Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VII/Libro II/Capo III

Capo III – Storia naturale, Anatomia, Medicina

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Capo III – Storia naturale, Anatomia, Medicina
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[p. 863 modifica]SECOJi DO SG3 scrittori, troverebbe per avventura in essi i semi di quelle massime e di que principii che furon poscia da altri più leggiadramente spiegati e disposti in ordin migliore. E se gli autori medesimi potessero ora tornar fra noi, e ripetere da’ moderni ciò che hanno loro involato, forse chi va or lieto e superbo di vaghi ornamenti, si vedrebbe in gran parte spogliato e costretto a confessare di essersi arricchito delle altrui spoglie. Capo III. Storia naturale, Anatomia, Medicina. I. Mentre un sì gran numero di dotti scrittori italiani, quanti ne abbiamo o rammentati o accennati nel precedente capo, si adoperavano studiosamente in ricercareJe leggi e nello spiegare i fenomeni della natura, altri si volsero a esaminarne attentamente le produzioni, e ad investigare le proprietà, l’indole, le virtù de vegetabili, dei’ minerali e de’ viventi. Le molte edizioni fatte fin del secolo precedente della Storia naturale di Plinio, la traduzion pubblicatane in lingua italiana da Cristoforo Landino, i Comenti con cui Ermolao Barbaro, Niccolò Leoniceno e più altri aveanla illustrata, molto di luce avean già sparso su questa scienza. Altre edizioni se ne fecero in Italia nel corso ancora del secolo di cui scriviamo, e due altre traduzioni italiane ne uscirono alla luce, cioè quella di Antonio Brucioli e quella di [p. 864 modifica]8(>4 LIBRO Lodovico Domenichi, che la dedicò ad Alberigo Cibo Malaspina marchese di Massa e signor di Carrara. Molto ancora erasi affaticato nell illustrarla Augusto Valdo, detto ancor Baldo, padovano. che dopo aver fatti lunghissimi viaggi era stato chiamato professore a Roma. Ma nel funesto sacco dell’an 1527, ebbe il dolore di esser fatto prigione, e vedersi svaligiare la casa, ed ardere ad uso della cucina e stracciare innanzi ai’ suoi occhi le sue fatiche; ed egli medesimo, dopo aver sofferti tormenti e disagi gravissimi, finì presto di vivere, come fu creduto, per fame (Valer. De. infelic. L'iter. I. i, p. Ma benchè la Storia naturale di Plinio, come nel parlar di essa abbiam dimostrato, debba aversi in gran pregio, troppo è lungi però dal potersi ella considerare come un compito e perfetto trattato di questa sì vasta scienza. Conveniva dunque accingersi a nuove ricerche, consultare altri antichi scrittori che qualche parte ne aveano illustrata, esaminar le loro opinioni, e soprattutto, osservando minutamente le produzioni tutte de’ tre regni della natura, supplire alle loro ommissioni e correggere i loro errori. Con qual felice successo a ciò si applicassero gl’ingegni italiani,il vedremo nella prima parte di questo capo; e da ciò che verremo osservando, si comprenderà chiaramente che ancor questa scienza è debitrice in gran parte all’Italia di quella luce a cui è stata condotta. 11. E per cominciare da’ vegetabili, sotto il qual nome comprendonsi i semplici, l’erbe tutte, i fiori e le piante, qual fosse l impegno [p. 865 modifica]SECONDO 8G5 degl’italiani nel coltivar questa scienza, si può bastevolmente raccogliere dalle molte edizioni che de’ libri della Storia e della Materia medicinale di Dioscoride tra noi si videro, oltre qualche più antica versione che se ne avea. Fin dal secolo precedente Ermolao Barbaro il giovane aveali traslatati di greco in latino. Un’altra version latina ne fu pubblicata in Firenze nel 1518, fatta da Marcello Virgilio Adriani gentiluomo fiorentino (Mazzucch. Scritt. it. t. 1, par. 1, p. 156) (*)J e finalmente più corretti ancora nella stessa lingua ce li diede il Mattioli, di cui fra poco diremo. Ma non bastava aver Dioscoride volto in latino, se non se ne rendeva ancor più agevole l’intelligenza col recarlo in lingua italiana Fausto da Longiano fu il primo a tentare l’impresa, e la traduzion da lui fatta venne a luce in Venezia nel 1542, e fu da lui dedicata ad Argentina Palla vicina Rangoue moglie del co Guido Rangone, di cui parlando nella dedica il Fausto, il mio Signore, le dice, come a cui non era occulto (*) Marcello Virgilio Adriani, da noi a questo luogo solo accennato, era degno di più distinta menzione. Ki fu professore di belle lettere e cancelliere del Pubblico in Firenze, dotto nella lingua latina e greca, c avuto in molto pregio per la sua eloquenza. Mori a’ 27 ili novembre del i5ai, c di lui ha parlalo diligentemente il co. Mazzucchelli (Scria, ital. t. 1, par. 1. p. i56). Mu a ciò ch’ei ne dice, più altre notizie si possono aggiognere tratte dalla prefazione del eh. canonico liaudim

dla sua opera intitolata Collectio veterani Monunicntnrum, ove ancora egli ha pubblicate più lettere ad csìo

scritte (p. 22, ec.). TlRABOSCHl, Voi. XI. [p. 866 modifica]866 i,i duo ulcun segreto ilei cielo, de la terra, e de l'abisso, per beneficio universale m impose a traportare questo libro ne la più comune lingua. Marcantonio Montigiano natio di S. Giminiano in Toscana ne pubblicò un’altra versione nel 1546. Ma la più pregevole, perchè accompagnata da ampii commenti e da lunghi discorsi sulla materia medesima, fu quella di Pier Andrea Mattioli, la cui prima edizione in lingua italiana fu fatta in Venezia nel 1544 (Paltoni, Iìibl. de Volgarizz. t. 1, p. 307); seguita poi da molle a’tre, parte nella medesima lingua, parte nella latina, nella quale i Discorsi del Mattioli furono la prima volta stampati in Venezia nel 1554- 1° 11011 ho veduta la Vita che di questo grand’uomo ha scritta il sig. ab Fabiani sanese ma mi gioverò del compendio che ne abbiamo negli Elogi degl’illustri Toscani (t 1), e di altre notizie che altronde ne ho potuto raccogliere. Egli era sanese di patria e nato nel 1501; perciocchè nella lettera dedicatoria all’ arciduchessa Giovanna d’ Austria principessa di Toscana della edizione del suo Dioscoride, fatta in Venezia nel 1568, nel qual anno pure è segnata la lettera, dice che allora contava 67’anni. Il Papadopoli, sulla fede del Tommasini, racconta (Hist. Gymn. patav, t. 2, p. 231, ec.) ch’ei passò i primi anni con Francesco suo padre in Venezia ove questi esercitava la medicina) che mandato poscia a Padova, dopo avervi apprese le lingue latina e greca, fu costretto a volgersi alla giurisprudenza 5 ma che egli poco curandola, si diè tutto allo studio della medicina j che mortogli poscia il padre, la [p. 867 modifica]SECONDO St>7 vedova madre non potendo sostenere la spesa di mantenerlo agli studii, il richiamò a Siena, ov’egli esercitando quell'arte, arricchitosi in breve tempo, lasciata quasi del tutto la pratica, prese a coltivare più tranquillamente quello studio medesimo. Ma questo racconto non è esatto, perciocchè è certo che il Mattioli venuto a Roma sul (fine del pontificato di Leon X, cioè in età ancora assai giovanile, vi stette fino al 1527. Ed egli medesimo fa menzione del suo soggiorno in quella città a tempi di Adriano VI (Dial de Morbo gall. p. 233, ed. Francof. 1598). Negli Elogi degl'illustri Toscani si afferma ch’ei fu in Siena scolaro di Ugo Benzi. Ma se altro medico di questo nome non v’ ebbe che quegli di cui abbiamo alla stampa più opere, ei non potè certamente esser maestro del Mattioli, poichè abbiamo veduto ch’ei finì di vivere prima della metà del secolo precedente. Io credo che da Roma ei passasse o immediatamente, o dopo breve intervallo, alla corte del Cardinal Bernardo Clesio vescovo e principe di Trento, come dalle cose che or ne diremo, sarà manifesto. Giovanni Odorico Melchiorri trentino, in una sua lettera al Mattioli (Matth. Epist. medicin, l. 5), gli ricorda che quel cardinale cancelliere del re de’ Romani avealo avuto in sì grande stima, che il volea sempre a suoi fianchi, e che non solo nelle cose spettanti alla sua sanità, ma anche ne’ più grandi affari voleane udire il consiglio; tanto egli pregiavane non solo la dottrina, ma ancora il senno; che quattordici anni era il Mattioli vissuto nella valle Anania nel distretto di Trento, e che ivi tutti que’ popoli [p. 868 modifica]865 LIBRO ne avcano ammirata la probità, l’innocenza e la cortesia per modo, che quando ei ne partì, uomini e donne co lor figliuoli l’accompagnaron piangendo per lungo tratto di via, chiamandolo ad alta voce loro benefattore e padre. Il Mattioli medesimo rammenta il suo soggiorno in que’ luoghi nella lettera dedicatoria della’edizione del suo Dioscoride del 1549 al Cardinal Madruccio: al che non poco mi ha favorito il Cielo per avermi dato lungamente in habitazione la fluidissima valle Anania del distretto della Città di Trento. Da Trento passò il Mattioli a Gorizia ad esercitare ivi pure la medicina; e qual fama egli vi ottenesse, Pabbiain nella lettera del Melchiorri poc’ anzi citata. Perciocchè egli dice che il Mattioli vi era sommamente onorato da tutti, e provveduto di assai ampio stipendio; ch essendogli in una notte perita in un incendio la casa con tutto ciò ch’egli avea, il dì vegnente tutti que’cittadini e ancor le più gravi matrone gli recarono a gara e supellettili e danari, per modo ch’ei ne fu più ricco di prima, e che il magistrato ordinò che gli fosse tosto pagato lo stipendio di un anno, che quando ei dovette partirne per recarsi alla corte dell’arciduca Ferdinando, que’ cittadini gli fecer dono di una collana d'oro, vollero che destinasse ei medesimo il suo successore, e scrissero all’arciduca che se mai il Mattioli dovesse un giorno partir dalla corte, a loro il rendesse. Dodici anni, come afferma il Melchiorri, si trattenne il Mattioli in Gorizia; finchè per la fama sparsa del suo nome, Ferdinando re de Romani il volle seco, e il nominò [p. 869 modifica]SECONDO 869 medico delParciduca Ferdinando suo secondogenito. Ciò accadde l an 1554 5 perciocché il Mattioli nella dedica a lui fatta del suo Dioscoride latino, e segnata l’ultimo di gennaio del 1565, dice che già da dieci anni trovavasi a quella corte. Nel suo lungo soggiorno alla corte Cesarea fu il Mattioli sommamente onorato dal re de’ Romani e poi imperador Ferdinando, il quale con suo diploma del 1562 il dichiarò Consigliere Aulico e Nobile Quartato del S. R. Impero, stendendone il privilegio a tutti i discendenti; e quando il Mattioli ebbe ivi dalla seconda sua moglie un figlio, Ferdinando insieme cogli ambasciadori di Francia e di Polonia volle levarlo al sacro fonte e imporgli il suo proprio nome; e il figlio fu in parte erede della fama e degli onori del padre, essendo stato trascelto a primo suo medico da Giangiorgio elettor di Sassonia. L imp Massimiliano II, succeduto al padre, non lo ebbe men caro; e volle che Farciduca suo fratello a lui il cedesse, e sollevollo all’ onore di Ì)rimo suo medico. Finalmente carico d’anni e logoro dalle fatiche chiese dalla corte il congedo, e ritirossi a Trento per passarvi tranquillamente l’estrema vecchiezza. Ma poco appresso morì ivi di peste nel, c fu in quella cattedrale onorevolmente sepolto. Ebbe tre mogli, una detta Elisabetta, di cui non si sa la famiglia, da lui presa nel suo soggiorno presso Trento; la seconda Girolama del Friuli; la terza Susanna Cherubina di Trento; e da tutte ebbe figli, niuno de’ quali però, trattone [p. 870 modifica]870 li uno Ferdinando nominato poc’anzi, seguì le gloriose ves ti già del padre (*). III. Tanti e sì segnalati onori, a’ quali il Mattioli fu sollevato, si dovettero principalmente allo studio da lui posto nell’ illustrare Dioscoride. E veramente niun’opera uscì mai per avventura alla luce, che fosse e favorita ugualmente dalla munificenza de’ principi, e ugualmente accolta con encomii e con plausi. Nella dedica all’ imp Massimiliano II e agli altri principi dell'Impero, da lui premessa alla latina edizione del 1558, il Mattioli ricorda da prima quelli che nell’ illustrare la Materia medica innanzi a lui si erano esercitati, cioè Ermolao Barbaro, Niccolò Leoniceno, Giovanni Manardo, Giovanni Ruellio, Marcello Virgilio Adriani, Leonardo Fuchsio, Antonio Musa Brasavola, Jacopo Silvio, Luigi Mondella, tutti italiani T se se ne traggano il Ruellio, il Silvio e il Fuchsio. Quindi espone la diligenza e lo studio con cui egli erasi accinto a conoscere e a sviluppare sì vasto argomento, e accenna i viaggi che avea intrapresi per monti e per selve, per laghi e per fiumi, e perfino per entro alla sotterranee caverne. Più lungamente poscia si stende in esporre (*) Due lettere originali fiel Mattioli conservami in questo ducale archivio, una da lui scritta all’ ambasciatore del duca di Ferrara in Venezia a’ 24 di maggio del i^65 da Praga, ov’egli dice di esser poc’anzi arrivalo; f altra dalla stessa cillà a’ 23 di giugno del delio anno al medesimo dura, a cui manda i suoi Comenti su Dioscoridc, e dice che sono undici anni che è al sci vizio della casa d’Austria. [p. 871 modifica]seco.vdo 871 gli aiuti che a condurre a fine e a pubblicare un’ opera sì dispendiosa avea ricevuti, e nomina due imperadori Ferdinando e Massimiliano e i due arciduchi Ferdinando e Carlo, da’ quali avea avute a tal fine somme non picciole di denaro, Augusto duca di Sassonia, che molto denaro parimente gli avea trasmesso, Federico conte palatino del Reno, Gioachino marchese di Brandeburgo, il Cardinal Cristoforo Madrucci vescovo e principe di Trento, l arcivescovo e principe di Salisburgo, Alberto duca di Baviera, Guglielmo duca di Cleves, Giovanni Alberto duca di Maddeburgo e la città di Norimberga e Giovanni Novio medico del duca di Baviera, da’ quali tutti avea avuti grandi soccorsi. Indi con quella sincerità che di ogni uomo veramente dotto suol esser propria, loda molti eruditi medici e filosofi, de’ lumi de quali erasi non poco giovato. E nomina principalmente Luca Ghini, di cui diremo tra poco, Ulisse Aldrovandi, il Melchiorri sopraccitato, Francesco Pattino da Roveredo, Girolamo Donzellini bresciano, Augerio di Rusbeck fiammingo inviato imperiale a Costantinopoli, da cui, oltre alcune rarissime piante, avea ancor ricevuti alcuni antichissimi esemplari di Dioscoride, Jacopo Antonio Cortusio padovano, Bernardino Trevisano, Francesco Calzolari veronese e Angelo di lui figliuolo, Cecchino Martinelli da Ravenna, il quale da Damasco in Soria molte piante gli avea trasmesse j e finalmente Giorgio Liberale e Volfango Majerpeck, i quali esattamente aveano delineate e dipinte le figure tutte alla sua opera necessarie. In tal maniera l'Italia [p. 872 modifica]8 LIBRO e fAllemagna tutta sembrarono cospirare in-: sicrne a render sempre più esatta questa grande opera. In fatti grandissimo è il numero dell edizioni che e nella lingua latina e nell italiana ' ne furon fatte; e vivente ancora il Mattioli ella fu tradotta e più volte stampata in francese e in tedesco. Girolamo Donzellini, in una sua lettera al Mattioli, afferma (Matth. Epist. medicin. l. 4) che lo stampatore Valgrisi, da’ cui torchi uscirono quasi tutte le edizioni di quest’opera fatte in Italia, aveagli detto elio p:ù di trentaduernila copie aveane egli vendute, e che nondimeno essa era ancora da molti avidamente cercata; e il Melchiorri, scrivendo al medesimo Mattioli (ib.l.5), oltre il confermar questo fatto, aggiugne ch egli avea udito che ne erano state richieste copie perfino dalla Soria, dalla Persia e dall Egitto, e che uno aveagli narrato di averla veduta ancora in Tessalonica tradotta in lingua ebraica. Non mancarono però al Mattioli avversarii e rivali. E uno de più fieri tra essi fu Giovanni Rodriguez da Castelblanco, che avendo pubblicati sotto il nome di Amato Lusitano i suoi Comenti sopra Dioscoride nel 1554 e essendosi in essi giovato non poco di que’ del Mattioli, ardì nondimeno di criticarlo e di morderlo frequentemente. Ma il Mattioli tal gli fece risposta con una Apologia, che pur si ha alle stampe, che ridusse il suo avversario al silenzio. Melchiorre Guilandino prussiano pubblicò egli pure nel 1558 un libro contro del Mattioli, intitolato Theon, in cui fa un'amara e sanguinosa critica de Discorsi di Dioscoride. E il Mattioli con non minore asprezza gli [p. 873 modifica]SECONDO 873 replicò così in alcune sue lettere, come in una disputa data alla luce nel 1562 contro venti problemi del Guilandino. Bartolommeo Maranta ancora nella sua opera, che rammenteremo tra poco, impugnò in qualche punto il Mattioli, e questi parve che se ne risentisse non poco; ma una ufficiosa lettera che il Maranta gli scrisse, ne calmò lo sdegno, e gli ottenne dal Mattioli una non meno ufficiosa risposta (ib. l. 4). Una lettera però di Gianvincenzo Pinelli sembra indicarci che la discordia si riaccendesse presto tra loro, e più caldamente che prima (Pan tu zzi, Vita di Ul. Aldrovandi p. 227). Ma qual ne fosse Teffetto e il fine, non ne trovo indicio. Il Mattioli potè agevolmente prender conforto e coraggio contro de’ suoi rivali al vedere l applauso con cui comunemente la sua opera fu ricevuta, e gli elogi con cui venne onorata. Basti fra tutti quello del dottissimo Falloppio che parlando di quest opera così ne dice: In divinis illis Commentariis, quae doctissimus Petrus Andreas Matthiolus Philosophus ac Medicus Senensis celeberrimus patriae atque etiam totius Italiae decus atque ornamentum non solum ad explicandum Dioscoridem, sed ad illustrandam cunctam plantarum ac metallorum ne dicam animalium quoque historiam doctissime ac elegantissime conscripsit (Observat. Anatom. Op. t. 1, p. 180, ed. T en. 1606). E più ancora ne sarebbe egli stato lieto e contento, se avesse potuto prevedere che anche ai nostri tempi, ne quali la storia naturale è tanto più rischiarata e posta in ordin tanto migliore, benchè in molte cose si siano in quella sua opera scoperti errori, [p. 874 modifica]874 LIBRO e in molte si brami maggior esattezza, e benchè ora ella non sia sì avidamente cercata, come a’ suoi tempi, i saggi conoscitori nondimeno e i più esperti giudici di questa scienza fhanno ancora in gran conto, e ne rimirano l autore come uno de’ più dotti e de più faticosi ricercatori della natura. Fra i molti moderni scrittori, le testimonianze de’quali potrei qui recare, basti un solo che può valere per molti, cioè quella del celebre Alberto Haller (Bibl. botan. t. 1, p. 269, ec.), il quale riprende bensì il Mattioli, perchè troppo fidandosi degli Arabi e degli scrittori moderni non ha sempre consultato gli antichi, nè ha sempre esaminate ocularmente le erbe, e perchè talvolta ei si è lasciato ingannare da alcuni impostori, ma insieme loda la diligenza con cui egli fece disegnare, singolarmente nelle ultime edizioni, i semplici e le piante afferma ch'egli è superiore di molto al Manardo, al Brasavola, al Ruellio e ad altri che molte piante e le loro rare virtù furon da lui prima che da altri scoperte, e che maggior lode ancora gli si dovrebbe, se non avesse troppo acremente impugnati i suoi avversarii. Questa però non fu la sola opera del Mattioli. Ei tradusse in lingua italiana la Geografia di Tolommeo, che fu stampata in Venezia nel;1548. Alcune altre operette mediche, e fra le altre un Dialogo del Morbo gallico, e cinque libri di Lettere medicinali si hanno nella raccolta dell’Opere del Mattioli, fatta in Francfort nel 1598, oltre altre particolari edizioni, e alcune altre opere separatamente stampate, delle quali si può vedere il catalogo presso [p. 875 modifica]SECONDO 876 il sopraccitato Iiallcr. Ei volle per ultimo salir sul l’indo, e, quando era alla corte del cardinal Clesio, pubblicò un poemetto in ottava rima, stampato in Venezia nel 1539(), e intitolato Il Magno Palazzo del Card, di Trento. Ma ei fu saggio in abbandonare la poesia; che per essa ei non sarebbe giunto ad ottener quel gran nome che la sua opera di Storia naturale gli ha procurato. Parecchie lettere da lui scritte ad Ulisse Aldrovandi si leggono al fin della Vita di Ulisse, scritta dall’eruditiss sig co Giovanni Fantuzzi. Egli è lodato ancor dal Melchiorri, nella più volte citata lettera, per l’animo liberale e sincero di cui era dotato, e per l’amorevole cura che si prendeva di tutti; di che reca in pruova fra le altre cose, che, mentre era ancor giovane e attendeva agli studii, benchè non fosse allora molto agiato de’ beni di fortuna, a sue spese nondimeno ei manteneva alle scuole alcuni giovani, li provvedeva di libri e si addossava le spese alla lor laurea necessarie. IV. Il Mattioli però non fu il primo, come egli stesso confessa, a rivolgersi tutto alla cognizione e all’esame dei’ semplici. Prima di lui avea intrapreso a descrivere minutamente Torbe e le piante tutte Luca Ghini. Questi dal Mattioli, nella dedica all’imp Massimiliano II, poc’anzi accennata, è detto imolese: Lucam Ghinum Forocorneliensem Medicum ingenii et doctrinae singularis. E Imolese ancora egli è detto da Bartolommeo Maranta nella prefazione alla sua opera, di cui tra poco diremo. I Bolognesi al contrario lo dicon loro; e a ragione, [p. 876 modifica]876 LIBRO perciocché egli nacque bensì in un castello detto Croara d’Imola, ma questo castello è di territorio e di giurisdizion bolognese, come mi ha avvertito il soprallodato co Fantuzzi. Ei fu il primo che fosse destinato in Bologna a sostenere la cattedra de’ Semplici, istituita come straordinaria nel 1534 ■» a imitazione di Padova che ne avea dato nell anno precedente l’esempio j e la tenne interrottamente, come osserva lo stesso co Giovanni Fantuzzi (Vita'dell Aldrov. p. 19), e sotto varj titoli fino al 1539), nel qual anno fu quella cattedra dichiarata ordinaria. L’anno i544 hi chiamato a Pisa, e fondò ivi l’orto botanico, intorno alla cui fondazione si può vedere l'erudita Storia che di esso ci ha data di fresco il sig. dott Giovanni Calvi lettor primario di medicina nell’ tini versità di Pisa (Comment. Hist. pisani Prii'eti Botanici, Pisis 1777), il quale ancora accenna l’altr’orto che il duca Cosimo formò in Firenze. Soleva ei nondimeno nel tempo delle vacanze tornare a Bologna, e vi conobbe Ulisse Aldrovandi, che dal conversar famigliare con quest' uom valoroso si sentì vieppiù accendere allo studio della storia naturale, e per ben coltivarla, trasferitosi a Pisa, volle udire un intero corso delle lezioni del Ghini, che scritte di sua mano conservansi ancora in Bologna (l. c p. 14). Così continuò il Ghini ad affaticarsi nell’illustrar questa scienza fino al 1556, nel qual anno morì (ivi, p. 179) (a). Avea egli concepito (a) li Ghini non morì in Pisa, come sembra raccogliersi dalla maniera con cui ne ho qui ragionato, ma [p. 877 modifica]SECONDO 4 é il pensiero di pubblicare la descrizione di molte piante da lui studiosamente osservate e delineate, e già aveane in pronto alcuni volumi. Quando vedendo il Dioscoride del Mattioli, e sentendosi da lui prevenuto, con rara modestia ne depose il pensiero, e trasmise tosto al medesimo Mattioli parecchie piante da lui non ancora vedute colle loro figure, acciocchè potesse giovarsene nelle posteriori edizioni che della sua opera pensasse di fare. Di questa sì generosa condotta del Ghini il Mattioli stesso ci ha lasciata una sincera testimonianza che ad amendue è ugualmente onorevole: Scio enim, scrive egli nel 1558 a Giorgio Mario (Epist. medichi. I. ri), ine maximam accepisse jacturam, cum mihi e vivis sublatus est Ghinus, in quo maximae et quamplures fulgebant animi dotes, inter quas praecipuum locum sibi vindicabant integritas, sinceritas, humanitas, fides. Nulla unnpiani in co fuit invidia. Cujus rei hoc maximum omnium praebebit indicium quod quum is decrevisset, ut recte scribit, volumina quaedam, quae de plantis conscripserat, una cum imaginibus in lucem edere, visis p&rlectisque commentariis nostris, non solum ad me gratulatorias scripsit literas, quod illuni pruevene ri ni, cjusque sublevaverirn lahorcs, sed et quamplurimas misit plantas, ubi earum imaginibus nostrum ornavimus Dioscoridem. Del Gli ini non si ha alle stampe che un trattalo del Morbo in Bologna, ove dopo il i547 fece ritorno, c prese duo vati tenie a tenervi scuola. Cosi ha afl'errr.alo il cliio^ riissimo sig. conte Fnntuzti (Scritt. ital. t. 4» [p. 878 modifica]878 LIBRO gallico, stampato in Spira nel 1589, e una lettera da lui scritta ad Ulisse Aldrovandi (Vita dell'Aldr. p. i5o). V. Scolaro del Ghini fu Luigi Anguillara, che fu il primo custode dell’orto botanico aperto ’in Padova. Non fu però egli il primo che a quella università facesse conoscere lo studio della botanica. Francesco Buonafede padovano (Mazzucch. Scrit it. t. 2, par. 3, p. 1540) occupò prima di ogni altro la cattedra de’ Semplici, per decreto pubblico ivi fondata nel 1533, collo stipendio di 120 fiorini, accresciutogli poi nel 1539) fino a 150, e fino a 180 tre anni appresso, acciocchè più agevolmente potesse da ogni parte raccogliere l erbe e le piante, il cui uso dovea pubblicamente spiegare. Ma un professore non potea sostenere le spese a ciò necessarie; e perciò il Senato veneto a’ 30 di giugno del 1545 saggiamente ordinò che a pubbliche spese si formasse un orto botanico. Questa è la vera epoca del principio dell’ orto de Semplici in Padova, e non l’an 1535, come, forse per errore di stampa, si legge in Apostolo Zeno (Note al Fontan. t. 2, p. 332). L’accennato decreto esiste presso il ch. sig Giovanni Marsili dottissimo professor di botanica nella stessa università, insieme con un altro stromento d’ affittanza. o livello fatto tra il senator Sebastiano Foscarini, a ciò deputato, e i monaci di s Giustina, dei’ quali era il terreno a tal fine trascelto. Il suddetto celebre professore ha compilata un’esattissima Storia dell’origine e dei’progressi del detto Orto, la qual sarebbe a bramare che uscisse in luco [p. 879 modifica]SECONDO ' 8”i) corredata da’ documenti da lui studiosamente raccolti. Della qual notizia io son tenuto a S. E. il sig. Gio Roberto Pappafava patrizio veneto, che questa e più altre notizie concernenti questa mia Storia mi ha cortesemente comunicate. Alla formazione e alla custodia di esso fu chiamato con onorevole stipendio nel 1546 l’Anguillara, il qual n ebbe la cura fino al i5(n. Altri però spontaneamente si adoperarono nel tempo medesimo ad abbellirlo e ad arricchirlo vie maggiormente, e tra essi Pier de’ Noali medico, Pierantonio Micheli e Luigi Mondella (V. Facciol. Fasti Gymn, patav. pars 3, p. 4°°? ec*)* Ma dell’Anguillara è a dir qualche cosa più stesamente. Il Borsetti, dopo altri scrittori ferraresi, senza recarne pruova il fa ferrarese (Hist. Gymn. Ferr. t. 2, p. 327), e il co. Mazzucchelli, alla loro autorità appoggiato, afferma il medesimo. Ma Apostolo Zeno produce la testimonianza di Corrado Gesnero e di Teofilo Chentmanno, scrittori amendue di quel tempo, che il dicon romano (Note al Fontan. t. 2, p. 332); alle quali autorità io aggiugnerò quella di Bartolommeo Maranta che in una sua lettera all Aldrovandi lo appella M. Luisi Romano (Vita dell’Aldr. p. 182). Par dunque verisimile la congettura del Zeno che il crede natio dell'Anguillara, luogo dello Stato ecclesiastico presso Bracciano, e detto romano nella stessa maniera in cui romano era detto il vecchio Aldo nato in Bassiano. Avea l Anguillara negli anni suoi giovanili corse molte (provincie straniere, com’ egli stesso narra nel libro che ora accenneremo, e vedute avea le [p. 880 modifica]8Sq libro isole di Cipro e di Candia, la Grecia, la Schiavonia, l’Italia tutta, gli Svizzeri e la Provenza osservando attentamente ogni cosa che colla storia naturale fosse connessa. In Candia singolarmente trattennesi a lungo sotto la disciplina di uno speziale rodiotto di nome Costantino, ch’ ei chiama suo maestro, e uomo nell’ arte . sua molto celebre (I Semplici, p. 120, 156). Così fornitosi di pregevoli cognizioni, tornò in Italia, ed egli era alla scuola del Ghini, quando nel 1546 fu chiamato a Padova. Se noi riflettiamo al modo con cui dell’Anguillara ragiona il Mattioli scrivendo all*Aldrovandi, e al poco concetto in cui indi raccogliesi che lo aveva fAldrovandi medesimo, non v’ebbe mai forse il più ignorante tra’ professori: Emmi sommamente piaciuto, così il Mattioli (Vita dell' A Idr. p. 161), che il viaggio de’ monti vi abbia dato occasione di conoscere l ignoranza di Aluigi scortica anguille, et del Bellunese (Andrea Alpago), che in vero non si possono tanto svilire che non meritino peggio. Dal mio libro hormai sono stati cancellati, sicchè non fa bisogno che s’ affatichino a procurarlo. Io so già più tempo l ignoranza et l incostanza di A luigi: crepi pur d’invidia a suo modo, che poco me curo di lui. E altrove (ivi, p. 166): Con grandissimo piacere veramente ho poi letto tutto quello che mi scrivete di quel vigliacco mariolo d Aluigi Anguillara, e molto me piace che lo abbiate conosciuto prima per ignorantissimo, e poi per malignissimo et invidiosissimo. Della sua ignoranza sono già più anni ch io ne ho havuto la caparra prima da alcuni scolari, ec. [p. 881 modifica]’ "T’ SECONDO 88l decadette poi, eli egli andò in Puglia al Monte di S. Angelo, e tra gli altri menò seco quel cipollone dell’Alpago, ec. Forse il disprezzo che per l’Angui llara mostravano que’ due valentuomini, fu cagione che gli fosse sospeso per qualche tempo l’annuale stipendio, e che ’anno 1557 fossero dal pubblico destinati quattro esattori, i quali dovessero provvedere che l'orto botanico non sofferisse danno; nella qual occasione però l’università stessa rendette all’Anguillara onorevole testimonianza, e ribattè le calunnie appostegli (Facciol. l. c.). Il Mattioli e l’Aldrovandi erano al certo tai giudici che poteano discernere saggiamente chi fosse meritevol di stima e chi di disprezzo. Ma non potrebbesi egli sospettare per avventura che nel loro giudizio avesse la passione qualche non picciola parte? L’opera da lui pubblicata, che ha per titolo I Semplici di Luigi Anguillara in più pareri a diversi nobili uomini mandati in luce da Giovanni Marinelli, e che fu stampata in Venezia nel 1561 è quella da cui possiamo raccogliere quanto ei valesse. Or questa opera è assai lodata dall’ Haller per le diligenti osservazioni che vi si leggono, per la modestia con cui l’autore impugna le altrui opinioni, e per l’ emendare ch’ ei fa parecchi passi di Dioscoride; e solo egli desidera che l’ autore avesse più ampiamente disteso ciò che avea esattamente osservato (Bibl. Botan. t. 1, p. 329). Par dunque che i due suddetti scrittori lo abbian depresso di troppo e biasimato più del dovere. E forse il discredito in cui essi il posero, fu cagione ch’egli nel 1561, chiesto Tnuuosciii, Voi. XI. 18 è [p. 882 modifica]882 libro il suo cougedo, passasse a Ferrara. Ivi, secondo alcuni scrittori ferraresi citati dal co. Mazzucchelli, ei tenne pubblica scuola di medicina; come, secondo essi, avea fatto ancora prima di andare a Padova. Ma il Borsetti non fa menzione di cattedra, di cui veramente non credo clic labbia indicio. Ciò che di lui sappiamo, sulla fede di una lettera di Alfonso Pancio all Aldrovandi, citata dal Zeno, ma da me non veduta, si è ch’ egli diede in Ferrara pubblici esperimenti della sua abilità, principalmente nella composizione della teriaca, per la qual viaggiò nella Puglia con Frate Evangelista Quadramio a raccorne i semplici (*); ma fornita (*) Quel Frate Evangelista Quadramio qui nominato fu religioso agostiniano e natio di Gubbio. E più cose a lui appartenenti si conservano in questo ducale archivio. Il duca Alfonso li, a’ 2.\ di marzo del 1593, scrive al generale degli Agostiniani, che ha preso in sua Corte il Quadramio, acciocchè lo serva nella sua professione de Semplici, in cui già avea servito per più anni il cardinal di Ferrara suo zio e il cardinal di" Este suo fratello, e poi il marchese di S. Martino suo parente. In un’altra de" 24 di luglio dell’anno stesso al sig. Curio Boldieri, probabilmente veronese, gli racco* inauda il Quadratino, cui egli spedisce a ricercar semplici su quelle montagne. Lo stesso Quadramio, in una sua lettera al duca Alfonso de’ 12 settembre t>t)5, scrive • li essere stato al servigio di quella serenissima casa dalla gioventù fino alla vecchiaia. Dopo il cambiamento del dominio in Ferrara, par ch’egli pensasse a lasciare il servigio degli Estensi; perciocchè scrivendo al duca Cesare a’ 16 di marzo del 1598, dice di voler tornare al suo monastero di Gubbio -, chiede un onorevol congedo dopo aver servito per 35 anni; accenna tre libri da lui pubblicati, della peste, dell oro potabile e di ha teriaca; chiede qualche soccorso per aver spesi tutti 1 [p. 883 modifica]SECONDO 883 appena questa operazione, si ammalò d1 una lébbre pestilenziale causata per molti suoi disordini, e dopo quattordici giorni lini di vivere nell1 ottobre del ìojo. Il qual racconto si conchiude dal Pancio con dire che, benché l’Anguillara non fosse molto letterato, era però di profondissima memoria, e stillatole e osservatore di varie piante. E qui vuoisi aggiugnere che il Pancio era in Ferrara professore di medicina e Protomedico sopra le Spezierie, e che il duca aveagli già consegnali tre giardini per raccogliervi l’orbe più rare, c due cameroni in castello per formarvi un museo delle produzioni più pregevoli della natura; ma il trumuoto che danneggio mollo quella città nel sembra che rendesse inutile un tal progetto; su che è da vedersi un'altra lettera da lui scritta al suddetto Aldrovandi (Vita dell Aldr. p. 23y). Andrea Alpago bellunese, posto dal Mattioli a fianco dell1 Anguillara, e al pari di lui dichiarato ignorante, non ci ha lasciala alcun'opera appartenente alla botanica, ma solo alcune traduzioni di Avicenna c di altri arabi scrittori. INù denari nella stampa de’detti libri; e il prega a donargli i mobili della sua arte già prestatigli dal duca Alfonso. Ma da un'altra lettera al duca medesimo, da lui scritta a'6 di settembre del detto anno, racco glie si che il duca l’avea fermato al suo servigio: ed egli perciò gliene rende grazie j dice di voler fare un discorso su molti falsi semplici che nelle spezierie si vendono; e chiede di nuovo qualche soccorso, anche per venir presto a Modena; e in somigliante maniera scrive anche al principe Alfonso, e di nuovo al medesimo duca a’ 13 di ottobre dell’anno stesso, la qual lettura è l’ultima ili e ui ori a eh’ io abbia di lui trovata. [p. 884 modifica]884 mbno 10 ne farei qui menzione, se non dovessi correggere un errore in cui, dopo altri scrittori, è caduto parlandone il co. Mazzucchelli (Scritt.it. ital. t. 1, par. 1, p. 515, ec.). Egli crede che Andrea Alpago non sia diverso da quell’Andrea Mongaio pur bellunese, da noi mentovato nella storia del secolo xv. Egli si fonda sull’autorità del Piloni storico bellunese, il quale afferma che l’Alpago era della famiglia Mongaia. Ma checchè si dica il Piloni, è certo che il Mon» gaio era già uscito di vita, quando Pierio Valeriano scriveva il suo Dialogo dell infelicità dei’ Letterati, cioè a’ tempi di Clemente VII, come allora si è osservato, e che l Alpago vivea ancora nel 1554, nel qual anno sono scritte le lettere in cui il Mattioli di lui ragiona; ed è perciò evidente che l’uno si dee distinguer dall’ altro. VI. Un altro ancor più illustre scolaro ebbe il Ghini in Bartolommeo Maranta natio di Venosa nel regno di Napoli, il quale nella prefazione alla sua opera, di cui ora diremo, dice di averla intrapresa hortatu Lucae Ghini praeceptoris mei. Ov’ei l’avesse a maestro, io nol trovo. Certo è però, ch’ ei fece poscia ritorno a Napoli, ove visse tutti i suoi giorni. L’orto pieno delle più rare e più pregevoli piante, che ivi avea Gianvincenzo Pinelli, fu la scuola alla quale il Maranta si perfezionò nella scienza botanica. E frutto del lungo suo studio fu l’opera da lui composta e in tre libri divisa, intitolata Methodus cognoscendorum Simplicium. Egli la dedicò al Pinelli; ma avrebbe voluto che il suo maestro Ghini la rivedesse prima, e, ove fosse [p. 885 modifica]SECONDO 885 d'uopo, la correggesse. Ma morto frattanto il Ghini, ei l’inviò pel fine medesimo a Gabriello Falloppia suo amicissimo; e così la lettera del Maranta, come la risposta che a lui fa il Falloppia, esaltando con somme lodi quelfopera, si veggono all’opera stessa premesse. Uscì ella dunque alla luce in Venezia nel 1559), e abbiam veduto ch’essa fu origine di qualche contesa tra l Mattioli e ’l Maranta. Il giudizio che di essa diede il Falloppia, può bastare a mostrarcene il pregio. Nè son minori gli elogi con cui ne fa menzione l’Haller (Bibl. botan, t. 1, p. 323). Del Maranta si ha pure alle stampe in lingua italiana un Trattato della Teriaca e del Mitridate, che fu poi anche recato in latino. Alcune lettere latine se ne hanno tra quelle del Mattioli, e alcune italiane tra le aggiunte alla più volte citata Vita dell’ Aldrovandi. Tra molti amici egli ebbe ancora Piero Vettori, di cui abbiamo due lettere scritte al Maranta, in una delle quali il prega ad inviargli del seme di citiso, e loda la profonda scienza che in quelle materie avea; nell’ altra risponde ad alcuni dubbi che gli avea il Maranta proposti su certi passi de suoi Comenti sulla Poetica di’Aristotele (P. Vict epist l. 3, p. 49; l 5, p. 107). E una lettera del Maranta al Vettori si legge ancora tra quelle degli uomini dotti a lui scritte (Cl. Viror. Ep. ad P. T ict. I. 3, p. 227). E che il Maranta anche nelle umane lettere fosse assai dotto, cel persuade una delle sue lettere all’Aldrovandi, scritta da Napoli nel 1561 (Vita dell Aldr. p. 189), in cui ragiona di un’opera che avea intrapresa sopra Virgilio: Io per tre [p. 886 modifica]886 LIBRO mesi contìnui sono sta'o impacciato in una fatica piacevole, perchè ho composto infino a hora quattro Dialoghi, di poesia tutti in discorso di Virgilio Marone, sopra il quale alcuni anni, sono un certo Niccolò Erythreo fece parecchie belle considerazioni, et è Jurisconsulto. Hora a sua concorrenza ho fatto questa fatica senza dir punto delle cose sue, ma tutte cose nuove, per far conoscere al Mondo che i Legisti non sono da più nella Poesia che i Medici, et per quanto me ne dicano qui certi buoni spiriti, la Opera sani ri usci bile, et subito che havrò fatto il quinto Dialogo, che. sarà fra 20 altri dì finito, cominciarò a rivederla, et forse forse uscirà in luce, et vò’ che un dì mi vediate assalire quanti pedanti fur mai; di quanto si farà avviserò V. E., et intanto se scriverà al Mattiolo, dicale questa mia bizzarra fantasia, et, che se le Muse mi favoriranno, fórse ria unti arò la semplicità e la herbaria agli altri. V. E. se ne rida meco, che in vero quando • io vi penso. non posso astenermi di non ridere; basta che TOpera sarà un giusto volume, et altro non mi occorrendo, resto baciando le mani di V. E. e il simile con Madonna Gentile e Messer Vincenzo Girini e Mes ser Giovati Battista f sempre che a tutti Dio doni ogni contento. Questi Dialogi col titolo Lucullanae quaestiones furono pubblicati in Basilea l’an 1564(in folio Io non so fin quando il Maranta continuasse ad esser tra’ vivi. VII. Quando l'Anguillara partì da Padova, la cura dell’ orto botanico fu commessa a uno straniero; cioè a Melchiorre Guillandino [p. 887 modifica]SECONDO 887 prussiano, a cui ancora fu dato l incarico di tener scuola nell’orto stesso, additando ciaschedun’erba, e spiegandone l’indole e le virtù. La stima che il Guillandino vi ottenne, fu tale, che lo stipendio gli fu accresciuto fino a (600 fiorini j ed egli venuto a morte nel 1589, lasciò in attestato di gratitudine tutti i suoi libri alla Repubblica veneta (Facciol. Fasti Gymn. patav. pars 3. p. 402). Di lui, e delle opere da lui pubblicate,nelle quali vorrebbesi che all’erudizione fosse uguale l'ordine e la precisione, non appartiene a me il parlare che troppo ampio argomento a scrivere mi porgono gl Italiani, perchè possa stendermi ancora agli stranieri. Solo non è da tacersi che ne’ molti viaggi da lui falli peri1 Oriente, essendo caduto in mano a corsari, ei ne fu liberato coll’opera e col denaro del Falloppia, come vedremo parlando di questo anatomico. Successore del Guillandino fu Jacopo Antonio Cortusi padovano, che avea lungamente viaggiato anche per l’Oriente, affine di far raccolta di semplici, ma di cui non abbiamo opera alcuna alle stampe (V. Haller, Bibl. botan. t. 1, p. 323). Assai più celebre è il nome del successor del Cortusi, cioè di Prospero Alpino. Esatte notizie di lui ci ha date il co. Mazzucchelli Scritt. it. t. 1. par. 1, p. 188), a cui però alcune cose si possono aggiugnere, tratte altronde. Era egli nato in Marostica nel Vicentino a’ 23 di novembre del f 553. Compiuto il corso de' suoi studii nell'università di Padova, ove si diede a conoscere dotato di vivo ingegno congiunto a un instancabile [p. 888 modifica]888 LIBRO applicazione, per desiderio di conoscere esattamente la natura dell’erbe e delle piante più rare, insieme con Giorgio Emo consolo della Repubblica partì da Venezia a 12 di settembre del 1580, e visitate dapprima l isole della Grecia, giunse in Egitto, e vi si trattenne più anni osservando attentamente ogni cosa, e descrivendo minutamente ciò che gli cadeva sotto'occhio. il co. Mazzucchelli afferma ch’ ei tornò dall Egitto nel 1584, e che trattenutosi due anni in Venezia, passò poscia a Genova, ove Andrea Doria principe di Melfi il volle suo medico. Ma il celebre dott. Morgagni ha scoperto un ritratto che Leandro Bassano pittor famoso e amicissimo dell’Alpino ne fece, quando questi giunto appena dall Egitto andò a trovarlo in Bassano; e ivi si vede segnato fanno i586 (Opasc. pars 2, p. 7). Egli dubita ancora se debba ammettersi ciò che si narra dell essere stato l’Alpino chiamato a Genova, o a Melfi, come altri dicono. Ma non ci dà su tal punto più chiari lumi. Secondo il co. Mazzucchelli ei fu chiamato a Padova nel 1593, perchè avesse in cura l’orto botanico, e l’ anno seguente gli fu aggiunta la lettura de' Semplici. Ma il Facciolati il fa condotto alla cattedra nel 1594, e solo nel 1603 gli fa confidata la cura dell orto (l. c. p. ^02, 4°5)• Grande fu a que tempi il nome dell Alpino, e n è pruova ancora il lauto stipendio assegnatogli, che fu successivamente accresciuto fino a 750 fiorini. E in molta stima ne sono sempre state le opere, come bene si raccoglie dalle molte [p. 889 modifica]SECONDO 88() edizioni elio se ne fecero, anche poichè egli fu morto. Esse appartengono in gran parte alla storia naturale, e comprendono principalmente le osservazioni da lui fatte in Egitto. Tali sono i quattro libri De Medicina Aegyptiorum, e quello De Plantis Aegypti, il dialogo De Balsamo, i due libri De Plantis exoticis, la dissertazione De Rhapontico, e finalmente l’intera Storia naturale dell’Egitto, ch’egli avea scritta, e la cui prima parte soltanto ha veduta la luce nel 1735 in Leyden. Anche la medicina fu da lui felicemente illustrata,- non sol colle opere or mentovate, ma co’ XIII libri De Medicina methodica, e più ancora co’ sette pregiatissimi libri De praesagienda vita et morte aegrotantium. Di queste opere dell’ Alpino, e di altre che son rimaste inedite, veggasi il co. Mazzucchelli, il quale per ultimo osserva che il Tommasini non è coerente a se stesso nel fissarne l’ epoca della morte; perciocchè or la dice avvenuta nel novembre del 1616, or a’ 5 di febbrajo del 1617. Ma il Morgagni ha scoperto e provato ch’ei morì veramente dopo una malattia di sei mesi, a 23 di novembre 1616. Vili. Mentre l’ orto de’ Semplici era in Padova affidato alla cura de’ valentuomini or mentovati, nulla meno era felice la sorte di quel di Pisa. Dopo il Ghini n ebbe la soprantendenza Andrea Cesalpino aretino, nato nel 1519, il quale in Pisa per molti anni fu professore di medicina. Di lui parla a lungo, dopo altri autori, il Bruckero (Hist. crit Philos. t 4 p 220; t. 6, p. 721, ec.); ma egli cel [p. 890 modifica]8i)0 LIBRO rappresenta filosofo e non botanico. E in fatti il Cesalpini allo studio della storia naturale congiunse quello della filosofia, e nell*interpretare Aristotile fu avuto in conto di uno de più ingegnosi, talchè Niccolò Torelli, che gli fu avversario implacabile, come ora vedremo, ebbe a confessare che le opinioni del Cesalpini erano così pregiate in Allemagna, che più nol furono, gli oracoli d’Apolline presso i Greci. E la fama di lui si diffuse singolarmente per l Allemagna, perchè egli viaggiò per essa, e si fece conoscere a’ più dotti filosofi. Ma dalla fama non andò disgiunta l infamia per la taccia che gli fu apposta d’ateo e d’empio. Niccolò Torelli, filosofo di Altdorf, avendo vedute le Questioni Peripatetiche del Cesalpini, stampate in Venezia nel 15-j i, credette che vi fosse racchiuso il più reo veleno dell’empietà, e contro di esse pubblicò una sanguinosa censura, intitolandola con fredda allusione al cognome del suo avversario, Alpes caesae. Chi vuol vedere un ampio estratto delle opinioni del Cesalpini e delle accuse del Torelli, legga il citato Bruckero; e io sfido il più acuto ingegno de’ nostri tempi a intendere e a spiegare ciò che dir vogliano e l’uno e l’altro. Così ogni cosa è involta in un inaccessibile labirinto di parole e di termini che o non s'intendono, o possono intendersi come più piace. Fu però solo il Torelli, ch’io sappia, a dare tale accusa al Cesalpini; e il rifletter che questi fu dal pontef Clemente \ III chiamato a Roma, e fatto suo medico e lettor pubblico di medicina n Ila Sapienza, nel qual! impiego egli continuò fino [p. 891 modifica]SECONDO RO' alla morte, clic accadde a* 24 di marzo del 1600; il riflettere a ciò, dico, ci fa conoscere che niun sospetto si ebbe in Italia della religione del Cesalpini. Ma più che per le opere filosofiche, noi il loderemo per le botaniche, cioè pei’ XVI libri intorno alle piante, da lui scritti in latino, e pubblicati in Firenze nel 1583. Ei fu il primo a farne una metodica distribuzione, ciò che da altri non si era ancora fatto; e le divise secondo i lor frutti; e fu questo forse il più ampio e meglio ordinato trattato di questa materia che fin allora veduta avesse la luce. Egli scrisse ancora intorno a’ metalli, e in oltre alcune opere mediche, delle quali si può vedere il catalogo presso il Bayle (Dici. hi.st. art. Caesalpin.) e presso il Teissier (E log (Ics Hom. sav. t. 2, p. 338, ed. Utrecht 1696); e vuolsi da alcuni ch’ei fosse il primo a scoprire e ad additare la circolazione del sangue, di che diremo tra poco. Di Luigi Leoni e d'alcuni altri custodi dell'orto di 1 isa si può vedere l opera poc anzi lodata dal ch. dott Calvi. TX. Questi furono i più insigni botanici ch ebbe in questo secolo l’Italia, giacché di Fa-i bio Colonna, alcune opere del quale nel corso j di esso vider la luce, ci riserbiamo a parlare nella storia del secol seguente, a cui più propriamente appartiene. Ma più altri ne possiamo additare, dei quali pure abbiam libri su questo argomento, per tacer di moltissimi che ne trattarono per incidenza. Battista Fiera mantovano. medico e poeta, scrisse in versi un'operetta intitolata Coena da Hcrbamm virfutiius [p. 892 modifica]8i)'J LIBRO et artis medicae parte, quae in victus ratione consistit Di Giovanni Baccanelli reggiano abbiam qualche opera intorno a’ Semplici, e di argomento medico (Mazzucch. Scritt, it. t. 2, par. 1. p. 1). Giulio Cesare Scaligero comentò i libri di Aristotele e di Teofrasto intorno alle piante. A questo luogo appartengono la Pii y dio gii omonì c a di Giambatista Porta, altrove da noi rammentato, i libri della Materia medicinale di Francesco Sansovino, l’Erbario nuovo e altre opere di Castore Durante (a), la traduzione italiana dell’ opera di Teofrasto sulle piante fatta da Michelangelo Biondo, il Viaggio di Monte Baldo di Francesco Calzolari veronese. Cesare Odone dall'Aquila, collega e competitore dell’ Aldrovandi nella cattedra de’ Semplici e nella cura dell’orto botanico in Bologna, e di cui parla con molto disprezzo il Mattioli in una sua lettera all’Àldrovandi (Jrita delXAldr. p. 159), diè alla luce le Sentenze di Teofrasto intorno alle piante, raccolte insieme e ordinate. E in una lettera di Pietro Fumagalli all’Aldrovandi, scritta da Roma nel 1565 (ivi, p. 239), egli il prega a nome di Bartolommeo Eustachio a mandargli l Opera del Sig. Cesare Odone de Historia Animalium et Plantarum, cioè la tavola sopra questi libri di Aristotile, la quale però io non so se abbia veduta la luce. Guglielmo Grataroli di patria bergamasco, ina (a) Di Castore Durante ha ragionato colla stia consueta esattezza il sig. aitale.Marini ne’ suoi Archiatri pontifieii (l. 1, p. 4-GtT), il qual però non ha trovato alcun documento clic lo pruovi medico di Sisto V. [p. 893 modifica]SECONDO Slj3 apostala dalla cattolica Religione, e rifugiato perciò in Basilea, ov esercitò lungamente la medicina, e vi morì nel 1568 in età di 52 anni, oltre alcune opere mediche, pubblicò nel 1563 un libro intitolato De Medicinae et rei herbariae origine, progressu et utilitate, etc. Più ampie notizie di questo scrittore ci dà il Gerdesio (Specim. Ital. ref, p. 274), da cui per errore è detto Grataloro (a). Un numero assai maggiore d’illustratori di questa scienza si può vedere presso i compilatori delle Biblioteche botaniche, e singolarmente in quella più di tutte copiosa dell’ eruditissimo Alberto Haller. Io son pago di averne accennati, come per saggio, alcuni de più illustri. Aggiungansi a ciò gli orti botanici da alcuni privati formati nelle lor case, come dal senator Priuli in Venezia, da Giulio Moderato speziale in Rimini, da Vincenzo Montecatino in Lucca, da Sinibaldo Fieschi in Genova, da Vincenzo Pinelli in Napoli e da Gaspare Gabrielli in Padova, i quali si accennano dal detto Haller (Bibl. Botan. t. 1, p. 266). E poteva egli ancora far menzione di quello che Scipione Simonetta avea in Milano, di cui fa una lunga descrizione il Taegio, annoverando le rarissime piante e i fiori e le erbe che vi avea raccolte; e dicendo ch egli mandava ne più lontani paesi uomini esperti a farne scelta, e che de’ tesori in quel suo orto racchiusi (<i) Del Grataroli ha poi scritta più esattamente la \ ita il sig. co. cavalier Giambatistn Gnllizioli, stampala in Bergamo nel 17B8, a cui va aggiunto un diligente catalogo delle opere da lui pubblicale. [p. 894 modifica]limo non solo ei permetteva ad ognuno il godere coll occhio, ma n era ancora liberal donatore (Villa, p. 80). E molti altri ancora ce ne addita in Venezia Francesco Sansovino (Venezia, p. 369, ed. ven. 1663), ove era ancor quello di Pierantonio Micheli, di cui si fa menzione nella Vita dell’Aldrovandi (p. 18). X. Più scarso fu il numero di que che presero < a scrivere intorno al regno animale. Il primo libro che intorno a’ pesci si vedesse stampato, fu quello di Paolo Giovio, che l’an 1524 pubblicò il suo opuscolo De Piscibus romanis. Ei però si restrinse soltanto a’ pesci che si trovavano ne’ fiumi romani, e rendette il suo libro più dilettevole agli amanti della erudizione, che utile agli studiosi della storia naturale. Lo dedicò al Cardinal di Borbone, e si lusingò di averne magnifiche ricompense, ma le sue speranze furon deluse: La fatica de Pesci, scriveva egli più anni dopo a M. Galeazzo Florimonte, m andò vota col Cardinal di Borbone; al qual dedicai il libro, rimunerandomi esso con un benefizio fabuloso situato nell’ Isola Tile oltre le Ore adì (Giovio, Lettere p. 57, ed. ven. 1560). Le osservazioni del Giovio furono utili e Guglielmo Rondelezio scrittor’ francese, che volendo scrivere un più ampio trattato de’ pesci, che fu poi stampato nel 1550, venuto .a Roma, vi ebbe su ciò frequenti ragionamenti coll Aldrovandi, con cui soleva recarsi sovente insieme alla pescheria ad osservarvi i pesci più rari che vi eran portati (Vita dell’ Aldr. p. 13). Circa il tempo medesimo Francesco Massari, uomo assai erudito, e che per fornirsi [p. 895 modifica]SECOXDO 3‘jJ di cognizioni avea viaggiato a Costantinopoli, pensava di rischiarare questo argomento medesimo, comentando il IX libro della Storia naturale di Plinio, che tratta de’ pesci. Celio Calcagnini, scrivendo nel 1528 a Jacopo Zieglero che allora era in Venezia, gli chiede quid moliatur Massarius in Historia Piscium (Calcagn. Op. p. 140); il che ci persuade che allora il Massari fosse in Venezia. Il Comento però da lui scritto sul detto libro di Plinio non fu stampato che nel 1537 in Basilea (*)• Assai più stesa e più assai ancora pregevole è l opera che su questo argomento abbiamo d’Ippolito Salviani di Città di Castello, stampata in Roma nel 1558, col titolo Aipiatilium A ni mal ium Ilistoria, e da lui dedicata al Cardinal Marcello Cervini, che fu poi Marcello II («), morto Ire (*) Francesco Massari qui nominato, di patria veneziano, dal Sanso vino (f^tnezi a, vd. J'rnrz. il>63, p. 586) Mi n chiamato Musei io, e fatto anche ¿.ulore ili un libro De Simplicibus afe/tu- heriiis. L ch’egli si affaticasse su questo argomento, ccl mostra la lettera ila Beato Renano premessa al Comento del Massari sul ìx libro di Plinio, e la dedica con cui d Massari stesso olire il Comento a un re Giovanili, che è proba luImeule Giovanni 111 re di Svezia. Ma nou pere che alcuna cosa ne venisse alla luce. (a) Il sig. ab Marini ha osservato (Degli Archiatri pontif'. t. 1, p. 402, ec,; t. 2, p. 3.4) che ne* molti esemplari dell'opera del Salviani da lui veduti non trovasi la lettera dedicatoria al Cardinal Marcello Cervini, riferita dal Pollidori, ma bensì un' altra a Paolo IV, con un Motu proprio di Giulio III che nomina il Salviani cittadino romano e suo medico. Sembra perciò, ch'egli avesse già fatta stampare la dedica al Cervini; ma ch essendo questi dopo il suo breve [p. 896 modifica]8()6 LIBRO anni prima, poiché già ila quattro anni ne avea cominciata la stampa, quando egli era ancor cardinale, e a questo liberalissimo promotor delle scienze egli era debitore di aver condotta a compimento felice quell opera. La dedica dal Salviani premessale ci dà una sì bella idea dell'animo veramente grande di quel pontefice, e delle diligenze da lui e dall autore usate per render perfetto questo lavoro, che non sarà, io spero, grave a chi legge, che io qui la rechi in parte tradotta nella volgar nostra lingua: Per ciò ancora è a voi dovuta questa mia opera, che se qualche piacere, o vantaggio ne trarranno i lettori, a voi non meno che a me, anzi a voi assai più che a me, ne saran debitori. Perciocchè avendo io impiegati alcuni anni in questa Storia de' Pesci, e Ìionlilìcato venuto n morte, e non essendosi pubblicata 'opera che nel Ó58, ei ne facesse togliere quella lettera, e vi sostituisse l'altra a Paolo IV. Altre notizie del Salviani, nato in Roma nel i5»4. e ivi morto nel 1572, si posson vedere presso il medesimo autore (*). (•) Il Tini bocchi dice nel testo Ippolito Salviani di Città di Cartello, ossia Tifcmalc: poi lo afferma in questa annotazione nato in Roma su la fede dell’ abate Marini. Ma nè il Tiraboschi ne il Marini esaminarono, come si voleva, l'opera del Salviani. Dire questi chiaramente il' essere Tifemale si nel frontespizio figuralo della medesima, come nrfl’ avvertimento al Lettore, e nella prefazione; anzi nella dedicazione del suo libro al pontefice Paolo III lo accerta che aveva ognora desiderata un' occasione d’attcstargli la sua devozione, da che cominciò a soggiornare in Roma, ove viveva già da più’ anni. I privilegi di Giulio III, di Carlo V, di Enrico II di Francia, di Cosiino «le’ Medici, tutti del 1:554, inseriti nell’opera, lo dichiarano Tifernate; ed egli per solo onore fu nominato cittadino romano da Giulio III. (¿Vota degli EJit. milan.') [p. 897 modifica]SECONDO essendomi affaticato molto perchè ella riuscisse esatta e perfetta, e conducesse con minor fatica i lettori alla cognizione di questa scienza, voi mi consigliaste che io facessi dipingere e incidere in rame le immagini di tutti i pesci che mi fosser venuti alle mani. Nel che in due modi voi mi avete recato ajuto. Perciocchè non potendo io per le mie tenui sostanze nè far incidere tante immagini, nè aver sotto l occhio che i pesci del nostro mare, voi in ambedue le cose mi avete soccorso, cosi somministrandomi il necessario denaro, e col vostro eloquente parlare e col vostro esempio eccitando altri tra cardinali a far lo stesso, come anche facendo che a spese vostre molte sorte di pesci a noi sconosciute, e senza le quali imperfetta sarebbe stata questa mia Storia, venissero esattamente dipinte dalla Francia, dall' Allemagna, dal Portogallo, dalla Brettagna e per fin dalla Grecia. Che più? Di molte cose che appartenevano o al modo di scrivere questa Storia, o alla spiegazione di alcuni dubbii, mi avete voi stesso avvertito, anzi frai gravissimi vostri studj sacri e profani, se si offeriva cosa che concernesse quest opera, non vi siete sdegnato di ponderarla attentamente e di comunicarmela: sicchè in tre anni, ne quali ho ad essa atteso, appena mai son venuto a voi, e vi son venuto assai spesso, che non riportassi qualche nuovo lume per questa Storia. In fatti l’opera del Salviani fu accolla con grande applauso, ed anche al presente è stimata una delle migliori che abbiamo intorno a’ pesci. Una lettera del Salviani all’ Aldrovandi, pubblicata insiem Tiiubcscui, Voi. XI. 19 [p. 898 modifica]«898 L1B1Ì0 colla Vita di questo secondo (Vita dell Aldr. p. 217), ci mostra che questi ancora stimavala molto, e che scrisse all’ autore per fargliene sincere congratulazioni; e in fatti nella sua opera sullo stesso argomento egli fa sovente menzione onorevole del Salviani. Riguardo agli altri animali, trattene l’opere dell’Aldrovandi, di cui diremo tra poco, non abbiam libri di gran valore; e io accennerò solo quello di Giovanni Emiliani ferrarese, stampato in Venezia nel 1584 > e intitolato Naturalis de Ruminantibus Historia, nel quale però ei troppo si va diffondendo in inutili digressioni, e poco trattiensi nell' esaminar la natura. XI. Anche il regno minerale non ebbe gran numero di scrittori. I dieci libri della Pirotecnia di Vannuccio Biringucci sanese, stampati la prima volta in Venezia nel i54o, e poscia‘più altre volte, e tradotti ancora in francese e in latino, son forse i primi che sulla cognizione e sulla fusion de’ metalli si pubblicassero. Essi sono ancora in istima presso i coltivatori di tale scienza; e l’autor parimente fu pel suo sapere assai caro a diversi principi, e.singolarmente a Pier Luigi Farnese e ad Ercole II duca di Ferrara (Mazzucch, Scritt. it. t. 2, par. 2, p. 1262). Lodovico Dolce pubblicò nel 1565 in Venezia tre libri intorno alle gemme. Ma egli, come osserva Apostolo Zeno (Lettere, t 3, p. 165), è tacciato a ragione di essersi fatto bello in gran parte dell'opera di Cammillo Leonardi da Pesaro data alla luce nel secolo precedente, e intitolata Speculum lapidum. Assai più pregevole è la MetaUotheca di [p. 899 modifica]X SECONDO Michele Mercati, la qual nondimeno si giacque inedita fino al 1717, nel qual anno per opera di Clemente XI fu magnificamente stampata. Era il Mercati natio di S. Miniato in Toscana, ov era nato agli 8 d’aprile del i5$i. In Pisa ebbe a suo maestro, fra gli altri, Andrea Cesalpini da cui parve che ricevesse in retaggio l'amore alla contemplazione della natura. Passato a Roma, fu dal pontef S. Pio V, che ne conobbe l’abilità e il sapere, posto alla'* cura dell’ orto botanico Vaticano, che allor cominciò ad aver nome. Non fu men caro a Gregorio XIII. che lo annoverò trai’ suoi famigliari!, e a Sisto V, che gli conferì la dignità di protonotario apostolico, e insiem col cardinal Ippolito Albodrandini legato mandollo in Polonia, acciocchè scorrendo in tal modo gran parte della Europa potesse stendere sempre più le sue cognizioni, e accrescere il numero delle rarità naturali che già avea raccolte. Clemente VIII il dichiarò suo archiatro, e gli diede più altri segni della sua benevolenza. Nè solo i romani pontefici, ma e Timperador Ridolfo e Sigismondo re di Polonia e Ferdinando gran duca di Toscana lo onorarono della loro stima, e gliene dieder più pruove. Ed era infatti il Mercati uomo che ad un vasto sapere congiungendo un tratto amabile, una rara prudenza e una singolar probità e innocenza, si conciliava l’affetto e l’amore di tutti. E pruova delle cristiane virtù di cui era adorno, è tra le altre la stretta amicizia ch’ egli ebbe con S. Filippo Neri, tra le cui braccia ancora finì piamente di vivere a’ 25 di giugno del 15^3, in [p. 900 modifica]900 LIBRO età di soli einquantadue anni. Le quali cose si posson vedere più a lungo esposte nella Vita del Mercati, scritta da monsig Magelli, e premessa alla citata Metallotheca. È questa un opera in cui il Mercati annovera e descrive tutte le produzioni della natura, singolarmente del regno minerale, ch egli avea raccolte e ordinate nel museo Vaticano, ornato per opera di Gregorio XIII e di Sisto V, il quale fu poscia dissipato e disperso per modo, che appena rimane memoria del luogo in cui fosse. Egli divise l’opera nella stessa maniera in cui avea diviso il museo; cioè in dieci armadii, e ciaschedun di essi in più cassettini. Le classi che si racchiudono negli armadii sono le terre, i sali e i nitri, gli allumi, i sughi agri e pingui, gli alcionii) e i coralli, le pietre simili alla terra, quelle che nascono negli animali, gl’idiomorfi ossia le pietre dotate di una figura o forma particolare, e finalmente i varii marmi; il qual capo però sembra che dall autore non fosse finito, e forse ancora ei dovea aggiugnere più altri capi. Le descrizioni e le spiegazioni ch egli vi aggiugne, mostrano il lungo studio da lui fatto su tali materie, e la diligenza con cui osservava ogni cosa. Quindi quest opera, che dall autor non finita, fu poi venduta a Carlo Dati, era rimasta fino al principio di questo secolo in Firenze. Il detto pontefice comperatala e fattala arricchire di erudite annotazioni dal celebre monsig Lancisi e da Pietro Assalti, ordinò ch'ella fosse stampata, e l’edizion corrispose alla magnificenza e alle grandi idee di quel pontefice, singolarmente nei rami aggiuntivi ed incisi con [p. 901 modifica]SECONDO QOI singoiar maestria. Essendosi poi trovate in Firenze alcune altre tavole a quest’opera appartenenti, queste ancora furono incise, e di esse con alcuni altri opuscoli si fece un’Appendice alla Metallotheca, che fu stampata in Roma nel 1719. Di questo dotto scrittore si avean già alle stampe alcune Considerazioni e Rimedii per tener lontanai per curar la peste, pubblicate nel 1576, e il Trattato degli Obelischi, stampato nel 1589, a cui aggiunse l’anno seguente alcune Considerazioni sopra gli Avvertimenti da Latino Latini fatti intorno a quel libro. Se ne hanno per ultimo due lettere all’Aldrovandi (Vita delPAid. p. 2.J9), dalle quali raccogliesi ch’egli era ancora attento raccoglitore di semplici, e che l’Aldrovandi avea di lui molta stima. XII. Tutti gli scrittori finor ricordati avean preso ad illustrar qualche parte di questa vastissima scienza. Niuno avea ancora ardito di darci un intero e compiuto corso di storia naturale che tutte ugualmente le parti ne comprendesse, e tutte quante sono le produzioni della natura descrivesse minutamente. Era ciò riservato ad uno de’ più gran genii che avesse in questo secol l’Italia, e di cui non v’era stato ancora il più dotto e il più laborioso scrittore. Parlo del celebre Ulisse Aldrovandi, uomo che parve dal ciel destinato a squarciare il gran velo fra cui avvolta stavasi la natura, e a scoprirla, qual ella è, agli occhi degli uomini. Io non dovrò affaticarmi molto nel ricercarne la vita, poichè già l’abbiamo con singolare esattezza descritta dal sig co Giovanni Fantuzzi, e stampata in Bologna nel 1774 quasi per Tiraboscui, Voi. XI. 19* [p. 902 modifica]902 LIBRO saggio (li ciò che da si valoroso scrittore potevamo aspettarci nella Storia degli scrittori bolognesi, che da lui abbiam poscia avuta. Io dunque ne parlerò in breve, e sol quanto richiedesi a far conoscere quest uom prodigioso. Ulisse figliuol di Teseo Aldrovandi e di Veronica Marescalchi, famiglie ambedue nobilissime bolognesi, nacque in questa città agli 11 di settembre del 1522. I suoi primi anni scoprirono qual genio avido di cose nuove e qual animo coraggioso incontro ad ogni pericolo avesse egli sortito. Un fanciullo di dodici anni, che solo e senza saputa della vedova madre sen va a Roma, che tornatone poscia, non molto dopo in età di 16 anni, fa di nuovo nascostamente con un sol servitore il viaggio di Roma, e nel tornare a Bologna, avvenutosi poco lungi da questa città in un pellegrino che andava a S Jacopo di Galizia, gli si dà a compagno, e fra varie vicende e fra mille pericoli se ne va a piedi fino all estremità della Spagna, e nel medesimo arnese torna a Bologna; un tal giovane, dico, fa abbastanza riconoscere che non si debbon da lui aspettare ordinarj successi. In fatti quando, sedato il primo ardor giovanile, ei si rivolse tutto agli studii da lui coltivati parte in Bologna, parte in Padova, non vi fu sorta alcuna di scienza di cui non volesse istruirsi, e in cui non facesse maravigliosi progressi. I sospetti in materia di Religione, che contro di lui e di più altri Bolognesi si destarono in que tempi, ne quali teme vasi di ogni cosa, gli diedero occasione di fare un'altra volta il viaggio di Roma nell1 anno i54o, e ivi provata la sua innocenza, [p. 903 modifica]SECONDO Q00 diedesi ad osservare attentamente tutte le antichità; e frutto di queste sue osservazioni furono i lumi ch’ ei diede a Lucio Mauro, che di esse scriveva, e il Trattato delle antiche Statue di Roma, che l’Aldrovandi stesso distese, e che fu poi stampato insiem col libro del Mauro nel 1556. Ivi ancora egli strinse amicizia con Guglielmo Rondelezio, e con lui unendosi nel diligente studio che quegli faceva su' pesci, sentì naturalmente portarsi alla cognizione della natura, e tornato a Bologna, applicossi alla botanica. Volle ancora recarsi a Pisa per apprenderla dal Ghini che n era ivi maestro. Così già molto avanzato nella storia naturale, presa la laurea in Bologna nel 1553, cominciò l’anno seguente ad essere impiegato nella cattedra di logica, indi in quella di filosofia, a cui fu ancora aggiunta la straordinaria lettura de' Semplici, la qual poi nel 1561 fu dichiarata ordinaria. Quarantotto anni continuò egli leggendo pubblicamente, e solo nel 1600, mentre ei già ne contava quasi ottanta di età, chiese ed ottenne la sua giubbilazione. Questa lettura però non fu la sola occupazione dell’Aldrovandi, nè il principal fondamento della sua gloria. L’Antidotario bolognese, pubblicato nel 1574 fu opera singolarmente delle sollecitudini e del zelo dell’Aldrovandi. Ma più ancor che per esso è a lui debitrice Bologna per l'orto botanico che per consiglio dell’Aldrovandi si cominciò a formare a pubbliche spese nel 1567, e di cui fu data la cura all’Aldrovandi medesimo insiem coll Odone, finchè dopo la morte di questo, accaduta nel 1571, l'Aldrovandi solo [p. 904 modifica]9°4 i.ibro n’ebbe la soprantendenza, e la tenne fino al 1600, in cui il senato, ad istanza di lui medesimo, gli diede a sostituto Giovanni Cornelio Weterverio olandese. Mentre egli era a comune vantaggio così occupato, si applicò ancora a scrivere le sue opere, le quali e pel numero de volumi e per la vastissima erudizione in esse racchiusa son tali, che sembra quasi impossibile ch’ei potesse giugnere a tanto. I diversi viaggi da lui fatti più volte in diverse parti d’Italia, e la corrispondenza da lui tenuta co’ più dotti che allor vivessero, nella storia naturale, di cui son pruova le lettere a lui scritte che si leggono al fin della Vita dell’Aldrovandi, gli agevolaron molto il comporle, perciocchè molte cose potè egli vedere viaggiando, e molte da altri vedute gli furon da essi esattamente descritte. Ma ciò non bastava. Nè egli poteva viaggiare in ogni parte del mondo, nè esser di ogni cosa dagli altri istruito. Ei pensò dunque a raccogliere sotto i suoi occhi in Bologna quanto di più pregevole e di più raro produsse la natura in ogni parte del mondo, ’Perciò con gravissima spesa, alla quale concorse in parte la liberalità del senato, in parte egli stesso aiutato ancora da molti principi e signori italiani, a cui l'idea dell’Aldrovandi parve degna di essere dalla loro munificenza promossa, radunò nel pubblico orto botanico tutte l’erbe più utili e più degne della considerazion d’un filosofo e innoltre formò nella propria sua casa un museo di produzioni naturali ch era forse il più insigne che allora esistesse, e una ricchissima biblioteca de’libri che a [p. 905 modifica]SECONDO Q05 questa scienza appartengono. Con questi aiuti ei si accinse a illustrare scrivendo le parti tutte della storia naturale. In tredici tomi in folio egli trattò stesamente degli uccelli, degl’insetti, de' pesci; de quadrupedi, degli altri animali tutti, de’ mostri, dei’ metalli e degli alberi. Egli però non potè vederne alla luce che quattro tomi, e gli altri furon poi pubblicati da diversi uomini dotti e in diversi tempi. Oltre questa grand’opera, immenso è il numero di altri trattati, osservazioni * lettere ed altri somiglianti libri che manoscritti se ne conservano nella biblioteca dell'Istituto in Bologna, ed il cui esatto catalogo si può vedere aggiunto alla Vita di esso. Questi per la maggior parte riguardano la storia naturale; ma ve ne ha ancora di mille diversi argomenti. La pittura, l’architettura, la musica, la poesia, l'antichità, la storia, le arti meccaniche, la geografia, la critica, la medicina, la filosofia, la morale, la matematica, e perfino la teologia, tutto fu abbracciato dall’ingegno dell’Aldrovandi, e in tutto ei lasciò pruove del suo sapere. Ma noi non possiam giudicare che delle opere le quali se ne hanno alle stampe. E niuno, io credo, ricuserà di sottoscrivere al giudizio che ne ha dato un moderno scrittor francese, a cui il comun consenso de’ dotti concede il vanto del più esatto insieme e del più elegante interprete della natura, cioè M. Buffon. Niun meglio di lui dovea conoscere i difetti e gli errori dell’Aldrovandi, ed egli in fatti ce gli discuopre; ma insieme ne fa un tale elogio, di cui l Aldrovandi medesimo non potrebbe a questi tempi [p. 906 modifica]J)o6 LIBIÌO bramare il più glorioso: LAldrovandi, dice egli (Hist. natur. t. 1, discours prélim, p. 26, ed. in 4°), il più laborioso e il più dotto fra tutti i naturalisti, dopo la fatica di 60 anni, lasciò immensi volumi sulla storia naturale, che furono successivamente stampati, e quasi tutti dappoichè egli fu morto. Essi si ridurrebbono alla decima parte, se se ne togliessero tutte le cose inutili ed estranee all argomento, Ma fuor di questa prolissità che, a dir vero, ci opprime, i libri dell Aldrovandi si debbono rimirare come i migliori che vi siano su tutta la storia naturale. Il piano dell opera è buono, sensate ne sono le distribuzioni, le divisioni spiegate bene, le descrizioni esatte, uniformi sì, ma fedeli. La parte storica non è ugualmente buona: spesso vi è misto il favoloso; e l autor vi si mostra troppo inclinato alla credulità. Ei venne a morte in età di 83 anni, a’ 10 di maggio del 1605; e dopo aver recato vivendo ornamento e vantaggio sì grande alla sua patria, volle esserle utile ancor dopo morte, e lasciò erede il senato del suo musco di tutta la sua copiosa biblioteca; e l’uno e l’altra, per saggia disposizione di quel prudentissimo senato, passarono poi all’Istituto delle scienze, che in esse conserva ancor viva la memoria di un uomo di cui Bologna dovrà sempre giustamente gloriarsi. XIII. Dopo aver parlato dell’Aldrovandi, appena sembra rimaner luogo a mentovare altri scrittori che presero ad argomento de’ loro libri la storia naturale. Nondimeno non dee negarsi un giusto tributo di lode a quelli ancora che si sforzarono d’illustrarla, benchè i lor [p. 907 modifica]SECONDO QOJ successi non fossero ugualmente felici. Ferrante Imperato speziale napoletano pubblicò nel 1599 in Napoli XXVIII libri di Storia naturale, che furono altre volte stampati e tradotti in latino. Alcuni affermano che il vero autor di quell’opera fosse Niccolò Antonio Stegliola, e che l’Imperato, pagandogli una somma notabile di denaro, ottenesse ch’ ella portasse in fronte il suo nome. Ma il Toppi e il Nicodemo rigettano questa accusa (Bibl. nap. e Addiz. ad essa)] a cui nondimeno parmi che possa aggiugnere qualche peso una lettera dall’ Imperato medesimo scritta all’Aldrovandi {Vita dellAldr. p. 252), dalla quale si scuopre ch’egli era avidissimo di esser lodato per cotal suo studio, Io non ho veduta quest’opera, ma non trovo ch’ella sia molto pregiata dagl’ intendenti (a). La lettera sopraccitata però cel mostra assai impegnato nel raccogliere le produzioni della natura, e nell’esaminarne l’indole e le proprietà. Qui ancora appartiene La Scala Naturale, (a) 11 sig. Napoli Signorelli arreca diverse ragioni a giustificar l Imparato dalla taccia appostagli di aver fatta sua l’opera dello Stegliola (Vicende della Colt, nelle due Sicil. t. 4, P' 160, ec.), e io confesso ch'esse mi sembrano aver molta forza. Ciò però ch’egli aggiugne, che Fabio Colonna nella prefazione al suo libro delle Piante rare napoletane manifestamente dimostra la falsità di tal favoletta, non mi par detto con esattezza, perciocchè il Colonna altro non fa in essa che lodar molto l Imperato, e l’opera da lui pubblicata; il che ci mostra bensì che il Colonna era persuaso che.quella fosse opera dell’ Imperato, ma non pruova che veramente essa il fosse; giacchè poteva anche quel dotto scrittore essere stato in ciò ingannato. [p. 908 modifica]908 libro ovvero Fantasia dolcissima di Gio. Camillo Maffei da Solofra (nel regno di Napoli) intorno (alle cose occulte, e desiderate nella Filosofia ì .stampala in Venezia nel 1564 opera in cui ragiona di varii punti di storia naturale, dell’acque, de’ venti, delle meteore, de pianeti, e di qualunque altra cosa gli viene alla mente, senza però internarsi molto profondamente in tali ricerche, e senza offrirci cosa che richiegga particolar riflessione. Dell’autore si posson vedere le opportune notizie presso il Tafuri (Scritt. del regno di Nap. t. 3, par. 2, p. 214). Molte opere abbiamo d’Andrea Bacci natio di S. Elpidio nella Marca, e secondo alcuni di origine milanese, medico di Sisto V e professor di botanica in Roma, della cui vita ragiona colla consueta sua esattezza il co Mazzucchelli (Scritt. ital. t 2, par. 1, p. 13), e la maggior parte di esse appartengono alla storia naturale e alla medicina. Tali son quelle dell Acque albule e di altre medicinali, il discorso dell’ Alicorno, i sette libri delle Terme da lui scritti in latino; e avuti in molta stima da’ dotti, il Trattato della gran Bestia, ed altre di somigliante e ancor di diverso argomento, delle quali il mentovato autore ci dà un ben distinto catalogo (a). Finalmente il co. Giovanni Maria Bonardo nato alla Fratta nel Polesine di Rovigo, di cui si fa spesso menzione nelle Lettere di • (a) 11 sig. abate Marini ha scoperto ciò che ancor non sapevasi, che il Dacci morì in Roma a’ "i\ ili ottobre ilei ifioo, e li» sepolto in S. Lorenzo in Lucina (Megli Archino i ponti/, t. 1, />. 4^4)• [p. 909 modifica]SECONDO 009 Lucrezia Gonzaga "e di Luigi Groto, e di cui il sopraccitato co Mazzucchelli ha raccolte tutte quelle notizie che gli è avvenuto di rinvenire (ivi, par. 3, p. 1546), oltre alcune altre opere poetiche, astronomiche, storiche e economiche, ci diede nel 1589 la Miniera del Mondo, stampata in Venezia, in cui brevemente compendia tutto ciò che di più raro produce in qualunque siasi luogo la natura, opera che non ci dà gran lumi per avanzarci in questa scienza. XIV. Lo studio da tanti valentuomini posto nell' illustrare la storia naturale giovò non poco a condurre a maggior perfezione la medicina. Ma assai più utile ad essa fu l’esattezza con cui altri al tempo stesso si diedero ad osservare e a descrivere la più bella e la più ammirabile di tutte le opere della natura, cioè il corpo umano. L’anatomia avea fatto qualche progresso nel secolo precedente, ma troppo ancora rimaneva a scoprirsi, e troppi eran gli errori da’ quali essa era ingombrata. Se nel secolo di cui scriviamo, ella non giunse ancora a godere di quella luce a cui poi fu condotta, molte furono nondimeno e utilissime le scoperte che in essa si fecero, e quasi tutte si dovettero all’ingegno e alla diligenza de’ medici italiani. La serie dei’ fatti che andremo svolgendo, cel farà manifesto. E a queste pruove io premetterò l’ingenua confessione di un recente scrittor' francese, cioè di M. Portal: Le scienze, dice egli parlando di questi tempi (Histor de VAnatom. t. 1,p. 341), languivano in Francia, benchè elle fossero già da gran tempo [p. 910 modifica]910 LIBRO coltivate valorosamente in Italia, e per una strana fatalità le. migliori opere d' anatomia e di chirurgia pubblicate in Italia, in Francia erano sconosciute... Anche in Montpellier, benchè vicina all' Italia, poco si profittò delle cogni zioni degli autori di questa nazione... Carlo Stefano, che fiorì in Parigi a tempi ancor posteriori, non cita nè il Mondino, nè l Achillini, nè il Carpi, né il f igo, che gli avrebbon potuto somministrare avvertenze utili e interessanti per la sua professione. L Italia sola possedeva le scienze, e i dotti che le coltivavano, eran racchiusi in questa parte d Europa. Que' ch eran nati in altre provincie, credevan di essere stranieri alle scienze, e si rifugiavano in Italia per apprenderle, o per insegnarle.... Francesco I, quel gran re di Francia degno d eterna memoria, conobbe la necessità d'introdurre nel suo regno i dotti stranieri per giovarsi delle lor cognizioni, e e. Così prosiegue egli a annoverare distesamente e gl’italiani chiamati in Francia e gli stranieri venuti in Italia, e a fare il confronto tra le scuole italiane e le oltramontane, e conchiude dicendo: Ci convien dunque, nostro malgrado, accordare la palma agli anatomici italiani del secolo XVI sopra gli altri di tutta l Europa.

XV. Il primo in ordin di tempo tra gli altri anatomici di questo secolo è Jacopo Berengario da Carpi, da alcuni dal nome della sua patria detto semplicemente il Carpi. Abbiam veduto altrove, parlando di Alberto Pio, che a questo suo principe e signore dovette Jacopo il principio della sua fama ¿ perciocché nel [p. 911 modifica]SECONDO ij 1 l palazzo di Alberto in Carpi, ove quello splendido mecenate di tutte le scienze godeva di raccogliere e di esercitare gli uomini dotti, essendosi determinato di fare l’anatomia del corpo, al Berengario, ch essendo figliuol di un chirurgo detto Faustino, avea cominciato ad esercitarsi in quell’arte, fu dato l'incarico di farne la sezione. D’allora in poi diedesi Jacopo singolarmente all’anatomia; e benchè fosse in Bologna professore di chirurgia, secondo l’Alidosi, dal 1502 fino al 1527 (Dott. forest, p. 30), si esercitò nondimeno singolarmente nell’esaminar la struttura del corpo umano. E vuolsi che avendo egli, per soddisfare alla sua curiosità ad un tempo ed alla sua antipatia contro gli Spagnuoli, aperti vivi due uomini di questa nazione per osservare la palpitazione del cuore, fosse perciò da quella città esiliato. Questo fatto si può forse considerare come uno di que’ racconti che non hanno alcun fondamento fuorchè la popolare credulità. L’Alidosi è il più antico scrittore da me veduto, che di ciò faccia menzione, ed egli è lontano da un secolo dal Berengario. Ei cita, è vero, il Falloppio, ma nulla di ciò io ho potuto trovare in questo autore; e parmi quindi che questo fatto debba almen rimirarsi come molto dubbioso. Egli esercitava ancora la medicina e la chirurgia; e gli vien data la lode di essere stato il primo inventore del metodo di curare il morbo gallico coll'unzion mercuriale. Il ch. dott Giuseppe Maria Bertini sostiene che gli Arabi ancora, e dopo essi più altri medici in Europa, usarono del mercurio (Dell uso esterno e interno del [p. 912 modifica]913 LIBRO Mercurio). E innoltre il dott Domenico Cottogni, uno de più valenti anatomici dell’ età nostra, ha osservato che Pietro Pintor, spagnuolo e medico di Alessandro VI, nel suo rarissimo libro De Morbo gallico, dedicato allo stesso pontefice, parla di questo rimedio pel detto male {De sedi bus Variolar. Neap. 1769). Ma almeno convien dare al Berengario la lode di aver promosso questo metodo di curare in modo ch’ ei ne fosse creduto il primo ritrovatore (*). E in ciò fu egli così felice, che benchè molti ne uccidesse, più nondimeno furono risanati t ed egli ne ebbe il guadagno di più di cinquantamila ducati, come narra il Falloppio < De Morbo gall. c. 39). Benvenuto Cellini nella Vita che di se medesimo scrisse, racconta (p. 33) che Jacopo venuto a Roma, e avendo veduti i disegni di certi vasetti da lui fatti, essendo egli ancora avido di tali cose, e ben intendente di que’ lavori, volle che il Cellini due gliene facesse d’argento; e in questa occasione ei fa un carattere poco vantaggioso del Berengario, e degli effetti di questo suo rimedio: Capitò a Roma un grandissimo Cerusico, (*) All’occasione del compilare che ho fatto la Biblioteca modenese, ho chiamato a pai diligente esame il tempo in cui il Berengario potè cominciare a far uso della unzion mercuriale; e ho couosciuto che il vanto che a lui si dà di esserne stato il primo ritrovatore, è più fondato che io non avea creduto dapprima; e che non può provarsi che nè il Pintor, nò altri autori spaglinoli o italiani l’usassero prima di lui- Veggasi il t. 1, p. ai5 di quell’ opera, ove più altre notizie del Berengario si sun prodotte. [p. 913 modifica]SECONDO Q|3 il quale si domandava Maestro Jacomo da Carpi: questo valentuomo infra gli altri sua medicamenti prese certe disperate cure di mali franzesi.... Io non gli ebbi sì tosto forniti (i due vasetti), che quest'uomo gli mostrò al Papa, e! altro dì dappoi s’andò con Dio. Era molto litterato: maravigliosamente poi parlava della Medicina. Il Papa volle, ch egli restasse al suo servizio; e quest uomo disse, che non voleva stare al servizio di persona del mondo; che chi aveva bisogno di lui gli andasse dietro. Egli era persona molto astuta, e saviamente fece a andarsene di Roma, perchè non molti mesi appresso tutti quegli, ch egli avea medicato, si condussero tanto male, che certo stavan peggio che prima: sarebbe stato ammazzato, se fermato si fosse. Mostrò gli mia vasetti al Duca di Ferrara, ec. In questo passo il Cellini dice che il Berengario gli pagò que’ due vasetti molto bene. Ma altrove nel parlarne di nuovo si contraddice (p. 195): Quel ciurmadore di Maestro Jacopo cerusico da Carpi, il quale venne a Roma, e vi stette sei mesi, e con una sua unzione imbrattò di molte decine di signori e poveri gentiluomini, da quali e’ trasse molte migliara di ducati, in quel tempo che gli feci questo vaso e un altro diverso da questo, ed egli me lo pagò l’ uno e l altro molto male; e ora sono a Roma tutti quanti sventurati, ch' egli unse, stroppiati e malcondotti. Anche il Bembo non ci dà una troppo favorevole idea del carattere del Berengario; perciocchè parlando di certa contesa che questi voleva muovergli su una casa in Bologna, dice Tirabosciii, Voi. XI. '20 [p. 914 modifica]9*4 LIBRO che costui non istima che il dir menzogne sia male alcuno, quando tornano a utile di chi le dice (Lettere, l i, l. Q). Qualunque però egli si fosse, e qualunque esito avessero le cure da lui intraprese, in ciò che appartiene all’anatomia, ei ne fu uno de’ più illustri ristoratori. Un ampio Comento pubblicò egli da prima nel i5ai (a) sull’Anatomia del Mondino, quindi un più ristretto Compendio, stampato in Bologna nel 1523, colle figure in legno, che credonsi opera di Ugo da Carpi intagliatore famoso. Se ne ha per ultimo un Trattato della rottura del cranio, stampato pure in Bologna nel 1518. Delle quali opere e delle loro edizioni veggasi il co Mazzucchelli (Scritt. ital. t 2, par. 2, p. 917, ec.). Il Falloppio, il cui giudizio è di gran peso in questo argomento, chiama il Berengario il primo ristoratore del'arte anatomica: Jacobus Carpensis primus procul omni dubio anatomicae artis, quam Vesalius postea perfecit, restaurator (Observat anatom. t 1, Op. ed. Ven. 1606, p. 48). E ne specifica la scoperta di due ossicelli dell’orecchio, detti malleolo e incude, di cui, dice il Falloppio, niuno avea ancora fatta menzione; benchè, secondo alcuni, essi fossero conosciuti ancora a’ tempi di Alessandro Achillini; intorno a che si può leggere una lettera del dottissimo (a) Altre edizioni eransi già pubblicate dell’Anatomia del Mondino, e il primo ad illustrarla con note, e darla più corretta che nelle prime stampe, fu Giammaria Ruzinento da Vigone in Piemonte, professore di medicina nell’università di Torino, che in questa città la diede in luce l'auno i5oi. [p. 915 modifica]SECONDO yiS Morgagni (Epist. anat. t. 1, ep. 6, n. 1, 2). M. Portal descrive a lungo (l. dtp. 272) tutte le osservazioni anatomiche fatte dal Berengario, cui dice egli pure uno de ristoratori dell anatomia e della chirurgia, e mostra che alcune scoperte attribuite a’ più moderni anatomici furon prima fatte da esso; e fra le altre quella della pellicella membranosa posta innanzi alla retina dell occhio, che si attribuisce comunemente all Albino. Ma quanto è esatto M. Portal nel darci una giusta idea dell anatomia del Berengario, altrettanto è poco felice nell accennarne le diverse vicende. Ei saggiamente rivoca in dubbio l’anatomia da lui fatta dei’ due Spagnuoli ancor vivi; ma soggiugne ch è certo ch ei fu mandato in esilio a Ferrara. Or il primo fatto ha i fondamenti medesimi che il secondo, e perciò o amendue debbonsi ammettere, o rigettare amendue. Egli poi crede probabile ciò che a me sembra improbabil del tutto, cioè che l’Inquisizione il costringesse a partir da Bologna per aver parlato troppo liberamente della generazione. A un anatomico non doveasi ciò imputare a delitto; e se pure ei fosse stato per ciò rilegato, ei non sarebbesi recato a Roma, ove veduto abbiamo poc’ anzi ch ei si trattenne sei mesi, e che il papa bramò di averlo al suo servigio. Io crederei anzi, che quando Carpi sua patria passò sotto il dominio del duca di Ferrara nel 1527, che fu quel tempo a un dipresso in cui egli, lasciata Bologna, passò a Roma e indi a Ferrara, egli scegliesse questo soggiorno per godere della protezione del nuovo suo sovrano. [p. 916 modifica]9l6 LIBRO L’Alidosi aggiugne, e più certa testimonianza se ne ha presso il Falloppio, che il Berengario morendo (il che non si sa in che anno avvenisse), lasciò) erede il duca delle ricchezze colla sua arte adunate. XVI. Vivea al tempo stesso in Ferrara Lodovico Bonacciuoli, nobile ferrarese, professore di filosofia e di medicina in patria, medico della duchessa; quel desso di cui udimmo dolersi tanto Pontico Virunio pel furto da esso fattogli de suoi caratteri e de suoi torchi (t 6, par. 3). Di lui abbiamo più opere anatomiche e mediche singolarmente in ciò che appartiene alla generazione, delle quali alcuni han fatti magnifici elogi. M. Portal nondimeno (l. c. p. 357), seguendo il sentimento dellTIaller, ne giudica meno vantaggiosamente, e osserva che in molte cose ei non è che semplice copiator degli antichi, e che più volte è caduto in non piccioli errori. In alcuni punti però confessa ch’egli ha veduto meglio degli altri, e che ove tratta delle gravidanze, non come anatomico. ma come medico ei propone ottime riflessioni. Egli era non solo medico, ma poeta ancor valoroso, e finì di vivere verso il i5.jo (Mazzucch. Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. 1532). Maggiori lodi dà il medesimo M. Portal (l. c p. 350, ec.) a Niccolò Massa veneziano, autore di una Introduzione anatomica stampata in Venezia nel 1536, e di altre opere mediche e filosofiche. Egli merita, secondo il detto scrittore, un luogo distinto tra' più illustri anatomici; ed è andato più oltre del Berengario in ciò che spetta alla cognizione de’ muscoli del basso ventre, delle [p. 917 modifica]SECONDO £17 reni, della lingua e di altre parti. 1?Alberici afferma (Scritt venez. p. 7) clfei fu sepolto in un maestoso deposito nella chiesa di S. Domenico in Venezia, e ne riferisce Tiscrizion sepolcrale postagli da Maria sua figlia nel 1569, che fu forse Tanno in cui egli finì di vivere. Valoroso anatomico fu Marcantonio dalla Torre veronese; ma l'immatura morte da cui fu preso in età di 30’anni, non gli permise il dar que’ gran frutti che se ne attendevano (V. Maffei, Ver. illustr. par. 2, p. 285, ec.). Molte opere anatomiche e mediche si hanno ancora alle stampe di Bassiano Landi piacentino, professore di filosofia e di medicina in Padova dal 1543 fino alTanno i563, in cui a’ 24 di ottobre fu barbaramente, non si sa per qual ragione, da un sicario ucciso (a). 11 lor catalogo si può vedere presso il Papadopoli (Hist Gymn. patav. t 1, p. 215, ec.); ma esse non sono avute in gran pregio; e M. Portal, forse troppo severamente, vuole (l. c.p.Zijfi) clfci sia annoverato tra quelli che han ritardato i progressi dell’arte. A qualche compenso di sì rigoroso giudizio aggiugniam qui l’elogio che ne ha fatto il Cardinal Agostino Valiero, il quale l avea avuto a maestro, e così ne dice: Scd illc, quem nominavi, Bassianus in elegantia sermonis perqui renda, et in conlemnendis philosophis illis, (n) Di Bassiano Landi più a lungo ha poi parlato il celebre sig. proposto Poggiali (Meni, per la Stor. letter. di Pine. t.7.,p. io3), il quale crede che il dispreizo con cui egli parlava degli altri professori, fesse cpiello che gli eccitò contro il loro odio, e fu cagione dell in» felice sua morte. [p. 918 modifica]yi8 LIBRO qui et Latini et scholastici nominantur, erat nimius; qua de re, antequam ex hac vita discederet, illum monueram; vir alioquin ingenio et varia eruditione praestans erat (De cautione in edend. Libr. p. 14)• XVII. Sorse frattanto il gran lume della moderna anatomia Andrea Vesalio di Brusselles, ! che in età di soli 25 anni pubblicò i suoi libri ■ della Fabbrica del corpo umano, nei’ quali ardì prima di ogni altro d’impugnare gli errori di Galeno, e quasi un altro Colombo, scoperse un nuovo e finallora incognito mondo nel corpo umano. Montpellier, Parigi, Lovanio furono i primi teatri in cui questo grand uomo diede a conoscere il suo valore. L Italia non dovea esserne priva. Nel 1537 la Repubblica veneta il chiamò a Padova, ove fino al 1542 tenne scuola d’anatomia. Ne partì in quest’anno per recarsi a Basilea, e ne tornò nell’ anno seguente per ripigliar la sua cattedra, ove l’applauso ch’egli ottenne, tu tale, che giunse ad avere fino a 500 scolari (Facciol. Fasti Gymn. patav. pars 3, p. 38(3). Ma ne partì di nuovo per Basilea l’anno seguente, e poco appresso passò alla corte di Carlo V, con molto danno dell’anatomia, a cui egli poco attese, poichè fu al servigio di Cesare, e con maggior danno di lui medesimo; perciocchè avendo ottenuto di aprire il cadavero di un gentiluomo spagnuolo da lui curato, ed essendosi nell’aprirlo trovato il cuore ancor palpitante, i parenti del defunto ne concepirono tale sdegno, che al tribunale dell'Inquisizione accusarono d’empietà l’infelice anatomico. E Carlo V a salvarlo credette di [p. 919 modifica]SECONDO C) IC) non avere altro scampo che d’inviarlo in pellegrinaggio a Gerusalemme; donde mentr’ egli ritorna, richiamato dalla Repubblica veneta nel 1564 fece naufragio, e gittato dall onde all’isola di Zante vi morì di disagio (*). Io non dovea passar del tutto sotto silenzio questo sì celebre ristoratore dell’ arte anatomica, per l onor che’ egli accrebbe all’ università di Padova; ma al mio argomento basta l averlo accennato. Quando il Vesalio partì da Padova nell’an 1542, gli fu dato a successore Realdo Colombo cremonese, ch’era ivi stato prima professor di sofistica, e a lui pure succedette di nuovo nel »544? e Pcr tre anni sostenne con onor quella cattedra (Facciol. l, c. Papadop. Hist Gymn.patav. t. 1, p. 318). Nel 1546 fu professore a Pisa, ov era pure nel 1548 (Fabbrucci, de Gymn.pis. ap. Calog. N. Racc, t. 6, p. i o5). Vuoisi ancora da alcuni ch ei fosse professore in Ferrara (V. Guarin. Supplem. ad Hist. Ferrar. Gymn. pars 2, p. 121), ma nè se ne indica l’anno, nè se ne reca sicura pruova. Passò poscia a Roma, ove si trattenne più anni, e narra egli stesso di aver aperto il (*) Il sig. abate Lampillas giustamente mi arcusa di errore (Saggio, par. 2, t. 2, p. *47) » perchè ho fatto vivere ancor Carlo V, quando il Vesalio parli dalla corte eli Spagna. Cambisi dunque Carlo V in Filippo II. Quanto poi alle ragioui eh’ei reca per porre in dubbio il motivo da me, dopo molti altri autori, recato di quella partenza del Vesalio, a me poco imporla che il latto sia vero, o falso, poiché nulla esso appartiene alla stona della letteratura italiana, e sarò pronto a toglierlo interamente dalla mia opera [p. 920 modifica]920 LIBRO cadavero di S. Ignazio fondator de Gesuiti, quando questi morì (De Re anatom. l. 15). Ivi nel 1559) pubblicò i suoi XV libri di Anatomia dedicati al pontef Paolo IV, e visse almeno fino al 1564, come pruova il Fabbrucci, presso il quale si potranno vedere più distinte notizie di questo professor valoroso (l. c.), come ancora presso YArisi (Crem. litter.) (a). Se si riflette agli elogi ch ei fa di se stesso nella sua opera, e al disprezzo con cui spesso parla del gran Vesalio, delle cui lezioni però si era molto giovato, si crederebbe che il Colombo non fosse che un superbo millantatore. Ma non ostante questo difetto, ei dee esser riposto tra’ più illustri anatomici. M. Portal ci dà un distinto compendio dell’ opera da lui pubblicata (l. c p. 541, ec.), e mostra che, benchè troppo aspramente, giustamente però ha in alcuni luoghi corretto il Vesalio va annoverando minutamente le diverse scoperte da lui fatte prima di ogni altro, e da qualche moderno anatomico attribuite a se stesso; ma insieme avverte che alcune osservazioni ch’ ei si vanta di essere stato il primo ad esporre al pubblico, trovavansi già ne’ libri di più antichi anatomici. Io non prendo a parlare distintamente di ciascheduna cosa, per non riempire 11 sig. abate Marini ha chiaramente provalo che Rcaldo Colombo morì nello stesso anno 15 >9 in cui fu pubblicata la sua opera anatomica, e prima che la stampa ne Tosse finita; ed ha anc he osservato che nello stesso anno egli era professore nella Sapienza di Roma collo stipendio di 220 ducali (Dtgli Archiatri ponti). I. 1 P• 372). [p. 921 modifica]SECONDO 92I questa mia Storia di termini anatomici, che dalla maggior parte non sarebbono intesi. Mi basta accennarle, e indicare gli autori che ne danno più minuta contezza. XV ili. Assai più celebre è il nome di uno scolaro del Vesalio, che pien di rispetto pel suo maestro, parve che volesse seguirlo solo d’appresso, ma che in molte cose felicemente lo avanzò. Ei fu Gabriello Falloppio modenese, la cui memoria sarà sempre gloriosa nella storia dell anatomia. l)i 1111 uomo sì illustre, e vissuto soli due secoli innanzi a noi, dovrebb esser nota la vita; e nondimeno non è ancora stato deciso quando nascesse, o quando finisse di vivere. E grande è la diversità di sentenze intorno alla prima epoca; perciocchè alcuni lo dicon nato nel fra i quali è il Tommasini (in Elog), altri in maggior numero nel 1523. Io inclinava già alla prima opinione, e me lo persuadevano i versi di Giulio Giraldi sul sacco di Roma, nei' quali, tra quelli che lo aiutarono nelle sventure fra cui fu allora avvolto, nomina un Falloppio, ma senza spiegarne il nome, dal quale narra che gli furono inviati in dono venticinque, com’ei li chiama, talenti. Ma un passo del famoso Sigonio mi ha tratto nella seconda opinione, e mi ha fatto conoscere che il Giraldi ragiona di qualche altro Falloppio. Racconta il detto scrittore, e due volte il ripete (Praef. ad Emendai, li viali, et Disp. patav. 2), ch’ egli e il Falloppio furono insieme allevati ne’ lor primi anni; che udirono gli stessi maestri, e che a vicenda si animavano ne" loro studii. Eran dunque a un dipresso della medesima [p. 922 modifica]922 LIBRO età il Sigonio e il Falloppio; c poiché il primo era nato circa l’an 1524 come a suo luogo diremo, circa il tempo medesimo ancora dovette nascere il secondo. Ei fece i suoi studii parte in Ferrara, ov ebbe tra gli altri a maestro Antonio Musa Brasavola, che con tal nome ei lo cita sovente nelle sue opere (De Medicament, purgant. simpl. c. 54 in Metall, c. 13, ec.), parte in Padova, ove fu scolaro del famoso Vesalio, di cui, come vedremo, parlò poi sempre con gran rispetto. ancor quando ne impugnò le opinioni. Il Muratori nella Vita del Sigonio afferma che il Falloppio fu prima canonico in Modena, e che poi rinunciò al canonicato per attendere alla’ anatomia; ma nell’archivio del capitolo di questa cattedrale non si è potuto di ciò trovare alcun monumento (*). Nel 1542 ei fu uno di quelli che sottoscrissero il Formolario di Fede, da noi mentovato altrove, e in quella sottoscrizione non prende alcun titolo. Ei fu prima professore in Ferrara, di che, oltre la testimonianza del Borsetti (Hist. Gymn. Ferr. t. 2, p. 170), ci fa fede egli stesso, dicendo (Observat anatom. Op. t. 1, p. 74): Dum ego Ferrariae profiterer (agitur fere decimus et tertius annus) suum istud inventum mihi communicavit (parla di Giambattista Canani) egoque (*) Mi c poi avvenuto di ritrovar memoria del canonicato avuto già dal Falloppio per breve tempo in questa cattedrale, e poi da lui rinunciato; del clic e di alcune altre circostanze intorno alla- vita di questo illustre anatomico si ò detto più stesamente nella biblioteca degli Scrittori modenesi (t. 2, p. a3, ec.). [p. 923 modifica]SECONDO Q2Ì postea Pisis atque hic Patavii ita publice propalavi, ec. In qual anno scrivesse le sue osservazioni anatomiche, nol sappiamo; ma poichè ei fu professore prima in Ferrara che in Pisa, come abbiamo udito da lui affermarsi, e a Pisa ei fu chiamato nel 1548, come afferma il Fabbrucci (l. c. p. 110), e come narra lo stesso Falloppio: anno 1548, quo ego primum Pisis profiteri coepi (l. dtp. 48), ne segue che ciò accadesse al più tardi nel 1547z ffuand° non contava che circa 24 anni di età. Tre anni si stette in Pisa, ove gli fu dato a successore Antonio Punzanelli, di cui egli fa grandi elogi (ib. p. <j4)j passò a Padova, ove fu professore di chirurgia, d’anatomia e de’semplici, ed ebbe anche qualche ispezione sull'orto botanico collo stipendio di 200, e poi 276 fiorini (Facciol Fasti Gymn. patav. pars 3, p. 381, 401 405)In quell'università continuò ad insegnare, finchè visse, il Falloppio, ma in modo che a quando a quando ei fece diversi viaggi, o per curare ragguardevoli personaggi, o per fornirsi di nuove cognizioni. L'an 1552 fu chiamato a Roma alla cura di Balduino del Monte fratello del pontef Giulio III (ib. p. 387). Egli accenna di essere stato in Firenze, e di aver ivi esaminate ben cento ossa di leoni (l. c. p. 46, De Partibus similar. ib. p. 130). Nel suo trattato De metallis, scritto nei 1557, afferma di essere stato in quell’anno in Milano (ib. p. 368, 371). Al fine del suo Comento sul libro d’Ippocrate De vulneribus capitis dice che stava allor sul partire insieme cogli ambasciadori, probabilmente della Repubblica veneta, [p. 924 modifica](p4 LIBRO alla corte del re di Francia: Ilacc de vitineribus capitis sint satis; et quia confecturus sum iter in Gallias cum c lari s s imi s ad Rege/n Ora tori bus, pluribus vacabo diebus Op. t. 2, p. 456). Finalmente ei navigò ancor nella Grecia; perciocchè, parlando di una pianta, dice: Hinc cum ex Graecia afferrem hanc plantam De mater. medica, c. 21, Op. t. 1, p. 243). Alla fatica delle pubbliche scuole e de’ viaggi ei congiunse quella dello scrivere, e le opere da lui composte, mediche, chirurgiche e anatomiche, forman tre tomi in folio, fra le quali son pregiatissime, come ora vedremo, le sue Osservazioni anatomiche. S’io volessi raccoglier gli elogi con cui egli è celebrato da’ suoi contemporanei, non meno che da’ più recenti scrittori, io potrei stendermi assai lungamente. Il Sigonio ne’ passi da me accennati, Paolo Manuzio, cui egli guarì da un ostinato mal d’occhi, in una elegante lettera che in ringraziamento gli scrisse (l. 4? CP- 4-^)j Bartolommeo Ricci in due sue lettere al Sigonio e a Lorenzo Frizzolio Op. t. 2, p. 196, 203), Melchiorre Guillandino in una lettera al Mattioli inter Epist. Matthiol. l. 1), e mille altri ne fanno luminosissimi encomii. Ma a sfuggire lunghezza due soli ne recherò io di due scrittori, l’uno antico, l'altro moderno. Il primo è il suddetto Guillandino, che altrove ne fa questo elogio, il qual ben si vede che non è dettato da adulazione (Papyrus, p. 120, ed. Veli. 15-j 2): Quod equidem eo libentius refero, quod mihi refricat renovatque memoriam pariter ac desiderium Gabrielis Falloppii Mutinensis, magni taci, dura [p. 925 modifica]secondo na5 ìiac luce frite re tur, moeceuatis, quem ego virimi totius ltuliae publico summoque honore nomino. Nullum enim unquam Chirurgum hoc ipso Italia produxit omnibus animi ingeniique dotibus absolutiorem, absit invidia dicto. Et si ad laudem facit Hydrocremusto Taurino tanto majorem, quanto minus verecundum est velle docere quod non didiceris; ac spartam, quam sis nactus impotenter ornare. Sed ne singulas ejus laudes oratione exsequar, apponam elogium quod ejus imagini meo in musaeo subscripsi, ex quo nemo non intelliget, quantis vir ille virtutibus instructus fuerit. Salve, Gabriel Falloppi Scholae Patavinae, medicorum omnium, omnibus numeris longe absolutissime: ingeniorum liberalis educator, artium et utriusque linguae perite, ac unice verae virtutis aestimator. Salve iterum anatomicorum atque herbariorum coryphaee, cum te vivente non Italia modo tua, sed omnis quoque Europa salutari et admiranda prorsus doctrina floruerit, scilicet ut mox orbata te doctore et vindice in densissimam obscuritatis c aligi ne m, et veteres illas tenebras incideret Salve itidem, qui feliciter et cxercuisti medie inani, et luculenter docuisti in clarissimis Italiae gymnasiis annos XIIX, derectis, damnatis, proscriptis, e medio sublatis errorum millibus multis, aequato non modo Herophili rerum fulgore, sed et ¡ani Dioscoridis prope et magni Asclepiadis. Verum satis tibi non erat tot nominibus ad aeternam gloriam contcndisse, ni si edam Melchiorem Guillandinum gravi aere obstrictum ex manibus Numidarum Maurorumque gratis redimeres. Quod ille generosi animi [p. 926 modifica]9^6 LIBRO ti ti liberale donimi, si non, ut par est, digne olim pensabit, certe nulli unquam oblivioni tradet, sed qua mudino di un dicitur trabali clavo figet, atque optima fide aeternum suspendet. L’altro è M. Portal, il quale dell’opere del l'alloppio ragiona assai lungamente (l. c. p. 569, ec.), e scuopre le belle riflessioni ch’ ei prima di ogni altro ha fatto su le ossa umane; mostra quanto bene egli ha conosciuto l’orecchio e l’occhio e la lingua, come’egli ha corretta la descrizion del Vesalio de muscoli del basso ventre, e come ha scoperto nell’utero femminile quelle che da lui tuttora si dicono le tube falloppiane (le quali per altro si vuole che anche dall’antico medico Erofilo fossero indicate), e dopo aver di ogni cosa distintamente parlato, conchiude: Ecco a un di presso ciò che le opere del Falloppio hanno di interessante sull anatomia e sulla chirurgia. Da quest estratto si può conoscere, che il l'alloppio è stato un de' più grandi anatomisti e de’ più grandi chirurghi del secolo XVI. Il suo genio si mostra ad ogni passo, e ad ogni passo si scuoprono le tracce d osservator giudizioso. Egli era uomo di dolce carattere, affabile e nulla presuntuoso: proponeva con modestia le sue scoperte, e combatteva con moderazione gli altrui errori. Ebbe sempre un gran rispetto pel suo maestro Vesalio, e non violò mai i diritti dell'amicizia. In una parola, fu il Falloppio dotato di quasi tutte le buone qualità che si bramano, ma che raramente si trovano in un dotto. Ma non v’è elogio che tanto onori il Falloppio, quanto quello che a lui fanno le sue )opere stesse. Perciocchè, oltre le belle scoperte [p. 927 modifica]SECONDO C)2~ che vi s’incontrano frequentemente, ei mostra in esse una modestia e una sincerità sì grande, che pochi esempj se ne troveranno. Egli credeva di avere scoperto prima di ogni altro il terzo ossicello dell orecchio, che dicesi staffa. Gli vien detto che prima di lui avealo scoperto Filippo Ingrassia siciliano, ed egli cede tosto il campo, e ne dà la lode al primo ritrovatore: Quamvis ali quando menni hoc dixerim, aliique illud idem de se affirmarint, Deus tamen gloriosus scit, Ingrassiae fuisse inventum (Observ. anat. Op. t. 1, p. 48). Parlando di un’altra scoperta, quasi ei temesse che alcuno gliene desse la gloria, si protesta ch’ essa è dovuta a Giambattista Canani. Hoc equidem meum inventum non est sed Joannis Baptistae Canani Ferrariensis Medici (ib. p. 74)- C011fessa che nel curare le rotture del cranio egli ha più volte peccato per ignoranza, e che ben cento uomini per sua colpa son morti: Advertatis quaeso: ego fui in causa mortis centum hominum ignorans causam hanc (in l. Hipp. de vul. cap. l. 17). Con qual modestia finalmente conchiude egli le sue osservazioni anatomiche, chiedendo in certo modo perdono s egli ha osato di discostarsi dalle altrui opinioni, e da quelle singolarmente del suo maestro Vesalio! Atque utinam neminem ex iis, ad quorum manus libellus hic pervenerit nostra (quod summopere exopto) offendat oratio, cum in ipso nihil a me scriptum est, quod alios anatomicos laedere valeat, si justi aequique vel ipsius aestimatores esse velint. Omnes enim, qui adhuc vivunt, amo ac colo, et [p. 928 modifica]9^8 LIBRO itlorum quoque. qui mortui sunt, manibus optime precor, nullius illorum gloriae aut laudibus invidens, cum tam vastus sit optimae existimationis campus, ut inde unusquisque maxima ornamenta sibi colligere possit sine detrimento alienae gloriae. Quod si aliquando divino Vesalio aut alicui alii anatomico non lubens, sed inscius potius vel invitus vulnus aliquod inflixi, oro, ut hoc antidoti loco a me acci piani quod aut imprudenter erravi, aut, si vera protuli, omnia ipsi praesertim Vesalio accepta refe.ro, quoniam ita mihi viam stravit, ut ulterius licuerit progredi, quod numquam certe hac ope destitutus facere potuissem. Oltre le opere ne’ tre tomi racchiuse, si ha alle stampe sotto il nome del Falloppio un libro italiano di Segreti, che da alcuni credesi di altro autore, nè io ho agio di trattenermi su tal quistione. Alcune lettere italiane se ne hanno tra quelle scritte ad Ulisse Aldrovandi (Vita deltAldr. o. 194, ec.), dalle quali si trae che egli era in qualche trattato di passare a Bologna, ma che insieme, benchè in età giovanile, era in assai cagionevole stato di salute. Perciocchè in una sua de’ 16 di marzo del 1557, esortando l’Aldrovandi a moderare le sue fatiche e il suo studio, Specchiatevi in me, gli dice (ivi, p. 198), il quale era tuttofuoco, c dalla fatica sono ridutto a mal termine in guisa, che se voglio star sano mi conviene mangiare una volta solo il giorno, et non essere huomo quasi, et con stento ancor mi mantengo. In fatti questo sì dotto e sì amabile professore morì in età troppo immatura, cioè circa i trentanove [p. 929 modifica]SECONDO 939 anni. Il Facciolati e gli altri scrittori padovani ne fissano comunemente la morte al j5(53. Ma Francesco Panini, concittadino del Falloppio, nella sua Cronaca ms di Modena, da lui scritta nel 1567, la pone l’anno innanzi, cioè nel 1562, e dice che ne furono fatte in lode molte orazioni funebri, elegie, ode, epigrammi, anche da’ forestieri, come da Giovanni Sario nobile pollacco, di cui si ha alle stampe un’orazion funebre in lode del Falloppio, da Nicasso Ellebodio fiammingo, che stampò un’oda, e da Casimiro Accursio Aquilano, di cui il Panini medesimo reca due epigrammi latini in lode dello stesso Falloppio. XIX. I due anatomici, a’ quali abbiam udito poc’ anzi che il Falloppio attribuì le scoperte di cui altri facean lui autore, cioè Filippo, ossia Gian Filippo Ingrassia, e Giambattista Canani, furono essi ancora due de’più valenti che avesse TItalia. L’Ingrassia era nato in Recalbuto nell’isola di Sicilia (V. Mongit Bibl. sicul. t. 1, p). 390), e secondo il Mongitore fece i suoi studii in Padova, ed ebbe ivi la laurea nel 1537 anzi M. Portal aggiugne che fu ivi ancor professore (l. c p. 435). Ma nè il Papadopoli, nè il Facciolati non fanno menzion dell’Ingrassia nè tra gli scolari, nè tra i professori di quella università (*). Da Padova, secondo i due suddetti (*) Sull’autorità del Mongitore ho qui asserito che l'Ingrassia fece i suoi studii in Padova; nè io ho motivo di contraddire a tale asserzione. Due cose però son certe; la prima, ch’egli studiò dapprima in Palermo sotto il medico Giambattista dalla Pietra, ch' ei perciò TlUÀBOSCHI, Voi. XI. 2 1 [p. 930 modifica]y3o lìbuo scrittori, passò ad essere professore nell università di Napoli, ed ivi ebbe tal nome, che gli venne innalzata una statua con una onorevole iscrizione, da essi riferita, in cui egli è detto ristoratore in quella città della medicina e dell anatomia. A dir vero, l’ Origlia nella sua Storia dell' Università di Napoli non fa cenno delfIngrassiaj ma ch’egli vi tenesse scuola d’anatomia, è certo dal passo del Falloppio, che tra poco riferiremo. Da Napoli trasferissi poscia a Palermo, ove venne in tal fama, ch’egli era considerato come un oracolo. Sollevato dal re Filippo II nell’an 1563 alla carica di archiatro di quell’ isola e delle adiacenti, provvide con prudentissime leggi alla pubblica felicità, e ordinò che niuno potesse esercitare la medicina, y chiama suo maestro (Jatropol. P'en. Gryplx. i54&, p. iif),'p. i45); l’altra, eh’ci dà più volte lo stesso titolo al famolo Manardi (il/, p. i3o, 3q4 » ec-)■> c cl»e perciò convitili dire eli’ egli studiasse qualche tempo in Ferrara. Dall' opera dello stesso Ingrassia intitolata J/ttrapologia, da lui scritta in Napoli nel i547, si raccoglie (il/, p.?.6o) ch’egli era stato prima in Sicilia, menti e ivi era donna Isabella moglie del viceré D. Ferrante Gonzaga; che dovendo ella nel i544 andare a Mantova, avcalo scelto a suo medico; e che venuto con essa a Napoli, e trattenendosi ivi lungo tempo, per opera singolarmente di Simone Porzio, e per ordine del viceré 1). Pietro di 1 oledo, avea ivi preso a leggere pubblicamente la medicina; che D. Isabella gli pei mise di ivi fermarsi, purché l’accompagnasse fino a Manfredonia, ove dovea imbarcarsi per ululare a Venezia; e che avendo egli in quel viaggio impiegali diciassette giorni, tornato a Napoli, trovò un altro che erasi intruso nella sua cattedra, e usava di ogni arte per alienare da lui gli scolari, il che però non veuncgli fallo. [p. 931 modifica]SECONDO 93I se non dopo un rigoroso esame e dopo pubbliche pruove de' suoi talenti e de suoi studii. In occasion della peste che l’an 1575 devastò Palermo e gran parte della Sicilia, tal fu la destrezza, il senno e l’attività dell’Ingrassia, che a lui si attribuì la cessazione di quell’ orribil flagello; e il Senato di Palermo, per riconoscere e premiare le fatiche e il saper dell Ingrassia, comandò che gli fosser contati 250 scudi d’oro al mese. Ma egli con rara generosità ne accettò solo quanto bastava ad innalzare una cappella in onore di s Barbara nel convento de’ Predicatori di Palermo. Rendette più salubre l’aria di quella città coll’asciugare certe paludi che la cingevano, e finalmente lasciando gloriosa memoria del suo sapere non meno che delle sue virtù, finì di vivere in età di anni 70, nel 1 £>80, e ne furono solennemente onorate le esequie da’ medici e dagli speziali tutti della città. Molte sono le opere anatomiche e mediche da lui pubblicate, delle quali si legge il catalogo presso il Mongitore. Le prime singolarmente contengono utili osservazioni, e molte di esse non ancor fatte da altri, delle quali si può vedere l’estratto presso M. Portal. Io accennerò solamente la scoperta del terzo ossicello dell’orecchio, detto staffa. L’Ingrassia è debitore al Falloppio, se la lode di questa scoperta è rimasta a lui solo: Tertium, dic egli, parlando di questo ossicello (Observat. anatom. Op. t. 1, p. 28), si nolumus debita laude quemquam defraudare, invenit ac promulgavit primus Joannes Philippus ab Ingrassia Siculus Philosophus ac. Medicus doctissimus, [p. 932 modifica]y3a LiBiio durn Neapólitano in Gjrmnasio public$ aliatomeli doccret, ataue etiam theoricam et practicam, ut ajurit, /ne dici nani projìtcretur. Nam vir ille, ut patet ex ipsius scriptis editis, ita in omnibus artis nostrae partibus exercitatus est, ut consummatissimus Medicus cum sit, merito et dici possit. E siegue narrando, come sapesse della scoperta che fatta avea l Ingrassia, e conchiude colle parole da me poco anzi recate nel ragionar dello stesso Falloppio. XX. Il Canani era ferrarese di patria, e fu prima professore di medicina e d'anatomia nell'università della sua patria, quindi primo medico del pontef Giulio III, e finalmente protomedico del ducato di Ferrara a’ tempi di Alfonso II (Borsetti, Hist Gymn. Ferr, t. 2, p. 156). Una sola opera se ne ha alla luce intitolata Musculorum humani corporis picturata dissectio, stampata in Ferrara nel 1572, opera di tal rarità, che a pena è chi possa vantarsi d’averla veduta (a). Perciò lo stesso M. Portal non ne ha potuto dare l’estratto (t. 2, p. 25), e solo sulla testimonianza di Amato Lusitano, a cui lo stesso Canani mostrò nel 1547 8ua scoperta, pi uova di’ci fu il primo osservatore di alcune delle (a) L’operetta del Cannili fu stampata non nel 1372, ma nel i543, e si può vedere la descrizione che ne fa il sig. aliate Marini, che una copia ne ha avuta sotto gli ocelli, e in; accenna alcune altre (Degli Archi ni ri pontif. t. 1, p. 400, ec.). Questo valonfeo scrittore ha poi fatte pubblicare alcune lettere scritte dal duca di Ferrara Ercole II a Giulio III e al Cardinal dal Monte, quando mandò nel il Canani perchè curasse il podugroso pontefice (Giorn. di Pini, t. fii). [p. 933 modifica]r SECONDO y33 valvole delle vene, intorno alle quali è da vedersi una lettera del Morgagni che alcune altre circostanze ci somministra della vita del Canani, e loda assai questo illustre anatomico (Epist. anatom. t. 2, ep. 15, n. 65, ec.).; ma confessa egli stesso di averne veduto una sola volta il libro in Ferrara, senza poterlo pur leggere. Ma a ciò dee aggiugnersi un'altra circostanza da lui rilevata prima di ogni altro ne’ muscoli della mano, ch è appunto quella scoperta di cui gli rende l'onore il Falloppio; il quale, dopo averla descritta, così ne dice, facendo un magnifico elogio di quest’anatomico: Hoc equidem meum inventum non est, sed Joannis Baptistae Canani Ferrariensis Medici, viri uti sine ulla controversia inter antesì guanos anatómicos rollocandi, ita omni genere doctrinae et morum probitate comitateque nemini secundi. Non sappiam) fin quando egli vivesse. Ei fu sollecito di fare a se stesso l'iscrizion sepolcrale, mentre ancor vi vea, ed era nel sessantesimoterzo anno di sua età l’an 1578, ed essa è riferita dal Borsetti e dal Portai. XXI. Potrei qui far menzione di Guido Guidi chirurgo e anatomico illustre; ma di lui mi riserbo a parlare ove diremo de’ medici italiani che pel loro sapere furon chiamati in Francia ed altrove, ed ivi pure diremo di un altro anatomico, cioè di Prospero Borgarucci. Giulio Cesare Aranzi bolognese, nipote di Bartolommeo Maggi, di cui parlerem tra’ chirurghi, professore per 32 anni in Bologna di medicina pratica, di chirurgia e d’anatomia, e ivi morto nel 1589, e con grande onor seppellito [p. 934 modifica]934 unno <A luiosi, Dott. bologn. di Teol. ec. p. ioo)T diè alla luce diverse opere anatomiche e mediche (Mazzucch. Scritt. it t. 1, par. 2, p. 932), fra le quali pregiatissima è quella De Humano foetu, stampata la prima volta in Bologna nel 1564, e poscia più altre volte. Egli è stato uno de’ primi, secondo M. Portal (l. c. t. 2, p. 3, ec.), a esaminare Attentamente le parti del feto umano, e della matrice in cui esso è racchiuso; e della descrizione che ne ha fatta l’Aranzi, ci dà un esatto compendio lo stesso autore. Più altre belle osservazioni anatomiche egli ne riferisce intorno al cervello, all’orecchio e a’ muscoli di esso e dell’occhio, alla lingua e ad altre parti del corpo umano; e mostra che qualche recente scrittor' francese di alcune di esse si è fatto bello senza citarne l'autore (a). Nome ancor più famoso è quello di Costanzo Varoli (b), esso pur bolognese, prima professore di chirurgia e di medicina in sua patria, poscia chiamato a Roma, e fatto dal pontef Gregorio XIII suo primo medico e professore nella Sapienza (Alid. l. c. p. 42). Oltre un general trattato di Anatomia, se ne ha alle stampe quello su’ Nervi ottici; e ad esso principalmente dee il Varoli la riputazione di cui gode tutto’ra; perciocché egli fu il primo ad osservare ch’ essi hanno la loro origine dalla (a) Veggasi anche iuIonio aU’Araozi l'opera più volto citata dal co. Fantuzzi (Scritt. bologn. t. i, p. ec.). (/■) Il Varoli è stato tolto dal ruolo de" medici pontifieii dal sig. abate Marmi, che non ha trovato alcun documento per lasciarvelo (r. 1, />. 4*9)* [p. 935 modifica]SECONDO y35 midolla allongata; e più altre importanti scoperte intorno al cervello gli vengono attribuite, delle quali parla distintamente M. Portal (l. c. p. 29, ec.), che altre ancora ne aggiugne tratte dall’opera anatomica di questo dotto scrittore, ed osserva fra le altre cose, che le prime memorie da M. Dodard pubblicate intorno alla voce non sono che una libera traduzione delle opere del Varoli. Egli però non è in tutto esente da errori; ed alcuni ce ne addita lo stesso M. Portal. Ma ei gli avrebbe felicemente emendati, e progressi assai più lieti avrebbe fatti in questo studio, se una troppo immatura morte non l’avesse rapito nel 1575 nell’età di soli 32 anni. Con molta lode parimente ragionano alcuni de’ più dotti anatomici di Giulio Jasolino natio di S. Eufemia in Calabria, di cui, oltre alcune operette latine di anatomia, si ha alle stampe un libro De rimedii naturali che sono nell' ìsola di Pi te chusa, oggi detta Ischia. Ei fu scolaro e successor dell'Ingrassia; e mantenne alla università di Napoli la fama e il grido che il suo maestro le avea ottenuta. Alcune delle più pregevoli osservazioni da lui fatte si accennano da M. Portal (ib. p. 39). Questi ancora ragiona di quelle non men pregevoli che s’incontran nell’opere di Giambattista Carcano Leone milanese, scolaro e aiutante del Falloppio nelle dimostrazioni anatomiche (ib p. 53, ec.). Il suo maestro pensava di farlo scegliere a suo successore; ma essendo egli morto prima di eseguire ciò che avea disegnato, il Carcano, privo di un tale appoggio, dovette cercarsi altrove provvedimento. M. Portal dice [p. 936 modifica]y3b unno ch’ei passò n Pisa; di che io non trovo indicio, se pur ciò non si trae dalle opere stesse del Carcano, da me non vedute. Ben trovo ch’ei fu professore di anatomia in Pavia; la qual cattedra però ei non ottenne che a’ 17 di novembre del 1573 (Elenc. act. tic in. Stnd. ad h. a.). Egli era ivi ancora nel 1588 (ib. adii. a.)t e visse almeno fino al 1600, come pruovasi dall*Argelati, il quale annovera le opere da lui pubblicate (Bibl. Script, mediol. t. 1, pars 2, p. 301). Esse, come ho accennato, mostrano un osservator diligente, e che corregge ancora il Vesalio e il suo maestro Falloppio. Ma questi pregi vengono sminuiti, come afferma M. Portal, dall’ oscurità dello stile, dalle inutili digressioni e dalle soverchie lodi di cui l’ autore è liberale a se stesso. Degno è pur da vedersi l estratto che ci dà il medesimo autore delle opere di Arcangelo Piccolomini ferrarese che verso la metà del secolo fioriva in Roma (l. c. p. c)3; t. 5, p. 602; t. (6, part. 2, p. 13) (a), e di quelle di Giulio Casserio piacentino (b), prima domestico, poi scolaro e aiutante dell’ Acquapendente nelle sezioni anatomiche, e finalmente successor del medesimo nella cattedra, c morto nel 1616, di cui, oltre più altre opere, è in molta stima la Storia (a) Di Arcangelo Piccolomini copiose ed esatte notizie si posson vedere nella bell opera del sig. ab. Marini, il quale in molte cose ha corretto il Portal (Degli Archiatri pontif. t. 1, p. 423, ec.). (b) Più copiose notizie intorno al Casserio si possono ora vedere nelle Memorie per la Storia letteraria di Piacenza del ch. sig. proposto Poggiali (l. p. 91, ec.). [p. 937 modifica]SECONDO QÓ-] anatomica dell1 organo della voce e dell’ udito, nella quale, riguardo alla voce principalmente, egli ha superati tutti gli altri anatomici che l'aveano preceduto (t. 2, p. 229). Con minor lode ragiona M. Portal delle opere di Eustachio Rudio bellunese (ib.p. 101), e di Marcantonio Montagnana padovano (ib. p. 115), di Girolamo Capivaccio parimente padovano (ib. p. i42)» di Niccolò Sammicheli veneziano (ib. p. 159) e di più altri, di cui accenna semplicemente i nomi e le opere, e ch’ io perciò passo volentieri sotto silenzio. I)i alcuni altri che scrissero pure d’anatomia, ma furon principalmente benemeriti della medicina e della chirurgia, diremo tra poco; e chiuderemo qui ciò che all’anatomia appartiene, col ragionare di Bartolommeo Eustachio, che a buon diritto deesi annoverare tra più celebri ristoratori di questa scienza. XXII. La patria di questo grand’ uomo non è nota abbastanza, perciocchè altri il fanno natio della città di S. Severino nella Marca d’Ancona, altri di S. Severino nella Calabria, nè io trovo lumi che bastino a decidere la questione (“)• Assai poco ci è giunto a notizia della vita da lui condotta, e incerte sono del! tutto le principali epoche di essa. Sappiamo solo clfei fu in Roma professore di medicina nella Sapienza; e narra egli stesso, nella dedica da lui fatta (*) L’Fustacliio fu nat/o <!i S. Severino terra presso Salerno; di che veggnsi il Nicodemo nelle sue giunte al Toppi. [p. 938 modifica]9^8 unno nel t56a ilei 6uo opuscolo sull’organo dell’udito al datario e poi cardinale Francesco Alciati, che avendo egli interrotte per non so quali giuste ragioni le sue lezioni. alcuni suoi malevoli aveano procurato di fargli perciò perder la grazia del Cardinal Borromeo nipote del pontef Pio IV, e vi sarebbon forse riusciti, se l Alciati non gli avesse recato aiuto. Ei fu ancora medico del Cardinal Giulio della Rovere, detto il Cardinal d'Urbino, come raccogliesi dal privilegio del re Carlo IX, premesso agli opuscoli anatomici deirEuslacliio. Nè io so come M. Portal abbia affermato (t. i, v. Go8) che ci proseguì a servire quel cardinal ancora poichè ei fu fatto pontefice, giacchè il detto cardinale non giunse mai a tal dignità. Ma nè la cattedra, nè la fama da lui acquistata col suo sapere, nè la protezione di quel cardinale nol poterono sottrarre agl’incomodi della povertà. Egli se ne duole talvolta, e singolarmente nella detta dedicatoria: tenues vires meae et humilis status, disparque ac multum jactata fortuna, ec. Nel 1563, quando ei diede a luce il suo trattato delle reni, era già avanzato in età, e malconcio dalla podagra, com egli stesso racconta nella prefazione che gli va innanzi. Sembra perciò verisimile che non vivesse molto più oltre. Ma ei vive, e viverà sempre glorioso e ne’ suoi opuscoli e nelle sue Tavole anatomiche. Il trattato delle Reni è il più ampio che si abbia su questo argomento, e niuno più di lui si è avanzato in esaminarne e descriverne la struttura e gli usi; e benchè ei [p. 939 modifica]SECONDO g3<) pure sia caduto in qualche errore, questo però è troppo ben compensato dalle belle scoperte che in esso egli ha fatte. L orecchio ancora è stato da lui con somma esattezza descritto, e molte piccole parti ne ha egli vedute prima di ogni altro. Ei pretende ancora di avere scoperto innanzi all’ Ingrassia l’ossicello che dicesi staffa; e si stende assai lungamente su ciò, e parla con qualche asprezza contro il Falloppio (benchè nol nomini apertamente) che al siciliano anatomico ne avea attribuita la gloria. Forse potè avvenire che e l’ Ingrassia e l’Eustachio, senza saper l'un dell'altro, facessero tale scoperta. Ma l'Ingrassia ebbe la sorte che il Falloppio ne l facesse inventore alcuni anni prima che l’Eustachio desse alla luce questi suoi opuscoli. In essi ei prende sovente a difender Galeno, che dal Vesalio e dal Falloppio era stato accusato di molti errori; e benchè in alcuni punti il difenda felicemente, avvien però a lui ancora più volte ciò che suol avvenire a chi troppo ciecamente si dà a seguire l’altrui opinioni, cioè di errare insieme colla sua guida. Veggasi presso M. Portal (l.c.) un’esatta analisi di tutti questi opuscoli, e delle nuove scoperte fatte dall’ Eustachio intorno alla vena detta azygos al canale toracico, alla valvola tra la vena cava inferiore e la superiore, e singolarmente intorno a’ denti, de' quali l’Eustachio ci ha dato il più compito e il più giusto trattato che ancor si fosse veduto. Oltre questi opuscoli, avea egli fatte delineare ed incidere in rame quarantasei gran tavole anatomiche; ma, com'egli dice nella prefazione [p. 940 modifica]pjo unno a" suoi opuscoli, l'avanzata sua età, i dolori della podagra e le sue tenui sostanze non gli avean finallora permesso il pubblicarle. Ed elle di fatto rimasero inedite, e si crederon perdute, finchè trovate a tempi di Clemente XI, questi le diede al suo medico monsig Lancisi, acciochè le desse alla luce, come seguì in Roma nel 1714 dopo la quale edizione più altre se ne son poscia fatte, e fra esse è assai stimata quella fatta dall’Albino in Leyden nel 1^44Quesle tavole sono la pur onorevol testimonianza che render si possa al sapere anatomico di questo valentuomo; sì esatte sono esse, e sì chiaramente vi, si veggono delineate più parti che credonsi scoperte da’ più recenti scrittori. Oltre il suddetto Portal, ragiona di esse distesamente il dottissimo Morgagni, e esaminandole ad una ad una, dimostra quanto fosse l Eustachio innoltrato nella scienza anatomica (Opusc. anatom. pars 1, p. 19), ed. V'eri. 1763). Alcune altre operette diede in luce l’Eustachio, e più altre aveane apparecchiate, che non han mai veduto il giorno, delle quali, oltre i due accennati scrittori, si posson vedere i compilatori delle Biblioteche anatomiche e mediche. XXIII. Nel parlare di questi illustri anatomici abbiamo accennate alcune delle scoperte da essi fatte nel corpo umano. La più celebre però fra tutte fu quella della circolazione del sangue e forse appunto perchè essa è la più celebre, ella è ancora la più contrastata, perciocchè molti son quelli che aspirano alla gloria di esserne creduti i primi osservatori, e ognun di essi ha seguaci che ne difendon caldamente il [p. 941 modifica]seco:, no «jqi partito. Ella è questa una quistione troppo famosa, perchè noi possiam dispensarci dall esaminarla con qualche attenzione. Molti affermano che in niun modo posson gloriarsi i moderni di tale scoperta, e che la circolazion del sangue fu nota ad Ippocrate e ad altri medici antichi, e fra essi più recentemente di tutti sostiene questa opinione M. Dutens nella bella sua opera intitolata: Recherches sur. l'Origine des découvertes attribuées aux Modernes (t. 2, p. 39, ec., ed. Paris. 1766). Egli reca i passi d’Ippocrate, ne’ quali dice che il sangue si va aggirando per tutte le membra a guisa di un fiume di Platone che afferma lo stesso, e aggiugne che quando il sangue s’ingrossa, corre più lentamente; di Aristotele che nomina e le vene e le arterie, e accenna la comunicazione ch’esse hanno tra loro; di Giulio Polluce che nomina le due cavità del cuore, una delle quali comunica colle vene, l’altra colle arterie, e di altri antichi scrittori che, quai più quai men chiaramente, descrivono la circolazione del sangue. Ma questi passi, a dir vero, ci pruovan bensì che gli antichi conobbero che il sangue aggiravasi per le vene; ma che ne conoscessero il modo, l economia e le leggi, nol pruovano certamente (*). E panni ridicola la rispdsta che (*) Il sig. ab Lampillas (Saggio, par. 2, t. 2, p. 241) mi ricorda a questo luogo che Seneca conobbe la circolazione del sangue. Io il sapeva; ma poichè ippocrate e Platone tanto prima di lui aveanne anche più chiaramente parlato, non ho creduto che giovasse il farne menzione. Egli poi vuol persuadersi che a Michele Serveto si dee veramente questa scoperta, c reca il passo [p. 942 modifica]$4a li uno la a questa difficoltà l’Almeloveeti, citato da ]\1. Duleus; cioè che Ippocrale avendo a trattare di tante altre cose importanti, non volle gitture il tempo in questa a tutti già nota. Perciocché se Ippocratc non ha creduto di tar cosa inutile descrivendo tante parti del corpo, benché ben conosciute, molto meno dovca temere d’impiegar male le sue fatiche, ricercando e sponendo con esattezza una parte sì interessante per l’economia animale. Confessiam dunque sinceramente che gli antichi non ebbero con cui io stesso l’ammetto a parte di questa gloria. Ma io poscia aggiungo che l’Harvey fu quegli che veramente spiegò con esattezza e con precisione questo arcano della natura, su cui gli altri non ci avean date idee troppo giuste. E su questa osservazion da me fatta, nulla egli dice, nè si prende il pensiero di dimostrare, come avrebbe dovuto, ch esso fu spiegato dal Serveto ugualmente che dall' Harvey. Siegue egli poscia a ricordare due altre scoperte anatomiche che, secondo lui, si debbono agli Spagnuoli. La prima è quella del sugo nerveo, ch’ egli dice fatta dalla celebre spagnuola Oliva di Sambugo in un suo libro stampato nel 1 >88. lo potrei replicare con M. Portal che quasi tutti gli antichi hanno ammesso nei nervi un fluido nervoso (flist. cle CAnatom.'t. 5, part, 1, p. 368). Ma poichè ciò non interessa punto la gloria degl Italiani, io non mi tratterrò a disputarne. La seconda è quella dell’ossicello dell’ orecchio, che dicesi staffa, la quale Luigi Collado professore d’anatomia in Valenza pretende d aver fatta prima di ogni altro in un’ opera stampata nel 1555. Ma non basta ch egli il pretenda. Il Falloppio, come abbiamo veduto, ne dà la lode all’ Ingrassia, da cui afferma che fu scoperto mentre egli teneva scuola in Napoli, come anche afferma lo stesso Ingrassia. Or questi era in Napoli fin dal e potè fin d’allora, o pochi anni appresso, fare quella scoperta. Con qual certezza dunque si attribuisce essa al Collado? [p. 943 modifica]SECONDO Q.|3 clic una oscura e superficiale idea della circolazione del sangue, e che se scoprirono ch’esso andava aggirandosi e serpeggiando pel corpo umano, non sepper segnare esattamente le vie che in ciò teneva. Ma ancor tra’ moderni vi ha gran contrasto a chi si debba la lode di tale scoperta. È certo che alcuni scrittori vissuti al principio di questo secolo parlano della circolazione del sangue. Il troppo celebre Michele Serveto nella sua opera De Trinitatis erroribus, stampata in Basilea nel 1531, non solo l ammette, ma fa vedere che il sangue dal ventricolo destro passa a’ polmoni per mezzo della vena arteriosa ossia polmonare, e di là nell'arteria venosa, donde, purificato dall aria che vi si insinua, è attratto dal sinistro ventricolo che si dilata par riceverlo più facilmente. I passi ne quali egli spiega la sua opinione, e accenna ancora la comunicazione tra le arterie e le vene, ed altre particolarità concernenti questo fenomeno, si posson veder raccolti da M. Portal (t. 1,p. 300,ec.),da M. Dutens (l. c.p. 50,ec.) e da altri. Luigi le Vasseur medico francese, che l'an 1540 pubblicò in Parigi la sua Anatomia, parla egli ancor chiaramente della circolazione del sangue, della vena cava e dell'arteriosa, e singolarmente fa menzione delle valvole del cuore e de’ diversi loro usi; e lo stesso M. Portal riferisce (l. c. p. 373) il lungo passo di questo scrittore, in cui gli sembra che la descrizione delle valvole non sia punto men chiara di quella che poi diede l'Harvey. Realdo Colombo, da noi già mentovato, in ciò che appartiene alla circolazione del sangùe [p. 944 modifica]944 LIBRO pel cuore, ebbe idee ancor più chiare e precise di quelle del Serveto e del le Vasseur, ma non seppe andare più oltre a spiegare come esso si aggiri per tutto il corpo (ib. p. 552,ec.). Finalmente oltre qualche sperienza intorno a ciò fatta dal Vesalio e dal V idi, e oltre le osservazioni dell’Acquapendente intorno alle valvole delle vene, Andrea Cesalpini, rammentato da noi tra i botanici, andò in ciò più oltre di tutti; perciocchè raccogliendo le osservazioni da altri già fatte, benchè senza nominarli, ne formò una descrizione più esatta della circolazion del sangue pel cuore ma cadde egli ancora in errore, quando passò a parlare di quella che si fa pel rimanente del corpo (ib. t. 2, p. 20, ec.). In tale stato eran le cose, quando l’inglese Harvey pubblicò nel 1627 la sua Dissertazione sul movimento del cuore e del sangue, nella quale la circolazione del sangue fu svolta felicemente in tutte le sue parti, e sì chiaramente provata, ch’egli è considerato come il primo autore di questa sì importante scoperta (ib. p. 470, ec.). Si rimprovera all’ Harvey il silenzio da lui tenuto sulle osservazioni di quelli che prima di lui aveano scritto di tale argomento. E certo essendosi egli giovato delle ricerche del Serveto, del le Vasseur, del Colombo, del Cesalpini e di altri, ragion voleva ch ei rendesse lor quella lode ch era ad essi dovuta. Ma questa non è l’accusa più grave che si dia all’Harvey. Vuolsi che la scoperta della circolazion del sangue si debba tutta al celebre f Paolo Sarpi, di cui già abbiam parlato altrove, e che l’Harvey null’altro abbia fatto che [p. 945 modifica]SECONDO 9{5 pubblicar come sue le osservazioni di quel religioso venutegli casualmente alle mani. Merita questo fatto di essere esaminato con diligenza, e nel farlo io mi lusingo di tenermi lontano da ogni prevenzione e da qualunque spirito di partito. XXIV. Il principal fondamento della circolazion del sangue sono le valvole delle vene, le quali da alcuni anatomici erano già state osservate; ma pur molti ancora ne dubitavano. Fabricio d’Acquapendente, di cui direm tra’chirurghi, fu il primo che col darne una esattissima descrizione, e col provarne l’esistenza con replicate sperienze, ne togliesse ogni dubbio nel suo libro De Venarum ostiolis, stampato in Padova nel 1603. Or questa è la prima scoperta che da’ partigiani del Sarpi a lui si attribuisce, sicchè altro non facesse fAcquapendente che pubblicare ciò che f Paolo aveali comunicato. Così afferma l’ anonimo scrittore della Vita del Sarpi. Ma a questa autorità contrappongono forti ragioni i sostenitori della contraria sentenza, e fra gli altri il dottissimo Morgagni (Epist. anat t. 2, ep. 15, n. 68, 69); cioè dapprima il silenzio dell’Acquapendente, il qual ne parla come di sua propria scoperta, senza mai nominare il Sarpi. Nè è a dire che così egli facesse per usurparsi una gloria non sua; perciocchè l’Acquapendente era uom sincero e modesto, e ce ne ha lasciata una pruova nel ragionare dell’ uvea, intorno alla quale palesemente confessa, come altrove abbiamo osservato, ch’ ei dee al Sarpi le osservazioni ch egli propone, e così avrebbe fatto ancor certamente riguardo alle valvole, so Timboschi, Voi XI. 22 [p. 946 modifica](jfò LIBRO nc avesse avuta la notizia dal Sarpi. Innoltre egli dimostra colla certa testimonianza di Gasparo Babuino, scolaro dell'Acquapendente, che questi cominciò a parlare delle valvole nel Or in quell’ anno il Sarpi, oltrechè era giovine di 22 anni, soggiornò in Mantova, poi in Milano, come afferma nella Vita, altre volte citata, il sig. Griselini (p. 14).Non potè dunque l’Acquapendente apprendere dal conversare del Sarpi la cognizion delle valvole. Queste ragioni mi sembrano di molta forza. Nondimeno l’eruditissimo Foscarini (Letterat. venez. p. 308, n. 249), e dopo lui il sopraccitato scrittor' moderno della Vita del Sarpi producono un passo della Vita del famoso Peireschio scritta dal Gassendi, nella quale ei narra di se medesimo che diede nuova al Peireschio del libro dell’Harvey, e della pruova della circolazion del sangue, ch’ei traea dalle valvole j e di queste dice che il Peireschio avea qualche cosa udita dall’Acquapendente, e ricordavasi che il primo scopritore n era stato f Paolo: de quibus (valvulis) ipse (di quid ìnaudierat ab Aquapendente, et quarum inventorem primum Sarpium Servitam meminerat (Vita Peyresch. l. 4)• Se avessimo qualche passo in cui il Peireschio medesimo ci assicurasse che a f Paolo deesi questa scoperta, non rimarrebbe più luogo a dubbio alcuno. Ma egli è il Gassendi che ciò racconta, più lontano di tempo e che non avea quelle notizie de' letterati italiani che avea il Peireschio, il quale lungo tempo era stato in Italia j nè sarebbe difficile che il Gassendi potesse aver preso qualche equivoco. Quindi fra l’autorità di questo scrittore e la forza delle \ [p. 947 modifica]SECONDO g^-j ragioni poc’ anzi recate io rimango dubbioso, e non ardisco decidere cosa alcuna, perchè parmi che non vi abbia fondamento che basti a decidere. Ancorchè poi si riconosca f Paolo come il primo scopritor delle valvole, rimane a vedere s’ ei passasse oltre e ne inferisse la circolazione del sangue. E qui ancora abbiamo autorità e testimonianze che si oppongono l una all altra. Perciocchè, per tacer di altre pruove più incerte, Giovanni Walleo in una sua lettera al Bario! ino (Bariho lin. E pisi ccntur. i, ep. 22) racconta di aver udito dal Veslingio (celebre anatomico natio della Vestfalia, il quale circa il 1628 fu professore di anatomia in Padova) che la circolazione del sangue era una scoperta del Sarpi, e che f Fulgenzio di lui discepolo e successore gliene avea mostrato l’ originale scritto dal Sarpi medesimo r che si conservava in Venezia: De circulatione Ilarvejana mi hi secretimi aperuit Vosi ingius nulli revelandum: esse nempe inventum Petri (f. Patris) Pauli Veneti (a quo de ostiolis venarum habuit Aquapendens) ut ex ipsius autographo vi dii, quoti Venetiis servat P. Fulgentius illius discipulus et successor. Al contrario Giorgio Enzio discepolo dell’Harvey, in un’ apologia che all’ opera dell Harvey stesso va aggiunta in alcune edizioni, narra d’ aver saputo da lui medesimo che un ambasciator veneto a Londra, avendo nel tornar d’ Inghilterra portato seco a Venezia il libro dell’ Harvey, e mostratolo al Sarpi, questi ne fece di sua mano un estratto, il qual dopo sua morte, passato agli eredi, era stato creduto opera del Sarpi stesso; e che l’ Harvey avea su ciò [p. 948 modifica]943 LIBRO lettere di Fra Fulgenzio, che gli narravano la stessa cosa: Istius autem commenti Jabulam j am/) ride ni a te mihi narratam meminero: nempe Legatum Venetum ad suos reditum parantem, HI rum tuum de Circulatione sanguinis a te illi donatum, eumdemque postea Patri Paulo legendum ex hi b tasse; idemque virimi lume celebre ni memorine causa pi uscii la transc ripsis se, quae ipso mox defuncto in haeredis manus inciderunt; habereque te literas a P. Fulgentio ipsius sodali ad te scriptas quae rem eamdem exprimunt Ella è piacevol cosa a vedere come amendue questi scrittori citano a pruova della loro opinione, uno il detto, l altro le lettere di f Fulgenzio. Ma qui, a dir vero, l’ Enzio ci dà motivo di accusarlo di falsità*e d’ impostura. Il libro dell’ Harvey non fu pubblicato che nel 1628, e f Paolo era morto cinque anni prima. Come dunque potè questi vedere il libro dell’anatomico inglese? Potrebbe forse rispondersi che il vedesse scritto a penna. Ma nè par verisimile clic PHarvey volesse mandarlo in paesi lontani prima di darlo alla-luce; e se ciò fosse stato, avrebbe 'dovuto l Enzio spiegare tal circostanza. Crederem noi dunque all’autorità del Veslingio citata dai Valico? lo 1’ ammetterei volentieri, ma non mi lascia abbracciar con certezza questa opinione il riflettere ch’ essendo stati gelosamente conservati gli scritti tutti del Sarpi, di questo che pur, secondo il Veslingio, passò alle mani di f Fulgenzio, non si trovi indicio alcuno. Io dunque non negherò al Sarpi l onor di questa scoperta, ma bramerò solamente che se ne possan produrre più certe e più autentiche [p. 949 modifica]SECONDO 9^9 pruove. È certo però, che s’ ei non fu il primo ritrovatore della circolazione del sangue, e se la lode se ne dee dare all Harvey, questi la dee in gran parte rendere all Italia e all’Acquapendente, di cui egli fu per più anni scolaro in Padova (Portal, t. 2, p. 648), e da cui apprese a conoscere le valvole delle vene, che gli fecero strada a sì gloriosa scoperta. XXV. Tali furono i lieti progressi che l’ anatomia fece in Italia nel corso (di questo secolo. E ben conosco che in assai miglior luce gli avrei io potuti esporre, se avessi voluto esaminare minutamente ogni scoperta e ricercarne gli autori. Ma, oltrechè ciò avrebbe richiesto assai più lungo discorso, a ciò fare richiedesi un uomo profondamente versato in questa scienza; nè io avrei potuto senza temerità accingermi a tale impresa. L'opera da me più volte citata di M. Portal può in qualche modo supplire a ciò che a me non è stato permesso di fare. Ma io non temerò di dire che la storia dell anatomia sarebbe ancora assai più rischiarata, se il Morgagni avesse condotta a fine e data alla luce la sua Storia delle scoperte anatomiche, ch’egli accenna nel ragionar delle Tavole dell’Eustachio. Un uomo a cui pochi ha avuti pari l’Europa in questo genere (d’ erudizione, un uomo versatissimo nella lettura di tutti gli antichi e moderni anatomici e medici, un uomo per ultimo, che alla profondità del sapere congiungeva sì bene l’eleganza dello scrivere, ci avrebbe data un’opera che si rimirerebbe a ragione come originale. Ma non abbiamo avuta la sorte di vedere eseguito sì bello e sì glorioso disegno. Nondimeno [p. 950 modifica]y5o LIBRO ciò die ne abbiamo nell’ opera di M. Portal, e ciò che da noi si è finora accennato, ci pruova abbastanza che la maggior parte delle scoperte anatomiche furon fatte in Italia; e che il Vesalio, il quale è il solo tra gli stranieri che sembri sminuire alquanto la gloria degl’ Italiani, molto potè giovarsi delle ricerche di quelli tra’ nostri che f avea no preceduto, e che da altri nostri, che gli vennero appresso, fu in più luoghi notato e convinto di errore. XXVI. Lo studio dell’ anatomia è congiunto per modo con quello della medicina, che o amenduc debbono necessariamente fiorire insieme, o a mondile decadere. Quindi non è a stupire se in un secolo in cui tanti valorosi anatomici ebbe l’Italia, essa contasse ancora tanti medici valorosi. E qui pure tale è la copia degli scrittori che ci si offre a parlarne, che ci è necessario e passarne molti sotto silenzio, e di alcuni far solo una passeggera menzione, e restringerci a parlare più stesamente di quelli de quali è rimasta più chiara fama. Tra questi dovrebbe aver luogo Girolamo Fracastoro, uomo nelle scienze ugualmente che nelle belle arti dottissimo, e che nella medicina ancora fu uno de’ più chiari lumi della sua età, e meritò di essere scelto a medico del Concilio di Trento. Ma di lui parleremo più a lungo, ove tratterem de’ poeti; e qui direm solamente che, oltre alcune altre opere mediche, abbiam da lui avuto Felegantissimo poemetto sul morbo gallico intitolato Syphilis, il quale non è sì agevole a definire se sia più a pregiarsi per l eleganza del verso, o per la dottrina che in sè contiene. Benedetto [p. 951 modifica]SECONDO (^51 Vettori faentino, e professore di medicina nell università di Bologna e di Padova è autore di molte opere spettanti a quest’ arte, che si posson veder citate dagli autori delle Biblioteche;mediche, e vuolsi ch’ egli ancor più che per le sue opere si rendesse famoso per la perizia e per la rara felicità nell’ esercitare la medicina. Molte parimente son le opere di Antonio Fumanelli medico veronese, che tutte insieme raccolte vennero a luce in Zurigo nel iSSjJfloluenico Leoni natio di Zuccano nella Lunigiana, professore di medicina in Bologna, ci ha dato egli pure alcune opere di questo argomento; e lo stesso dee dirsi di Alberto Bottoni parmigiano, di cui si hanno esatte notizie presso il co Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 3, p. 1902), di Ercole Buonacossa nobile ferrarese, intorno al quale si può consultare il suddetto scrittore (ivi, par. 4, p. 2301), di Giovanni Baccanelli reggiano (ivi, par. 1, p. 1) (a) e di molli altri che troppo lungo sarebbe anche il solo accennare. XXVII. Fra molti medici illustri ch ebbe in questo secolo l università di Ferrara, dee annoverarsi principalmente Giovanni Manardi, di cui abbiamo esatte notizie nelle Memorie storiche de Letterati ferraresi del sig. dott Giannandrea Barotti (t. 1, p. 247, ec.), opera di cui godo di far qui per la prima volta menzione, perciocchè ella è tale che alla città a cui onore (a) Di Giovanni Baccanali e di Claudio di lui figlio fti «011 dale notizie alquanto più stese e più esatte nell 1 Biblioteca modenese (l. 1 f 224, ec.; t. 7, p. 20 [p. 952 modifica]y5a libro è composta, e all autore e agli editori sarà sempre gloriosa. Egli era nato in Ferrara a 24 di luglio del! 1462, e nella medicina avea avuto a maestro Francesco Benzi figliuol del celebre Ugo, altrove da noi rammentato, nella lingua greca e latina Battista Guarino. Fu professore di medicina in Ferrara dal 1482 fin circa il i4t)5; nel qual tempo passando alla Mirandola, fu ivi per alcuni anni appresso Gianfrancesco Pico, di cui fu al tempo medesimo maestro e medico, e gli diede ancora aiuto nel pubblicar l’ opera di Giovanni Pico contro l astrologia giudicaria. Verso il 1502 partito dalla Mirandola, tornò probabilmente a Ferrara, poichè non vi ha monumento di scuola da lui tenuta in altre università, come da alcuni si narra. Nel 1513 fu chiamato in Ungheria da quel re Ladislao che, informato del saper del Ma nardo, il volle a suo medico, e ivi si trattenne egli non solo fino al 1516, in cui morì quel sovrano, ma anche due anni appresso, finchè veggendo le cose non riuscirgli egualmente felici sotto il nuovo re Lodovico, chiese congedo, e sul principio del 1519 fu di ritorno in Ferrara. In Ungheria il ritrovò Celio Calcagnini nel 1518: Paucis diebus Budae fui, scriv egli nel gennaio di detto anno a Giulio Gregorio Giraldi, ibique Manardo nostro perfrui licuit (Epist. 6, Op. p. 80). E abbiamo ancora alcune lettere dal Calcagnini a lui scritte in questa occasione (ib. l. 4, p. 47, 51,* Z. 5, p. 62, ec.), e alcune altre a Timoteo di lui figliuolo, che ivi era col padre, in una delle quali, scritta nell’ anno medesimo, dice di aver'letto il Diario del viaggio per [p. 953 modifica]SECONDO f)5Ì r Alleni a gna c per l'Ungheria, che il medesima Timotop avca disteso (ib. l. 6, p. 82); e in un’altra scritta, come sembra, l' anno seguente, si rallegra con lui che insiem col padre sia tornato a Ferrara. È dunque falso ciò che alcuni scrittori, seguiti da M. Portal (Hist. de l’Anatom. t. 1, p. 375), affermano, ch egli solo in età avanzata prendesse moglie. Perciocchè se nel 1518 egli avea un figlio già assai erudito, come dalle stesse lettere si raccoglie, egli è evidente che nel fior degli anni avea Giovanni menata moglie. Egli è vero però, che, mortagli dopo molti anni la prima, ei si unì con un’ altra; il che diede a molti occasione di proverbiarlo. Quando nel 1525 finì di vivere Niccolò Leoniceno, il Manardi fu creduto il solo capace di riparar sì gran perdita: Una res ini!li solatio fuit, scriveva in quella occasione il Calcagnini ad Erasmo (Erasmi Epist. t. 1, cp. yiio), qnod Joannes Man ardiis vìr Graece et Latine doctissimus rem medicam et naturae arcana iisdem vestigiis prosequitur, cujus rei specimen dare possunt epistolae, quas proxime edidit.... scripsit ille quidem alia plurima digna immortali taf e, sed vir minime ambitiosus ea nondum publicam materiam fecit.: hoc superstite minus Leonicenum desideramus. Un bell’ elogio ne fa ancora Pierio Valeriano nel dedicargli il libro xxxv de’ suoi Geroglifici, dicendo che in una cena da lui fatta insieme con esso in casa del Calcagnini, e ne' discorsi sopra essa tenuti, aveane ammirata l’amenità dell’ ingegno,la rara erudizione e il giudizio finissimo in ogni sorta di scienze. Venti libri di Lettere mediche, un [p. 954 modifica]Cp4 LIBRO Comento sili primo libro dclfArte picciola di Galeno, e qualche altro opuscolo, sono le opere che del Manardi si hanno alle stampe. M. Portal ne parla con molto disprezzo. E nondimeno, come osserva il sopraccitato dott Barotti, le opere di esso ci mostrano ch' ei fu un de’ primi a ricondurre la medicina al buon metodo, a studiare attentamente la natura, e a fare perciò più viaggi osservando minutamente ogni cosa, e a non seguir ciecamente l autorità de’ medici che lo aveano preceduto. Lo stesso autore espone le diverse contese che sostenne il Manardi con alcuni altri de’ più dotti uomini di quel tempo, e lo difende dalle accuse dal Giovio ingiustamente appostegli. E certo il Manardi fu creduto ai suoi tempi uno de ristoratori dell arte medica, e nell’iscrizione postagli al sepolcro, poichè ei fu morto nel i53(3, vien lodato fra le altre cose per aver purgata la medicina dalla barbarie fra cui giacevasi involta. Un altra onorevole iscrizione fu posta l’an 1707 a memoria di questo celebre medico nell’università di Ferrara, ch è riferita dal Baruffaldi (Jac. G uarìni Supplem. ad Hist Ferr. Gymn. pars 2, p. 26). XXVIII. Era sì grande in Ferrara il numero de’ valorosi e celebri medici, che quelfAmalo portoghese, dame nominato altre volte, non temè di scrivere: Ferraria, ad quam quicumque de re herbaria, veluti de bona ■medicina, ex actam notiti am habere desiderat, accedat, consulto. Sunt enim Ferrarienses coelesti quodam injluxu /'avente Medici doctissimi, ac rerum naturalium cogn osceni lanini diligentissimi, qua [p. 955 modifica]SECONDO f)55 de causa apud eos per sex annos numquam poenitendos commorati sumus (Comm, in Dioscor. l. 4, p. 374)• no* Per amore di brevità ci ristringeremo.a dire ancora di un solo, cioè di Antonio Musa Brasavola nobile ferrarese, e scolaro del suddetto Manardo. Di lui tanto hanno già scritto e l’arciprete Baruffaldi (Comment. stor. all’ iscriz. eretta in mem, del Brasav.) e il co. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 4 p. 2023), e come più recentemente, così più esattamente di tutti il ch. dott Luigi Francesco Castellani (De Vita Ant Musae Brassav. Comment Mant. 1767), che a me è lecito il dirne in breve, rimettendo chi ne desideri più esatte notizie a’ suddetti scrittori, e tra essi all ultimo singolarmente. Antonio ebbe a padre il co Francesco Brasavola, il quale a questo suo figlio, natogli in Ferrara a’ 16 di gennaio del 1500, aggiunse il nome di Musa, quasi presago ch’ ei dovesse pareggiare la fama del famoso medico d’Augusto di questo nome. Francesco Bovio, Celio Calcagnini, Niccolò Leon ¡ceno c Giovanni Manardi furono i precettori ch’ egli ebbe in Ferrara; e scorto da essi si avanzò tanto felicemente nel cammin delle scienze, che in età di soli 18 anni fu destinato a leggere la dialettica in quella università; e due anni appresso sostenne pubblicamente ivi dapprima, e poscia anche in Padova e in Bologna cento conclusioni teologiche, filosofiche, matematiche, astronomiche, mediche e di belle lettere, le quali si posson vedere presso il suddetto scrittore. In età di 25 anni fu eletto a suo primo medico da Ercole II, allora principe [p. 956 modifica]f)5(> LIBRO ereditario e poi duca di Ferrara, cui due anni appresso seguì nel viaggio di Francia, quand’egli andò a prendere in sua moglie Renata figlia del re Luigi XII. Benchè in età giovanile, ottenne a quella corte sì grande stima il Brasavola, che il re Francesco I gli permise d aggiugnere i reali gigli alle sue proprie divise, e il nominò cavaliere dell Ordine di S. Michele. Vuolsi ancora ch’ei fosse dai’ dottori Sorbonici ascritto nel loro ruolo. Ma di ciò muove, e non senza ragione, qualche dubbio il dott. Castellani. Allo stesso Ercole e ad Alfonso I di lui padre fu compagno in diversi lor viaggi: e que’ due gran principi lo ammisero a tal confidenza, che ben mostravano in qual pregio l avessero (a). Oltre la dialettica, lesse ancora in quella università la filosofia naturale, e ne fu innoltre eletto riformatore. Agli onori che ricevette da' detti principi, si aggiunsero quelli che gli furono conferiti da Paolo III, da Carlo V e da più altri sovrani, da’ quali era nelle loro infermità consultato. Oltre la medicina ei coltivò ancor diligentemente la botanica, e avea una gran raccolta di semplici divisi con ordine in diversi scrigni, e un orto in cui serbava con attentissima cura e con non picciol dispendio l erbe più rare. Fra le molte e gravissime occupazioni che la pubblica cattedra, il servigio de’ principi, l’esercizio dell’arte medica gli recavano, (,7) Il lì rasa vola fu nrv'lie chiamato a Roma net l'tji per curare il pontefice Giulio III, come ci mostrati te lettere su ciò scritte dal dura Ercole II, e per opera del eh. abate Maiini pubblicate nel Giornale di l’isa </. 61). [p. 957 modifica]SECONDO ij5j trovò agio di scrivere opere in grandissimo numero, le quali distintamente si annoverano da suddetti scrittori. Benchè esse avessero allora alcuni avversarii, e fra gli altri Luigi Mondella bresciano, assai maggior nondimeno fu il numero degli ammiratori delle medesime, e può bastare per tutti l elogio che di lui fece il Cardano dicendo: Hic unus a Vesalio solus videtur scribere, quae sciat, his temporibus in Medicina: alii vel erroribus chartas implcnt, vel nitgis, vel ambiguis orationibus (De exempìis geni turar.). La loro stima al presente è sminuita d alquanto, ma non in modo ch’esse non sieno ancor rimirate come pregevoli molto, singolarmente riguardo al tempo in cui furono scritte. E si veggono in fatti in esse parecchi rimedii de’ quali fu egli il primo ritrovatore. Così fu egli il primo a introdurre il decotto del legno d’india (*), a prescriver l’ uso dell’elleboro nero, a dare a bere il mercurio e a liberar con esso da’ vermi, e ad usar più altri rimedii, de’ quali parla a lungo il soprallodato dott. Castellani. Questi ragiona ancora delle virtù di cui fu adorno il Brasavola, e dell’ ottima educazione che diede a’suoi figli, i più de’quali seguirono felicemente gli esempii paterni. Ei finì di vivere nell’ età ancor fresca di 55 anni nel 1555 3 e nell’università di Ferrara (*) Il sig. abate Lampillas (Saggio, p. a, t. 2, /j. a3o, ec.) produce alcuni autori spaglinoli che prima del Brasavola scrissero dell’uso del legno d’India. lo non ho alla ninno gli autori che ei cita; e sarà vero ciò ih'egli afferma, nè questa è cosa si interessante che vaglia la pena di disputarne. [p. 958 modifica]9^8 LIBRO gii fu da uno dei’ suoi discendenti nel 1703 innalzata una lapida con lungo e pomposo elogio, nel qual però il dott. Castellani rileva alcune cose contro il vero asserite. XXIX. Se fosse vero ciò che raccontasi comunemente, niun medico sarebbe stato più felice e più valoroso nel curare, se non gli altri, almeno se stesso, quanto Tommaso da Ravenna soprannominato il Filologo per l’ estensione del suo sapere; perciocchè credesi ch’ei giugnesse a 120’ anni di età. A questa opinione si mostra favorevole ancora il eh. P. abate Pierpaolo Gina uni (Scritt. ravenn. t 2, p. 227, ec.), il quale la fonda sul detto del Papadopoli, cioè che Tommaso nel 1486 fu eletto professore in Padova. Dovea dunque, dic egli, il Filologo avere allora treni1 anni. Ei visse poscia (fino al 1577. Dunque giunse a passare i 120 anni. Ancorchè Tommaso però avesse in quell anno dato cominciamento alla sua lettura, non ne siegue ch’egli avesse 30’anni; perciocchè assai prima potea ciò accadere; e abbiam veduto che il Brasavola in età di soli 18 anni fu pubblico professore. Ma il Facciolati ci avverte (Fasti Gymn. patav. pars 2, p. 136; pars 3, p. 309) che niuna memoria ei trova del Filologo fino all’an 1518, in cui ei fu chiamato alla prima scuola di sofistica col tenue stipendio di 20 fiorini; il che ci mostra che solo allora cominciava il Filologo a salir sulla cattedra. Possiam dunque ritardare fin verso la fine del secolo precedente la nascita del Filologo; e il dottissimo Morgagni, additando un passo di un' opera di esso stampata [p. 959 modifica]SECONDO cfity nel 1575, in cui dice che conia ottantndue anni di clà, ne inferisce ch ei fosse nato circa il 1493 (Opusc. t 2, p. 9). Lo stesso p ab Ginanni ha ignorato il vero cognome di questo medico, e lo ha creduto di una famiglia Rangone ch esistesse in Ravenna. Ma egli non ha avuta contezza del primo opuscolo da esso stampato, ch è il solo in cui abbia segnato il suo vero cognome, e citato dallo stesso Morgagni: Thomae Philologi Janothi Ravennati a de optima hominum felicitate contra A ri siatele m et Averoim ceteros nec non Philosophos. Era dunque egli della famiglia Giannotti o Giannozzi, e l altro cognome di Rangone gli fu conceduto probabilmente dal co Guido Rangone, a cui lo stesso opuscolo è dedicato. In fatti dalla dedica ad esso premessa noi raccogliamo che Tommaso fu compagno, forse col carattere di medico, nelle spedizioni militari di quel celebre generale, le quali sono ivi da lui esaltate con somme lodi; e ciò accadde probabilmente dopo che Tommaso ebbe lasciata la’ università di Padova. Quanto a’primi studii di esso, il Borsetti lo annovera tra gli scolari dell’università di Ferrara (Hist Gymn. Ferr. t. 2, p. 290), ma non ne arreca pruova alcuna; e a me par più probabile ch’ ei fosse alunno di quella di Padova, e che poscia fosse promosso ad esservi professore. Breve però fu il soggiorno ch’ egli vi fece; perciocchè un anno solo vi fu professor di sofistica, e un altro di astronomia, e indi passò ad esercitar la medicina in Venezia (Facciol. l. c pars 3, p. 320). Il Facciolati rivoca in dubbio ciò che [p. 960 modifica]960 li t?ho dal Fontani ni si era affermato, che il Filologo fosse stato ancor professore in Bologna-e in Roma prima che in Padova. Ma di ciò trovasi una assai chiara testimonianza in una lettera di Giovanni Martinelli, citata dal P. ab Ginanni, che, scrivendo allo stesso filologo, rammenta lo straordinario applauso con cui avea letto in quella città: quum superioribus annis publice intei pretandi mimus obieris in fiorentissimo Gymnasio Romano, Bononiensi, et Patavino cum summa tua laude et omnium auditorum admiratione. Convien però dire che assai poco si trattenesse Tommaso, almeno in Bologna, perchè l’Alidosi non lo annovera tra i professori di quella università. L’ ordinaria stanza del Filologo fu la città di Venezia; e a qual fama ei giugnesse, ne fanno fede e le ricchezze da lui raccolte e le medaglie in onor di esso coniate. E quanto alle prime, deesi mentovare il lodevolissimo uso ch’egli ne fece, il qual insieme ci mostra quanto grandi esse fossero. Un collegio fondato e dotato in Padova, ove 32 giovani, singolarmente ravennati, dovessero essere in tutte le scienze istruiti; una scelta e copiosa biblioteca ricca non meno di libri che di antichi monumenti, di stromenti matematici e di pitture, e una rendita annuale per mantenere essi e chi ne avesse la cura; la chiesa di S. Giuliano di Venezia da lui a proprie spese rifabbricata col) disegno del celebre Sansovino e di Alessandro Vittoria, quella di S. Geminiano da lui o ristorata o abbellita; un fondo lasciato per assegnare ogni anno a sei zitelle la dote: queste sono le [p. 961 modifica]« SECONDO • g6i gloriose memorie che del suo nome lasciò il Filologo e in Padova e in Venezia (a). Non è perciò maraviglia che a un medico sì valoroso, e che sì saggio uso faceva delle ricchezze da lui raccolte, si rendessero molti onori. Oltre quello ch’egli ebbe di esser fatto cavalier di S. Marco, oltre le iscrizioni e i busti che in diverse parti di Venezia gli furon posti, intorno a che veggasi il suddetto P. ab Ginanni, cinque medaglie in onor di esso coniate si trovano nel Museo mazzucchelliano (t 1, p. 301), un’altra si accenna dal P. ab Ginanni, e un’ altra da esse diversa se ne conserva qui in Modena presso l ornatissimo sig march. Gherardo Rangone. Io confesso però, che se del valor del Filologo giudicar si * dovesse dall’ opere ch’ ei ci ha lasciate, a me non sembra ch’ ei fosse meritevol di tanto; così esse sono non sol di picciola mole, che ciò poco importa, ma intralciate ed oscure, e senza alcun di que’ pregi che formano un dotto scrittore. Ed è probabile ch’ ei fosse debitor del suo nome più alla sua felicità nel curare, che all’,opere date in luce. Sei ne annovera il P. ab Ginanni, tutte scritte in latino; cioè un trattato del Morbo gallico, stampato (a) 11 Filologo fece ancora innalzare in Venezia la [»orla maggiore della chiesa del Sepolcro, e vi fé’colocarc la sua statua di marmo di grandezza naturale con una poco felice iscrizione, che vien riferita dal 1*. M. Zucchini dell’Ordine de’Predicatori (Nuova Cronaca veneta, t. i, p. ai i J. Tiuàboschi, Voi XI. a3 [p. 962 modifica]962. Liimo la prima volta, come egli dice, nell'an 1538, o, cornee nella copia che ne ha questa ducal biblioteca, nel 1537, dedicato al co Guido Rangone, un libro in cui insegna al pontef Giulio III, e a chiunque vuol saperlo, il modo che dee tenersi per vivere oltre a 120 anni (a), il qual libro ha forse data occasione all errore di chi ha affermato che a quell età giunse il Filologo j un Consiglio sul viver sano diretto a Veneziani; un trattato delle Consultazioni mediche, e un altro intitolato De microcosmi affectuum maris, feminae*hcrmapì¿roditi gallique miseria. Altre opere inedite ne accenna lo stesso scrittore; ma egli ha ignorato non solo l opuscolo da me al principio accennato, dato in luce nel 1521, ma un altro stampato in Venezia nel 1535, e intitolato Ad clarissimos justissimae Urbs Venetiarum Praesides Dominum Laurentium Lauretanum, Dominum Joannem Cornelium, et Dominum Andream Taurisianum: De repentinis, mortiferis, et, ut ita die ani, miraculosis nostri temporis aegritudinibus. Esso mi è stato gentilmente comunicato dal P. Ireneo A fio àlii\or osservante • (a) Piacevole é l’aneddoto che il si|». abate Marini ci ha dato di questo nedico, cioè che l'opuscolo qui citato, in cui egli insegna il modo di vivere cento venti anni, olVerivasi da lui n ogni papa nuovamente eletto, cambiandone d frontespizio, e profetizzando a ciaschedun di essi, che avrebbe veduti ed oltrapassati gli anni di Pie^o; perciocché, oltre la cimia da me accennata, fatta per Giulio 111, altre ei ne na vedute da lui offerte a Pio IV e a Paolo IV (Degli Archiatri pontif t. 1, p. 339). [p. 963 modifica]SECONDO g§3 da ine più volle lodato; ed è di sei sole pagine, e prescrive ivi più regole, colle quali si può purgar l aria della città di Venezia. Da esso ancora raccogliesi ch’egli ivi esercitava l anatomia; e pare ancora ch’ ei vi tenesse scuola, perchè in principio del libro è dipinto in atto di seder sulla cattedra e di spiegare a’ suoi discepoli un libro. Egli fece il suo testamento in Venezia ai’ 2 di agosto del 1576; e benchè non ve ne sia sicura pruova, credesi ch’ ei morisse l’ anno seguente, a cui certamente egli giunse, poichè il Morgagni cita una nuova edizione da lui medesimo in esso fatta del suo Consiglio sul viver sano. Lo stesso Morgagni accenna una ristampa fatta nel 1575 del libro sul Morbo gallico dedicata al co Guido Rangone, a cui avea dedicata la prima. Ma è certo che quell’ illustre guerriero era morto molti anni prima, e perciò dee credesi che il Filologo volesse solo con quella dedica rinnovar la memoria di quel suo splendido benefattore. XXX. Grande ancora fu il nome di cui godette a quei’ tempi Matteo Corti patrizio pavese, benchè ora le opere non ne sien molto curate. Ei cominciò a dar pruove del suo sapere nell’università della sua patria, ove, secondo l elenco più volte citato di que professori, cominciò ad insegnare nel i 197. Dopo avere ivi tenuta scuola per lo spazio di diciotto anni, fu chiamato a insegnar medicina nella università di Pisa nel 1515, collo stipendio di600 fiorini (Fabbrucci ap. Calogerà, t. 51, p. 5C). Quindi nel 1524 passò a quella di Padova, ov ebbe dapprima lo stipendio di (600, poscia [p. 964 modifica]<$4 LIBRO di tfoo ducati, e l amio i53o'cambiò la cattedra di Medicina nelle dimostrazioni anatomiche (Facciol. Fasti Gymn. patav. pars 3, p.), L’anno seguente, la fama che di lui si era sparsa per tutta Italia, fece che il pontef Clemente VII lo eleggesse a primo suo medico, e ch egli perciò, lasciata la cattedra, si trasferisse a Roma la). Tra 11* Lettere di Girolamo Perbuono da noi nominato Ira1 teologi, una ne abbiamo a lui scritta, mentre esercitava sì nobile impiego, nella quale il ricolma di mille lodi, e 10 dice suo primario affine (Portoni Epist. I. i). Ma non ugualmente fu egli lodato dal detto pontefice, quando giunto vicino a morte, come narra Tommaso il Filologo (De l ita hom. ultra 120 ami. Drotrahcnda, c. 8), si dolse del Corti che non 1 avesse saputo curare a dovere. Forse egli tratlennesi in Roma anche dopo la morte dello stesso pontefice, poiché, secondo (a) Talo era la stima che Clemente VII avea del Corte, che gli assegnò l’annuo stipendio di mille ducati d’ oro in oro da Camera, e gli concedette inoltre T moli-ulto di una casa, e ad un figlio di esso, detto Rafaello, assegnò alcune rendite ecclesiastiche, come ha osservato l" ab Marini (Degli Archiatri pontif. t. 1, p. 337, *c.jf.a, p. 273), il quale ancora riflette che il Bacci vuole che Clemente VII avesse a dolersi non già del Corte, ma di se stesso che avea voluto cambiare il metodo giornaliero di vita, ma che il Cardano afferma che questo poco felice consiglio gli fu dal Corte medesimo suggerito. Anche Teseo Ambrogio nella sua Introduzione alla Lingua caldaica, stampata nel 1539), fa un magnifico elogio del Corte (p. 180) che allora leggeva in Bologna, e ch era, dic egli, considerato come un altro Esculapio. [p. 965 modifica]SECONDO 965 r Alidosi {Dott. forasi, p. 54), ci uon fu chiamato a Bologna ad esservi professore di medicina teorica, e anche di poesia, che nel 1538. Egli afferma che Matteo vi.stette solo fino al 154 * - Ma poichè il Fabbrucci, citando gli Atti dell università di Pisa, ci assicura che solo nel 1543 ei fu da Bologna colà richiamato, par che convenga stendere a cinque anni il soggiorno da lui fatto in questa università, Io credo però, che questi due scrittori si possano conciliare insieme, dicendo che ne due anni di mezzo tra 71 154 * c’1 1543 il Corti stesse in Firenze medico del duca Cosimo I, come raccogliesi da un discorso dell Amicizia, detto circa il 154 * da Gabbriello Simeoni nell'Accademia fiorentina (Campo dei primi studii, p. 102). Questo sovrano splendidissimo mecenate de’ dotti volle poscia che il Corti, il qual già contava allora sessant’olto anni di età, fissasse in Pisa il suo soggiorno più per onorare con esso quella università, che per insegnare, e gli assegnò mille annui scudi d’oro in oro. Poco potè godere il Corti degli effetti dalla reale magnificenza di Cosimo, perciocché 1‘anno seguente ivi, e non in Pavia, come altri scrivono, finì di vivere, e lo stesso duca a sue proprie spese gli fece poi innalzare tre anni dopo, cioè nel 1544 un magnifico sepolcro con una onorevole iscrizione che vien riferita dal Fabbrucci, dall’Alidosi e da più altri scrittori. Le opere del Corti si annoverano dagli scrittori delle Biblioteche mediche: ma esse, come ho osservato, non son più ora • molto pregiate. [p. 966 modifica]966 LIBRO XXXI. Più durevole fu la fama di GiambaI Lista Montano, ossia da Monte, medico veronese, e più felice successo ebbero le fatiche da lui intraprese. Dopo aver avuti a maestri in Padova Marco Musuro e Pietro Pomponazzo, fu eletto nel 1539 a professore di medicina pratica collo stipendio di 500 fiorini. Quattro anni appresso passò alla cattedra della teorica, e lo stipendio gli fu accresciuto fino a 700, e poi nel 1546 fino a' 1000 fiorini, e per qualche tempo ei fu professore d’anatomia (Face. I. cit. pars 3, p. 331, 343, 386). E quanta stima di lui facesse il Senato veneto, raccogliesi dal decreto accennato dal I'acciolati, con cui dovendo egli partire nel 1549 Per assistere in una sua infermità il duca d’Urbino, si ordinò che ciò non ostante gli si contasse l’intero stipendio, purchè, tornatone, ne’ dì di vacanza tenesse quelle lezioni che avea tralasciate. Ma mentre egli era per ritornarvi, ritiratosi per qualche tempo ne’ suoi beni a Terrazzo nel territorio veronese, ivi finì di vivere nel 1551, e una bella elegia abbiamo, in tal occasione composta dal celebre Lazzaro Buonamici (Carm. p. 47). A queste notizie altre ne aggiugne il Ghilini (Teatro d Uomini letter. t. 2), le quali io non so onde sieno tratte; cioè che prima che in Padova, ei fu professore in Napoli, e che ivi interpretò le poesie di Pindaro, e che Carlo V, Francesco I e il duca di Toscana lo allettarono con ampie promesse, perchè passasse alle lor corti; ma ch’egli non accettò le generose loro proferte. Egli aggiugne che per venti anni tenne scuola in Padova; ma s’ei [p. 967 modifica]SECONDO tjb'J cominciò a tenerla nel 1539, e se diè fine a suoi giorni nel 1551, i venti’anni dovran ristringersi a dodici. Di questo illustre medico parla il march. Maffei (Ver. ill. par. 2, p. 333), e dopo avere accennate le molte opere che se ne hanno alle stampe, delle quali ci danno un esatto catalogo i compilatori delle biblioteche mediche, rammenta la traduzione di Ezio, da lui pubblicata a istanza del Cardinal Ippolito de’ Medici, presso cui stette alcun tempo, e altre opere che son rimaste inedite, e reca le onorevoli testimonianze che al saper di esso han rendute parecchi scrittori, ai’ quali io aggiugnerò il Falloppio che dice il Montano lume di quell età: Montanus lumen nostri sacculi, quijlomit maxime in hoc gymnasio (De Morbo gall. c. 36). Nè fu la sola medicina a cui egli Volgesse il suo studio. Il march Maffei ne conservava la traduzion da lui fatta in versi latini del poema di Museo sugli amori di Leandro, e aggiugne, sull’autorità del Pola, elici tradusse ancora l’Argonautica di Orfeo, e in una notte i versi di Luciano sulla podagra. Ei fu innoltre raccoglitore avidissimo delle medaglie in ogni metallo, come pruova lo stesso march Maffei, presso il quale più altre notizie si troveranno raccolte intorno a questo celebre medico, che anche dal Panvinio fu nominato il primo tra’ medici veronesi, e rimirato come uomo per singolar favore dal Ciel conceduto: In ter nostrae Civitatis Medicos primus locus detur Jo. Bapt. Montano Dei dono mortalibus concesso (De Viris illustr. veron.). [p. 968 modifica]<)63 LIBRO XXXII. Nella stessa università di Padova, a vicenda però con quella di Bologna, fiorirono verso la metà di questo secolo due celebri medici, Antonio Fracanzano e Girolamo Mercuriale, i quali ebbero pochi pari negli elogi che da ogni parte lor furon renduti. Il Fracanzano era di patria vicentino, e o figliuolo, o, secondo altri, nipote di un altro dello stesso nome e cognome professore in Padova sulla fine del secolo xv. Del primo, e più ancor del secondo, ci dà alcune notizie il P. Angiolgabriello da S Maria carmelitano scalzo (Scritti viventi ti 2, par. 2, p. 198, ec.), il quale a questo proposito osserva che nel corso di questo secolo ottantasette professori diede alla università di Padova la sola città di Vicenza. Non è però molto quello che ne sappiamo; e gli storici di quell università, seguiti dal P. Angiolgabriello, non sono sempre sicure guide. Secondo essi ei cominciò a tenere scuola ivi di logica nel 1529, e dieci anni appresso fu promosso alla prima scuola straordinaria di medicina teorica (Papadop. Hist. Gymn. patav. t 1, p. 318; Facciol. Fasti pars 3, p. 302, 363) collo stipendio 11011 di 3oo fiorini, come scrive il P. Angiolgabriello, citando l’autorità del Facciolati, ma di 50, come questi chiaramente afferma, a cui poscia se ne aggiunsero prima 30, poi 60 altri. Il Papadopoli e il p Angiolgabriello affermano che l’an 1555 il Fracanzano, per la fama sparsasi del suo valore, fu chiamato con onorevole stipendio alla università di Bologna. Ma questo passaggio del Fracanzano deesi differire al 1562, e ne [p. 969 modifica]SECONDO 009 abbiamo in pruova due lettere pubblicate dopo la Vita dell’Aldrovandi, a cui sono dirette. La prima è del Falloppio (Vita dellAldr. p. 214), il quale a’ 4 di dicembre del 1561 così gli scrive da Padova: Ho parlato al Fracanzano, il quale non stà sulla sua, nè si fa pregare di venire, anzi venirà più volentieri, che non è chiamato, nè discorda, nè stà saldo su quel salario per riputazione, ma per bisogno, che ha, trovandosi così grave di famiglia di tre figliuoli maschi et sette femmine, et la moglie giovana; nè vedo come possa vivere costì con meno di 700 o 800 scudi all anno, ec.j e siegue lungamente parlando di questo stipendio da lui richiesto, e della premura che aver debbono i Bolognesi di fare sì grande acquisto. 1/altra è di Gregorio Contarini, scritta parimente da Padova al 1 di gennaio del 1562 (p. 229), nella quale egli parla di questo stesso argomento, e gli dice fra le altre cose: Sebbene egli ha alla prima domanda chiesto scudi 800 d oro italiani, non perciò credo vorrà esser ostinato nè superbo in tal cosa: ma quelli Signori è necessaria cosa, che anchora loro volendo un tale ecc. et raro in effetto huomo, non guardino così a qualche denaro, perchè in Italia et fuori de Italia non ci è se non un Fracanzano, che a' nostri giorni è un Iddio in terra; e ben se ne avvederà l afflitto studio di Padova, quando tale huomo manchi, et cagione haverà de lacrimare, et veramente chiamarsi orbato, se un tale padre di medicina si parta. Allora dunque, e non prima, partì il Fracanzano da Padova, e ciò confermasi • ' [p. 970 modifica]97° ♦ li nno dall’Alidosi che il dice lettore di medicina pratica nell’università di Bologna per due anni, cominciando dal i5(>2 (Dott. Forest ec., p. 11). Ei tornò poscia a Padova collo stipendio di 700 ducati; e il Papadopoli dice (l. c.) che ciò fu nell’anno 1564 per succedere a Bassiano Landi; il Facciolati, al contrario, afferma (l. c. p. 331) che ciò fu al fine dell’an 1563, per succedere a Vittor Trincavelli di fresco morto; e dice che ciò compruovasi dagli atti pubblici e dalle lettere ducali. E io non so come il P. Angiolgabriello abbia preferita l’opinione del Papadopoli, affermando ch’egli la pruova; mentre il detto scrittore non reca pruova di sorta alcuna. La morte del Fracanzano, secondo i detti autori, avvenne nel 1567. I luminosi elogi co’ quali egli è stato onorato da molti scrittori, si posson veder raccolti dal P. Angiolgabriello, il quale ancora diligentemente annovera le opere da lui composte, che non son molte, e la più pregiata fra esse è un Trattato del Morbo gallico. XXXIII. Il Mercuriale fu successore del Fracanzano, e superò di molto la gloria del suo antecessore Molti di lui hanno scritto, e fra gli stranieri ancora il P. Niceron (Meni, cles ffomm. ili. I. 26) e Federico Boernero che nel 1751 ne ha data in luce la Vita da me non veduta. Ei fu di patria forlivese, e ebbe a genitori Giovanni Mercuriale e Camilla Pungetta, da' quali nacque nel 1530 (March. Vit. ill. Forliv. p. 191). Niun ci 'dice ov’ei facesse i suoi studii. Ma è probabile che ciò fosse in Padova, ov egli fin dal 1552 pubblicò un libro [p. 971 modifica]SF.C.OXDO C)«J | intorno all1 allattare i bambini rammentato dal Morgagni (Epist Aemilianae, ep. 11, n. 11, ec.). La laurea però fu da lui presa in Venezia nel 1555, come da documenti di quel collegio de medici pruovano il cav. Marchesi e il Morgagni. Tornato in patria, fu qualche tempo appresso inviato dal pubblico al pontefice l'io IV, colla qual occasione stabilitosi in Roma, salì in tal fama pel suo sapere nell’ arte medica, che nel 1563 ottenne i privilegi e gli onori della cittadinanza romana (V. Marches. l. c. p. 192). Egli fu ivi singolarmente caro al Cardinal Alessandro Farnese; e con esso, ciò che non ha osservato alcuno degli scrittori della; Vita del Mercuriale, viaggiò in Sicilia nel 1568, come ci pruovano i monumenti intorno alla morte di Onofrio Panvinio, ivi seguita in quell anno, pubblicati dal P. Lagomarsini (in Notis ad Epist Pogiani, t. 4 ■> p- 9^), fra* quali vi ha una lettera del Mercuriale medesimo che gli avea in quell’estremo prestata un’amorevole assistenza. Questa lettera ci fa vedere ch’ egli ivi non dimenticava i suoi studii, e che andava singolarmente in traccia di libri greci: Porteremo, spero, dice in una poscritta, qualche libro, de’ quali parte ne sono appresso me, parte spero d havere, nè manco di ogni diligenza. Sulla fine del 1569 fu chiamato a Padova alla prima cattedra di medicina coll annuale stipendio di 600 fiorini (Facciol. Fasti, pars 3, p. 322). Ei cominciò le sue lezioni a' 9 di novembre dell' anno stesso: Dimane, scrivea in quel giorno Alvise Mocenigo a Sperone Speroni (Speroni, Op. t. 5, p. 302), [p. 972 modifica]972 libro convegno andare a Venezia ben contra mia voglia, che sommamente desiderava di restare a queste prime lezioni del Mercuriale, il quale ha fatto oggi la sua orazione elegantissima, ma non posso più. Maggiore assai fu l onore a cui fu sollevato nel 1573, (quando l’imp Massimiliano II il volle a Vienna, per esser da lui curato in una grave sua malattia, nel che essendo egli felicemente riuscito, ne tornò carico di donativi e di onori con un ampio diploma segnato in Vienna a’ 10 d’ottobre del detto anno. Restituitosi a Padova, si vide nel 1575 aumentato lo stipendio a 900 fiorini, e quindi nel 1581 fino a 1250, alla qual somma niun medico era ancor giunto; e ciò si fece singolarmente perchè ei non accettasse le ampie proferte che da’ papi veniangli fatte: tanta era la stima in cui si avea la dottrina del Mercuriale. Il Facciolati racconta che circa il 1576, essendosi destato in V enezia qualche sospetto di pestilenza, ed essendo perciò stati colà chiamati il Mercuriale e il Capovaccio, perchè dessero il lor parere, essi opinarono che non v’era a temer di contagio: ma che poscia essendosi questo furiosamente scoperto, i due medici ne furon biasimati non poco; e il Mercuriale veggendosi decaduto dall’ alto grado d’onore di cui godeva, accettò volentieri l’offerta che vennegli fatta di recarsi altrove. Ma non pare, a dir vero, che il Mercuriale perdesse la stima in cui era; perciocchè ed egli stette ancora in Padova oltre a 10 anni, e nel 1581 gli fu, come si è detto, accresciuto l’annuale stipendio. Nel 1587 passò a Bologna, nel che col [p. 973 modifica]BKCONDO Cfì'ò Facciolali convien l’Alidosi (Dott Forest. p. 45), e una indubitabile pruova ne abbiamo in una lettera ili Gammi Ilo Paleotti a Latino Latini scritta da Bologna a 4 di novembre del detto anno: Nunc audi, gli scrive egli (Latini epist. t. 1, p. 321), de Mercuriali tuo, vel potius nostro. Is heri, (quae prima fuit illi hoc in gy amasio, habuit orationem audiente Illustrissimo nostro Legato, nqnnullis Antistiti bus, Senatorum magna parte, compluribus Doctoribus, Scholasticorum ac Civium ingenti frequentia. Quid quaenis? Subsellia ipsa quamvis latissima tantam nobilium virorum multitudinem capere haud poterant Horulae spatio peroravi t1 tanto nempe eorum. qui aderant, silentio, ut Harpocrates omnes viderentur. Orationis vero candore eos e tiara, qui hanc dicendi artem profitentur, si non superasse, at aequasse saltem fuit judicatus. Quare saeculo nostro laetandum est, quod hoc tempore medicinae professores latine loqui incipiant. Del Mercuriale si fa frequente menzione in altre vicendevoli lettere tra ’l Paleotti e ’l Latini, e in una singolarmente de 31 gennaio del 1588: Cum Mercuriali, scrive il primo (ib. p. 348), frequens est mi hi consuetudo. Quid quaeris? Convivia, quae antea aversari solebam, nunc me magnopere delectant: quoniam per ea commode illius congressu mihi frui licet. O quanta hominis eruditio, quam suavissimi mores! Il Marchesi afferma ch’ei vi stette per dodici anni; l’Alidosi che sembra in ciò più degno di fede, gli fa occupar quella cattedra sol per sei anni, e dice che ne partì nel 1593. In fatti le Prelezioni lette in Pisa [p. 974 modifica]974 LIBRO dal Mercuriale sugli Aforismi d'Ippocrate furono stampate in Venezia fin dal il che basta a confutar l opinione di quelli che narrano che da Bologna si trasferì a Pisa sol nel 1599. Alla magnificenza del gran duca Ferdinando de Medici dovette il Mercuriale questo suo nuovo onore, e all onore ebbe uguale il vantaggio, poichè gli furono negli ultimi anni assegnati per annuale stipendio fino a duemila scudi d’ oro. Ivi ei trattennesi fin quasi al fin della vita, cioè 14 anni, come narrasi dall Eritreo (Pinacoth. pars 1, p. 1\y)» i quali però non debbonsi intendere anni compiti. Quindi sentendosi già invecchiato, si ritirò a Forlì sua patria, e ivi chiuse i suoi giorni per mal di calcoli nell’ottobre del 1606. Fu con molto onor seppellito nella chiesa di S. Mercuriale, e in quella cappella medesima ch’egli avea a sue spese magnificamente innalzata. Vuolsi che morendo lasciasse a’ suoi figli centoventimila scudi d’oro, oltre più diamanti ed altre pietre preziose e molti vasi d’argento, e una copiosa raccolta delle più belle pitture, delle quali egli era stato avido ricercatore. Più altre notizie intorno al Mercuriale e alla moglie e a’ figliuoli di esso si troveranno presso i suddetti scrittori, i quali ne annoverano ancora le opere distintamente, e alcune o non ben osservate, o inedite ne aggiugne il Morgagni, oltre alcune lettere che se ne hanno tra quelle del Latini (l. c. p. 235, 259), e tra quelle degli Uomini illustri (p. 468, Ven. 1744) (a)• Pochi sono i (4) Alcune altre notizie del Mercuriale, e di alcuni [p. 975 modifica]SECONDO t)«j5 medici die tanto abbiano scritto, quanto il Mercuriale. Nondimeno della maggior parte dell’opere di esso parla con molto disprezzo M. Portal (Hist. de l’Anato ni. t. 2, p. 17, ec.), il quale per altro molti errori ha commesso nel compendiarne la Vita. Io non son medico, nè il mio sentimento potrebbe aver forza a provare che le opere del Mercuriale si debban pregiare assai. Ma l’alta stima ch’egli ebbe in un tempo in cui non mancavano molti medici valorosi all’Italia, e le onorevoli testimonianze • • • * che molti hanno renduto alle opere di esso, e a (quella singolarmente De Arte gymnastica, e alle \ arie Lezioni, ci danno troppo buon fondamento a riporlo tra’ più illustri medici del suo tempo. Tra molti elogi che diversi scrittori ne han fatto, è degno d’esser letto singolarmente quello dell' Eritreo, il quale dopo averne altamente lodata la rara dottrina non solo nell’ arte medica, ma nella filosofia ancora e nell’astronomia, n esalta ugualmente gli aurei ed innocenti costumi e la singolare pietà, e aggiugne che i suoi concittadini gli eressero, poichè ei fu morto,,una’statua. Il Morgagni però osserva che il pubblico di Forlì permise bensì a’ figliuoli ed agli eredi del Mercuriale d’innalzargli un tal monumento 5 ma che essi, qualunque ragion se n’avessero, non gliel’ innalzarono. Il Mureto ancora fecea non picciola stima del sapere del Mercuriale; perciocché opuscoli elio se uc conservano nell’ archivio Vaticinio, si posson vedere negli Archi airi pontifici] dell'ah. Marini ((. 1, p. 4(3°, ec.; t. 2, p. 3ii). [p. 976 modifica]97^ LIBRO avendolo quegli richiesto del suo sentimento su un passo dTppocrate, il Mureto rispondendogli dopo avergli detto ciò ch’ei ne sentiva, Quod si tibi quoque, soggiugne (l.2, ep)4 ita vide tur. non dubito, quin verum sit: sin tu secus judicas, numquam mihi dubium erit, quin tua sententia verior sit. Semper enim non in his modo rebus, quarum tua propria possessio est, sed in omni litterarum genere judicium tuum libentissime anùeponam rueo (*). XXX1Y. Tre altri medici di molto nome ebbe la medesima università, due più antichi degli or mentovali, Girolamo Accoramboni e ^ ettor Trinca velli, l’altro successore del Mercuriale, cioè Alessandro Massari. De’ primi due io dirò assai poco, perchè ciò che di essi potrebbe dirsi, già si è detto dal conte Mazzucchelli riguardo al primo (Scrilt. ital. t i, par. i, yy. 80), e per riguardo al secondo dal P. degli Agostini (Scritti venez. t. 2, p. 529, cc.). Il primo era (*) Una lettera del Mercuriale al Cardinal Luigi d’Este, scritta da Padova a 16 di febbraio del 1585, conservasi in questo ducale archivio, la qual però non ci offre notizia degna d’osservazione. Più pregevole è un’altra del duca Cesare scritta al medesimo Mercuriale da Modena a' 6 di maggio 1606, in cui lo ringrazia dell’ assistenza prestata al principe Alfonso suo figlio (quel desso che, fatto duca, si rendette poi cappuccino), nel tempo ch era stato agli studii in quell università; il qual ufficio rendette egli pure con altra lettera nel giorno medesimo al Facchineo lettore, credo, di diritto civile nelle medesime scuole. Come dunque il Facchineo deesi aggiugnere alla serie de’professori di Padova, tra i quali nol veggo nominato, così il principe Alfonso si dee aggiugner agl’ illustri alunni di quella università annoverati dal Papadopoli. [p. 977 modifica]SECONDO 977 nalio di Gubbio, e dopo aver coltivati gli studi in Perugia, dicdesi all’ esercizio dell arte medica, e col professarla e coll insegnarla per molti anni in diverse università giunse a tal fama, che l’an 1527 fu scelto con onorevole decreto ad esserne professore in Padova collo stipendio prima di 760, poi di 800 scudi d’oro (Facciol. Fasti, pars 3, p. 330), e ivi continuò fino al 1535, nel qual anno finì di vivere. Alle quali notizie io aggiugnerò quello che si trae dalle Lettere del Bembo scritte a nome di Leone X, cioè che nell’anno 1516 fu da' suoi concittadini inviato a quel pontefice, il quale lor rispondendo dice di aver accolti i loro ambasciadori, e tra essi Hieronymum Accorambonum doctum hominem et phiosophiae studiis illusi re ni optimumque Medicum (Bemb. Epist. Leonis X noni. I. i3, cp. 8) (a). 11 Triu(a) Assai, più esatte son le notizie che di Girolamo Accoramboni ci ha date l’eruditissimo ab Gaetano Marini (Degli Archiatri pontif, t. 1, p. 379, ec.; t. 2, p. 279, 287, 353). Egli era professore di medicina in Perugia fin dal 1505, e fu poscia circa il 1515 chiamato a Roma ad esercitare la medicina e all’impiego di medico pontificio. Fu poscia ancor medico di Clemente VII; ed ebbe il dolore di vedersi spogliato di ogni sua cosa, e anche dell’opere che avea composte, nel troppo famoso sacco del 1527. Forse fu questo il motivo per cui egli accettò in quell'anno medesimo l’invito, che altre volte avea ricusato, di passare a Padova a sostener la cattedra di medicina. Paolo III appena eletto pontefice, il volle di nuovo in Roma, e nominollo suo medico. Sembra ch' ei vi passasse dopo il settembre del 1536, ma poco tempo ei visse, e a’21 di febbraio del 1537 chiuse i suoi giorni in età di Tiràuosciii, Voi XI. [p. 978 modifica]978 LIBRO cavelli era nato in Venezia circa Fauno 1 Ì91; e parte nell’ università di Padova, parte in quella di Bologna, si fermò a quegli studii che il rendettero poscia famoso. F u prima professore di medicina in Venezia, quindi la esercitò in Murano, e poi in Venezia, ove fra molti onori vuolsi che avesse ancor quello di sedere in grado uguale co senatori; finalmente nell'an 1551 fu inviato a professarla in Padova collo stipendio di 950 fiorini, a’ quali poi si accrebbero altri 150 (Facciol. l. c. p. 331). Morì in Venezia nell'an 1563, e fu onorato di solennissime esequie. Dell’opere di amendue questi medici ragionano i due suddetti scrittori. Poche però son quelle del primo, molte e di genere tra lor diverse quelle del secondo. Oltre le appartenenti alla medicina, nella qual arte ei fu il primo in Venezia a spiegare i testi greci, e adoperossi con ogni sforzo a sbandire la barbarie arabica, ei pubblicò nel loro original greco le Opere di Temistio, e parte di quelle di Giovanni gramatico, il Manuale di Epitetto col Comento di Arriano, la Storia di Alessandro dello stesso Arriano, il Florilegio di Giovanni Stobeo, le Opere di Esiodo ed altre di greci scrittori non conosciute fino a quel tempo che in traduzioni per lo più rozze ed infedeli. Del terzo, cioè di Alessandro Massari di patria vicentino, ci ha tramandate parecchie notizie il Riccoboni che gli fu contemporaneo (De Gymn. patav. l. 3, c. 32), e con sessantotto anni Di tulio ciò si veggan le pruove presso i! sopraccitato scrittore. [p. 979 modifica]SECONDO lui professore nell’università di Padova (a). In questa egli fece prima il consueto corso di studii, e fra molti valorosi maestri ebbe Lazzaro Buonamici, Bernardino Tomitano, Marcantonio Passero, il Fracanzano e il Falloppio. Ricevuta la laurea, tornò a Vicenza, ed aggregato all Accademia olimpica, vi spiegò le Meteore d’Aristotele, e vi fece lezioni d anatomia. Chiamato a Venezia ad esercitarvi la medicina, vi fece ammirare non solo la sua eccellenza nell’arte medica, ma ancora il saggio uso che soleva egli fare delle ricchezze con essa raccolte, sì nel vivere con molto splendore, sì nel distribuire copiose limosine a’ poveri, da’quali innoltre non voleva nelle lor malattie mercede alcuna. Dopo la partenza del Mercuriale, seguita, come si è detto, nel 1587, ei fu creduto il più atto a sostenerne la cattedra, e fu perciò inviato a Padova, ove all'insegnare pubblicamente congiunse l’aprire la sua casa ai’ dotti, agli amici e agli stranieri tutti che ivi quasi in comun centro si univano piacevolmente. Negli ultimi anni giunse ad avere per suo stipendio mille fiorini (Facciol. l. c p. 332); e finì di vivere a’ 18 di ottobre del 1598. Il catalogo delle opere da lui composte si può vedere presso gli scrittori delle Biblioteche mediche. Fra essi M. Portal loda singolarmente quella De scopis mittendi sanguinem Hist. de l Anatom. t. 2, p. 131), che da lui dicesi un (/i) Pii» copiose notizie intorno alla vita c olle opere di Alessandro Massari si posson vedere negli Scrittori vicentini del P. Angiolgabriello di Santa Maria (l. 4 » p. 8a, ec.). [p. 980 modifica]980 LIBRO capo d’opera. Non ugualmente ne lo'da egli quella che il Massari scrisse contro Ercole Sassonia celebre medico padovano esso pure, e professore nella medesima università, e morto nel 1607 (V. Papadop. Hist. Gymn. patav. l. 1 f p. 344» Faccini 1. cit. p. 3o6, 33q, 38o). Questi, di cui pure si hanno alle stampe più opere, sosteneva che nelle malattie pestilenziali l uso dei vescicatorii e della teriaca era assai vantaggioso. Dannoso lo diceva il Massari appoggiato singolarmente all’autorità di Galeno, per cui narrasi che avea egli sì profonda venerazione, che volesse anzi errare con lui, che seguir la verità co’ moderni. Scrissero l’un contro l altro, e la vittoria rimase per unanime consentimento de’ medici al Sassonia. Più felice egli fu nella controversia avuta con Orazio Augenio da Montesanto nella Marca d’Ancona, il quale, dopo avere esercitata per molti anni la medicina in varie città dello Stato ecclesiastico, ne tenne ancora pubblica scuola per più altri anni e con molta fama in Torino e in Padova, ove morì nel 1603. Di lui parla a lungo il co Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1, par. 2, p. 1249, ec-)? che ne annovera le molte opere mediche da lui date alla luce, e intorno alla contesa da lui avuta col Massari ci rimette al Riccoboni e al Tommasini, a’ quali rimanderò io pure chi voglia saperne più oltre. Un altro Massari di nome Girolamo, vicentino esso pure e medico, e morto in Argentina nel 1564 ove per vivere nella Religione riformata erasi ritirato, rammentasi dal Gerdesio (Specimen Ital. reform. p. 296), nè io so qual relazione egli avesse col nostro Alessandro. [p. 981 modifica]SECONDO gS 1 XXXV. Io non andrò discorrendo per le altre università italiane, e annoverando gl’illustri medici che in esse fiorirono, poichè e quelli che finora abbia ni rammentati, e quelli de quali ci rimane a parlare, illustrarono per la più parte non la sola università di Padova, ma quelle ancor di Bologna, di Pisa e le altre tutte d Italia. Seguirò in vece a scegliere tra l’infinita serie de’ medici alcuni di quelli che o per le opere loro, o per altra ragione son degni di special ricordanza. Alcuni di que’ che già abbiam nominati, eransi esercitati nel recar di greco in latino le Opere d'Ippocrate, di Galeno e di altri medici antichi, co.ne si è osservato. Ad essi debbon aggiugnersi tre Modenesi che nel corso di questo secolo in ciò s'impiegarono. Alcuni opuscoli di Galeno, tradotti da Lodovico Bellisario modenese, trovansi citati dal co. Mazzucchelli (Scritt. ital t. 1, par. 2, p. 693). Ma del traduttore io non ho altra notizia, se pure ei non è lo stesso che quel Bellisario Gadaldini pur modenese e medico in Venezia, a cui dobbiamo l’edizione dell’Opere del Trincavello (a). Questi era figliuolo di Agostino Gadaldini che nella stessa città esercitava con molta fama la medicina. A lui abbiamo una lettera di Jacopo Bonfadio scritta da Padova nel 1543 (Bonfadio, Lett. p. 61), nella quale (rr) Sembra certo clic Lodovico Bellisario debba distinguersi da Belisario Gadaldini. Di nmendue si è parlato nella Biblioteca modenese (l. 1, p. 210, f. a, p. 376), ove pure si è più ampiamente trattato di Agostino Gadaldini. [p. 982 modifica]ySa Limo rammenta il tempo in cui insieme erano stati in Ferrara: Fra noi già molt anni in Ferrara nacque un vero amore: si fece poi amicizia candida e vera. E forse il Gadaldini da.Modena sua patria passò a Ferrara per apprendere in quella università l'arte medica. Due lettere parimente abbiamo a lui scritte da Pietro Aretino, la prima nel 1548, in cui fra le altre cose il loda perchè non permette alla sua moglie l imbellettarsi \ Pietro Aret. Lett. I. 4* p- 135) 5 la seconda nell'an 1550, in cui essendosi il Gadaldini scusato, se non avea potuto venire a curar lui e una sua figlia, l’Aretino accetta cortesemente una tale scusa (l. 5, p. 249). E che il Gadaldini fosse in Venezia occupatissimo nel curare gl’infermi, raccogliesi da un’altra lettera dello stesso Aretino a M. Andrea da Perugia, scritta nel 1548 in cui esortandolo a venir talvolta in sua casa, il prega a non fare come lo eccellente Dottore Agostino da Modena, che non so pure, du si stia: non nego, che le faccende in salute di tanti infermi, che tiene in cura, non lo tolghino dal commercio degli uomini (l. 4 > P- i83). Or questi ancora ’ occupossi in recar di. greco in latino molte opere di Galeno e di altri medici antichi (V. Fabric. Bibl. gr. t. 11). Di queste versioni, ch erano allora già pubblicate, ci ha lasciata onorevol memoria il Falloppio: Vesalii opus, dic egli (Observat. anatom. t. 1, p. 65), editimi crai, antequam civis meus Augustinus Gadaldinus Medicus doctissimus, et de studiis nos tris communibus quam optime meritus, libellula G aleni de dissectione musculorum Latinum a [p. 983 modifica]SECONDO g8) se factum in lucem dederit E altrove: Legatis Stephanum A(hcuicn.seni in commcnìariolo ilio in primum ad Glauconem, quod habetis jam Latinum opera mei concivis Angus tini Gadaldini. Egli vivea ancora nel 1567. Francesco Panini, che in quell’anno scrivea la sua Cronaca di Modena da me altrove citata, ne parla come d’uomo ancor vivo; perciocchè dopo aver detto che Paolo Rococciolo in Bologna e Andrea Baranzone in Venezia, amendue modenesi, erano medici assai rinomati, soggiugne: Agostino Gadaldino non solo è dottissimo Medico, ma è ornato ancora della cognizione di molte altre scienze et di molte et varie lingue, siccome finora il figliuolo ancor giovinetto molto versato nella Latina, Greca, Hebrea, et Caldea lingua Niccolò Machelli fu il terzo tra" Modenesi, per cui le Opere d’Ippocrate e di Galeno si vi der volte in latino. Egli era in Modena nel 1542, quando molti tra’ Modenesi dovetter sottoscrivere al Formolario di Fede, altrove da noi mentovato. Ed egli è uno di quelli che vi sottoscrissero (V. Card. Cortes. Op. t. 1, p. r \). Oltre qualche opuscolo di Galeno, ei tradusse ancora il libro di Rase intorno alla peste, che fu stampato in Venezia nel 1568 (Cinelli, Bibl. volante, t. 3, p. 221), e diè alle stampe un Trattato del Morbo gallico, di cui fa onorevol menzione il Falloppio dicendo: Omittam etiam sententiam Nicolai Machelli concivis mei et viri doctissimi, qui in libello, quem scripsit, de Morbo Gallico, ec. (De Morbo gall. c. 36). Potrebbesi qui ancora far menzione di Giambattista Rasario novarese, da cui più opere di [p. 984 modifica]Galeno furon tradotte. Ma di lui parleremo tra’ professori di lingua greca. Anche Giambatista Opizzone medico pavese avea preso a fare una più elegante traduzione e una edizione più esatta delle Opere di Galeno. Lucillo Filalteo, di cui diremo tra poco, a lui scrivendo nel 1527, e consultandolo su certi flati che il travagliavano: Est enim, dice, cur tibi fidendum; siquidem evolvisti in Medicina omnes Graecos et Latinos auctores diligenter. Si iccirco palmam fers et primas habes inter reliquos Medicos hodie unus, jam haec tibi debentur.... Per te sperat, cum omnia Galeni commentaria Graeca primum in lucem venerint, deinde Latina fore cum suo orationis cultu, cum barbare fere hactenus omnia a scriptoribus explicata sint, ec. (Epist p. 8). E in altra del 1531: Propediem lux expectat commentarios Galeni Graecos, et tua mano tuaque opera correctos. Andreas A su• lanus non se solimi, veruni edam tota Medicorum Collegia tibi ob eas lucubrationes debere. fatentur, quippe qui manca mutila saepe loca absolvisti, et reformasti tantum opus ad usum salutis humanae non mediocriter necessarium (ib. p. 69). Ma non sappiamo se cosa alcuna venisse veramente alla luce. Ma più di tutti in ciò affaticossi Marco Fabio Calvi da Ravenna, di cui abbiam la traduzione di tutte l Opere greche d’Ippocrate. Di questo uomo degnissimo d esser conosciuto, e nondimeno dimenticato per modo, che il P. ab Ginanni non ne ha fatta menzione tra gli Scrittori ravennati (a)t (a) Ho errato nell' affermare che il P. ab. Ginanni [p. 985 modifica]SECONDO g85 abbiamo notiziaJn una lettera di Celio Calcagnòli a Jacopo Zieglero, nella quale descrivo la vi.ta solitaria e frugale eh1 ei conduceva in Roma, benché stipendiato dal papa, c la stima che per lui professava Rafaello d’ Urbino. La lettera non ha data, ma ella debb’essere scritta tra'I i5ig in cui il Caleagnini tornò d’Ungheria, c il i520 in cui Rafaello morì: Est (cioè in Roma) Fabiits Ravcnnas senex stoicacprobi tatis, quem vi rum non facile dixeris, humanior ne sit an doctior. Per lume Ilippocratcs integer piane Latine loquitiir, et jam vetercs illos solaccismos exuit. Id habet homo salirtissinnis raruni apud omnes gentes, quod pecunia in ita contemnity ut oliatimi rea/set, nisi su mina nccessitns adigat. Alioqui a Leone Ponti/ire mcnstruani habet stipali, quam amicis aut affmibus solct erogare. Jpse ohi sculi s et lactucis Pi/hagoreorum vitam traducii in gurgustioloy quod tu pire doli uni Diogenis appelluveris, studiis non inunorans, sed iinmoricns, et piatte non fa menzione del Calvi; ma il mio errore è degno di scusa. perchè io non poteva sognare ch’egli appartenesse alla nobil famiglia Guicciuoli, sotto il cui articolo il detto scrittor ne ragiona (Scritt, ravenn, t. 1, p. 403). Ei ce ne dà alcune altre notizie, e osserva che da Leon X ebbe ancora alcuni beneficj ecclesiastici; rammenta qualche altra opera da lui pubblicata. e riflettendo che una di queste fu*da lui dedicata nel 1532 a Clemente VII, ne inferisce ch è falso il racconto del Valeriano intorno alla morte del Calvi. E se la lettera dedicatoria ha quella data, l'argomento non ha risposta. Ma potrebbe anche essere avvenuto che f auloie 1* avesse stesa alcuni anni prima, e che poi insieme coll opera fosse pubblicata solo nel i?3a. [p. 986 modifica]986 LIBRO imnioriens, qiium grave ni admodum et periculosam aegritudinem homo alioqui octogenarius contraxerit. Hunc a Ut, et quasi educat vir p medi ves et Pontifici gratis si mus Raphael Urbinus... hic Fabium quasi praeceptorem et patrem colit, ac fovet; ad hunc omnia refert, hujus Consilio acquiescit (Op.p. 101). Quest’ uom singolare ebbe una fine troppo diversa da quella ch’ei meritava. Ne abbiamo il racconto presso l’ierio Valeriano, il quale dopo aver detto che questo non meno santo che dotto vecchio dopo tante fatiche non avea mai potuto uscire dalla sua povertà, e che sempre era vissuto dimenticato e negletto dai’ principi (il che però è esagerato non poco, come ci mostra il citato passo del Calcagnini), soggiugne che nel sacco di Roma preso anch’egli, e non potendo, uom poverissimo com’egli era, pagare l’enorme prezzo che per la sua liberazione gli veniva richiesto, trascinato fuori di Roma, fu costretto a morir di fame e di stento in uno spedale, in ciò solo felice, aggiugne il Valeriano, che pochi giorni innanzi per opera di Minizio Calvi n era stata pubblicata in Roma la traduzione d’Ippocrate (De Litterat. Infelic. l. 2, p. 81). Queste parole ci mostrano che la detta versione uscì in luce nel 1527, benchè comunemente non se ne citi che l’edizione del 1649. XXXVI. Un altro professore di medicina erasi accinto a far latine le Opere di Galeno, benchè poscia o non eseguisse il suo disegno, o le fatiche da lui in ciò fatte andasser perdute. Ei fu Francesco Vittorio o Vettori di patria bergamasco, di cui ci dà alcune ma non molto [p. 987 modifica]6FC0NDO qSq esatte notizie il P.Xalvi (Scena letter. di Scritt. bergam. par. 1, p. 167). Ei dice che fu figliuolo di un certo Ranaldo maestro di scuola, e che da suo padre medesimo fu istruito ne’’primi elementi della letteratura, e inviato poscia a Padova, perchè vi apprendesse le scienze. Nè in ciò dice cosa che non sia verisimile. Ma ciò ch’egli ed altri aggiungono, che in diverse università d’Italia fosse professore di filosofia e di medicina, io temo che non si possa abbastanza provare. Certo nelle Storie di.quelle di Bologna (*), di Ferrara, di Pavia, di Pisa io non ne trovo menzione alcuna. Nella sola università di Padova abbiam monumenti sicuri che cel dimostrano professore. Nel determinare però il tempo, molto tra lor son discordi i due più recenti scrittori della Storia di essa, il Papadopoli e il Facciolati. Il primo ci narra (Hist. Gymn. patav. t. 1, p. 297) che prima ancora della lega di Cambray cominciò a salir sulla cattedra. Il secondo afferma (Fasti Gymn. patav. pars 3, p. 348) che solo nel 1523 diede ivi principio a insegnare. Secondo il Papadopoli ei fu dapprima professore straordinario di medicina pratica, poi ordinario della medesima in secondo luogo, e finalmente lettor di teorica in primo luogo. Secondo il Facciolati fu prima (¥) Il eh. sig. conte Giovanni Fantuzzi mi ha avvertito eli’ io non mi sono ingannato credendo che Francesco Vettori non fosse mai professore in Bologna, perciocché il norfie di esso non trovasi mai Registrato ne’ Botoli di quella università; il ’che pur vuoisi di Lucilio Maggi, ossia Filalteo, della cui lettura in quello Studio, che da alcuni si narra*, io ho dubitato a ragione. [p. 988 modifica]9^8 LIBRO professore ordinario di teorica in secondo luogo nel 1523 collo stipendio di 300 fiorini, poi ordinario di pratica parimente in secondo luogo collo stipendio di 500 fiorini ib. 337). Finalmente il Papadopoli lo dice morto agli 11 di novembre del 1523, il Facciolati ne differisce la morte fino allo stesso mese del 1528. Or se questi due storici, che o hanno veduto o potean vedere gli autentici monumenti di quell’università, son. tanto fra lor discordi, che posso deciderne io che non ho agio di vedere tai monumenti? Io credo ciò non ostante di dovermi attenere al sentimento del Facciolati, almen quanto alfepoca della morte. E ne vedrem le ragioni in ciò che dovremo osservare tra poco. Ei fu famoso non solo pel suo sapere, ma ancora e assai più per la rara memoria di cui era dotato, onde n ebbe il soprannome di Francesco dalla Memoria, come osservano i tre suddetti scrittori: Io mi sono dimenticato in Roma, scrive il Bembo al Sadoleto (Lettere, voi i, /. 7, Op. t. 3, p. 55), salutarvi a nome di M. Francesco della Memoria, che legge in Medicina in Padova... per non parere smemorato con uno cotanto memo rioso lo salutai a nome vostro. La lettera è de’ 14 di maggio del! 1525; ed ecco la prima pruova dell’ errore del Papadopoli e di molti altri nel fissar la morte di questo medico nel 1523. Nè si può qui sospettare di errore nella data; perciocchè appunto al fine del 1524 il Bembo da Padova passò a Roma, e nella primavera dell’anno seguente'fece ritorno a Padova, come tutti narrano gli scrittori della Vita di esso. Di Francesco dalla Memoria fa [p. 989 modifica]SECONDO ifiij cenno il Bembo anche in un’altra sua lettera a Giammatteo suo nipote, scritta nel 1528 (ivi, p. 409). Il che sempre più ci conferma che il Facciolati ne ha giustamente fissata l’epoca della morte. Il Bembo avealo in molta stima., e abbiam due lettere latine da'esso a lui scritte nel 1522, in una delle quali lo dice uomo non sol filosofo e istruito nelle ottime e più illustri scienze, ma nell’amena letteratura ancora versato assai (EpisL fornii. 1.6, ep. 2, 3). Nè minore era il concetto che di lui formato avea il Sadoleto. E da una lettera da esso scritta al Vettori raccogliesi ciò che ho affermato, cioè, ch’ei pensava di recar di greco in latino l Opere di Galeno, e di lasciar perciò l’impiego di professore 5 e che bramava che il pontefice il chiamasse a Roma, e gli desse a questa intrapresa un opportuno sussidio. Essa è stata pubblicata dall’ab Lazzeri Miscell Coll. rom. t. 1, p. 516), e poi inserita nella nuova edizione delle Lettere del Sadoleto fatta dall’ab Costanzi (t. 1, p. 26). Il Sadoleto in essa rispondegli che approva il consiglio della traduzion di Galeno, ma non il pensiero di lasciar perciò la cattedra j che il pontefice desidera ardentemente di promuovere i buoni studii, ma che le angustie dell erario son tali che non è possibile ottenere ciò ch'egli brama j e che perciò ei farà saggiamente a non lasciare il certo, di cui è al possesso, per l’incerto, di cui non può molto promettersi. La lettera non ha data; e l’ab Costanzi la crede scritta circa il 1517. Ma a me non par verisimile che ai’ tempi del magnanimo e splendido Leon X si parlasse di [p. 990 modifica]990 LIBRO strettezze d’erario, e parmi anzi che quella m iniera di favellare convenga al pontificato di Clemente VII. E molto più che nel 1517 avea appena il Vettori dato principio alla sua scuola, e non sembra probabile ch'ei pensasse sì presto a finirla. Al Vettori medesimo è certamente scritta un'altra lettera del Sadoleto, benchè non abbia il nome della persona a cui è diretta j perciocché ripete a un dipresso i medesimi sentimenti. L'ab Lazzeri l ha pubblicata colla data del luglio dell’an 1525 (l. c. p. 518), ma ha temuto di errore, credendo che il Papadopoli avesse giustamente fissata la morte del Vettori nel i5;ì3, e forse perciò l’ab Costanzi ha ommessa la data nel pubblicarla di nuovo (l. c. p. 92), e l’ha creduta scritta nel 1522. Ma poichè certamente il Vettori visse fino al 1528, possiamo senza temer d’ingannarci assegnare amendue queste lettere al 1525. Non sappi am se il Vettori eseguisse il disegno che avea formato di tradurre Galeno in latino; e se egli il fece, questa fatica dovette subire l’infelice sorte delle altre. Perciocchè Aldo Manuzio il vecchio, il qual ne parla con molta lode, racconta che molte egregie opere da lui composte perirono in un incendio (*). 11 P. Calvi afferma eh’ei (*) Ecco il passo in cui Aldo parla dell'incendio in cui infelicemente perirono le fatiche del suddetto Francesco Vettori, dedicando a' 15 di febbraio del 1514 ad Alberto Pio il Comento di Alessandro d Afrodisia sulla Topica d Aristotele, e ci dà insieme altre notizie sulla vita di esso, che potran giovare a correggere ciò che ne abbiamo qui detto. Egli afferma dapprima che avea finallora indugiato a pubblicare il detto Comento, [p. 991 modifica]SECONDO C)()l inori per vomito impetuoso cagionatogli dal soverchio mangiar di nespole, il che io non so perchè aspettava quello che sull’opera stessa scriveva l'rancitcus Victorius Bergomas philosophus et medicus quam doctissimus; e dopo averlo lodato molto, e detto che già ne avea composti circa cinquanta quaderni, soggiunge: Sed fortuna tot labores et tam doctas lucubrationes invidit nobis; nam paucis ante diebus quam haec ad te scriberem domus, quam ille habitabat, tam repentino celerique incendio tota absumpta est; ut et ii, quos dixi, commentarti, < t tota ejus Bibliotheca optimorum plena librorum utriusque linguae miserabili ter arserit, in quibus erant et in totu/n Plato ne m tot annotationes, ut jam pro justis haberi Commentariis po.ssent; crani et in Galenum, et caeteros Medicos alia, ex quibuis non unum, sed multa confici volumina potuissent. Siegue poscia dicendo che il Vettori invece di abbattersi per tal disgrazia, erasi coraggiosamente accinto a rifare gli stessi Comenti non solo in latino, ma anche in greco, e che più altre opere pensava di scrivere: etsi nondum triginta annos natus, vel tantundem vixerit, non dubito, quin sit et qua e polli ce tur daturus omnia, et superaturus nostram caeterorumque amicorum expectationem f quemadmodum et Patavii fecit, ubi adolescens summa cum laude et frequentia Auditorum publice professus est philosophiam. Questo passo ci scuopre e l’età del Vettori, che dovea esser nato verso il t4&5, e la cattedra di filosofia da lui sostenuta in Padova prima della lega di Cambi u\, come ha affermato anche il Papadopoli, benché ti Pabbia fatto professore di medicina pratica. Esalta quindi a lungo il Manuzio la fortezza d'animo dal Vettori mostrata in questa occasione, e ne fa poscia questo magnifico elogio: Equidem quanto illum amore prosequar, n oh facile dixerim, curn oh per acre ejus ingerii a tu, flagrans studiarti, eximtam doclrinam, giugulare judiri urn, divi nani prope me mori am } quae si mal omnia non alii cuiquam hac aetate video contigisse, vix enim singula singulis invenias, tum praecipue quia non solum optimus homo est, sed et Christi cullor opti[p. 992 modifica]992 LIBRO se delibasi per avventura rigettare tra le tradizion popolari. XXXVII. Molti celebri medici ebbero in questo secolo i regni di Napoli e di Sicilia. Alcuni già sono stati da noi nominati nel decorso di questo capo. Ad essi debbono aggiugnersi Donato Antonio d’Altomare napoletano, professore di medicina nella sua patria, indi per invidia d’alcuni malevoli costretto a partirne e a recarsi a Roma, e renduto poscia per opera di Paolo IV alla sua patria e agli antichi onori, di cui e delle molte opere da lui composte, oltre gli scrittori napoletani, si può vedere il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. \>par. i,p. 544) f Francesco Bissi palermitano, protomedico del regno di Sicilia, e non sol nella medicina, ma anche nella poesia e nell eloquenza assai ben istruito, e morto nel 1598 (ivi, t. 2, par. 2, p. 1284), Ambrogio Leone da Nola, professore di medicina in Venezia (Agostini, Scritt venez. t. 2, p. 450) e ivi morto nel i525 (E ras ini, Epist. t. 1, ep. 769), amicissimo di Erasmo, come da alcune lor lettere si raccoglie (ib. ep. 183, 344 466, ec.), e autore di varie opere di diversi argomenti, delle quali si ha il catalogo presso il Tafuri (Scritt. del Regno di Napol. t. 3, par. 1, p. 158), e più altri de’ quali registransi i nomi nelle biblioteche di quella nazione (a). E quelle pure delle altre proviucie e (a) Assai più copiose ed esatte son le notizie che di Ambrogio Leone e (delle opere da lui composte ci ha poi date il ch. sig. Francescantonio Soria (Storici napol. t. 2 p. 347, ec.). [p. 993 modifica]SECONDO delle altre città italiane ce ne offrono un gran numero, che troppo lungo sarebbe anche il solo accennare. Giovanni Antracino da Macerata medico di Adriano VI e di Clemente V li (a) fu riputalo un de più dotti che allor vivessero, e molte testimonianze di autori contemporanei a lui onorevolissime sono state raccolte dall’ab Gianfrancesco Lancellotti (Mem, di Ang. Colocci, p 72, ec.). Ei fu ancora elegante poeta, e alcune poesie se ne leggono nella raccolta intitolata Corj'ciaridj e deesi perciò aggiugnere agli Scrittori italiani del co Mazzucchelli. Francesco Severi da Argenta è esaltato con somme lodi da Paolo Manuzio, perchè nel tempo medesimo in cui esercita in modo la medicina, ch è annoverato tra’ più illustri, coltiva ancora con ammirabile felicità l’amena letteratura (l. \ì cp. 32). Un latino epigramma ne ha pubblicato il Borsetti (II tòt. Gjnin. Ferr. t. 2, p. 164). Ma egli ebbe un troppo tragico fine; perciocchè scoperto infetto delle opinioni dei novatori, anzi eretico Georgiano, come si legge in una Cronaca ms. di Ferrara in questa biblioteca, fu nella detta città decapitato, e poi arso a’ 7 di settembre del 1570. Baccio Baldini professore nell’università di Pisa, protomedico del gran*duca Cosimo I, e prefetto della biblioteca {a) Non è abbastanza provalo che P Antracino fosse medico di Clemente VII; e l'ab. Lnncellotti nfieruia soltanto che questi fu protomedico iu Roma a’ tempi del detto pontefice. Meritau di esser lette le belle notizie che dell’Antracino ci ha date il valoroso signor ab. Marini (Degli Archiatri pontif, t. 1, p. 358, ec.). Tirabosciii, Voi XI. 25 [p. 994 modifica]994 LIIlRO Laurenziana, fu autor di più opere non solo di medicina, ma di diversi altri argomenti. le quali si annoverano dal co. Mazzucchelli (Scritt, ital. t. 2, par. 1, p. 132). Con molta lode ragionano i compilatori delle mediche Biblioteche di quelle di Bernardino Paterno natio di Salò sul lago di Garda, professore di medicina in Pavia, in Pisa e in Padova, ove giunse ad avere per suo annuale stipendio milledugento ducati, e ove morì nel 1592, dopo ave rigettate le liberali proferte di Stefano Battori re di Polonia, che avealo caldamente invitato (Papadop. Hi st. Gjnin. palai». I. 1, p. 333, Facciol. Fasti, pars 3, p. 343). Di Marsilio Cagnati, professore di medicina e di filosofia in Roma, e di più altri celebri medici veronesi si posson voi loi e Je notizie raccolte dal marchese Malici (Fcr. illustr. par. 2, p. 379). Pietro Bairo torinese, professore nell università di Torino., medico di Carlo III duca di Savoia, e morto in patria nel 1559, diede alle stampe parecchie opere di medicina (Mazzucch. Scritt. ital. t. 2, par. 1, p 71). Bartolommeo Viotti torinese, il cui padre Tommaso fu il primo che nell università di Torino ricevesse la laurea di chirurgia, oltre un libro sul Metodo di medicare, un altro più pregevole ne pubblicò nel 1553 in quattro libri su’ Bagni, e sii que1 d’Acqui singolarmente. Ei fu sepolto in Torino, non in S. Domenico, come dice il Rossotti (Syllab. Script. Pedem. p. 102), ma in S. Agostino, ove il sig. avv Jacopo Antonio Viotti ne ha fatto ristorare il! sepolcro nel 1767. Luigi Lovisini udinese j medico assai stimato in Venezia, oltre [p. 995 modifica]SECONbO £0)5 altre opere mediche ed alcune ancora poetiche, delle quali parla diligentemente il ch sig. Liruti (Letter. del Friuli, t. 2 7 p. 148, ec.), diè alla luce nel 1566 e nel seguente una pregevol Raccolta di tutti gli autori che finallora trattato aveano del morbo gallico. Marcello Donati, nato in Mantova di padre correggesco, e dai’ Gonzaghi onorato de’ titoli di lor consigliere e di conte di Ponzano, e morto in Mantova nel 1602, illustrò egli pure la medicina con alcune opere, delle quali si posson vedere esatte notizie nella Vita che ne ha scritta con molta erudizione, e stampata in Mantova nel i"88, il sig. dott Luigi Castellani, e nel bell’Elogio che ne ha di fresco pubblicato il ch P. Pompilio Pozzetti delle Scuole Pie. Antonio Frigimelica finalmente (a) e Emilio Cnmpolungo auiendue padovani, e Girolamo Amulleo e Andrea Turini da Pescia (ò), e Paolo Grassi padovano, c Giambatista Susio mirandolano (c)t (a) Del Frigimelica belle notizie ci ha date il più volte lodato ab. Marini (t. 1, p. 406, ec t. 2, p. 290). (b) Andrea Turini era degno di più distinta menzione, non solo per le opere da lui pubblicate, delle quali si può vedere il giudizio dell’Haller (Bibl. Med. pract, t. 1, p. 516; Not. ad Method. Boerhaave, p. 848), ma anche perchè ei fu medico di Clemente Vii e di Paolo III, e dal primo di questi papi fu inviato in Francia a servir da medico la sua nipote Caterina moglie allor del Delfino, e fu poscia dichiarato ancor suo medico da Francesco I. Ma sembra che poscia ei tornasse in Italia. Di lui ha parlato con molta esattezza il suddetto ab. Marini (t. 1, p. 333, ec. j t. 2, p. 288). (r) Del Susio, carpigiano di patria, ma passato per avverse vicende della famiglia a soggiornare alla Mirandola, si è parlato lungamente nella Biblioteca modenese t. 5, p. 146, ec.). [p. 996 modifica]99^ LIBRO e infiniti altri potrebbon qui aver luogo, s'io volessi fare una pomposa ostentazione di medici e di scrittori. XXXVili. Fra questi medici niuno ho io nominato finora che fosse milanese di patria trattone l anatomico Giambattista Carcano. Molti però ne produsse quella città. Il Cardano, di cui altrove si è ragionato, scrisse qualche cosa d’ anatomia e molte di medicina, e non poco vantaggio avrebb’ egli recato a queste scienze, se non si fosse abusato del suo ingegno, singolarmente nel seguire alla cieca i pregiudizii dell’ astrologia giudiciaria. Il dott Bartolommeo Corte, nella sua opera de’ Medici milanesi, molti ne annovera che nel corso di questo secolo furono assai rinomati, e fra essi Ambrogio Candiano medico del duca Francesco II Sforza, e chiamato da Maria reina d' Ungheria in una grave infermità a curarla, e onorato perciò e da essa e da Carlo V, di lei fratello, di onorevolissimi diplomi che dal detto autor si riportano (p. 63, ec.); Giampietro Arluno medico ducale e autore di molte opere di medicina (p. 68); Giambattista Biumi professore in Pavia, indi protomedico Cesareo, e assai onorato da Carlo V, e finalmente medico del pontef Pio IV (n), per la cui liberalità visse splendidamente in Roma fino al i566, in cui chiuse i suoi giorni (p. 86); Giampietro Àlbuzio richiesto nelle lor malattie da (a) 11 Biumi fu scelto a suo primario medico da Pio IV nel maggio del 1565, come ci (mostra un documento pubblicato dall’ ab. Marini (t. 2, />. 5io). \ [p. 997 modifica]r / SECONDO 997 molti sovrani e da molti cardinali, e morto in Milano nel 1583 (p. 87) (a); Niccolò Boldone (p. 91) e Zaccaria Caimo (p. 10G) chiamali amen due in Boemia a curar la reina Maria d’Austria; Archileo Cal cano professore in Pavia, autore di alcune opere mediche, e morto nella fresca età di 32 anni (p 120); Cesare Rovida che nella stessa università fu professore, e, dopo aver pubblicate più opere, morì egli pure giovine di soli 35 anni (p. 122); e più altri, de quali si posson veder le notizie presso il detto scrittore, e nella Biblioteca degli Scrittori milanesi dell’Argelati. Ma fra tutta la lunga serie de’ medici milanesi, che’ egli ci schiera innanzi, io mi ristringo per amore di brevità a dir di due soli, uno de’ quali però solo per diritto di lunga abitazione è annoverato tra’ Milanesi. XXXIX. Questi è Lucillo bresciano (ù), clic (<7) Di Giampietro Albuzio, che alinea di origine fu luganese, e del coltivar eh’ egli fece non solo la medicina, ina anche 1’ amena letteratura si posson vedere più distinte notizie nelle noie del P. abate Casali alle Lettere del Ciceri (t. 1, p. \o, ee.). Il 1*. M. Allegranz.a nc ha pubblicata 1 iscrizione sepolcrale che se ne conserva in S. Fustorgio in Milano (De Sipulcrii Christian, p. Ji). (h) Si è finora creduto che il Filalteo fosse della famiglia INI aggi di Brescia; ma io non trovo chi ne rechi alcun fondamento. Anzi il sig. can Francesco Maria Butori di Camajore avendo tra’ suoi libri la rara operetta del Filalteo intitolata Methodus recitandi' curas, e il tomo secondo de suoi Consulti, libri amendue stampati in Pavia nel 1565, mi ha cortesemente avvertito che tra questi Consulti due se ne leggono, uno prò Magri. Domina Urtici Sulvionca maire sua, [p. 998 modifica]99^ LIBRO volle esser detto Lucilio Filai teo, uomo dottissimo e degno che se ne parli con più esattezza che finor non si è fatto nel che io mi varrò singolarmente delle Lettere dello stesso Lucillo stampate, mentr’ egli ancora vivea, nel 1564. Il Corte ha congetturato (pg']) cli’ei fosse di patria padovano, perchè in una sua lettera (Philalth. Epist.) accenna una villa di suo avolo, lontana meno di sette miglia da Padova. Ma ch' ei fosse bresciano, si vedrà chiaro da ciò che tra poco diremo. Il padre di Lucillo, mentre questi era ancora fanciullo, fu, per delitto appostogli di fellonia, dannato a morte. e i beni ne furono confiscati; e il figlio si duole (ib. p. 43) che la condanna fosse illegale, perchè fatta senza udire il reo, e che, benchè il testamento del padre fosse anteriore alla condanna, egli stesso ciò non ostante fosse stato spogliato dei’ beni paterni. Egli scrisse più anni dopo a Sebastian Foscarini, perchè essi gli fosser renduti (ib. p. 33); ma non sappiamo s’egli ottenesse ciò che bramava. Frattanto Lucillo, ito a Venezia, si pose alla scuola del celebre Battista Egnazio, da cui confessa di essere stato sempre rimirato ed amato non altrimente che figlio; vere possum dicere, posteaquam mea me sors ab incunabulis patre orbavit, te mihi ejus fuisse loco (ib. p. 9). che allora era vedova, l’altro prò Magli. D. Lucia de Salvionihut sorore sua, e clic perei?» vergendosi dalo nlln madre lo stesso cognome che alla sorella, par certo che fosse questo il cognome del manto e del padre loro; e che la famiglia del Filnltco fo»se quella de’ Sulvioui, non quella de’ Maggi. [p. 999 modifica]SECONDO £f)t) Ricorda egli stesso, quanto si compiacesse l' Egnazio de progressi ch' egli facea negli studii, e come, mostrandolo a dito a patrizii veneti che a lui ne andavano, prediceva loro che quel fanciullo sarebbe stato un dei’ più celebri nella letteratura (ib. p. 1, ec.). Poichè ebbe passati alcuni anni alla scuola dell' Egnazio, passò a Padova per avanzarsi vie maggiormente e nelle belle lettere e nelle scienze j c ivi egli era nel 1527, e benchè ancora assai giovane, cioè, come congettura Apostolo Zeno, in età di circa 17 anni (Note al Fontan. t. 2, p. 323), ebbe il coraggio di accignersi alla versione di alcuni scrittori greci (Epist p. 3, ec.). De suoi studii e de suoi maestri in quel tempo ragiona egli in una sua lettera a Gaspero Contarini poi cardinale, scritta nello stesso anno: Totos dies contero in ulraquc faculta'e et oratoria et disserendi tametsi Zimaram hominem Calabrum bene doctum sine lautitia sermonis et omni forma perpolita dicendi in philosophia de natura quotidie audio, in cujus ore saepissime Averhoes, perraro vero Aristoteles omnis Philosophiae facile princeps verum his corruptis moribus una est mihi modela vel cimi Lazaro Bonaniico, vel cum Leovico consuetudo (ib. p. 4). Ma in quell’ anno stesso avea già egli tradotto quasi interamente in latino il Comento del Filopono sulla Fisica d’Aristotele, ed erasi accinto a tradurre ancora le Orazioni di Demostene, cominciando dalle Olintiache. Mentre egli in tal modo coltivava tranquillamente i suoi studii, sulla fine dello stesso, anno 1527 si accese in Padova una fiora [p. 1000 modifica]lOOO LIBRO discordia tra gli scolari bresciani e vicentini, in cui perciò il Filalteo bresciano fu avvolto. Ei pensava di sfuggire il tumulto col recarsi a Bologna, quod tam factiosa et insolens, dic egli (ib. p. i8), Piceni ino rum natio (est) ut hanc nostra ferre non nisi accorri me possit. Ma pare ch’ ei fosse costretto a partirne più presto che non credeva, e forse cacciatone come perturbatore della pubblica quiete: Discedendi ab eo gymnasio, scrive egli da Bologna al 1 di gennaio dell an 1528 (ib. p. 29), causa fuit tumultus. Nescio, an de eo factus sis certior et de moribus juventutis, cui nisi provisum sit, praeceps quotidie magis ruet in arma. Siegue indi a descriver le risse che ivi erano tra i Bresciani e i Vicentini; e spiega il dolore ch’ ei sentiva sapendo ch’ era stato egli pure annoverato tra quelli che aveano in tai tumulti maneggiata la spada, e prega il senatore Girolamo Ferro a purgarlo da tal delitto, di cui dichiararsi innocentissimo. Continuò Lucillo in Bologna i suoi studii; e in una lettera a Sebastian Foscarini (p. 33) dice di voler dedicare a Marcantonio Valerio i Comenti di Alessandro d Afrodisia sulla Topica d Aristotele, e al Foscarini le Categorie di Simplicio da sè recate in latino. In altra lettera parla di nuovo delle Orazioni di Demostene, ch’ ei traduceva; ma si protesta di non voler pubblicarle, se non dopo di averle esattamente limate (p. 48). In un' altra dello stesso an 1528 descrive il giornaliero metodo de’ suoi studii: Antemeridianum tempus omne consumo in Dialectica et Rhetorica simul,• Jiucque refero [p. 1001 modifica]SECONDO 100I liermogcnem, A risto idem, Diniego* Plafonis, ubi maxime disputatio est de his liberalibus studiis, atque opera Ciceronis addo: mox admovero Philosophiae. manum. si tempus est mi hi ante prandium concessum; a quo totum i litui pomeridianum partior in perlegendis Medicinae libris et autoribus, quos probatos habeo. Cum vero vacat gymnasium a publico munere profitendi ì itos dìes Poetis Graecis, tam tragediae quam comaediae, Aristophani Sophocli, Fairipidi afque Ilesiodo, Il omero, Pindaro, Lati ni sque operaia navo, sed confero Latinos cum Graecis, hosque lego a prandio; ante vero Oratores, quos scis (p.). Un sì continuo e sì serio studio in un giovane di circa 18 soli anni, e tante fatiche da lui in sì tenera età intraprese ci mostrano quanto vivo fosse e quanto avido di acquistar cognizioni l ingegno del Filalteo. Fino al 1535 si trattenne egli in Bologna, come da molte delle lettere di esso raccogliesi, e nell anno stesso prese ivi la laurea, e fu ascritto al collegio dei’ Dottori bolognesi; di che il Bembo con lui rallegrossi in una sua lettera che si legge tra quelle del Filalteo (p. 115), ove fra le altre lodi così ne dice: Cuinam in animum caderet, aut quis arbitraretur, te Enciclopediam, orbem illum ingenuarum et liberalium artium, tam brevi consecutum? o sublime in geni uni! ec. Nell' anno stesso par ch' ei fosse invitato ad andare a Roma col cardinal. Contarini, come accenna in una lettera a lui scritta Lazaro Buonamici (ib. p. 117); dalla quale ancora veggiamo che un altra volta avea il Filalteo, ina [p. 1002 modifica]1003 LIBRO non si sa quando, nè a qual occasione, fatto quel viaggio: quamquam ex eo te spero cauli orcmy quod alias Romam profectus, ec. Ma io non trovo s’ egli accettasse cotale invito. XL. Fin qui le Lettere stesse del Filalteo ci sono state di guida a conoscerne le vicende. Ora esse ci abbandonano, poichè non si stendon più oltre, e ci convien ricercarne notizie altronde. Il Corte dice ch ei fu professore di filosofia e di medicina in Bologna e in Napoli; ma riguardo a Bologna, ne cita in pruova le Lettere del Filalteo, dalle quali io non veggo come raccolgasi ch ei tenesse ivi scuola. Riguardo a Napoli, accenna la lettera dedicatoria del Filalteo a Paolo dalla Chiesa, con cui gli offre il suo opuscolo intitolato Methodus recitandi curas, libro da me non veduto, nè il Corte reca su ciò le parole del Filalteo, onde io non posso decidere. Dal passo ch ei recita della dedica stessa, raccogliesi ch’ei passò poscia a Milano alla corte del marchese del Vasto; che questi il dichiarò suo medico; che avrebbe ancora voluto ch’ei fosse professore dell’università di Pavia, ma che le guerre che allor desolavano quello Stato, non gliel permisero, che perciò oltre a tre anni egli andò seguendo il marchese nelle spedizioni di guerra, esercitando l'ufficio di medico; e che finalmente ottenne di avere in quell’università la cattedra di medicina (a). Nel Catalogo de’ professori (a) Nella citata lettera dedicatoria il Filalteo narra veramente tutto ciò che qui ho riferito, e aggiugne ch’ei fu ancora col carattere di professore di iiaicu piesjj [p. 1003 modifica]SECONDO |Oo3 dell’università di Pavia, aggiunto agli Atti della medesima da me più volte citati, si fissa il primo anno della lettura del Filalteo al 1553. Ma se ciò fosse, sarebbe difficile a indovinare che avvenisse di lui dal 1546 in cui morì il marchese del Vasto, fino al detto anno. E perciò deesi forse antecipare di non poco il principio di questa lettura. Io non so pure se debbasi fede al Ghilini, quando ci narra (Teatro (d Uomini letter. par. 1, p. 21)8) che per 25 anni ei la sostenne. Il co. Costanzo Landi valoroso antiquario dice di averlo avuto ivi a suo maestro in filosofia circa il 1558, e ne parla con molta lode (Select. Numism p. 111, ed. Lug(I. Bat. 1695). Nelfelenco degli Atti poc’anzi accennati si fa di esso menzione all’an 1563, e vi è nominato come lettore di filosofia in un decreto de 9 dicembre: De interinali providentia Lectoris Philosophiae attenta (fetenti on e D. Lucidi, che così ivi si legge per errore di stampa in vece di Lucilli; e agli 8 di gennaio dell anno seguente accennasi un altro decreto: ut expediatur causa Rev. Lucilli costituti in Tribunali SS. Inquisitionis. Per qual ragione il Filalteo per ordine dell Inquisizione fosse arrestato, io non saprei nè congetturarlo, nè indovinarlo. Il Ghilini dice generalmente che il Filalteo fu dall’ invidia di alcuni perseguitato, ed egli molti anni prima di questa avventura, il cardinale Èrcole Gonzaga, cioè probabilmente dopo la morte del marchese del Vasto, e ch'egli poscia oveane preso congedo, per attendere più tranquillamente a1 suoi studi. [p. 1004 modifica]1004 Linr.o dedicando al Cardinal Ercole Gonzaga la sua traduzione del Comento di Simplicio sulla Fisica d’Aristotele, erasi lamentato che dacchè avea intrapreso a illustrare la filosofia, i suoi emuli non avesser mai cessato di travagliarlo e di calunniarlo, fino ad esserne in pericolo della vita: Primo porro tempore, quo physicen philosophandi rationem melioribus eloquendi aut scribendi temperare praeceptis et institutis sum auspicatus:, in multorum obtrectationes calumnias, et invidiam adeo incidi, ut vi.v cimi summo etiam vitae periculo subsi stani. Sed de veneri i gcneribus alias. Egli però dovette uscir libero, e ripigliare le sue lezioni; perciocchè egli è nominato di nuovo in due decreti del 1565 per certi onorarii dovutigli, e in altro dello stesso anno: De controversiis inter Tridinum et Philaltheum super schola. Aggiugne il Ghilini che le vessazioni dal Filalteo sofferte in Pavia lo indussero ad accettare l invito che il duca di Savoia, trovandosi in Milano, gli fece di andar seco a Torino e di essere in quella università professore. Il che forse accadde nel i fÌGG, quando nel tornare dalla Dieta di Augusta il duca Emanuel Filiberto probabilmente passò per Milano; se pur non vogliasi differire fino al 1574 in cui di nuovo fece passaggio per quello Stato, accompagnando il re di Francia Arrigo III (a). Non sappiamo quanto tempo (a) 11 Filalteo era certamente in Torino nel 1573; poichè nelle Poesie in lode dell' Accademia Papinianea in quell'anno stampate, delle quali si è detto altrove, egli è nominato come uno di quelli che la componevano, ed onorato di grande elogio. E di lui si parla [p. 1005 modifica]SECONDO 1005 vivesse il Filalteo in Torino, nè ove nè quando morisse. Egli era sacerdote, come dal Ghilini si narra, e confermasi dal titolo di reverendo datogli in uno de’ sopraccennati decreti. Delle opere da lui pubblicate si può vedere il catalogo presso l Argelati (Bibl. Script, mediol. t. 2, pars 2, p. 2145). Egli crede che anche un secondo tomo di Lettere del Filalteo possa aver veduta la luce. Ma io nol veggo mentovato da alcuno. Par nondimeno che assai maggior fosse il numero dell opere da lui divulgate perciocchè nella dedica sopraccitata dell opuscolo intitolato Methodus redi nudi ci/ras, stampato nel i5(55, ei dice di non aver lasciato passare alcun anno in cui non mettesse fuori qualche opera: Quippe cum usque ad id aevi nullum elapsum sit anni curriculum sine aliqua editione in omni genere artium praeter Theologiam et Civilem disciplinam. E abbiam veduto fra le altre cose, ch’egli avea intrapresa la traduzione delle Orazioni di Demostene; ma non sappiamo se esse fosser mai pubblicate; e forse più altre opere di quest’ uomo instancabile e valoroso sono perite. ancora nell*opuscolo di Anastasio Germonio intitolato Pomeridianae Sessiones, ivi pure in Torino nel i58o, di cui si è parlalo a lungo nel Giorual modenese (l. 39, p. iq3, ec.). Il eh. sig. Vincenzo Malacarne mi ha poi avvertilo che il Filalteo morì in Torino l'anno 1578, lasciando eredi i poveri, e nominando esecutore testamentario D. Gregorio Benvenuti da Lucca, professore di teologia, il «piale l’anno seguente, per soddisfare al desiderio dell’amico defunto, ne pubblicò in Torino i Conienti su’ libri di AristoLile intorno all’anima. [p. 1006 modifica]IOo6 LIBRO XLI. L’altro medico milanese, e l’ultimo tra 3 quelli di questo secolo annoverati dal Corte (p. 137), è Lodovico Settala. Il Ghilini di lui ancora ha fatto l’Elogio (l. c. p. 290), e in esso egli è autor degnissimo d’ogni fede, perchè fu contemporaneo al Settala, e con lui visse in Milano. Francesco Settala e Giulia Ripa, figlia del celebre giureconsulto Gianfrancesco Ripa, gli furon genitori, e da essi nacque a 27 di febbraio del 1550, secondo il Ghilini, o secondo il Corte, che ne accenna in pruova i monumenti della famiglia, nel 1552. Ei fu uno de primi che si accostassero alle scuole de’ Gesuiti di fresco aperte in quella città da S. Carlo, e in età di 16 anni, alla presenza del santo cardinale, vi difese pubblicamente molte questioni di filosofia. Fece indi passaggio alla università di Pavia, ov ebbe a maestri alcuni de più celebri professori elio allora insegnassero, cioè Paolo Cigalini comasco e Niccolò Boldoni nella medicina, e Filelfo Amalteo e Ottaviano Ferrari nella filosofia; e un’ altra solenne disputa ivi sostenne per tre giorni continui, offrendosi pronto a soddisfare alle difficoltà e alle inchieste di cliicchefosse. In età di 21’ anni ricevette la laurea, e due anni appresso fu scelto alla prima cattedra straordinaria di medicina nella stessa università. Egli però rinunciolla non molto dopo, amando meglio di esercitare in patria la medicina; ed egli lo fece per molti anni con tanta fama, che pochi medici di ugual! nome ebbe a que’ tempi l’Italia. Quindi il duca di Baviera e il gran duca di Toscana coll’offerta di ampii stipendii lo invitarono [p. 1007 modifica]SECONDO IOO7 alle loro università d Ingolstad e di Pisa 3 quella di Bologna giunse a proferirgli, secondo il Corte, fino a milleducento scudi annui; e la Repubblica di Venezia ancor più generosa gli offerse mille e cento zecchini d’annua provvisione, e altri dugento pel trasporto della sua famiglia. Ma egli preferì la sua patria a qualunque straniero benchè onorevole stabilimento e in ricompensa di questo suo attaccamento alla patria, n ebbe, contro l'ordinario costume d’allora, la lettura perpetua di politica e di morale in quelle scuole Canobiane. La Repubblica veneta però volle ch’ egli almen proponesse chi potesse occupar degnameli!e la cattedra a lui destinata ed egli diè a conoscere il saggio suo discernimento nel nominare ad essa il famoso Santorio, di cui dovremo parlare nella storia del secolo susseguente. Nella crudel peste che desolò Milano nel 1576, e in quella ancor più funesta del i(33o, ei prestò coraggiosamente la sua opera al servigio degl infermi. Per non distogliersi dal prediletto suo studio della medicina, ricusò l’onorevole impiego di storiografo regio, e accettò in vece quello a lui più confacente di protofisico generale dello stato di Milano. Fra le molte e continue occupazioni che a lui davano e la sua cattedra e il suo impiego e le frequenti visite de’ forestieri che a lui venivano per conoscerlo di presenza, e il continuo carteggio co’ più celebri letterati del suo tempo, in pruova di cui esisteva a tempi del Corte presso gli eredi del Settala un tomo di Lettere da lui scritte a molti di essi, ei trovò tempo di scrivere molte opere di diversi [p. 1008 modifica]IO08 LIBRO argomenti, il catalogo delle quali si riferisce da’ suddetti scrittori, e più esattamente dall'Argelati (Bibl. Script, mediol, t. 2, pars 1, p. 1325). Le più di esse appartengono alla medicina, e dotto com egli era nella lingua greca, diede ancora una nuova e più corretta edizione del testo greco del libro d’Ippocrate De aere, aquis et locis Altre contengon questioni di filosofia e di storia naturale, altre di morale e di politica, e fra esse il rarissimo libro De ratione instituendae et gubernandae [amiliae y e i sette libri Della Ragione di Stato; altre di altri argomenti, parte stampate, parte inedite. Finalmente nell’età di 82 anni finì di vivere nel 1633, e fu sepolto con onorevole iscrizione, che si riferisce dal Corte e dall" Argelati, nella basilica di S. Nazzaro. M. Eloy nel suo Dizionario di Medicina ha diviso questo medico in due (Dict. Hi st. de la Médec. t. 2, p. 3" a, 38o), cioè in Louis Septalius e in Louis Setti ila, de1 quali dopo aver narrate a un dipresso le stesse cose, divide poi le opere tra amendue. Tanta è l’esattezza che in cotai dizionarii oltramontani, sì ricercati da alcuni, comunemente s’incontra! XL1I. Tutti i medici finor nominati, benchè la fama del loro nome giugnesse ancora alle straniere nazioni, si stettero nondimeno tra noi, e sol si andarono aggirando per le università italiane. Alcuni di essi, come si è detto, furono da molti principi con generose proferte, ma inutilmente, invitati; alcuni recaronsi oltramonti alla cura di qualche sovrano infermo; ma ni un di essi ebbe stabil soggiorno fuor delle nostre provincie, se se ne traggano Giovanni [p. 1009 modifica]SECONDO IOO9 Maliardi, clic per qualche anno fu medico del re d Ungheria, e Girolamo Grataroli e Girolamo Massari, che solo per amore della religion riformata uscirono dall’Italia, a’ quali per lo stesso fine si può aggiungere Matteo Gentile medico anconitano, che ritirossi nella Carniola. Non dovea però all’ Italia mancar l onore di vedere i suoi medici salir sulle cattedre più famose delle università forestiere, e stare a’ fianchi de' più potenti sovrani, custodi della lor sanità è della lor vita. E molti ella in fatti ne vide fatti maestri degli stranieri, i quali non paghi di venire in folla alle nostre università, chiamavan sovente a loro i professori più illustri di medicina. Io non potrei senza taccia di negligenza omettere una cosa sì gloriosa all’ Italia, e che sempre più conferma l onorevol' titolo invan contrastatole di madre delle scienze e di maestra del mondo tutto. E per cominciar dalla corte Cesarea (*), Luigi Marliani nobile milanese fu medico e (*) Fra i medici italiani ch’ebber l’onore di servire alla corte Cesarea, deesi ancora annoverare Giammaria Cattaneo natio di Salò, medico dell’imp Massimiliano I, e poscia di Margherita d’Austria di lui figliuola, del quale fa onorevol menzione Girolamo Rorario scrittor di quei’ tempi, e amico dello stesso Cattaneo, nel suo raro opuscolo intitolato: Quod animalia bruta ratione utantur meliu.s homine. Deesi anche ad essi aggiugnere Giuseppe Salandi bergamasco, medico di Ferdinando II, e archiatro di Massimiliano II imperadori, e morto poi in età di oltre a’100 anni a Salò sul Lago di Garda l’an 1630 (V. Gallizioli, Vita di Gir. Gratar. p. 49, ec.). Tiiuuoschi, Voi XI. [p. 1010 modifica]«010 Liimo consigliere ili Massimiliano 1 e di Carlo V, e di Lodovico e di Massimiliano Sforza duchi di Milano, e da Carlo V fu nel 1516 onorato del vescovado di Tuy nel regno di Gallizia. Anzi vuolsi ch’ei fosse già da Leon X nominato alla porpora, ma elicla morte, da cui fu preso in Vormazia nel 1521, il privasse di quest'onore. Di lui e di alcune operette che se ne hanno alle stampe, niuna però delle quali è di argomento medico, parla l’Argelati (Bibl. Script, mediol t. 2, pars 1, p. 8(31). Ma ei potea aggiugnei e che tra le lettere di Erasmo tre si leggono dirette al Marliani (Epist t 1, ep. 4y3, 5oi, 5-jo), di cui mostra di aver grande stima; e una del Marliani stesso ad Erasmo ib. ep. 559), nella quale accenna il tempo in cui era stato in Ispagna, e tornandone avea veduto Erasmo in Brusselles e rammenta due orazioni (una sola delle quali si nomina dall’ Argelati) da sè scritte contro Lutero; e che ivi pure si hanno i versi di un certo Alvaro che rallegrasi con Erasmo della promozione del Marliani al vescovado (ib. t. 2, Append. ep. 4(17). Giulio Alessandrini, natio di Trento, ebbe l’onore di essere scelto a suo medico dall imp Ferdinando I, nel quale impiego ei continuò ancora sotto Massimiliano II e Rodolfo II, e ne riportò distinzioni e privilegi singolarissimi. Io non mi arresterò a parlarne più lungamente, perchè il co. Mazzucchelli, seguendo le tracce del sig Jacopo Tartaro Iti, ce ne ha già date le più esatte notizie (Scritt.. it. t. 1, par. 1, p. 449)Egli ci mostra quanto fosse PAlessandrini versato nella lingua greca, il che fece conoscere [p. 1011 modifica]SECONDO IOTI nelle traduzioni che pubblicò di molte opere di Galeno e di Giovanni Attuario j rammenta gli elogi che molti a que’ tempi ne fecero, e il Mattioli singolarmente che lo annoverò tra’ principali ristoratori dell’ arte medica j parla della stima in cui fu avuto da’ più ragguardevoli personaggi di quell’ età; osserva che non solo fu egli buon medico, ma esatto critico ancora, e scoprì il primo che si attribuiva falsamente a Galeno il libro De theriaca ad Pisonem, e innoltre elegante poeta, come ci pruovano le poesie latine che diede in luce ricorda le controversie mediche ch’ ei sostenne contro Giovanni Argenterio e più altri medici dei’ suoi tempi riferisce fiscrizion sepolcrale che fu posta in Trento, ove morì nel 1590 in età di 84 anni, e ci dà finalmente un esatto catalogo delle molte opere da lui pubblicate. Cristoforo Guarinoni veronese fu scelto a suo medico dall’imp Rodolfo II, e fu autore di diverse opere di medicina, che si annoverano dal march. Maffei (Ver. illustr. par. 2, p. 383). Dello stesso onore godette presso Massimiliano II Giovanni Planerio nato in Quinziano nella diocesi di Brescia, e morto nel 1600, di cui è stata di fresco pubblicata la Vita in Brescia dal sig. Giuseppe Nember col catalogo delle opere da lui composte. Abbiam veduto, parlando de’ coltivatori della storia naturale, che anche il Mattioli esercitò lo stesso onorevole impiego alla corte di Ferdinando e di Massimiliano II. Stefano Guazzo, in una delle sue Lettere stampate nel 1696 (p. 12), accenna un consiglio per una sua malattia mandatogli dal [p. 1012 modifica]iota MERO •Sig. Ardizone Medico della Reina di Dacia, cioè, com’ io credo, d’Ungheria. Ma la lettera non ha data, per conoscer chi fosse questa reina, nè intorno a questo medico io ho potuti raccogliere altri lumi, Così non vi ebbe imperadore nel corso di questo secolo, che non avesse alla sua corte uno o più medici italiani, e tutti ne ricevettero que’ contrassegni di stima che al lor sapere eran dovuti. XLIII. Nulla minore fu il numero degl’Italiani che ammirar fecero alla Francia il lor valore nell’arte medica. Guido Guidi nobile fiorentino, figlio di Giuliano e di Costanza di Domenico del Ghirlandaio', dopo avere per qualche tempo esercitata in patria la medicina, passò in Francia, invitatovi forse, come congettura il Fabbrucci (Ap. Calogerà, N. Racc. dOpusc. t. (), p. 72), dal suo concittadino Luigi Alamanni, che godeva ivi la grazia del re Francesco I. Ciò dovette accadere verso il 1542; perciocchè abbiamo una lettera a lui scritta da Claudio Tolommei nel maggio del detto anno, in cui si rallegra con esso del favorevole accoglimento che da quel gran re avea ricevuto: Ho inteso qui in Roma da M. Filandro la grata accoglienza, che v ha fatta il Re Cristianissimo, e di più il dono, ch egli vi ha fatto al presente, e la buona provvisione, che v ha ordinata danno in anno, c oltre di ciò la bella speranza, che v ha aperta, per aspettare, e quasi promettersi cose maggiori (Tolom. Lettere, p. 25 2, ed. ven. 1565). Del soggiorno del Guidi in Francia abbiamo un’altra autorevole testimonianza presso Benvenuto [p. 1013 modifica]SECONDO I0I3 Cellini, clic ivi pure allora ritrovavasi, e che nella propria sua Vita così ne dice: Molto prima io dovevo ricordare della guadagnata amicizia del più virtuoso, del più amorevole, e del più domestico uomo dabbene, ch io conoscessi mai al mondo. Questo si fu Messer Guido Guidi eccellente Medico e Dottore e Nobil Cittadino Fiorentino... Capitò il detto M. Guido Guidi in Parigi, e avendolo cominciato a conoscere lo menai al mio castello, e quivi gli detti una stanza libera da per sè: così ci godemmo insieme parecchi anni... Col sopradetto M. G nido godemmo l amicizia tant' anni, quanto io li soprastetti, gloriandoci spesso insieme, che noi imparavamo qualche virtù alle spese di quello così grande e maraviglioso Principe, ognun di noi nella sua professione p. 215). Ei fu in Parigi pubblico professore di medicina nel collegio reale, e primo medico del re Francesco I, a cui nel 1544 dedicò i libri degli antichi Chirurghi greci da sè tradotti in latino. Morto nel 1 f>47 il re Francesco, il Guidi fu dal duca Cosimo I richiamato in Italia, e dichiarato suo protomedico, e invitato a Pisa a leggervi prima la filosofia, poscia la medicina; nel quel impiego egli durò per lo spazio di circa 20 anni, onorato trattanto da Cosimo delle ecclesiastiche dignità della pieve di Livorno e della prepositura di Pescia, quasi a gara col re Francesco, che molti beneficii aveagli parimente conferiti nel suo regno. Morì in Pisa a’ 26 di maggio del 1e il cadavere ne fu trasportato a Firenze e sepolto nella chiesa della Nunziata. Il can Salvino Salvini parla a [p. 1014 modifica]10*4 LIBRO lungo del Guidi ne’ Fasti consolari dell'Accademia fiorentina, di cui egli fu consolo nel 1553 (p 115, ec.); riferisce molte onorevoli testimonianze che del sapere di lui ci han lasciato gli scrittori di que’ tempi, e ci dà un distinto catalogo delle molte opere da lui composte, nelle quali egli latinamente si appella Vidus Vidius. La più parte però di esse furono stampate, poichè ei fu morto, da Guido Guidi detto il giovine, di lui nipote, professore esso ancora in Pisa, e onorato del titolo di medico della reina di Francia (V. Fabbrucci, l. c p. 7.5). Di quelle del vecchio Guidi, che appartengono all’anatomia e alla chirurgia, si ha un estratto presso M. Portal (Hist de X A nati ti i, p. 589)) ch esamina e osserva i punti ne quali ha ragionato con molta esattezza; e riflette che non sapendosi precisamente il tempo in cui tali opere scrivesse il Guidi, non si può stabilir con certezza se molte cose che credonsi scoperte dal Vesalio, dal Falloppio e da altri, sieno state dal Guidi ancora osservate al tempo medesimo, o s’ egli abbia profittato delle loro ricerche. Intorno al Guidi si può ancor veder l'Elogio inseritone tra quelli degl illustri Toscani (t. 4). XL1V. Piò breve fu il soggiorno nella corte di Francia di Prospero Borgarucci, natio di Canziano nella diocesi di Gubbio, eletto professore di anatomia in Padova nel 1564colà recossi nel 1567, e vi ebbe il titolo di medico regio, e avendo ivi trovata l opera del Vesalio intitolata Chirurgia magna, la fece poi stampare in Venezia nel 1569. Convien [p. 1015 modifica]SECONDO I o 15 dire però, che il Borgarucci non trovasse alla corte di Francia tutto ciò di che egli lusingavasi per avventura, perciocchè ne fece ritorno a Padova l' anno seguente. Di lui e delle opere mediche e anatomiche da lui pubblicate leggasi il co Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 3. p. 1717). Verso il tempo medesimo passò in Francia Leonardo Botalli astigiano, e vi trovò miglior sorte; poichè ottenne l’ onore di esser medico prima del duca d’Alençon, e poi del re di Francia Arrigo III Egli ebbe grandi contese con alcuni medici francesi intorno all’ uso di aprir la vena agl' infermi. Esso rimiravasi in Francia come, dannoso, e da usarsi soltanto in pochissimi casi. Il Botalli al contrario n era promotor dichiarato, e quasi ad ogni malattia avrebbe voluto ordinarlo. Quindi più libri vennero alla luce, altri del Botalli medesimo a difesa della sua opinione, altri di altri medici, quali a favore, quali contro di esso, ne’ quali, come suole avvenire, cadendo amendue le parti ne due opposti estremi, discostavansi dal vero amendue. Giovarono nondimeno le opere del Botalli a renderne in Francia l uso assai più frequente che prima non fosse, e a toglier l’orrore che molti ne aveano, come colla testimonianza degli scrittori francesi pruova il sopraccitato co Mazzucchelli (ivi, p. 1868) che di queste e di altre opere anatomiche, mediche e chirurgiche del Botalli ci dà un esatto catalogo. Di esso parla ancora, ma non molto vantaggiosamente, M. Portal (l. c. p. 559, ec.), il quale giustamente riflette, dopo altri scrittori, che a torto il [p. 1016 modifica]I0l6 LIBRO Botalli si è attribuita la scoperta del foro ovale nel feto, che a Galeno e a più altri anatomici era stata notissima. Gli scrittori piemontesi citati dal co Mazzucchelli affermano ch’ ei fu poi fatto vescovo di S. Malò in Bretagna. Ma nella serie de vescovi di quella città presso i Sammartani e nel Dizionario ecclesiastico del P. Richard io nol veggo pure accennato. L Haller afferma al contrario (Bibl. botan. t. 1, p. 337) ch ei passò ad essere primo medico di Guglielmo I di Nassau. Un altro medico italiano non alla corte, ma nella città di Lione, fece conoscere ed ammirare, essendo ancor giovine, il suo raro talento nell’ arte medica, cioè Giovanni Argentero nato in Castelnuovo nel distretto di Chieri in Piemonte l an. 1513. Egli recovvisi in età di 25 anni, e vi esercitò per cinque anni con gran plauso la medicina. Passò indi per breve tempo in Anversa; poscia, tornato in Italia, fu chiamato a Pisa nel 1554 (Fabbr. l. c. p. 52) ad insegnarvi pubblicamente la medicina. La stessa cattedra egli sostenne in Napoli e in Roma, e finalmente per più anni ora in Mondovì, ora in Torino, ove ancora finì divivere nei 1572, lasciando un figlio per nome Ercole, natogli da Margherita Baroglia sua moglie. Giovanni Huarte di lui racconta (De Exam. Ingen. c. 12) che quanto egli era eccellente nella teorica, altrettanto nella pratica era infelice, talchè in Torino non pochi infermi non voleano in alcun modo esser da lui visitati. Ciò sembra opporsi al plauso con cui abbiam veduto ch’ egli esercitò la sua arte in Lione. Ma forse, come [p. 1017 modifica]SECONDO 1017 avviene talvolta, la felicità con cui avea cominciato, non lo accompagnò costantemente, e sugli ultimi anni gli venne meno quell alta stima ch’ erasi ne primi acquistata. Checchessia però della pratica, le opere da lui pubblicate gli ottennero molto nome. Esse però sollevarono ancor non pochi contro di lui; perciocchè parve ch’ egli avesse preso singolarmente di mira Galeno, cui non lascia in fatti di riprendere e di mordere troppo aspramente a qualunque occasione gli si faccia innanzi. Di ciò e di altre cose appartenenti a questo celebre medico più diffuse notizie si posson leggere presto il co Mazzucchelli (l. c. t. 1, par. 2, p. 1038), il quale riporta ancora l’onorevole iscrizione onde ne fu ornato il sepolcro, e accenna gli elogi che ne han fatto molti altri scrittori (a). In Lione parimente fu un altro medico italiano, e fiorentino di patria, di cui si fa menzione da Jacopo Dalechampio in una sua lettera a Pier Vettori, scritta da Lione al 1 di marzo del 1583: Paulo Minut io rive tuo Medico heic celebri utor perquam familiari ter (Cl. Viror. Epist. ad P. Victor, t. 2, p. 155). Ma questi che qui è detto Minuzio, nella risposta del Vettori è detto Mini (Victor. Epist.. p. 217); e io credo perciò, ch’ei sia quel Paolo Mini di cui e delle cui opere parla il P. Negri, e se ne fa ancora menzione nelle (<7) Dell1 Argenterie» poc’anzi morto si fa onorrvol menzione nelle Poesie altrove rammentate in Inile della Accademia Pnpinianea, stampate in Torino nel r>75, e nell’opuscolo di Anastasio Germonio, intitolalo Pomeridia mie Se ss ione s, rii pure stampato nel 1 jSo. [p. 1018 modifica]IO >8 LIBRO Notizie dell1 Accademia fiorentina (p, aia), benché niuno accenni ch ei fosse medico di Lione. XLV. Io non trovo medico alcuno italiano ! che fosse alla corte di Spagna ("). Alcuni però furono ad essa invitati, e fra gli altri Gabbriello Frascati bresciano, uno degli accademici Affidati di Pavia, ov egli vivea, tra le rime de’ quali egli ancora ha le sue. Filippo II re di Spagna il volle a suo medico; ma mentr' egli si dispone a partire, sorpreso da mortal malattia finì di vivere a’ 20 di gennaio del i58a (*) Un malico italiano alla corto rii Spagna ci tnoslra il Burclielati storico rii Trovi gl nell’ iscnziouc eh’ei riferisce (Commetti. Hi st. Tarvis. p. 388) posta nella stessa città a Liberale Sovrenigo trevigiano, thè ivi è detto Prolophysicus Consilìariusqne Caesarcus, c clic morì in Vagliadolirl a’ 29 ili giugno del i5ì7. Il chiarissimo monsignor llamhaldo degli Àzzoni co. Avogaro, che di ciò mi ha avvertito, nn ho ancora comunicata la notizia che in Trevigi conservansi gli Atti di una lite mossa da Pietro fìgimol naturale di Liberale, ma legittimato da Carlo V affiti di avere P eredità paterna. Da essi traesi che Liberale dalla Fiandra. ove trovavasi con Carlo V, era con lui passato in I «pugna; che quasi tutta la vita avea impiegata nel servigio ili quel sovrano, che ne avea raccolte ricchezze non ordinarie, le quali poi vennero alle mani del detto Pietro; c che innanzi alla morte avea fitto il suo testamento, in cui fra’ commissarii avea nominato il celebre Navagero, allora amhasciadore de” Veneziani a quella corte. Lhbe adunque anche la corte di Spagna qualche medico italiano; e il sig, abate Lampilla«, che sì belle conseguenze avea tratte (Saggio, par. 2, /. 2, p. 209) dalla mia ingenua confessione, potrà or ritrattarle, c pensare a qualche altro ingegnoso parlilo per sostenere le sue proposizioni. [p. 1019 modifica]SECONDO IO! C) (V. Cozzandi, Libr. bresc.). Nelle altre provincie soggette al dominio spagnuolo, e nelle Fiandre singolarmente, troviam parecchi de' nostri occupati con loro lode nell' esercizio di quest’arte. Andrea Trevisio, nato in Fontaneto terra del Novarese (a), e autore di un Trattato latino assai pregiato da medici sulle febbri pestilenziali, stampato in Venezia nel 1588, ottenne di essere protomedico dell’infanta Isabella Clara Eugenia moglie dell’ arciduca Alberto governatore de’ Paesi Bassi: e morto quell’ arciduca nel 1621, egli, dopo averne pubblicata in Lovanio l anno seguente la Vita, tornò in Italia, e fu presente alle scoperte anatomiche di Gaspero Asellio, di cui diremo nel secol seguente j e l’Asellio stesso ne lasciò ne’ suoi libri onorevol memoria dicendo: Andreas Trevisius Serenissimae Infantis Archiater nominis fama et doctrinae abundantia nulli clarissimorum Medicorum secundus (De lact. ven. c. 9). Di questo medico parla nella più volte citata opera il dott. Corte (p.i 'ò5, cc.). A' tempi di Erasmo, cioè circa il 1521, era in (a) 11 Trevisio fu natio di Oecimiano nel Monferrato, come si afferma dal 1*. Fulger>?o Algbisi agostiniano nelle sue Storie manoscritte del Monferrato e del convento del suo Ordine di Casale Monferrato. E in una carta clic in quel convento conservasi, egli è detto de* signori di Slonghello, e non sol medico, ma ancor gentiluomo di camera degli arcidurhi. Egli l'anno 1614 fondò nel suddetto convento un collegio, in cui sette poveri giovani del Monferrato dovessero essere dagli Agostiniani mantenuti e istruiti negli studi, assegnando Ì'erciò l’entrata di 770 scudi. Ma nel 1G19 questo colegio fu siagli Agostiniani rinunciato a’ PP. Somasclii. [p. 1020 modifica]1020 LIBRO Lovamo, o in que’ contorni, un cotal Giovanni calabrese, ed avea ivi qualche controversia col medico Rutgero Rescio. Di questa notizia siam debitori al medesimo Erasmo, il quale in una sua lettera del detto anno al Rescio, Et habes gli scrive (Erasm. Epist. t. i, cp.), te dignum adversarium Joannem Calai rum Medìcum, qui te pallore macieque refert excepta aetatC) ad co tui non dissimilis ut periculum sit, ne cui videaris litigare cum patre. Quamquam vir ille mea sententia non peccavit malitia, sed obsequio. Ma nè di questo medico calabrese, nè di questa contesa col Rescio io non ho alcun’ altra contezza. XLVÌ. Finalmente ad altre ancor più lontane provincie furono dalla magnificenza de principi invitati i medici italiani. Apollonio Menabeno filosofo e medico milanese, erudito ancora nella storia naturale e coltivatore della poesia latina, fu medico del re di Svezia Giovanni III: e ritrovandosi in quel regno, ne volle correre i monti e le selve, e osservare studiosamente tutto ciò che la natura vi producea di più raro e mirabile; e frutto di questi viaggi fu la Descrizione del Cervo rangifero, ch’egli scrisse poscia nell Austria, e pubblicò in Colonia nel 1581; nel qual anno pure un altro libro fece egli stampare in Milano, intorno all’Alce ossia alla gran bestia. Di lui si ha ancora un Trattato sul flusso e riflusso dell’acque intorno a Stockolm, stampato nello stesso anno in Milano, oltre più altre opere inedite che se ne conservano nell’ Ambrosiana; intorno alle quali veggasi il Corte (l.ciLp. li6) clic ò stato il primo a darci le

[p. 1021 modifica]SECONDO |02 1

notizie di questo medico tratte dalle opere di lui medesimo, e dopo lui l Argelati Bibl Script mediol. t. 2, pars 2, p. 921), il qual si duole di non aver potuto scoprire nè i genitori di Apollonio, nè gli anni in cui egli nacque e in cui diè fine a’ suoi giorni. Di due medici italiani che furon chiamati in Polonia a esercitare la medicina, troviam menzione nel libro intitolato Janociana sive Clarorum atipie Illustri um Poloniae auctorum Maecenatumque memoriae stampato in Varsavia nel 1776, opera da me non ancora veduta, se non nell’estratto che ne han dato gli autori delle romane Effemeridi (an. 1776, p. 87). Essi sono Antonio Gazio e Jacopo Ferdinandi. Il Gazio fu di patria padovano. Il Papadopoli, che lo annovera tra gli alunni dell’ università di Padova, altro di lui non ci dice (Hist. Gymn. pat. t. 2 7 p. 191, ec.), se non che dopo avere per qualche tempo esercitata con poco felice successo la medicina in Padova, procacciossi altrove più lieta sorte, e aggirandosi per diverse città, alle quali era invitato, dopo aver raccolte molte ricchezze, tornossene in patria, per attendere con più agio a pubblicar le sue opere; ma che una morte troppo immatura ne troncò tutti i disegni) e ch’essa accadde nel 1530, benchè altri per errore l’abbiano assegnata al 1527. Che il Gazio fosse in Polonia, non sembra che fosse noto nè al Papadopoli, nè ad altri scrittori padovani più antichi. E nondimeno ei vi fu certamente, come nella suddetta opera si dimostra. Benchè, secondo il Papadopoli, ei non potesse dar l’ ultima mano a’ suoi libri, alcuni perù; [p. 1022 modifica]1022 LIBJ10 che appartengono a medicina, lian veduta la luce; ed essi si trovano registrati nelle Biblioteche mediche, e altre si dice che ne esistano manoscritte nella libreria di S. Francesco in Padova, nel cui tempio ei fu sepolto. Egli fu un di que medici che follemente si lasciaron sedurre dalle fallacie dell’astrologia giudiciaria; e ne è pruova un libro a penna che contiene predizioni e geniture da lui formate, e che rammentasi dal P. degli Agostini (Scritt venez. t. 2,p. 332). L’altro è Jacopo Ferdinandi da Bari, che insieme con Bona Sforza reina di Polonia recatosi in quel regno, vi fu medico de’ due re Sigismondi I e II, e ricevette da amendue più contrassegni di onore; e oltre un Trattato sulla preservazion dalla peste, pubblicato in Cracovia nel l542, vi diè ancora in luce quattro anni innanzi un encomio in lode della detta reina e dei’ due re mentovati. Di questo medico parlano ancora gli scrittori napoletani, e tra essi il Tafuri (Se riti, del Regno di Nap. t. 3, par. 1, p. 367). Alla corte medesima di Polonia passò verso il 1574 Niccolò Bucella padovano, chiamato a suo medico dal re Stefano, ed ivi morì nel 1610 (Facciol. Fasti Gymn. pat. pars 3, p. 388), e Vincenzo Gallo medico vicentino verso la fine del secolo fu egli ancora a quella corte medico della reina collo stipendio di 1200 ungheri (Marzari, Stor. di Vicenza, p. 208). Io penso che altre più minute ricerche mi avrebbon condotto a scoprire ancora più altri medici italiani che presso le straniere nazioni fecer pompa del lor sapere. Ma questi, che ho finor nominati, posson [p. 1023 modifica]SECONDO 1023 bastare per saggio della gran fama di cui il nome italiano godeva in tutta l’Europa, per cui non v’ era quasi provincia ove alcuni di essi non fosser chiamati a dissipare le folte tenebre dell ignoranza, fra cui era involta ogni cosa. XLVIL Dopo avere fin qui parlato de’medici più famosi ch ebbe in questo secol l Italia, convien ora rifare in certo modo il sentiero sulle lor tracce, e veder qual miglioramento e qual perfezione ricevesse da’ loro studii la medicina. Nè io dirò già, che uguali alle lodi che furon loro rendute, fossero ancora i progressi che questa scienza per essi fece. Alcuni valorosi medici de’ nostri tempi sostengono eli*essa non è ora punto più avanzata di quello che fosse a’ tempi d’Ippocrate. Io non mi dichiarerò in favore di questa opinione, che non mi sembra conforme al vero: e ancorchè ella potesse sostenersi a ragione, io non sarei da tanto a intraprenderne la difesa. È certo però, per unanime consentimento de’ medici più avveduti, che la lor arte è ancor lungi dal potersi dire perfetta. Or se tale ne è lo stato al presente, dopo tante scoperte che nell’anatomia si son fatte e nel secolo scorso e nel nostro, quante più dovea esser discosta dalla sua perfezione due secoli addietro? Alcuni segnalati vantaggi recarono nondimeno alla medicina gli studii e le fatiche de’ medici del secolo xvi. E in primo luogo le più esatte versioni che si fecer d’Ippocrate, e i comenti con cui ne furono illustrate le opere, fecer meglio conoscere quel primo fondatore, per così dire, dell’arte, che sarà sempre la più sicura guida ad apprenderla. [p. 1024 modifica]1024 LIBRO Inoltre il coraggio che molti ebbero di scuotere il servil giogo dell’antichità, fece che non.si seguissero più così alla cieca, come crasi l’atto in addietro, Galeno ed altri medici antichi di minor conto; che si facessero noti al pubblico i loro errori, e che si cominciasse a conoscere non esser certo tutto ciò ch’erasi scritto più secoli prima. Quindi ancora ne venne il cominciare ad avere in disprezzo le arabiche speculazioni, e l’introdurre un più facile e più semplice metodo nello scrivere di medicina. « E nel dichiarar guerra alle arabiche sottigliezze deesi la lode a Firenze di essere stata la sede di un’ accademia istituita singolarmente affin di combatterle. Se ne fa menzione nell’Osservator fiorentino, stampato in Firenze nel 1776: Lo spirito stesso, si dice ivi (t. 1, par. 4, p. 29), parlando dell’accademia del dott Michelangiolo Targioni, che anima adesso (questa Società, ne promosse un altra simile circa il 1530. Era ella composta di quattro soli Medici, che solevano radunarsi nella bottega di uno Speziale presso alla Chiesa ora soppressa di S. Apollinare sulla piazza di Firenze, ed erano Lionardo Giacchi ni, Jacopo Mini, F A taiuigi (non pare che questi fosse il celebre Dionigi, il quale non fu medico) e Pier Francesco Paoli. Si dichiararon questi contro quella Setta di Medici chiamati Arabisti, i quali leggendo alterati nelle traduzioni provenienti dagli Arabi i testi d Ippocrate, di Galeno, e degli altri Greci maesti'i, depravavano con dottrine erronee la pratica de IF arte Esculapia. Anche da (questa Società sortì alla luce una Raccolta di Opuscoli [p. 1025 modifica]SECONDO 1025 in un sol volume colle stampe di Venezia del 1533 e con questo titolo: Novae Academiae Florentinae Opuscula adversus Avicennam et Medico Neotericos, qui Galeni disciplina neglecta barbaros colunt, in-4 di pag. 94. Nel Lindenio rinnovato e nel Dizionario dell’Eloy, ove parlasi del Giacchini, si cita una ristampa di questi opuscoli fatta in Lione nel 1540, la qual si mentova dal P. Negri e il Portal, che, parlando del Paoli, erra dicendo che quegli Atti furono stampati in Venezia nel 1535, probabilmente erra ancora dicendo che l anno seguente furono ristampati in Lione (Hi st. de VAnat. ec. t. 1, p. 323). Del disprezzo in cui Lionardo Giacchini avea i medici arabi, fa menzione ancora Simone Giacchini nella dedica della lettera apologetica dello stesso Lionardo in difesa e lode del Popone, stampata in Firenze nel 1600. E certo questa giustissima guerra dichiarata alle arabiche speculazioni dovette giovar non poco a rendere assai migliore lo stato della medicina. Ma, come suole accadere, essa ebbe avversarii e nemici; e un certo Antonio Galfredo Condriceo pubblicò nel 1534 un opuscolo intitolato Apologia in Academiam novam Hetruscorum con, un altro di un medico Campeggio, intitolato Cribratio Medicamentorum, in cui pure era presa di mira la stessa accademia. Al Galfredo rispose con un brevissimo opuscolo Guglielmo Guidubaldo da Beauvais, da lui diretto con sua lettera a quattro accademici mentovati poc'anzi, e con questo titolo: Guilielmi Guidobaldi Beliovacensis £<hazcs'j cantra Antonium Galfredum Condriceum Tiraboschi, Voi. XI. 27 [p. 1026 modifica]IOaG L1HRO Etruscae Academiae obtrectatorem. Di tutte queste notizie son debitore all’ornatissimo sig co Cesare Lucchesini lucchese, della storia letteraria diligentissimo conoscitore ». Egli è vero che gli scrittori medici di questo secolo si risentono ancor non poco la maggior parte della rozzezza scolastica che tutte avea infettate le scuole. Ma pur ella va sminuendosi in molti di essi, e vi si vede qualche principio di quella sì pregevole precisione che tanto celebri e tanto utili al mondo ha renduti alcuni de’ medici più moderni. Finalmente i progressi nella scienza anatomica fatti nel corso di questo secolo giovaron non poco all'arte medica, fecero scoprire l’inganno in cui su molti punti tutti erano stati finallora, e gli errori in cui i medici giornalmente cadevano, e fecero cambiare a molti il metodo di medicare. La più importante di tutte queste scoperte fu quella della circolazione del sangue, che se era nota, quanto alla sostanza, agli antichi, non era certo ben conosciuta da essi nel modo con cui essa si opera. Ma essa non cominciò a divulgarsi che sulla fine di questo secolo, o a’ principi del susseguente; e perciò ad altro tempo appartengono i vantaggi che se ne trassero. Anche le altre scoperte però furon non poco utili a questa scienza, e si può conchiudere a ragione che se la medicina del secolo xvi non fu perfetta, il che da niuno, io credo, si vorrà affermare, fu assai miglior nondimeno e assai più giovevole agli uomini di quella de’ secoli precedenti. [p. 1027 modifica]SECONDO 1037 XLVIII. Più assai però che alla medicina furono le scoperte anatomiche di questo secolo utili alla chirurgi^, la quale su esse singolarmente è fondata, e non è perciò a stupire che molti scrittori di chirurgia vanti l’Italia nel tempo di cui scriviamo, che anche al presente servon di guida, e son rimirati come autori classici e originali. Di questi ancor ragion vuole che qui parliamo, scegliendo però i soli più illustri, e lasciando in disparte riunumerabile 0 iguobil turba di quelli che altro non fecero che copiare ciò che trovarono scritto. Uno de' primi a scrivere in questa materia fu Angiolo Bolognini, che da tutti gli scrittori padovani, e dopo essi dal Papadopoli (Hist. Gymn. pat. pars 2, p. 11)4) 5 ® detto natio della Pieve del Sacco nel territorio di Padova, e da tutti gli scrittori bolognesi è detto loro concittadino (V. Mazzucch. Scritt. ital. t. 2, par. 3: p. i4l)3, cc.), senza che nè gli uni nè gli altri ne abbian finor recate le pruove. Il dottissimo Morgagni però riflettendo che tra gli scrittori padovani che ciò affermano, havvi lo Scardeone contemporaneo del Bolognini, crede di doversi attenere alla loro opinione (OpusC. Miscell, pars 2, p. 12). Tutti concordemente affermano clfei fu professore di chirurgia in Bologna; e l'Alidosi ne fissa il tempo dal 1508 fino al 1517 Dott. bologn. di Teol. ec. p. 10). Dopo il qual tempo, aggiungono gli scrittori padovani ch ei ritirossi a vita tranquilla nella sua patria. Due libri De Cura ulcerimi ex terno rum et unguentis communibus in solutione continui, stampati la prima volta in Bologna nel 1514 ^ gl* liau ^att0 aver luogo [p. 1028 modifica]IDIitì LIBRO tra1 buoni scrittori di chirurgia; e si può vedere l’onorevole estratto che ce ne ha dato M. Portal (Hist. de XAnni, t 1, p. 254, ec.), il quale si duole ch’egli abbia troppo ingombrata quest’ opera d inutili formole. Il frequente uso dell' arme da fuoco introdotto sulla fine del secolo xv, e le continue guerre che di questi tempi desolavan l’Italia, rendean necessario il trattare delle ferite che per esse si fanno, e l esaminare quai fossero i più opportuni rimedii a curarle. Uno dei primi a scrivere di questo argomento fu Alfonso Ferri napoletano, che dopo avere per qualche tempo esercitata in sua patria la medicina, fu per la fama di cui godeva, chiamato a Roma, e scelto a suo medico dal pontef Paolo III. L’opera da lui pubblicata De Sclopetorum si ve arcliibtisorum vulncribus, stampata in Lione nel 1554, è lodata da M. Portal come una delle più eccellenti (ib. p. 3 iti, ec.); ed egli si stupisce come sia essa conosciuta sì poco, e invita gli studiosi di chirurgia a leggerla attentamente. Nè minori elogi egli fa del trattato del Ferri sopra l’Iscuria, che va unito all’altro, e in cui descrive con somma esattezza e il male e i rimedii e gl’istromenti necessarii a curarlo. Di lui si ha ancora alle stampe un trattato sul Morbo gallico (Taf uri, ScritL del Regno di Nap. t. 3, par. 2, p. 416) (a). Sullo stesso argomento delle (rt) Anche del Ferro ha parlato molto esattamente il signor ubate Marmi (Degli Archiatri pontif. t. 1, p. 35 8, ec.), ed ha mostrato ch’ei non fu medico, ma più veramente chirurgo di Paolo III, e ha risposto assai bene al sig. ab. Lampillas, il quale ha voluto togliergli il vanto di aver trovato il migl.or rimedio a7 calli. [p. 1029 modifica]secondo ioag ferite dell1 armi da fuoco scrissero poscia due altri scrittori bolognesi, Bartolommeo Maggi medico di Giulio III e professore di chirurgia in Bologna, morto nel 1552 (V. Portal. l. c. p. 5oa) (a), e Gianfrancesco Rota, che ivi sostenne la medesima cattedra, e ivi finì di vivere nel i558 {ih. p. 5a4). Celebre chirurgo a* suoi tempi, cioè al principio del secolo xvi, fu Giovanni da Vigo genovese, che esercitò più anni il suo impiego in Roma presso il pontefice Giulio II, e che fu ancor favorito c largamente premiato dal Cardinal delia Rovere di lui nipote (b). Il trattato della Chirurgia pratica da lui pubblicato la prima volta in latino nel i5i(j, fu poscia molle altre volte stampato e tradotto in italiano, in francese c in tedesco. M. Portai annovera tutte queste edizioni (p. 2(>g), e ci dà un lungo estratto dell opera, nella quale, (<7) Il sig. ab. Marini non ha potuto trovare alcun documento con cui si giustifichi il titolo di medico, o piuttosto di chirurgo pontificio, dato al Maggi (Degli Archiatri pontif. t. 1, p. 4°4)- ^cn erd> c' ha indicato un altro opuscolo da lui composto e a molti sconosciuto, cioè un Consiglio sul Morbo gallico da lui scritto nel 1550 a istanza di Galeotto Pico signor della Mirandola., (A) Alcune altre notizie intorno a Giovanni, detto ancor Giannettino, da Vigo, si posson veder nell’opera più volte lodata dell' ab. Marini (t. 1, p. 300, ec.), il quale osserva che al Cardinal Bandinello Sauli singolarmente ei dovette la sua fortuna. Di lui ancora e delle opere di esso ha copiosamente non meno che esattamente trattato il sig. Vincenzo Malacarne (Delle Opere, de’ Med. e Cerus. ec. t. 1, p. 187, ec.), il quale ha mostrato ch ei fu figlio di quel Battista da Genova, o da Rapallo, di cui si è parlato nella storia del secolo sy. [p. 1030 modifica]Io3o LIBRO benché trovi alcune cose a riprendere, dimostra però, che comunemente egli è chirurgo avveduto e saggio, e che in molti punti, come nella maniera di usare i suppurativi ne’ tumori, ne’ mezzi per fermare il corso del sangue, e in più altri ei non è punto inferiore ad alcuno de’ moderni. XL1X. Un celebre scolaro ebbe questo valente chirurgo, cioè Mariano Santo natio di Barletta nel regno di Napoli, che dopo aver coltivati gli studii, parte in patria e parte in Napoli, venuto a Roma, applicossi singolarmente alla chirurgia sotto il detto Giovanni da Vigo (tf), e in età di 25 anni pubblicò un Compendio di detta arte, il qual però non è molto pregiato. Alcune altre opere di chirurgia diede egli alla luce, che si posson vedere registrate dal Tafuri (l. c par. 1, p. 286) e da M. Portal (l. c. p. 285, ec.). Ma quello che più celebre ha renduto l’autore, sono i due libri De lapide renum et de vesicae lapide excidendo, stampati la prima volta in Venezia nel 1535. Egli è il primo scrittore che abbia descritto quel modo di cavar la pietra, che or dicesi volgarmente il grande apparecchio. Egli stesso però modestamente confessa di esser debitore di questo metodo a Giovanni de’ Romani, che esercitava la chirurgia in Cremona $ e noi abbiamo veduto nella storia del secolo precedente, (n) Il sig. nb. Marini lin osservato clic il Santo fu anche scolaro dell’ Antracino; e ne ha riportata l‘ iseririon sepolcrale che tuttor se ne vede nella Minerva (Degli Archiatri ponti/, t. 1, p. 3*4). [p. 1031 modifica]SECONDO v I03l clic un chirurgo genovese, morto nel 1510, avea usato egli pure a un dipresso di questo metodo; ma che non si può decidere se egli, o Giovanni de Romani ne fosse il primo ritrovatore (a). Di questo Giovanni parla l Arisi (Crem. liter. t. 2, p. 58), e accenna qualche libro che se ne ha alle stampe. A me non pare ch ei possa esser lo stesso che quel Giambattista Romano di cui si ha alle stampe un trattato sulle Ferite del capo, stampato in Venezia nel 1559, e di cui parla il Falloppio (De vuln. cum laeso cran, c. 12) come di un saltimbanco che partendosi dal Piemonte, e aggirandosi per quattro anni per l’Italia, raccolse con un certo suo rimedio per le ferite del capo più di ventimila scudi. L. Di Michelangiolo Biondo nato in Venezia nel 1497 istruito in Napoli, indi medico e chirurgo ora in Venezia, ora in Roma, e morto in patria poco dopo il 1565, parla a lungo il P. degli Agostini (Scritt venez. t. 2, p. 488), e dopo lui il co Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 2, p. 1250). Se il numero e la varietà delle opere bastasse a provare il valore di uno scrittore, pochi potrebbono paragonarsi col Biondo, di cui fino a 36 libri dati alla luce annoverano i detti autori, oltre altri inediti, c (a) Intorno ni chirurgo genovese e a Giovanni de’ Romani veggasi la nota aggiunta al t. 6, par. 2, P• 7$7‘ Q'11 vuoisi aggiugnere clic il sig. Vincenzo Malacarne crede probabile che Giovanni jìe* Romani e Giovanni Romano siano un solo personaggio (Delle Opere. rie'1 Med. e de’ Cerus. ec. t. 1, p. 246, ec.) *, e le ragioni eh1 egli nc reca, ini sembrano di qualche peso. [p. 1032 modifica]io3a LIBRO ve ne ha di argomenti di ogni maniera, chirurgici, medici, anatomici, metafisici, morali, rettorici, poetici, storici, e traduzioni e edizioni di antichi autori, e comenti, ec. Ma ei fu uomo come nella condotta, così nelle sue opere capriccioso, cieco seguace e adorator di Galeno, e dato ancora alla follia dell’astrologia giudiciaria, e alla superstizione. Alcune cose nondimeno degne in esse di lode osserva M. Portal (l.c.p. 380), il quale non so onde abbia tratto che il Biondo fu in Francia, e trattennesi qualche tempo in Parigi e in Montpellier. Alcune opere anatomiche e chirurgiche di Michele Gavasseti, come lo appella M. Portal (t 2, p. 90), o Gavasseri, come lo dice il Lipenio (Bibl. medica, p. 17, ec.), natio di Novellara, si hanno alle stampe, che da’suddetti scrittori si annoverano. Il primo di essi avea asserito ch’ei fu professore in Padova. Ma egli stesso coll autorità del Morgagni si è ritrattato, affermando (t. 6, par. 2, Suppl p. 13) ch’ei vi esercitò solamente la medicina. Un intero trattato di Chirurgia diviso in tre libri pubblicò nel 1588 Leonardo Fioravanti di patria bolognese, di cui non parla con molta lode M. Portal (t. 2, p. 102). Più pregevol di molto è quello di Andrea della Croce professore di chirurgia in Venezia, di cui dà un assai favorevole estratto lo stesso M. Portal (ib. p. 4l)> presso il quale si possono ancor vedere accennate le opere di Giampietro Passero (ib. p. 121), di Benedetto Boselli, amendue bergamaschi (t. 6, par. 2, Suppl. p.ìi6)j di Giambatista Zapata (t. 2, p. 159), d’Ippolito Boschi ferrarese (ib. p. 162; [p. 1033 modifica]\ 6UCOXDO I o33 V. Mazzucch. Scritt. ital. t a, par. 3, p. 1821), e di molti altri ch'io tralascio per brevità. LI. Ma non così brevemente dobbiamo spedirci da Gasparo Tagliacozzi di patria bolo-' gnese, e professore di chirurgia e di anatomia in quella università, secondo l’ Alidosi (Dott. bologn di Teol. ec. p. 11 1) dal 1570 fino al 1599, nel qual anno finì di vivere, contandone egli 53 di età (Ghilini, Teatro, t. 2, p. 109). Con quale applauso egli facesse le dimostrazioni anatomiche, abbastanza il pruovano due onorevolissime iscrizioni a lui poste, mentre ancora viveva, da’ suoi scolari, e riportate dal detto Alidosi. Assai più nondimeno che per le sue lezioni, fu egli celebre a’ suoi tempi per l’arte con cui rifaceva al naturale il naso, le orecchie, le labbra, o altra parte del volto, che alcuno avesse perduto. Egli comunicò al pubblico il metodo di cui era solito usare, nella sua opera De curtorum Chirurgia per insù tionem, scu de narium et aurium defectu per insitionem arte hactenus ignota sarciendo, ec., stampata in Venezia nel 1597, insieme colle figure degl'istromenti che a tal cura sono richiesti. Il metodo dal Tagliacozzi prescritto, era il tagliar parte della carne di un braccio, ma in modo ch ella vi rimanesse attaccata per l’estremità della pelle, e sollevando il braccio, applicar la carne così attaccata alla parte che voleasi risarcire, a cagion d’esempio, al naso, facendo in esso ancora una leggera ferita, quindi configurare come meglio poteasi la carne stessa, sicchè prendesse la forma del membro reciso, e tenere il braccio così sollevato, e la carne [p. 1034 modifica]io34 LIBRO applicata alla parte, e fasciata con bende, sinchè cicatrizzate amendue le ferite e staccata del tutto dal braccio la pelle, la parte compariva intieramente rifatta. Il Tagliacozzi non può però a ragione vantarsi di essere stato l inventor di quest’ arie. Àbb'fam veduto nella storia del secolo xv, che due chirurghi siciliani padre e figlio, di nome Branca, usavano di questo metodo stesso, e il passo, in cui di essi ragiona Bartolommeo Fazio, scrittor di quei’ tempi, che allor mi parve troppo intralciato ed oscuro, riceve or nuovo lume da ciò che il Tagliacozzi c’insegna. All’autorità del Fazio e di Elisio Calenzio, da noi allora arrecata, si può aggiugner quella di Pietro Ranzano, di cui fa menzione l’Haller citato da M. Portal (t. 2, p. 169) il quale afferma lo stesso, e quella di Gabriello Barri che fa primo inventor di quest’arte Vincenzo Vianeo natio di Maida nella Calabria, che sembra vissuto verso la fine del secolo xv: Ex hoc oppido (Maida) fuit Vincentius Vianeus Medicus Chirurgus eximius, qui primus labia et nasos mutilos instaurandi artem excogitavit. Fuit et Bernardinus ejus ex fratre nepos et artis haeres: viget modo hujus filius et itidem artis haeres. E parlando di Tropea: Vivit modo hujus urbis civis Petrus Vianeus Medicus Chirurgus, qui praeter caetera, labia et nasos mutilos integritati restituit (De antiquit. et situ Calabr. l. 2). Anzi più altri scrittori cita il medesimo Haller, altri più antichi del Tagliacozzi, i quali insegnano lo stesso metodo di risarcir la perdita di quelle parti, altri a lui contemporanei che ci assicurano del felice successo con cui egli [p. 1035 modifica]SECONDO 1035 lo eseguiva, altri finalmente a lui posteriori che pruovano ancor dopo la morte del Tagliacozzi aver più altri praticata la stessa maniera di cura (a). Qui basti il nominare Giambattista Cortesi bolognese, medico anch’esso e chirurgo e professore celebre in chirurgia, prima in Bologna (V. Alidosi Dott. bologn. dì d'eoi., ec. p. 116, ec), poscia per molti anni in Messina, e autore di molte opere anatomiche e chirurgiche, e vissuto ancora non picciola parte del secolo susseguente (b), il quale nelle sue Miscellanee medicinali parla di questo metodo, e nomina un certo Pietro Boiano che a’ suoi tempi l’esercitava (V. Portal, t. 2, p. 447)* Anzi egli stesso si vanta di aver a non pochi renduto il naso, e fra gli altri a Federigo Ventimiglia con tanta felicità, che già da più anni avealo ricuperato in tal modo, che sembrava naturalissimo (ib. t. 6, part. 2, Suppl, p. 15); e descrivendo gli stromenti dei’ quali a ciò egli usava, che erano somiglianti a quelli del Tagliacozzi, riprende come grossolani quelli di Tropea, città della Calabria, i cui abitanti chiama i ristoratori di quest’arte: Tropenses hujus artis instauratores (ib.), alludendo forse a Pietro Vianeo nominato di sopra. Par dunque innegabile che vi fosse veramente allora quest’arte, e che anche per lungo tempo si inalilo) Intorno al Tagliacozzi e al suo metodo di restituire le membra menta di esser letto l’articolo del dello sig. co. Fantuzzi (Scritt. Bologn. t. 4, p. G3, ec.). (b) Della vita e delle opere del Cortesi ha poi ragionato esattamente il co. Fan tu zzi («Veri//, boi. t. 3, p. 209, cc). [p. 1036 modifica]io36 LIBRO tenesse, benché poscia, come tante altre invenzioni, fosse dimenticata. LII. Io ho riservato l’ultimo luogo tra’ più illustri chirurghi a Girolamo Fabrizio d’Acquapendente, perchè fu degli ultimi che in (questo secol vivessero. Ma riguardo al sapere e al nome di cui godette, ei dee esser posto tra’ primi, anzi non si troverà di leggieri nel corso di questo secolo chi possa stargli al pari. Il co. Mazzucchelli assai esattamente ha esposta la vita di questo illustre scrittore (Scritt. it. t 1, par. 1, p. ri a, ec.). E nondimeno mi lusingo di poter io pure aggiugnere qualche notizia a lui sfuggita. Egli era nato di nobili ma poveri genitori in Acquapendente circa il e invialo da essi a Padova per gli studii, ebbe la sorte di essere accolto in casa da alcuni patrizii veneti della famiglia Loredano, da’ quali ebbe l’agio necessario a coltivarli, e di avere a suo maestro il famoso Falloppio, alla cui scuola, giovane com’egli era, di vivace ingegno e di profonda memoria, e già bene istruito nelle lingue greca e latina, fece maravigliosi progressi. Morto il Falloppio nel 1562, non fu già subito destinato a succedergli l’Acquapendente, come pensa il co. Mazzucchelli, ma vacò per qualche tempo la cattedra di chirurgia e di anatomia, e solo ebbe ordine l’Acquapendente di fare le dimostrazioni anatomiche (Facciol. Fasti, pars. 3, p. 388). Indi l’anno 1565 fu nominato professore di chirurgia coll' obbligo • di spiegare ancora l’anatomia, e collo stipendio di 100 ducati, che gli fu più volte accresciuto, finchè nel 1571 la cattedra di anatomia, [p. 1037 modifica]SECONDO IO3^ che prima era stata quasi un’aggiunta alla chirurgia, fu dichiarata primaria, e fu all’Acquapendente ordinato che in tempo di verno spiegasse l anatomia, e ne facesse seguitamente le dimostrazioni, negli altri mesi tenesse lezione di chirurgia, e in tale occasione accresciuto gli fu lo stipendio fino a 600 ducati, e quindi successivamente fino a 1100, e per ultimo avendo egli sostenuta la cattedra per 36 anni gli furono assegnati, finchè vivesse, 1000 annui scudi, a patto però che non uscisse dagli Stati della Repubblica, e che quando avesse compiti 40’ anni della sua lettura potesse addossare ad altri la chirurgia, com egli fece nel 1609, cedendo questa parte a Giulio Casserio da noi nominato tra gli anatomici. Gli straordinarii stipendj all Acquapendente assegnati non furono la sola pruova ch’ei ricevesse dalla Repubblica veneta dell’ applauso con cui se ne udivano le lezioni, e della fama a cui era salito. A lui furono pur conceduti i privilegi e gli onori tutti che proprii erano de’ professori ordinarii di medicina, e la precedenza sopra i lettori filosofi; fu innoltre fatto cittadino di Padova, e onorato delle insegne di cavalier di S. Mi irco. M. Portal aggiugne (t 2, p. 19G) eli’ci fu fatto ancor cavalier del Toson d'oro: ma egli avrà forse tratta questa notizia da quel fonte medesimo onde ha tratta quella che’ egli avesse l'annuo stipendio di diecimila scudi d'oro, e più altre, sulle quali è inutile il trattenersi per confutarle, giacchè la parte storica di quest’ opera è piena di gravissimi errori. Tra i frutti che l'Acquapendente raccolse dalle sue [p. 1038 modifica]io38 LIBRO fatiche, non fu l’ultimo quello (di vedere a sua istanza fabbricato dalla Repubblica il pubblico teatro anatomico nel i5()qj intorno a che veggasi l’iscrizione ivi posta e riferita dal co Mazzucchelli. Questo però non fu il primo teatro anatomico che si vedesse in Italia. Prima di esso era stato fabbricato quello di Pisa, e ad imitazione di questo quel di Pavia. Amendue queste notizie ricavansi dall’ elenco degli Atti di questa seconda università da me più volte citati, ove si accenna un decreto de’ 21 novembre del 1552. Pro construendo Theatro Anatomico ad formam Theatri Pisarum, et juxta dispositionem dandam per D. Cuneum de eodem Theatro cognitionem habentem. Uguali agli onori ottenuti furono le ricchezze da lui raccolte, sì per gli ampii stipendj assegnatigli, sì per le cure di molti infermi, e tra essi di più ragguardevoli personaggi italiani e oltramontani. Lo stesso ricusar che talvolta ei facea la mercede dovutagli, gli era sorgente di rari e preziosi doni da lui raccolti in un gabinetto, sulla cui porta avea fatto scrivere lucri neglecti lucrum. Nè fu egli sordido adunator di ricchezze; ma profondeale generosamente soprattutto in un suo luogo di campagna presso la Brenta detto la Montagnuola, che ora appartiene alla nobil famiglia Benzi padovana, e sulla faccia del cui muro si legge ancora Hieronymus ab Acquapendente. Ivi egli accoglieva e trattava con singolare magnificenza i letterati, gli amici, e ancor persone di alto affare. In mezzo però agli onori non gli mancarono contraddizioni e contese. Una di esse ch egli ebbe [p. 1039 modifica]SECONDO,<->39 coll'anatomico Eustachio Rudio nel 1608, si accenna in una sua lettera da Lorenzo Pignoria: Qui non abbiamo altro di nuovo che certa briga traSignori Acquapendente e Rudio per la strada, onde il primo cammina con gente da mela, e vuol forse far vedere, che è buon Marchigiano, e che sa adoperare il ferro in altra cosa ancora, che ne cadaveri anatomizzandi (Lettere d Uomini ill del sec. 17, Ven. 1744 p. 26). Altre somiglianti controversie si accennano dal co. Mazzucchelli. Il Galilei, che al principio del secolo XVII era in Padova, propose nel 1606 l’Acquapendente al gran duca di Toscana, perchè l’invitasse a Pisa; il che sperava ch’egli avrebbe accettato, benchè non glien’avesse ancor fatto motto (Lettere ined. d Uomini ill. Fir. 1773, t 1, p. 10, ec.). Ma qualunque ragion se ne fosse, il trattato non fu conchiuso; e l’Acquapendente continuò e finì poi anche di vivere in Padova a’ 21 di maggio del 1619, lasciando erede di tutte le sue facoltà, che vuolsi montassero a dugentomila ducati, una figlia di un suo fratello, la quale maritatasi poscia in un nobile veneto della famiglia Delfino, dopo sei mesi soli di matrimonio venne a morte. LUI. Le opere da lui composte, che stampate prima più volte separatamente, fu ron poscia date di nuovo congiuntamente in luce in Lipsia nel 1687 e in Leyden nel 1737, si posson dividere in due classi, cioè in anatomiche e in Chirurgiche. Fra le prime è celebre principalmente quella De ostiolis venarum, della quale abbiamo parlato nel trattare della circolazione [p. 1040 modifica]Io4o LIBRO del sangue, e abbiam dimostrato cbe n lui più probabilmente che al Sarpi si attribusce la scoperta di queste valvole, che sono il principale stromento della detta circolazione. Degno ancora d osservazione è il trattato De Brutorum loquela, ove ingegnosamente sostiene che le bestie hanno il proprio loro linguaggio, diverso tra loro, e spiega come vicendevolmente s’ intendono; opera di cui par che siasi giovato qualche scrittor moderno che ha rinnovato questo capriccioso sistema. Quello De motu locali animalium è esso pure degno di molta stima; e di questo e di tutte le altre opere dell'Acquapendente si può vedere lcstrutlo che ne ha dato M. Portal (l. c.). Ma più che per l anatomiche è celebre l’Acquapendente per le sue opere chirurgiche. Io non posso arrestarmi a descrivere distintamente le diverse osservazioni che in questo genere egli ha pubblicate. Di queste ancora un lungo e onorevole estratto si ha presso il suddetto scrittor francese, e io ne recherò qui solamente per fine di questo capo la conclusione, nella quale egli con lodevole sincerità rigetta l accusa da alcuni datagli di essersi giovato delle opere di Ambrogio Pareo chirurgo francese: Fabrizio dAcquapendente (p. 228, ec.), dice egli, si è acquistata fra gli autori di chirurgia una gloria immortale. La sua opera in questo genere di malattie, benchè poco letta a’ dì nostri, sarà trasmessa alla più rimota posterità per gli ottimi precetti che vi sono racchiusi. Fabricio era uomo di vasta erudizione, molto dovea agli autori che aveanlo preceduto; ma [p. 1041 modifica]SECONDO I04l egli ancora è inventore di molti metodi d operare. Que’ che attribuiscono ad Ambrogio Pareo le scoperte di esso, non hanno alcuna soda ragione a cui appoggiarsi, 1. La maggior parte de principii di Pai) rie io sono diametralmente opposti a que del Pareo, 2. Niuno storico degno di fede racconta che bob rie io abbia mai veduto il Pareo. E io non so onde abbiano tratto gli autori delle Ricerche critiche ed istoriche sull’ origine della chirurgia in Francia, che Fabricio siasi formato su precetti del chirurgo francese. Questa asserzione è senza pruove. Egli è debitore a Celso delle sue cognizioni generali di quest' arte, a Giovanni da Vigo del metodo di troncare le membra, a Giovanni de’ Romani e al Mariano delle riflessioni sul taglio della pietra col grande apparecchio al Ferri di quelle sulle ferite delle armi da fuoco ì e a Bartolommeó Maggi del suo trattato delle piaghe. Fabricio non sempre ha citato, come avrebbe dovuto, gli autori di cui si è giovato; ma non perciò lascia di essere loro debitore; e al contrario nulla ha preso dalle opere del Pareo. Fabricio dee dunque tutto agli autori italiani, nulla al chirurgo francese. Tiiiabcschi, Voi. XI. 28