<dc:title> Storia della letteratura italiana </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Girolamo Tiraboschi</dc:creator><dc:date>1822</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 2, Classici italiani, 1824, VIII.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Storia_della_letteratura_italiana_(Tiraboschi,_1822-1826)/Tomo_VI/Parte_III/Libro_III/Capo_VI&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20190228143621</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Storia_della_letteratura_italiana_(Tiraboschi,_1822-1826)/Tomo_VI/Parte_III/Libro_III/Capo_VI&oldid=-20190228143621
Storia della letteratura italiana - Capo VI – Eloquenza Girolamo Tiraboschi1822Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 2, Classici italiani, 1824, VIII.djvu
[p. 1660modifica]iGGo
LIBRO
Capo VL
Eloquenza.
I. Al gran numero (di professori di belle lettere che’ebbe in questo secol l'Italia, e all’ingegno e al i alore di molti tra essi, ci potremmo
persuader facilmente che corrisponder dovesse
un ugual numero di eloquenti oratori. A dir
vero però, noi troviamo bensì tra le opere del
secolo xv molte orazioni dette in occasione di
nascite, di nozze, di funerali, di vittorie, o di
altri memorabili avvenimenti, e moltissime ne
abbiamo accennate nel corso di questa Storia.
Ma io non so se alcuna ne abbia tra tante
la quale si possa proporre a modello di giusta
e ben formata eloquenza Non solo il loro stile
non è per lo più molto elegante, ma appena
mai vi si vede un saggio compartimento della
materia, una bene intrecciata varietà di figure,
un ordinato progresso di raziocinio; e l’arte
di eccitare gli affetti sembra che non fosse ancor conosciuta. Le orazioni funebri singolarmente altro non sono che un compendio della
vita di que’ personaggi nelle cui esequie furono
recitate. Nè è difficile l’ intendere onde ciò avvenisse. Tutti gli studiosi dell’amena letteratura
erano in questo secol rivolti a discoprire, a
confrontare, a correggere, ad illustrare con comenti i codici degli antichi. Pesatasi ogni loro
parola; si spiegavano l’ allegorie e le favole da
essi accennate; si facean ricerche sul loro stile [p. 1661modifica]TERZO iGGl
e sulla loro sintassi, perchè questo era, per
così dire, lo studio alla moda. E frattanto poco, o nulla si rifletteva a’ precetti e agli esempi, che in essi abbiamo, di perfetta eloquenza.
Aggiungasi, che a divenire eloquente oratore
non vi era stimolo di ricompensa, o di premio. L uso di perorare ne’ tribunali in favore
dei’ rei non era introdotto. Non v’ erano adunanze di popolo, da cui dipendesse la decisione di gravi affari, e cui perciò convenisse
persuader con parole. Le allocuzioni militari furon sempre più proprie degli scrittori di storia, che dei generali d’ armata. Solo in occasione di alcune solenni pompe potevano gli
oratori far mostra della loro eloquenza; ma nè
queste eran molto frequenti, nè eran tali comunemente che potessero in essi destar grandi
speranze. Quindi non è maraviglia che l’eloquenza civile si rimanesse languida e fredda,
e che non si possa mostrare nel corso di questo secolo una sola orazione degna di un valoroso oratore.
II. Assai migliore, almen quanto alla fama
che alcuni per essa ottennero, fu la sorte dell’eloquenza del pergamo; e maggiori in fatti
eran gli stimoli che per essa si aveano. Oltre
lo spirito di religione che anima ed infiamma
coloro che ne sono compresi, il vedere una immensa folla di popolo pender immobile della
sua bocca, investirsi di quegli affetti che più
gli piace, piangere, fremere, rallegrarsi, com
egli vuole, è un troppo dolce incentivo a un sacro oratore, per usar di ogni sforzo a giunger
alla perfezion di quest'arte, che può renderlo
it.
Carili rr;»
degli ora luti
sacri. [p. 1662modifica]I (itl'J I.IRRO
un giorno signor dei’ cuori ed arbitro delle città
E molti ebbe veramente in questo secol l'Italia, che furon creduti oratori poco men che
divini, e che della loro predicazione raccolsero
non solo applausi, ma frutti non ordinari nell estirpazione dei vizi e delle civili discordie.
Ma qui ancora ci si offre a esaminar cosa di
assai difficile scioglimento. Noi leggiamo gli elogi
con cui parlano di alcuni sacri oratori di questo
secolo, non solo i volgari e rozzi scrittori, ma
i più colti ancora. Per altra parte abbiam sott’occhio le prediche di questi medesimi oratori, e per lo più non sappiamo vedere in essi
ombra o idea alcuna di quell’ eloquenza per
cui son tanto lodati. Si leggan le Prediche di
S. Bernardino da Siena, di F. Roberto da Lecce, del B. Alberto da Sarziano, di F. Michele
da Carcano e di più altri, de quali ci narrano
gli scrittori di que’ tempi, che traevano ad
udirli le città e le provincie intere; e poi si
giudichi se convenga loro il nome di orazioni
eloquenti. Esse altro non sono comunemente
che aridi trattati di scolastica, o di morale
teologia, pieni di citazioni di autori sacri e
profani, ove veggiamo accoppati insieme s’Agostino con Virgilio, e S. Giovanni Grisostomo con Giovenale. La forza della loro eloquenza tutta riducesi ad alcune esclamazioni,
alle quali si aggiugne talvolta la descrizione de’
vizj che allor regnavano, tale che ora ci farebbe
scoppiar dalle risa, e allora faceva prorompere
gli uditori in dirottissimo pianto. Ciò che abbiam detto altrove (t 4, p- 704.ee.) parlando
de’ predicatori del secolo XIII, cioè che il frutto [p. 1663modifica]TERZO lGG3
ila essi raccolto doveasi più alla venerazione
in cui erano presso i popoli per la santità de’
loro costumi, e alle ferventi loro preghiere,
che all’arte della loro eloquenza, dee aver luogo
qui ancora. Non tutti però i sacri oratori di
questo secolo ebber fama d’uomini santi; e convien perciò ricercare altra origine dell’applauso
di cui veggiamo ch’ essi furono onorati, E io
credo ch’essi ne fossero debitori in gran parte
agli esterni loro talenti. Una voce soave e canora, una forte declamazione, un gesto e un
atteggiamento vivo ed energico ha gran potere
sul popolo. Noi il veggiamo anche ai’ dì nostri,
in cui per altro si hanno idee tanto migliori
dell’ eloquenza. E molto più dovea ciò accadere a que tempi tanto più rozzi. Oltre di che,
come il gusto e la moda che regnava nel secolo scorso, facea udir con applauso le freddissime allegorie e le strane metafore allora
usate, e che or non si odono senza sdegno,
così allora facea rimirare come orator prodigioso chi sapeva accozzare insieme trecento
testi di vari autori, e riunire ciò che sinallora
era stato detto da tutti su un tale argomento.
Ciò non ostante non dobbiam qui passare sotto
silenzio alcuni di quelli che in ciò giunsero a
maggior fama, e molto più che sugli ultimi anni
di questo secolo sorsero alcuni ne’ quali si cominciò a veder qualche idea di quella robusta
e popolare eloquenza che avea già operati sì
gran prodigi in Atene e in Roma.
III. S. Bernardino da Siena fu ne’ primi anni
di questo secolo uno de’ più famosi predicatori
che avesse l’Italia. Gli scrittori della storia [p. 1664modifica]lG64 MURO
ecclesiastica e delle Vite de’ Santi hanno di hi
parlalo abbastanza; e io posso perciò rimettere ad essi chi brama di saperne la vita. Ma
non debbo ommettere ciò che appartiene al
concetto in cui egli era presso anche i più dotti
uomini di quell’età. Egli era stato discepolo
del celebre Guarin Veronese. Così ci assicura
Timoteo Maffei canonico regolare in una sua
opera inedita dedicata a Niccolò V, e intitolata
in sanctam Religionem litteras impugnantem.
da cui l’ab. Mehus ha tratto l’ elogio ch’ ei fa
di S. Bernardino (Vita Ambr. camald. p. 384'E io il recherò qui volentieri tradotto nella
volgar nostra lingua, perchè oltre le lodi di
esso, contiene ancor quelle di un altro eloquente oratore, cioè del B. Alberto da Sarziano, di cui abbiamo altrove veduto con quanto
applauso esercitasse l’apostolico ministero (t. 6,
par. 1, p. 261). Ciò ben intesero, dic egli, Bernardino uomo santissimo e onor dei' predicatori del nostro tempo, e Alberto da Sarziano
eloquentissimo banditore della divina parola,
che la morte ci ha crudelmente rapito ne’ giorni
scorsi. Essi ebbero a lor maestro in questi studj
il nostro Guarin Veronese uomo di rara eloquenza, e quanto bene fosser da lui istruiti e
formati nell arte rettorica, ne è testimonio tutta
l Italia, e coloro singolarmente che dalla loro
eloquenza furon persuasi a lasciare il mondo
e a sottoporsi al giogo della regolare osscn’anza. Pareva che uscissero dalla lor bocca mele,
gigli e viole ad abbellire la verità; talchè essi
erano l’ oggetto della comun maraviglia e de’
discorsi degli uomini. Degnissime ancora d’esser» [p. 1665modifica]TERZO »065
Jetle sono tre lettere di Ambrogio camaldolese. La prima (l. 2, ep. 39) è scritta al medesimo Santo; e in essa caldamente il prega e
scongiura a non accettare la profertagli dignità
vescovile, rappresentandogli il danno che ne
avrà tutta l’Italia, quando egli cessi dall’ annunciare la divina parola; e in fatti non allor
solamente, ma più altre volte ricusò Bernardino cotali onori, a cui la stima e la divozion
de’ popoli e de’ romani pontefici volea innalzarlo. Nella seconda ch è scritta al B. Alberto
da Sarziano (ib. ep. 40), e nella terza scritta
a un anonimo (ib. ep. 41)? descrive lungamente
Ambrogio il grandissimo frutto che dalle sue
predicazioni ritraea S. Bernardino, la persecuzione che contro di lui erasi sollevata in Roma, ove innanzi al pontef Martino V dovette
l’an 1427 difendersi dalle accuse che contro
la sua dottrina si producevano, singolarmente
per le tavolette segnate col nome di Gesù, da
lui solite a distribuirsi; e la solenne vittoria che
ei riportò nella decisione pienamente a lui favorevole del romano pontefice. Ei fu ancora
carissimo e a Francesco Barbaro (V. Agostini,
Scritt. venez. t 2, p. 49) e a Bernardo Giustiniani che con somma lode ne parla in una sua
lettera (Bern. Justin. ep. 22). Ma bello singolarmente è l’elogio che ne fa Bartolommeo Fazio, uomo erudito per l'una parte, e per l’altra non divoto a tal segno che possiam dirlo
ingannato da una pietà troppo credula: Siena,
dic egli (De Viris ill. p. 41, ricevette non
poco onore dal suo Bernardino teologo e filosofo. Questi a memoria nostra fu in concetto [p. 1666modifica]IGG6 I.IBRO
d noni grande e maraviglioso nel predicare. Ovunque egli ne andasse. traeva a sè tutto il popolo.
Fu eloquente e forte, nel ragionare, d incredibil
memoria, di tal grazia nella pronuncia, che.
non mai destava sazietà negli uditori; di voce,
sì robusta e durevole, che non gli venia mai
meno, e, ciò ch è più ammirabile in una grandissima folla di popolo era udito ugualmente
e colla stessa facilità dal più lontano che dal
più vicino. Molti col suo parlare ei sollevò dalla
feccia, in cui giacevano. de’ vizi; recò soccorso
ed aiuto alle anime di molti, e molti trasse dal
secolo alla Religione. Pe quali meriti, e per
l innocenza della sua vita e santità dei’ costumi, da Niccolò V fu annoverato tra’ Santi.
IV. Nè però mancarono a S. Bernardino avversarj e nemici in gran numero, come già si
è accennato. Abbiamo altrove veduto (sup. c. 5,
n. 26) che Francesco Filelfo, mentre il Santo
predicava in Milano, ardì di motteggiarlo e deriderlo. Poggio fiorentino, dalla cui maldicenza
pochi andarono immuni, lui ancora prese di
mira, ma nell'atto medesimo di accusarlo, ei
non seppe negarli la lode di una rara eloquenza. Egli introducendo a parlare Antonio Losco,
Cincio romano e Bartolommeo da Montepulciano
(Dial. de Avariti a, sub int), fa loro dire che
Bernardino, il quale allora predicava in Roma, era il più eloquente e dotto oratore che si
fosse udito; ch era singolarmente maraviglioso
nel persuadere e nell’eccitare gli affetti, enei
muovere il popolo or alle lagrime, or, se l argomento chiedevalo, alle risa; ch era a bramarsi ch’egli non partisse giammai da Roma; [p. 1667modifica]TERZO 1667
perciocché gran vantaggio nvoa ei recato a quel
popolo coll’ emendarne i vizj e col sedarne le
interne gravissime dissensioni. Ma poscia suggiugne ch’ egli e gli altri predicatori eran degni
di biasimo, perchè eran più avidi della propria lode, che dell altrui frutto; che cercavano
anzi di riscuoter gli applausi del volgo, che
di correggere i vizj; e rimprovera singolarmente
a S. Bernardino, che non avesse mai predicato
contro gli avari, ma una volta sola contro gli
usurai, e ciò più coll’eccitare le risa contro di
essi, che con destare orror di tal vizio. Nella
quale accusa chi non vede la contraddizione e
l’incoerenza? Esaltare il frutto che il santo predicatore ha tratto dai’ suoi sermoni, e poi biasimarlo, perchè non cerca il frutto de’ suoi
uditori, ma sol le sue lodi. Ma non è a stupire che Poggio e nel detto passo, e ancora
in una sua lettera ove riprende il culto da s
Bernardino introdotto al nome di Gesù (ad calc,
de variet Fortunae), seguisse il suo usato costume di mordere, comunque potesse, gli uomini ancor più saggi e più dotti. Più strano
sembrerà forse che anche uomini per pietà e
per saper ragguardevoli credesser degno di biasimo il metodo di predicare seguito da S. Bernardino, e la dottrina da lui insegnata, e gli
movesser contro guerre ed accuse. Ne è pruova
il solenne esame a cui la sottopose il pontef
Martino V, e da cui, come si è detto, il Santo
uscì vincitore. Fra quelli che più caldamente
inveirono contro di lui, fu il celebre Andrea
Biglia agostiniano, di cui parlato abbiam tra
gli storici. Il Muratori ragiona (Script. rer. ital. [p. 1668modifica]iGG8 Linno
voi. 19, p. 4) di un’ opera inedita che se ne
conserva nella biblioteca Ambrosiana, intitolata
De institutis, discipulis, ac doctrina Fra tris
Bernardini Ordinis Minorum, in cui ne loda
bensì la santità e i costumi, ma ne riprende
severamente il metodo di predicare, la novità
da lui introdotta del nome di Gesù, e gli scandali che dalle prediche di esso e de’ suoi discepoli sovente nascevano. Ma ella non è cosa
nuova che anche tra le persone che professan
pietà, sorgan rivalità e discordie; e se S. Bernardino ebbe in questo Agostiniano un potente
nimico, in un altro dello stesso Ordine trovò
non men potente sostenitore, cioè in Paolo Veneto, come altrove abbiam detto. L’ ab. Mehus
attribuisce ancora (Vita Ambr. camald. p. 1)
a S. Bernardino la gloria di essere stato un dei’
primi ricercatori de’ codici antichi. Ma non
veggo su qual fondamento ei lo asserisca..Morì
il Santo nell’Aquila nell’Abbruzzo a’ 20 di maggio del 1444 e se ne hanno le opere che son
sermoni e trattati ascetici e morali in più edizioni, fra le quali l’ ultima e la più copiosa è
quella fatta nel 1745 in Venezia in 5 volumi
in foglio. Intorno a’ Sermoni di esso, e della
loro eloquenza abbiam già veduto ciò che debba
pensarsi; e ciò che si è allor detto generalmente, deesi intendere di quasi tutti gli oratori di questo secolo.
V. L’ esempio di S. Bernardino eccitò molti
altri nel suo Ordine de’ Minori Osservanti a
imitarne lo zelo e a seguirne gli esempi. Il
b Alberto da Sarziano, da noi nominato
poc’anzi, all'udirne le prediche in Trivigi si [p. 1669modifica]TERZO tCGg
determinò a correre egli ancora la stessa carriera (Alb. de Sart. Op. p. 177). Da amendue
questi ministri evangelici fu persuaso ad intraprendere le fatiche medesime f Michele da
Carcano milanese, di cui pure si hanno molti
Sermoni alle stampe. Gli scrittori del suo Ordine e l’Argelati (Bibl. Script, mediol. t. 1,
pars 2, p. 303) parlano a lungo delle grandi
cose da lui operate a pro delle anime, del favore
di cui egli godette presso il duca Francesco
Sforza e presso Galeazzo Maria di lui figliuolo,
benchè questi una volta lo esiliasse da tutti
i suoi Stati, ne’ quali però gli permise fra
poco di far ritorno, degli spedali e delle altre
opere di pietà, delle quali egli fu autore,
e della stima in cui fu presso tutti di eloquente
e zelantissimo oratore. L’Argelati sostiene che
diverso da lui sia un altro f Michele da Milano ib. t. 2, pars 1, p. 925) dello stesso
Ordine, che visse al tempo medesimo, cioè
fin verso la fine di questo secolo, e di cui pure
si hanno alla luce molti Sermoni. Ma a me
sembra che non vi sia bastevol ragione a distinguere l’uno dall’altro, e ch’essi non sieno
verisimilmente che un sol personaggio. Scolaro
e correligioso del Carcano fu f Bernardino de
Busti milanese, di cui si posson vedere le opportune notizie presso il suddetto Argelati (l.
c. t. 1, pars 2, p. 244)3 >1 co. Mazzucchelli
Scritt. ital. t 2, par. 4, p. 2464, ec.) e il
Sassi (Hist. typ. mediol. p. 353). Quest’ultimo
scrittore con sicuri monumenti dimostra ch’ei
non morì già nel 1480, come molti hanno
scritto, ma che vivea ancora nel 1497, e forse [p. 1670modifica]167O LIBRO
ancora alcuni anni dopo. Gli stessi autori annoverano le molte opere di diversi argomenti
che se ne hanno alle stampe, fra le quali veggiamo ancora alcune poesie italiane e latine.
Ei fu udito con grande applauso in molte città
d’Italia. Ma il leggerne ora i Sermoni, in vece
di destarci a pietà e a compunzione, ci muove
alle risa, non solo pel rozzo stile, ma ancora
per le puerili semplicità e pe’ ridicoli racconti
di cui son pieni. Celebri ancora per la loro
eloquenza, ma più pel loro zelo e per le loro
virtù, furono S. Giovanni da Capistrano e il
s. Bernardino da Feltre dello stesso Ordine.
Ma del primo abbiamo parlato altrove (par. 1,
p. 271). Del secondo abbiam sol pochi Sermoni alle stampe, ma il troviamo esaltato dagli
scrittori di que’ tempi con elogi somiglianti a
quelli co quali abbiam udito lodare S. Bernardino da Siena, ed altri più famosi banditori
della divina parola.
VI. Niuno però forse vi ebbe tra i discepoli
e seguaci di S. Bernardino da Siena, che fosse
in tutta l’Italia più celebre di f Roberto
Caraccioli natio di Lecce nel regno di Napoli.
Egli non lo ebbe veramente a suo maestro,
anzi nol vide mai, com’ egli stesso ci assicura
in una sua orazione in lode di questo Santo,
ma i Sermoni di esso furon l’oggetto del suo
studio e il modello su cui si venne formando. Di
lui, oltre ciò che ne hanno gli scrittori francescani, ha scritta lungamente la Vita l’ ab. Domenico de Angelis stampata in Napoli l’an 1703. Ei nacque in Lecce dalla poc’anzi
accennata nobilissima famiglia l’anno »4a5, c [p. 1671modifica]TERZO 167I
fatti i primi studj in Nardò, entrò in età giovanile nell’Ordine dei’ Minori Osservanti, e accintosi assai presto all’evangelica predicazione,
giunse in pochi anni a tal fama, che fin dal 1454
meritò d’essere commendato altamente da Niccolò V con un suo Breve, che dallo scrittor
della Vita si riferisce. Ma questo Breve medesimo, se ci dimostra l’ applauso con cui era
udito Roberto, sembra ancora darci non troppo
favorevole idea della condotta e del carattere
di esso, perciocchè il pontefice, a richiesta
probabilmente dello stesso Roberto, il sottrae
con esso all’ubbidienza de’ suoi superiori, sicchè in ogni cosa possa egli disporre di se medesimo e dei’ suoi compagni, come meglio gli
piace. Vcggiamo infatti gli scrittori di que’ tempi
assai tra loro discordi nel ragionar di Roberto;
e se l’ ab de Angelis ha raccolte le testimonianze di molti che ne lodano la santità della
vita, non ha dissimulato però, che altri ne
parlano diversamente. Anzi lo stesso Wadingo
confessa (Script. Ord. Min. p. 306) che Roberto fu bensì creduto il più eloquente orator de
suoi tempi, e detto da molti un novello Paolo,
ma sub varia fortuna, et incostanti hominum
opinione. Io non mi tratterrò ad esaminare i fatti
che ne racconta Erasmo da Rotterdam, il quale
narra fra le altre cose che un dì Roberto salito sul pergamo a predicar la crociata, dopo
avere eloquentemente arringato, trattasi di dosso
la tonaca, si diè a vedere vestito da general
d’armata, esibendosi a condurre egli stesso le
truppe (Ecclesiastes, l. 3). Molto meno adotterò
le infamie e la rea morte che ne racconta [p. 1672modifica]1673 l.IBRO
Rafaello Volterrano (Conim. Urbana, l. 21).
Ma parmi insieme che il suddetto Breve, e il
passar ch’ ei fece due volte dagli Osservanti
a’ Conventuali, sieno una non leggera taccia alla
memoria di questo celebre oratore (a). Ciò non
ostante le commissioni onorevoli a lui fatte
da’ pontefici Callisto III e Sisto IV, l’eleggerlo
che questi fece a vescovo d’Aquino, e il trasferirlo poscia nel 1484 alla chiesa di Lecce,
ove anche morì nel 1495, sono non dubbia
pruova dell’ ottima fama di cui egli godeva.
Ciò in che tutti concordan tra loro gli scrittori di que’ tempi, si è nel parlar di Roberto
come del più eloquente oratore che si fosse
udito in quel secolo. L’ ab. de Angelis ne ha
prodotti non pochi che ne fanno i più luminosi
elogi. Tra essi mi basterà il riferire quello del
poc’anzi accennato Rafaello Volterrano, il quale
essendo scrittore assai mal prevenuto contro
di Roberto, non può esser sospetto di adulazione: His autem omnibus, dic egli (l. c.),
dopo aver annoverati altri famosi predicatori
dell’Ordine di S. Francesco, Robertus ex Alecio Apuliae oppido praeferendus erat, si per
ejus vitae coeptique propositi inconstantiam licuisset. Nam adolescens admodum concionari
coeperat tanta ejus eloquentiae morumi]ue ad(a) Si possono ancor vedere minute notizie intorno a
F. Roberto nel Diario dell’ Iufessura (Script. Rer. ital.
t. 3, parsi, p. u3a, Ii36) e in quello di Jacopo da
Volterra (ib. voi. 23, p. 166, 167, 168), e l’apologià
rhe ne ha fatta il P. Casirairo da Roma nelle sue Memorie istonclie del convento d‘Aro Coeli (p. 419» ec-)• [p. 1673modifica]TERZO ifiyS
mirittione, ut omnes in eadem arte et pronunciationem et gestus ejus imitati conarentur;
proemiandi, acclamandi, commiserandi, digrediendi, epilogandi, novus quasi Orator Divini
verbi modum saeculo monstravit Agli elogi dal
suddetto scrittor riferiti si può aggiugner quello
forse più di tutti magnifico di Paolo Cortese,
il quale così lo dipinge. Quid Robertum Licium?
quo nemo patrum memoria est abundantior in
dicendo judicatus? Quo vocis sono, quo flumine verborum, aut qua affluentia rerum animo s hominum movere solitum fuisse credimus
cui ex concione descendenti Populum Romanum religionis eulabiaeque causa penulam discidisse ferant, matronasque semper esse eum
cum odoribus et floribus quocumque persecutas
(De Cardinal. l. 2, p. 103)? Francesco Filelfo
ancora, che ne udì un discorso in Milano l’anno 14^7 7 ne loda altamente la dottrina e l’eloquenza, e sol ne riprende la pronuncia e
l’azione, la quale ei dice che da Roberto non
si Ridalla va alle cose (l. 3, ep. 42). In fatti
le replicate edizioni fatte nel secolo xv, altre in italiano, altre in latino, de’ Sermoni
di Roberto, e di alcuni altri trattati teologici
e ascetici da lui composti, sono un sicuro indizio del grande applauso con cui furono accolti. I suddetti scrittori ne annoverano le opere
e le diverse edizioni, e più diligentemente ancora il Marchand (D'ict t. 1, p. ec.) Esse
si trovano facilmente nelle biblioteche, e ognuno
può consultarle e conoscere se degne sieno dei’
grandi elogi di cui le veggiamo onorate. Io
nondimeno per dare un saggio d’eloquenza di
Tiraboschi, Voi. IX. 29 [p. 1674modifica]16^4 ' LIBRO
questo secolo, ne recherò qui un passo tratto
dalla predica nel primo dì di quaresima, secondo l'edizione italiana nel 1553 in Venezia,
senza punto alterarne l’ortografia non che le
parole. Quante infermità nascono de li corpi
humani per troppo cibo, assai; et ancora non
manzare da ogni ora come bestia. Io addimando
perchè ha ordinato Dio et la natura el cibo
all’ homo. O tu che innanzi cibo vai alle botte,
non l’ha ordinato per mantenere la natura,
che l’homo non manchi? Manzando adunque
fuori di necessità, tu fai contra la natura, perchè tu cerchi la morte da te stesso. Dicetimi
un poco, Signori miei. Donde nascono tante et
diverse infermitade in gli corpi humani, gotta,
doglie di fianchi, febre, catharri. Non d altro
principalmente se non da troppo cibo, et esser molto delicato. Tu hai pane, vino, carne,
pesce, et non te basta, ma cerchi a noi conviti, vino bianco, vino negro, malvagie, vino
de tiro, rosto, lesso, zeladia, fritto, frittole,
capari, mandole, fiche, uva passa, confetione,
et empj questo tuo sacco de fecce. Empite,
sgonfiate, allargate la bottonatura, e dopo el
mangiare va, et buttati a dormire come un
porco. Ecco l’eloquenza de’ Demosteni e de’
Tullj del secolo xv, ed ecco l’oggetto dello stupore e degli applausi non sol del volgo, ma
ancor de’ più dotti. Tanto eran a que’ tempi
limitate e ristrette le idee che si aveano della
eloquenza.
Vii. Gli altri Ordini religiosi ebbero anch’essi non pochi oratori, i cui sermoni furono
allora creduti degni di venire a pubblica luce. [p. 1675modifica]TERZO ity* 5
Ma che gioverebbe il voler dire di tutti? Basti
il parlare di alcuni a’ quali veggiam profuse più
ampie lodi. Paolo Attavanti fu un de’ più illustri che avesse l’Ordine de’ Servi di Maria. Il
co Mazzucchelli ha parlato di lui colla consueta sua esattezza (Scritt, ital. t. 1, par. 2,
p. 1209), citando ancora più altri scrittori che
ne fanno menzione. Nato di nobil famiglia in
Firenze nel 1419 ed entrato ancor giovinetto
nel mentovato Ordine, vi si segnalò tra poco
pe’ suoi rari talenti, e per quello singolarmente
dell’evangelica predicazione. Udillo fra le altre
città Firenze; e Marsiglio Ficino ne rimase sì
attonito, che di lui scrivendo, disse ch’egli
era a guisa di un altro Orfeo, e che animava
le pareti stesse de’ tempj (Epist l. 3). Nè eran
soli gli studj dell’ eloquenza ch’ ei coltivasse.
Gli fu cara ancora la platonica filosofia, e godeva d’intervenire alla famosa accademia di
Lorenzo de’ Medici, e forse questa fu la ragione
per cui l’eloquenza di Paolo sembrò sì maravigli osa al Ficino. Qualche disgusto domestico
lo indusse a lasciare il suo Ordine, e ad entrare
in quello dei’ Cavalieri regolari di S. Spirito in
Roma. Non sappiamo quando ciò accadesse,
ma avvenne al certo prima del i479> ne^ (lua‘
anno fu stampato in Milano il suo Quaresimale
intitolato Thesaurus Concionatorum, ch’ei dedicò al maestro general di quell’Ordine (V. Sax.
Hist. typogr. mediol, p. 707). Ritornò poi nondimeno all’antica sua religione, e ciò verso
il 1485, nel qual anno ei recitò un’orazione
nel capitolo generale de’ Servi di Maria. Fu in
essa onorato di varie cariche, e finalmente [p. 1676modifica]1676 LlBltO
pieno ili amn e di meriti morì in Firenze
nel 1491). Molle sou le opere da lui composte,
delle quali si può vedere il catalogo presso il
co. Mazzucchelli che distingue le stampate dalle
inedite. Abbiam già rammentato il dialogo sull’origine de Servi stampato solo nel 1727, a
cui si possono aggiugnere le Vite di alcuni Santi
dell'Ordine medesimo. Abbiam pure accennata
la Storia di Mantova, che in quella città conservasi ancor manoscritta, da lui composta,
mentre era nell’Ordine di S. Spirito, ed ivi si
trovava circa il 1482; intorno alla quale si posson vedere più minute notizie nella elegante
non meno che erudita Dissertazione delle Lettere e delle Arti mantovane del ch. ab. Bettinelli (p. 40) (*). Più altre opere di diversi
argomenti veggiamo a lui attribuite, oltre i
Sermoni, de’ quali si hanno alle stampe due
Quaresimali. Lo stile e l’eloquenza di Paolo
non è guari dissomigliante da quella degli altri
oratori di que’ tempi. Solo egli più frequentemente di tutti gode di citar passi del Petrarca
e di Dante, come se essi fossero due autorevolissimi santi Padri. Anzi di ciò si vanta nella
prefazione al primo suo Quaresimale, dicendo
di voler comentare e spiegare le loro poesie. Il
che ha tratto in errore alcuni che fondati su
tali parole l'han fatto autor di comenti su quei’
due poeti. All’ Ordin medesimo appartiene F.Aie(*) Un codice a penna della Storia di Mantova dell’Attnvnnti trovasi ancora nella libreria Farsetti, e se
ne può vedere la descrizione nel Catalogo de' MSS.
della medesima (p. 106, ec.). [p. 1677modifica]TEnzo 1G77
sario de’ Coniughi ferrarese, di cui benché nulla
ci sia rimasto, abbiam però un bel monumento
che ci mostra quanto ei fosse valente predicatore, cioè un medaglione in onor di esso
coniato, e in cui singolarmente se ne loda una
rara eloquenza (V. Mus. Mazzucch, t. 1, (tab. 21).
Vili. Aurelio Brandolini soprannomato Lippo
dell’Ordine Agostiniano dovrebbe qui aver luogo, perciocchè pochi furono a quell’età che in
fama di eloquenza gli si potessero pareggiare.
Ma già ne abbiamo trattato nel ragionare dei’
poeti latini, e abbiamo ivi riferito il magnifico
elogio che ne fece Matteo Bosso, quando lo
udì predicare in Verona, e abbiamo insieme
osservato ch’egli è il solo tra gli oratori che
parlando dal pulpito latinamente ci abbia data
qualche idea di vera eloquenza. Un altro ancor
più celebre predicatore ebbe l’Ordin medesimo
in f Mariano da Genazzano, di cui per altro
non si ha alle stampe che un’ orazione detta
l’an 1487 innanzi ad Innocenzo VIII, e nell’anno istesso stampata in Roma. Ma gli encomj
a’ quali forse non si son mai uditi gli uguali,
con cui ragiona di lui un de’ più dotti scrittori di questo secolo, cioè Angiolo Poliziano,
ci obbligano a farne distinta menzione. Gli
scrittori del suo Ordine ci raccontano ch’ ei
nacque in Genazzano di poveri genitori nel 1450;
che in età di 16 anni vestì l’abito di S. Agostino; e che passato l’an 1480 alla Congregazion di Lecceto, si unì poscia nel 1490 a
quella di Lombardia. Essi inoltre annoverano
le cariche anche supreme ch’ ebbe nel suo
Vili.
Eloquenza
e Carattere Hi
Fra Mariano
Ja GruaiuDU. [p. 1678modifica]1678 l.IBRO
Ordine, e le onorevoli commissioni che gli
furono affidate. Noi lasciando tai cose in disparte, passiamo a vedere quanto ne fosse ammirata
e applaudita l eloquenza. Il Poliziano aveane
già parlato con molta lode nella prefazione alle
sue Miscellanee, dicendolo non inferiore ad alcuno in teologia, e il più saggio insieme e il
più eloquente tra’ sacri oratori, e commendandone al tempo medesime le virtù religiose. Ma
cose assai maggiori ei poscia ne scrisse in una
sua lettera a Tristano Calchi, mentre Mariano
predicava in Milano. Essa è alquanto lunga, ma
troppo bella e troppo onorevole a questo sacro
oratore, perchè io possa trattenermi dal recarla
qui interamente tradotta nella volgar nostra
lingua. Tu mi scrivi, così dic egli (l. 4, p. 6),
che Mariano da Genazzano teologo, il quale
predica costì al popolo, riscuote ammirazione,
si grande, che ben compruova la verità di ciò
che io nelle mie Miscellanee ne avea scritto;
che si empiron da ogni parte le strade dalla
gran turba che si affretta ad udirlo; e che
tutti rimangon rapiti dalla grazia del ragionare,
attoniti alla forza de’ suoi argomenti, e penetrati e compunti dalla robusta sua eloquenza.
Io dirotti sinceramente ciò che mi avvenne,
quando egli la prima volta predicò qui fra noi.
Andai ad udirlo, secondo il mio costume, per
assaggiarlo, e, a dir il vero, quasi per ridermene.
Ma poichè il vidi, e ne osservai l atteggiamento e un non so che straordinario ch’ egli
avea negli occhi e nel volto, cominciai a lusingarmi di udir cosa che mi piacesse. Eccoti [p. 1679modifica]TERZO *^79
adunque eli ci comincia a parlare, ed io
drizzo gli orecchi ad udirlo. Odo una voce armonica, parole scelte, sentimenti nobili e. gravi.
Viene alla divisione, e nulla io vi trovo d'intralciato, nulla di inutile e nulla di ampolloso. Colle sue prove mi stringe, colle sue
risposte mi assicura, coi’ suoi racconti m incanta, colla dolcezza della sua pronuncia mi
rapisce. Se si fa talvolta a scherzare, io rido;
se. mi incalza e mi preme, io mi arrendo e mi
do vinto; se viene a più teneri affetti, mi cadon dagli occhi le lacrime; se si sdegna e minaccia, io mi atterrisco, e non vorrei esser
venuto ad udirlo. In somma secondo le cose
di cui ragiona, egli varia le figure e la voce,
e col gesto sostiene sempre ed accompagna l azione. Anzi io confesso che a me sembra che
egli sul pergamo si faccia di se stesso maggiore, e superi non la sua statura soltanto,
ma la comune degli uomini. Così rimirando
attentamente ogni cosa, io fui costretto a riconoscerlo come uom prodigioso. Credeva nondimeno che cessando la novità, dovesse piacermi meno di giorno in giorno. Ma avvenne
al contrario. Ei mi parea diverso da lui medesimo nel dì seguente, ma migliore di quello
che mi era sembrato ottimo il dì precedente.
Nè ti sembri spregevole quel sì piccol corpo;
ch’ esso è fermo e istancabil per modo, che
sembra che dalle stesse fatiche raccolga novelle
forze. Chi crederebbe che vi potesse esser racchiusa sì fatta voce, sì gran fuoco, e fianco
così robusto? Aggiugni che io ho talvolta villeggiato con lui, e in casa ho con lui conversato [p. 1680modifica]l68o Unito
familiarmente, e non ho veduto l’ uomo il più
dolce insieme e il più cauto; perciocchè nè ributta con soverchia severità, nè con soverchia
facilità seduce ed inganna. Alcuni predicatori
si credon arbitri della vita e della morte degli
uomini; e abusando del lor potere, sempre rimirano con occhio bieco, e tengon sempre il
tono e la voce di fastidioso pedante. Ma questi è un uom moderato, e se nel pulpito è sevt'ro censore, poichè ne è disceso, usa pulite
e civili maniere. Perciò e io e il mio ottimo
Pico dalla Mirandola ci tratteniamo spesso con
lui, e ninna cosa più ci solleva dalle letterarie
nostre fatiche., che il conversare con esso. Lo
stesso Lorenzo de' Medici ottimo discernitor
degl' ingegni ben dà a conoscere quanto lo stimi
non solo coll avergli prontamente innalzato un
magnifico monastero (cioè quello a S. Gallo,
di cui ragiona ancora Niccolò Valori (Vita
Laur. Med. p. 47) nella Vita di Lorenzo), ma •
più ancora col visitarlo sovente, giacchè egli
ad ogni altro sollievo antipone quello di trattenersi alquanto con lui passeggiando. Tu dunque ancora fa di ac costarle gli e di conoscerlo
da vicino, e in ciò ancora loderai il giudizio
del tuo Poliziano. Nè tu gli recherai noia. Egli
di ciò non si offende, nè sfugge la luce e gli
altrui sguardi, perchè, come io penso, la
buona conoscenza, benchè non li cerchi, gode
nondimeno di testimonj. Sta sano. A' 22 di
aprile 1489. Nè fu solo il Poliziano che ne
parlasse con tanta lode. Gioviano Pontano in
uno de suoi Dialoghi parla egli pure con grandi
elogi di Mariano (Dial. Aegidius) morto allora [p. 1681modifica]TERZO 1 081
di fresco, c v’inserisce un inno in onor di
esso da sè composto. Parecchi sonetti in lode
di esso abbiamo nelle Poesie di Girolamo Casio, che lo appella il Divo Mariano (Epitafii,
p. 9, 21). E pruova della rara eloquenza di
questo oratore si è ciò che narra Paolo Cortese, come avvenuto, mentr egli era fanciullo,
in Siena, cioè, che Mariano chiamato colà per
acchetare le discordie di quel popolo tumultuante, lo commosse e lo intenerì per modo
col suo ragionare, che corsero ad abbracciarsi
amichevolmente Fun l’altro (De Cardinal. l. 2,
p. 103). Questo scrittor medesimo nondimeno
riprende altrove (ib. p. 84) Mariano, come
amante di una affettata eleganza, con cui scemava la forza degli argomenti e degli affetti.
IX. Non dee a questo luogo tacersi che fu
Mariano in Firenze competitore e rivale del
celebre f Girolamo Savonarola, di cui fra
poco diremo. Fra Pacifico Burlamacchi, nella
Vita che scrisse del Savonarola, pochi anni
dacchè ei fu morto, e ch è stata per la prima
volta data interamente a luce da monsig. Mansi
(Miscell. Baluz. t. 1, p. 530, ec. ed. luc.), ne
parla a lungo, ma ne fa un carattere assai diverso da quello che abbiamo udito dal Poliziano. Era in quel tempo, dic egli (ib. p. 535),
un famoso predicatore più di eloquenza dotato
che di santa dottrina, domandato M. Mariano
da Genazzano, frate Eremitano, di vita regolare, a requisizion del quale Lorenzo de’ Medici haveva edificato un Convento bellissimo
fuora della Porta S. Gallo per la sua Religione, dove detto Padre gloriosamente allora
• [p. 1682modifica]• GSj udrò
predicava i giorni di festa, attraendo con l eloquenza sua molto populo, perciocchè a sua
posta avea le lagrime, le. quali cadendogli dagli occhi per il viso, le raccoglieva talvolta,
et gittavale al populo. Racconta poscia che
Mariano a persuasion (!di Lorenzo de’ Medici
predicò una volta, cioè il giorno dell'Ascensione del i49'j contro le profezie che il Savonarola andava spargendo j c ch’egli si mostrò
allora sì pieno di mal talento, che molti de’
suoi amici medesimi ne rimasero scandalizzati,
e lo abbandonarono; che il Savonarola alcuni
giorni appresso salito in pergamo, ribattè gli
argomenti e le ragioni di f Mariano; e che
questi temendo di perder la grazia di cui godeva presso il popolo, se ei fosse creduto nimico del Savonarola, lo invitò in un giorno a
cantar la Messa in S. Gallo. Ma andando, continua lo storico, di lì a poco tempo a Roma,
fece, ogni sforzo per mandare a fondo il nome
et la vita sua, perciocchè predicando nel Collegio
de' Cardinali innanzi ad Alessandro VI ebbe ardir di dire 'un tratto. e di prorompere in queste parole dicendo: abrucia, abrucia, S. Padre,
lo istrumento del Diavolo, abrucia, dico, lo
scandalo di tutta la Chiesa, parlando apertamente del P. Girolamo. La qual cosa intendendo
egli in Firenze, gli fece una pubblica correzione, predicando in Duomo dicendo: Iddio
ti perdoni: lui ti punirà, e fra poco tempo si
manifesterà, che attendi agli stati et reggimenti
temporali. Siccome avvenne; perciocchè non vi
andò molto, che si scoperse la congiura de'
Cittadini che volt'vano rimettere la Casa de' [p. 1683modifica]TF.n’/O I Gì-*-»
Modici in Firenze, dove a cinque ne fu tagliato il capo, e M. Mariano et Fra Basilio
del medesimo Ordine pedagogo di Lorenzo il
giovine ebbono pubblico bando dalla Città di
Firenze, per essersi impacciati degli Stati, et
innoltre M. Mariano cascò in una infermità,
dove perse tutte le membra, eccetto la lingua, la
quale anco poco gli serviva. Onde poi il Cardinale di S. Croce burlando gli disse: Tu sei
diventato arido, eccetto la lingua, la quale
anco usi assai male, siccome sempre hai fatto.
E veramente che a Mariano si dovesse in gran
parte la fiera burrasca che contro il Savonarola si sollevò, affermasi ancora da Jacopo Nardi
scrittor fiorentino, che fin da que’ tempi vivea
(Stor. Fiorent. l. 1, p. 58,62, 72, ed. Fir. 1584) 5
e questi parimente racconta che Fra Mariano...
per le cose fatte ad istanza di Piero de Medici contro alla Città era stato poco honorevolmente di Firenze accomiatato. Nè è maraviglia ch’egli grato a Lorenzo, da cui era stato
amato teneramente, cercasse di rimettere il
figlio nell’antico grado d’onore; e quelli che
rimirano il Savonarola qual Santo, benchè non
poco si frammischiasse negli affari dello Stato, non posson riprender f Mariano, perchè
egli pure vi si ingerisse. Ma quanto alla malattia che il Burlamacchi gli attribuisce, io
non ne trovo indizio presso altri scrittori, i
quali ne raccontano in altra maniera la morte,
come ora vedremo. Narra il medesimo Nardi
(ib. p. 64), che l’an 1497 f Mariano dal
pontef Alessandro VI fu inviato a Costanzo
Sforza signor di Pesaro, perchè si riunisse [p. 1684modifica]lG84 LIBRO
con Lucrezia Borgia sua moglie) ma che fu
tra via vicino di quella terra invaligiato e rubato da' satelliti mandati da quel Signore, acciocché più oltre non andasse. Più fatale gli
riuscì un’altra ambasciata in cui l’anno seguente i4i)8 lu dallo stesso pontefice inviato a Federigo re di Napoli, per persuadergli a prendere in moglie un’ altra sua figlia. Perciocchè,
come narra Raffaello Volterrano (Com. Urbana.
l. 21), non essendo egli in ciò riuscito, ed
avvedendosi di non aver soddisfatto nè all’una
nè all’altra parte, e di avere perciò perduta
una bella occasione di grandi onori, troppo
sensibile all’amor della gloria, cadde infermo
per gran dolore, e morì in Tivoli. Gli scrittori
agostiniani però, citando i registri del loro
Ordine, il dicon morto non in Tivoli, ma in
Sessa, verso la metà di dicembre del 1498)Ed è certo in fatti che Mariano morì nel regno
di Napoli, come raccogliesi dal passo poc’anzi
accennato di Gioviano Pontano: qui nuper
maximo cum desiderio Cristianorum omnium,
Italiaeque praesertim totius, his in locis diem
obiens naturae concessit. Così finì di vivere in
età di soli 48 anni questo celebre oratore, di cui non possiamo ben accertare qual
fosse l’eloquenza e lo stile, poichè, come si
è detto, non ne abbiamo alla stampe i Sermoni. Ma comunque veggiam lodati da uomini
dotti molti oratori di questa età, delle cui
prediche appena possiamo sostener la lettura, parmi ciò non ostante che il Poliziano
non sarebbe andato tant’oltre in lodarlo, se
veramente ei non avesse avuto qualche non [p. 1685modifica]TERZO lG85
ordinario pregio nel favellare. Anzi io rifletto che
il sopraccitato scrittor della Vita del Savonarola racconta che Girolamo Benivieni cittadin
fiorentino, e amicissimo di questo famoso Domenicano, gli disse un giorno: Se V. P. havesse l' eloquenza di M. Mariano, non si troverebbe meglio di lei. Il che ci mostra che f
Mariano dagli amici stessi del Savonarola era
riputato più di lui eloquente. Or questi, come
ora vedremo, fu certamente uomo di gran forza
ed energia nel favellare, e possiamo quindi inferirne qual fosse quella di chi era creduto a
lui superiore.
X. Fra molti sacri oratori ch'ebbe in questo
secolo l’Ordin domenicano, io mi ristringo a
dir di due soli, cioè di Gabbriello Barletta e del
suddetto Savonarola. Intorno al primo nulla
possiamo aggiungere a ciò che ne hanno scritto
dopo altri Domenicani i pp’. Quetif ed Echard
(Script. Ord. Praed. t. 1, p. 844), e poscia il
co Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 1,
p. 372, ec.). Se egli fosse della famiglia Barletta, come alcuni sostengono, e nato in Aquino, o. se fosse così appellato dalla terra di
questo nome che avesse avuto a patria, non
è ben certo; ed incerte ugualmente son l epoche della sua vita. Solo veggiamo ch’ei fiorì
verso la fine di questo secolo, e che ottenne
nel predicare nome sì grande, che se ne fece
il proverbio: Nescit predicare, qui nescit Barlettare. Ma guai a predicatori de nostri giorni,
se essi prendessero a formarsi su un tal modello; così scipite e ridicole son le Prediche
stampate sotto il nome di questo autore, e atte
\.
Notizie di'
F. (jjbricll«*!
Barletta. [p. 1686modifica]i686 1.1 uno
bensì a far ridere, ma non mai a persuadere
e a compungere gli uditori. I suddetti scrittori
domenicani affermano che cotai Prediche sono
state per errore e per impostura attribuite al
Barletta; e Leandro Alberti singolarmente racconta (Ital. illustr. p. di aver conosciuto
egli stesso, mentre era giovine, colui che avendole composte, per accreditar le sue maggiormente, le pubblicò sotto il nome di quel famoso predicatore. Io non ho monumenti e
ragioni per confutare cotal racconto, e il credo
anzi sincero e certo. Ma ancorchè il Barletta
fosse veramente autore di que’ Sermoni, non
perciò verrebbe egli a perder della sua fama
più che tanti altri oratori di questo secolo nulla
di lui migliori. Fra gli abusi in esso introdotti,
uno era quello di sollevare dal pergamo le risa
fra gli uditori, quasi ciò fosse lo stesso che il
convertirli. E ne abbiamo esempj non solo in
Italia, ma in Francia ancora, ove celebri son
tuttora per cotali scempiaggini le Prediche del
Menot e del Maillard, e di altri che miglior
comparsa farebbono sul teatro che non sul pergamo. Le varie edizioni de’ Sermoni del Barletta, la più antica delle quali è del 1498 si
annoverano dal sopraccitato co. Mazzucchelli.
XI. Assai più celebre nelle storie è il nome
di f Girolamo Savonarola, sì per lo sconvolger ch’ei fece colla sua eloquenza tutta Firenze,
come pel funesto fine a cui essa il condusse.
Delle cose da lui operate, e delle vicende a cui
fu soggetto, son piene le storie tutte di quell’età, e quelle singolarmente di Jacopo Nardi,
di Francesco Guiccardini, di Paolo Giovio, di [p. 1687modifica]TERZO 1687
Bernardino Corio. Oltre il Burlamacchi nominato poc’anzi, Gianfrancesco Pico della Mirandola ne scrisse la Vita e l’Apologia, la quale
fu poi di nuovo pubblicata dal P. Quetif insieme con molti altri monumenti di quel tempo
appartenenti al Savonarola (a). Or dopo le fatiche di tanti scrittori noi ne sappiamo bensì
l’epoche e gli avvenimenti più ragguardevoli,
ma non è forse ancor possibile il difinire con
sicurezza, da quale spirito ei fosse condotto.
Accenniamone dapprima in breve le principali
notizie, e riserbiamoci a esaminarne poscia il
carattere e l’eloquenza. Era il Savonarola’, nato
in Ferrara nel 1452 da Niccolò figliuol di Michele celebre medico col;» chiamato da Padova, di cui abbiamo a suo luogo parlato. L’avolo prima e quindi il padre furon solleciti di
farlo istruire ne’ buoni studj, ne’ quali egli felicemente si avanzò. Abbandonata poscia segretamente la casa paterna, e recatosi a Bologna,
ivi l’an 1476 vestì l’abito di S. Domenico.
Alcuni anni dopo cominciò a salire sul pergamo
in Firenze, ma con sì poco felice successo,
che determinossi a correre tutt’altra carriera.
La fama nondimeno in cui era d’uomo dottissimo, fece che Lorenzo de’ Medici il richiamasse a quella città, ove l’anno 1diè di
nuovo principio alla predicazione, e con esito
sì diverso dal primo, che la chiesa di S. Marco
(n) Una nuova Apologia del Savonarola ci ha data
di fresco il P. Guglielmo Unitoli domenicano aggiunta
alla \ita di S. Antonino, da lui pute composta e stampata in Firenze nel 1782. [p. 1688modifica]i683 uuno
non era abbastanza capace a contenere il gran
popolo che accorreva ad udirlo. Ma fra gli applausi co’ quali eran da molti accolte le sue
prediche, cominciaron presto a mischiarsi contraddizioni ed accuse. Ei prese a parlare in
tuon di profeta; e la riforma che far doveasi
nella Chiesa, e i flagelli che soprastavano all’Italia, e principalmente a Firenze, eran sovente l’argomento dei’ suoi sermoni. Quindi se
molti il rimiravano come uom dal Cielo ispirato, molti o il deridevano come fanatico, o
lo sfuggivano come impostore. A ciò si aggiunse
la ni./icizia che si accese tra lui e Lorenzo de’
Medici. Perciocchè il Savonarola fatto prior di
S. Marco ricusò di andare a fargli visita secondo il costume, e quando Lorenzo veniva a
S. Marco, Girolamo ne schivava l’incontro; anzi
si narra che gli predicesse la morte, e la caduta di Pietro di lui figliuolo. Lorenzo, benchè
avesse grande stima del Savonarola, mal volentieri però soffriva ch’ ei si mostrasse nimico
dell’ autorità e dell’ onore di cui egli godeva
nella Repubblica. Non è perciò maraviglia che
tutti gli amici e i fautori di Lorenzo fosser nimici di f Girolamo, e che tutti coloro che
odiavan Lorenzo, levassero il Savonarola fino
alle stelle. Assai maggiormente crebbe il calore
de’contrarj partiti dopo la morte di Lorenzo,
e dopo le vicende da noi accennate di Pietro.
Le prediche del Savonarola avean allor per oggetto più il governo popolare da introdursi in
Firenze che il Regno di Cristo, e frattanto ei
non cessava d’inveire contro gli abusi nella
Chiesa introdotti, e contro la curia romana, [p. 1689modifica]terso iG8y
biasimando apertamente gli scandali che in essa
vedeansi a’ tempi di Alessandro VI Nel che ei
si lasciò trasportare tant’oltre, che, come narra
lo stesso Burlamacchi scrittor devotissimo del
Savonarola, scrisse a Principi Cristiani, come
la Chiesa andava in ruina, et che però dovessin fare, che si ragunasse un Concilio, nel
quale voleva provare la Chiesa di Dio esser
senza capo, et che chi risedeva non era vero
Pontefice, nè degno di quel grado, nè anco
Cristiano (Miscell. Baluz. t. 1, p. 551, ed.
Lucens.). In fatti il già citato monsig Mansi
ha pubblicate due lettere (ib. p. 584) su <Pe~
sto argomento dal Savonarola inviate l’ una all’imperadore, l’altra al re e alla regina di Spagna. Queste lettere, di cui giunse copia al
pontefice, finirono d innasprirlo contro del loro
autore. Scomunicollo adunque, e la scomunica
contro di lui fu solennemente promulgata nel
duomo di Firenze. Ma il Savonarola non perciò si ristette, e protestando di nullità contro
la scomunica, continuò a predicare. Il foco
della civile discordia si fece allora sempre più
vivo, e ogni giorno si eccitavano in Firenze
tumulti e scompigli dagli amici non meno che
da’ nemici di f Girolamo. Tra gli stessi suoi
frati avea egli molti e potenti avversarj a cagione della riforma da lui introdotta in S. Marco
e in alcuni altri conventi dell’Ordin suo, cosa,
come suole avvenire, che presso alcuni gli avea
conciliata stima ed amore, presso altri invidia
ed odio. Ma più di tutti gli si rivolsero contro
i Minori Osservanti che pubblicamente inveivan
dal pergamo contro al Savonarola, chiamandolo
Tuuboschi, Voi. IX. 3o [p. 1690modifica]i6yo ututo
eretico e scomunicato. E si giunse a tal segno,,
che fu proposto da una parte e dall altra di
rinnovare gli esempi dell antica e barbara superstizione della pruova del fuoco. Ma comunque ciò più volte si progettasse, non mai si
venne all’effetto, e or gli uni, or gli altri trovavan sempre qualche pretesto per sottrarsi a
si pericoloso cimento. I magistrati che si andavan sovente cambiando, erano or favorevoli,
or contrarj a f Girolamo; ed egli era costretto
ora a tacere, ora a parlare, secondo l animo
e il voler loro. Finalmente nella domenica delle
Palme del 1498 i nimici del Savonarola affollatisi con gran tumulto intorno a S. Marco,
dopo una lunga zuffa, in cui gli stessi novizj
dieder gran pruova di valore e di coraggio
guerriero, egli con f Domenico da Pescia e
f Silvestro Maraffi! fu condotto prigione, e tutti
tre dopo lunghi esami e replicate torture, per
opera singolarmente de’ due commissarj apostolici mandati a tal fine da Roma, furono condannati, come eretici, ad essere pubblicamente
appiccati e poscia arsi. La sentenza fu eseguita
a 23 di maggio del detto anno innanzi a un’immensa folla di spettatori, che come prima,
così anche in quell’ estremo, divisi di sentimenti, altri il veneraron qual Santo, altri il
detestaron come ipocrita e seduttore (*).
(¥) I11 questo (ducale archivio conservansi alcune lettere del duca Ercole I scritte al Savonarola, e alcune
del Savonarola al duca, e più altre di Manfredo Manfredi al duca medesimo, nelle quali gli dà ragguaglio
delle cose che intorno al Savonarola accadevano in Elici.ze, ose era il Manfredi; e molti altri monumenti
intorno ad esso conservansi nella libreria Nani di Venezia. [p. 1691modifica]TERZO iGy*
XII. Tal fu la vita e la morte di f Girolamo
Savonarola, a cui non v’ebbe, nè sarà forse
giammai orator che si possa paragonare in ciò
che appartiene a commovere colla sua eloquenza un popolo intero, e a divenir l’oggetto
non sol de’ discorsi, ma ancor delle gare e delle
discordie dei’ cittadini. Io ne ho ragionato finora senza adottare nè i miracoli che i suoi
fautori gli attribuiscono, nè le accuse di cui
l aggravano i suoi nemici, ma sol narrando
ciò in che tutti convengono concordemente.
Col morir di Girolamo non cessò quello spirito
di partito, che lui vivente erasi acceso. Molti
hanno scritto impugnandone la dottrina e le
profezie; molti con dotte apologie si sono sforzati di difenderlo e di sostenerlo. Io avrei bramato d’investigare, come meglio mi fosse probabile, il vero, e di esaminare una sì intralciata
quistione senza parzialità e prevenzione. Ma
come farlo? Gli scrittori contemporanei sono
anch’essi divisi, nè possiamo sì facilmente decidere a chi debbasi fede. Tal cosa si afferma
dagli uni, dagli altri si nega; e tutti giurano
di dirci il vero. Secondo gli uni, il Savonarola
è un profeta, un apostolo, un martire, un
taumaturgo. Secondo gli altri, egli è un eretico,
un ambizioso, un fanatico, un impostore. A chi
crederem noi? In mezzo a tai tenebre e a tale
incertezza io sarei temerario se volessi pronunciar giudizio di sorta alcuna. Io non mi
unirò a primi, nè venererò il Savonarola qual
Santo. Un uomo che sì fieramente si scaglia
contro il romano pontefice, e pubblicamente
gli rinfaccia i suoi vizj veri pur troppo, ma [p. 1692modifica]l(x)2 LIBRO
che rispetto alla sua dignità doveano quanto
più si potesse nascondersi agli occhi del volgo; un uomo che ardisce di eccitar i popoli
a negar l’ubbidienza allo stesso pontefice, a
rimirarlo come simoniaco ed eretico, e a gittarlo dalla cattedra su cui è assiso; un uom
che si ride della scomunica contro di sè fulminata, e giugne a dire dal pergamo, come
narra lo scrittor della Vita, Che Dio lo mandasse all Inferno, se mai chiedeva l assoluzione; un uom religioso che tratta dal pergamo
gli affari di Stato, e vuol esser arbitro nella
forma che introdur deesi nel governo; un uom
tale, io dico, a me non sembra che possa proporsi per modello di santità, finchè la Chiesa,
a cui ne appartiene il giudizio, non si faccia
a decidere ch’egli ha operato per singolare e
straordinaria ispirazione di Dio. Ma io mi arresterò
ancora dal dirlo eretico ed impostore, finchè
tal nol dichiari la Chiesa stessa. Più volte innanzi ai’ sommi pontefici è stata chiamata ad
esame la dottrina che il Savonarola insegna
nelle sue prediche e nell’ altre sue opere. Niuna
sentenza si è ancor pronunziata, e solo alcune
prediche ne sono state inserite nell’Indice de’
libri proibiti, ma senza tacciarle come infette
di errori contro alla fede. Rispettiam dunque il
silenzio che su ciò tiene la Chiesa, e non seguiamo l’esempio nè di coloro che troppo arditamente ripongono il Savonarola nel numero
de’ martiri e de’ profeti, nè di coloro che il
rimirano come impostore; ma lasciamo a chi
s’ appartiene il proferito giudizio. [p. 1693modifica]TERZO *693
Xin Più volentieri io entrerò a cercare di
qual indole fosse l eloquenza del Savonarola,
che il rendette allora sì caro a’ suoi partigiani,
e sì formidabile a’ suoi avversarj. Or se in altri oratori abbiamo osservato che l’applauso
con cui furono uditi, e il frutto che trassero
da’ lor sermoni, deesi attribuire a tutt’ altro
che a una vera e ben regolata eloquenza; nel
Savonarola al contrario dobbiamo confessare che
si vede una forza e un’energia di favellare, che
non è a stupire se ei mettesse co’ suoi sermoni a rumore le intere città. Ei non ha al
certo nè una giusta divisione del suo argomento,
nè un ordinato progresso di raziocinio, nè sceltezza di espressioni, nè eleganza di stile. Ma
a quando a quando egli inveisce e tuona con
sì gran forza, che sembra un fulmine. Rechiamone qualche tratto per prova, in cui io non
farò che leggerissimi cambiamenti, perchè la
rozzezza della lingua non ne sminuisca la forza:
Ora vedete, dice egli parlando dell’Esodo nella
predica del primo di quaresima, se questo libro
vi pare a proposito, e che parli appunto dei'
tempi nostri e delle nostre persecuzioni. Ma
perchè io non voglio essere stamane più lungo,
vi dirò una parola, e manderovvi a casa. Che
vuoi tu dire, frate? che parola sarà questa?
Io ti vorrei dire miglior novella, che non ho:
non si può far altro: stanotte non abbiamo
avuta miglior novella che questa. A voi buoni,
e che siete retti di cuore, dico sempre bene.
Non dubitate voi buoni, che ’l Signor sempre
vi farà bene. Popolo fiorentino, io dico a' cattivi. Tu sai ch’ egli è un proverbio che dice:
XIII
Qual fosse la sua eloquente. [p. 1694modifica]1694 LIBRO
propter peccata venuint adversa, cioè che per
peccati vengono le avversità. Va, leggi. Quando
il popolo ebreo faceva bene, e ch era amico
di Dio, sempre avea bene. Così al contrario
quando metteva mano alle scelleratezze, Dio
gli apparecchiava il flagello. Firenze, che hai
fatto tu? che hai tu commesso? Dove ti trovi
tu con Dio? Vu,oi tu ch io te lo dica? Ohimè '
egli è pieno il sacco: completa est malitia: la
tua malizia è venuta al sommo. Firenze, egli
è pieno. Aspetta, aspetta un gran flagello. Signore, tu mi sei testimonio, che co miei fratelli mi sono sforzato di sostenere colle orazioni
questa piena e questa ruina. Non si può piìu
Abbi am pregato il Signore, che almen converta
questo flagello in pestilenza. Se abbiamo o no
impetrata la grazia, tu te ne avvedrai. Ognun
si confessi, ognun stia sempre preparato a quello
che vorrà fare il Signore, ec. Questo trattorecitato con enfasi da uno ch era presso molti
in concetto di gran profeta, qual impressione
non doveva far nell’animo di chi l’udiva? Più
tenero ancora e più patetico è il tratto con
cui finisce la predica del sabato dopo la seconda domenica di quaresima. Dopo aver lungamente pregato Dio a convertire i peccatori
indurati, così conchiude: Io non posso più:
le forze mi mancano: non dormi più, o Signore,
su quella croce, esaudisci, Signore, queste orazioni, et respice in faciem (,'Christi tui. O Vergine gloriosa, o Santi, o Beati del paradiso,
o Angioli, o Arcangeli, o Corte tutta del Cielo,
pregate per noi il Signore, che più non tardi
ad esaudirci. Non vedi tu, o Signore, che [p. 1695modifica]t
TERZO
questi cattivi uomini ci dileggiano, si fanno beffe
di noi, non lascianfar bene a tuoi servi?. Ognun
ci si volta in deriso, e siam venuti l’obbrobrio del mondo. Noi abbiam fatta orazione,
quante lagrime si sono sparse, quanti sospiri?
Dov è la tua provvidenza, dov è la bontà tua,
la tua fedeltà? Age, fac Domine, et respice
in faciem Christi tui. Deh non tardate però,
o Signore. acciocchè il popolo infedele, e tristo
non dica: Ubi est Deus eorum. dov è il Dio
di costoro che tante penitenze han fatto, tanti
digiuni...? Tu vedi che i cattivi ogni giorno
divengon peggiori, e sembrano ormai divenuti
incorriggibili. Stendi, stendi dunque la tua mano,
la tua potenza. Io non posso più, non so più
che mi dire, non mi resta più altro che piangere. Io mi voglio sciogliere in lagrime su questo pergamo. Non dico, o Signore, che tu ci
esaudisca pe nostri meriti, ma per la sua bontà,
per amor del tuo figlio: respice in faciem Christi tui... Abbi compassione delle tue pecorelle.
Non le vedi tu qui, tutte afflitte, tutte perseguitate? Non le ami tu, Signor mio? non venisti tu ad incarnarti per loro? Non fosti tu
crocifisso e morto per loro? Se a questo effetto io non son buono e a quest' opera, tolle
animam meam, toglimi di mezzo, o Signore,
e mi leva la vita. Che han fatto le tue pecorelle ^ Esse non han fatto nulla. Io sono il
peccatore; ma non abbi riguardo, o Signore,
a’ miei peccati, abbi riguardo, una volta alla
tua dolcezza, al tuo cuore, alle tue viscere,
e fa pruovare a noi tutti la tua misericordia.
Misericordia, Signor mio. Io non mi maraviglio [p. 1696modifica]XIV.
In qual lingua allora si
predicasse.
1B9G LIBRO
ili ciò che 1’ editor qui soggiunge, cioè che a
tali parole gli uditori tutti proruppero in dirotto
pianto e in altissima grida, talchè il predicatore piangendo egli pure dovette scender dal
pergamo. Aggiungasi che queste prediche furono scritte, quali le abbiamo, non dal medesimo Savonarola, ma da alcun di coloro che
le udivano; e quindi oltre ciò che la viva voce
dell’ oratore dovea loro aggiungere, esse non
ci son pervenute probabilmente che tronche e
mancanti. Ma ancora quali esse si sono, si passono considerare a ragione come le più eloquenti che in questo secolo si vedessero. Oltre
i più tomi di esse, abbiamo ancora molte altre
opere del Savonarola, parte ascetiche, parte
scritturali, parte teologiche, parte apologetiche
in difesa di se medesimo e delle sua profezie.
I PP. Quetif ed Echard ce ne han dato un
ampio ed esatto catalogo (Script Ord. Praed.
t. 1, p. 885)). Ad esso però si debbono aggiugnere le due lettere mentovate poc’ anzi, pubblicate con alcune altre da monsig Mansi,
ed altri diversi opuscoli, dei’ quali si fa menzion nel Catalogo della libreria Capponi. Oltre
le Apologie che del Savonarola già pubblicarono
Domenico Benivieni, Gianfrancesco Pico, il
P. Tommaso Neri domenicano, e più altri, è
degna ancora d’ esser letta quella che dopo
tutti ne ha fatto il ch. sig. Giannandrea Barotti
(Difesa degli Scritt ferrar, par. 2, cens. 8),
rispondendo a ciò che aveane scritto nella sua
Biblioteca monsig. Fontanini.
XIV. Questi furono i più illustri predicatori
ch’ebbe in questo secol! l'Italia, per tacer di
« [p. 1697modifica]TERZO 1G97
molti clic similmonlii polrebbonsi annoverare,
come Antonio da Bitonto francescano, Pier Geremia domenicano, Battista Panezio ferrarese
carmelitano, il S. patriarca Lorenzo Giustiniani
e più altri, de’ quali, per non allungarmi di
troppo, lascio di favellare. Ma prima di finir
questo capo, dobbiam qui ricercare in qual
lingua si solesse nel corso di questo secolo
predicare al popolo. Abbiam già altrove esaminata questa quistione (t. 4, p.481), e abbiam
riferite le convincenti ragioni con cui Apostolo
Zeno ed altri scrittori han rigettata l opinione
del suddetto monsig Fontanini, che fino a
tutto il secolo xv non fosse lecito nelle chiese
predicar volgarmente. Alle incontrastabili pruove
con cui il Zeno si fa a combatterla, tratte appunto dalle Prediche di f Roberto da Lecce
e di f Girolamo da Ferrara, moltissime delle
quali furono certamente e scritte e dette in lingua italiana, io aggiugnerò la testimonianza di
uno scrittore che non ammette eccezione, e
che decide la cosa sì chiaramente, che sembra
non rimaner luogo a disputarne più oltre. Egli
è il celebre Aurelio Brandolini da noi nominato
con lode tra’ poeti non meno che tra’ predicatori. Questi adunque nella prefazione a suoi
libri de Arte se ribendi, da lui scritti prima di
entrar nell'Ordine di S. Agostino, così espressamente afferma: Conciones quoque patria fere
oratione pronunciantur: paucae admodum aut.
Sanctorum aut defunctorum laudationes latina
lingua habentur; atque hae quoque ab illa veteri oratoria in novam quamdam et barbaram
consuetudinem ab his, quos Fratres appellamus, [p. 1698modifica]1G98 LIBRO
cornmutatae sunt Verso h» fine del secolo xy
1' uso di predicare in lingua italiana divenne
universale, talchè la latina cominciò ad essere
dimenticata, e fu poscia totalmente sbandita
da’ sacri pergami.