di dare alla luce un serpente di color porporino, secondo la testimonianza di Lampridio nella di lui vita. Con questa spiegazione, e quella delle altre figure inclina a credere che sì l’urna che il vaso appartengano veramente all'imperatore Alessandro Severo: e con ragioni fa vedere, che nessuno fin ora ha potuto dimostrare falsa questa opinione ormai divenuta la più comune. Ma di tutto ciò si parlerà più a proposito nel Tomo iI. lib. XII. cap. iI. §. 18.
  111. La Chausse Mus. Rom. Tom. I. sect. 1. tab. 60. pag. 42. [Lo dice di una pietra simile all’agata. Monsignor Foggini loc. cit. p. 401. scrive, che è di una plastica di color simile all’ametisto. Gli editori del Mercure de France, août 1757. pag. 149. e 150. vogliono, che sia pure d’una pasta di vetro un vaso di grandezza considerabile, che si mostra in Genova, e si pretende di smeraldo; quale non può essere, vedendosi pieno di gonfietti, e di bolle. Io non posso dire se sia anche di pasta di vetro il bellissimo vaso con figure, che si vuole intagliato in agata, nel museo del serenissimo Duca di Modena. Parla di esso il marchese Scipione Maffei nelle Osserv. letter. Tom. iI. art. 9. pag. 339., e ne dà la figura, e la descrizione monsignor Bianchini nelle sue opere minori, Tom. I. pag. 92. Il signor Goguet Della Orig. delle leggi, delle arti, ec, Tom. iI. p. iI. lib. iI. cap. iI. art. iiI. crede, che fossero di pasta consimile colorita la colonna del tempio di Ercole a Tiro, che la notte diffondeva un chiarore maraviglioso, creduta di un solo smeraldo, di cui parla Erodoto lib. 2. cap. 44. pag. 124., e Plinio lib. 37. cap. 5. sect. 19.; la statua gigantesca del dio Serapi, alta nove cubiti, fatta d’un solo smeraldo, che Appione presso Plinio l. c. diceva sussistere ancora a’ suoi tempi nel laberinto di Egitto; così della statua di Minerva Lindia alta quattro cubiti, pure d’un solo smeraldo, opera di Dipeno e Scillide, che al dire di Cedreno Compend. historiarum, c. 120. pag. 312. B. si vedeva in Costantinopoli sotto il regno dell’imperator Teodosio; e così di altri supposti straordinarj pezzi di smeraldo, de’ quali parlano Plinio allo stesso luogo, e Teofrasto da lui citato.
  112. Non sarà qui fuor di proposito il rammentare le diverse altre materie usate dagli antichi artefici. Si foggiarono statue di succino, ossia ambra, piccole bensì, ma assai pregiate. L’ambra diceasi pure con nome greco electrum; nome dato poscia a certa composizione d’oro e d’argento, Plin. lib. 33. cap. 4. sect. 23., Pausan. lib. 5. cap. 12. p. 406. in fine, Tertullian. Adv. Hermogen. c. XXV. [l. Pediculis 32. §. Neratius 5. ff. De auro, arg. leg., l. Si quis in fundi 4. princ. ff. De legat. 1., §. Si duorum 27. Inst. De rer. div.], in cui si mischiarono anche delle pietruzze, e vetri, ed altre materie metalliche, Suid. v. ἤλεκτρον. Si videro pure statue di vetro, Plin. lib. 36. cap. 26. sect. 67.; di ferro, Paus. lib. 3. cap. 12. pag. 337. lin. 36., lib. 10. c. 18. pag. 841. lin. 26. segg., Plin. lib. 34. cap. 14. sect. 40.; di ossa, Arnob. Adv. gentes, lib. 6. pag. 200.; di piombo, Publ. Victor De Urb. reg. VI.; di cera, Appian. De bello civ. lib. 2. pag. 520. E., Ovid. lib. 1. Fast. v. 591., [Statius Sylv. lib. 2. cap. 2. v. 64., e lib. 5. princ.]; e in fine di gesso, Plin. lib. 36. cap. 12. sect. 44. 45., Paus. lib. 8. cap. 22. pag. 641. lin. 36., [Tertull. De Idolol. c. 3. num. 3. pag. 484.], di cui tant’uso fa la statuaria oggidì. [Nota cavata da Giunio De Pict. vet. lib. 2. cap. 11. pag. 290. e segg., ove possono vedersi per esteso la maggior parte dei passi degli autori citati dagli Editori Milanesi.