Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VI/Parte III/Libro III/Capo VI

Capo VI – Eloquenza

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[p. 1660 modifica]iGGo LIBRO Capo VL Eloquenza. I. Al gran numero (di professori di belle lettere che’ebbe in questo secol l'Italia, e all’ingegno e al i alore di molti tra essi, ci potremmo persuader facilmente che corrisponder dovesse un ugual numero di eloquenti oratori. A dir vero però, noi troviamo bensì tra le opere del secolo xv molte orazioni dette in occasione di nascite, di nozze, di funerali, di vittorie, o di altri memorabili avvenimenti, e moltissime ne abbiamo accennate nel corso di questa Storia. Ma io non so se alcuna ne abbia tra tante la quale si possa proporre a modello di giusta e ben formata eloquenza Non solo il loro stile non è per lo più molto elegante, ma appena mai vi si vede un saggio compartimento della materia, una bene intrecciata varietà di figure, un ordinato progresso di raziocinio; e l’arte di eccitare gli affetti sembra che non fosse ancor conosciuta. Le orazioni funebri singolarmente altro non sono che un compendio della vita di que’ personaggi nelle cui esequie furono recitate. Nè è difficile l’ intendere onde ciò avvenisse. Tutti gli studiosi dell’amena letteratura erano in questo secol rivolti a discoprire, a confrontare, a correggere, ad illustrare con comenti i codici degli antichi. Pesatasi ogni loro parola; si spiegavano l’ allegorie e le favole da essi accennate; si facean ricerche sul loro stile [p. 1661 modifica]TERZO iGGl e sulla loro sintassi, perchè questo era, per così dire, lo studio alla moda. E frattanto poco, o nulla si rifletteva a’ precetti e agli esempi, che in essi abbiamo, di perfetta eloquenza. Aggiungasi, che a divenire eloquente oratore non vi era stimolo di ricompensa, o di premio. L uso di perorare ne’ tribunali in favore dei’ rei non era introdotto. Non v’ erano adunanze di popolo, da cui dipendesse la decisione di gravi affari, e cui perciò convenisse persuader con parole. Le allocuzioni militari furon sempre più proprie degli scrittori di storia, che dei generali d’ armata. Solo in occasione di alcune solenni pompe potevano gli oratori far mostra della loro eloquenza; ma nè queste eran molto frequenti, nè eran tali comunemente che potessero in essi destar grandi speranze. Quindi non è maraviglia che l’eloquenza civile si rimanesse languida e fredda, e che non si possa mostrare nel corso di questo secolo una sola orazione degna di un valoroso oratore. II. Assai migliore, almen quanto alla fama che alcuni per essa ottennero, fu la sorte dell’eloquenza del pergamo; e maggiori in fatti eran gli stimoli che per essa si aveano. Oltre lo spirito di religione che anima ed infiamma coloro che ne sono compresi, il vedere una immensa folla di popolo pender immobile della sua bocca, investirsi di quegli affetti che più gli piace, piangere, fremere, rallegrarsi, com egli vuole, è un troppo dolce incentivo a un sacro oratore, per usar di ogni sforzo a giunger alla perfezion di quest'arte, che può renderlo it. Carili rr;» degli ora luti sacri. [p. 1662 modifica]I (itl'J I.IRRO un giorno signor dei’ cuori ed arbitro delle città E molti ebbe veramente in questo secol l'Italia, che furon creduti oratori poco men che divini, e che della loro predicazione raccolsero non solo applausi, ma frutti non ordinari nell estirpazione dei vizi e delle civili discordie. Ma qui ancora ci si offre a esaminar cosa di assai difficile scioglimento. Noi leggiamo gli elogi con cui parlano di alcuni sacri oratori di questo secolo, non solo i volgari e rozzi scrittori, ma i più colti ancora. Per altra parte abbiam sott’occhio le prediche di questi medesimi oratori, e per lo più non sappiamo vedere in essi ombra o idea alcuna di quell’ eloquenza per cui son tanto lodati. Si leggan le Prediche di S. Bernardino da Siena, di F. Roberto da Lecce, del B. Alberto da Sarziano, di F. Michele da Carcano e di più altri, de quali ci narrano gli scrittori di que’ tempi, che traevano ad udirli le città e le provincie intere; e poi si giudichi se convenga loro il nome di orazioni eloquenti. Esse altro non sono comunemente che aridi trattati di scolastica, o di morale teologia, pieni di citazioni di autori sacri e profani, ove veggiamo accoppati insieme s’Agostino con Virgilio, e S. Giovanni Grisostomo con Giovenale. La forza della loro eloquenza tutta riducesi ad alcune esclamazioni, alle quali si aggiugne talvolta la descrizione de’ vizj che allor regnavano, tale che ora ci farebbe scoppiar dalle risa, e allora faceva prorompere gli uditori in dirottissimo pianto. Ciò che abbiam detto altrove (t 4, p- 704.ee.) parlando de’ predicatori del secolo XIII, cioè che il frutto [p. 1663 modifica]TERZO lGG3 ila essi raccolto doveasi più alla venerazione in cui erano presso i popoli per la santità de’ loro costumi, e alle ferventi loro preghiere, che all’arte della loro eloquenza, dee aver luogo qui ancora. Non tutti però i sacri oratori di questo secolo ebber fama d’uomini santi; e convien perciò ricercare altra origine dell’applauso di cui veggiamo ch’ essi furono onorati, E io credo ch’essi ne fossero debitori in gran parte agli esterni loro talenti. Una voce soave e canora, una forte declamazione, un gesto e un atteggiamento vivo ed energico ha gran potere sul popolo. Noi il veggiamo anche ai’ dì nostri, in cui per altro si hanno idee tanto migliori dell’ eloquenza. E molto più dovea ciò accadere a que tempi tanto più rozzi. Oltre di che, come il gusto e la moda che regnava nel secolo scorso, facea udir con applauso le freddissime allegorie e le strane metafore allora usate, e che or non si odono senza sdegno, così allora facea rimirare come orator prodigioso chi sapeva accozzare insieme trecento testi di vari autori, e riunire ciò che sinallora era stato detto da tutti su un tale argomento. Ciò non ostante non dobbiam qui passare sotto silenzio alcuni di quelli che in ciò giunsero a maggior fama, e molto più che sugli ultimi anni di questo secolo sorsero alcuni ne’ quali si cominciò a veder qualche idea di quella robusta e popolare eloquenza che avea già operati sì gran prodigi in Atene e in Roma. III. S. Bernardino da Siena fu ne’ primi anni di questo secolo uno de’ più famosi predicatori che avesse l’Italia. Gli scrittori della storia [p. 1664 modifica]lG64 MURO ecclesiastica e delle Vite de’ Santi hanno di hi parlalo abbastanza; e io posso perciò rimettere ad essi chi brama di saperne la vita. Ma non debbo ommettere ciò che appartiene al concetto in cui egli era presso anche i più dotti uomini di quell’età. Egli era stato discepolo del celebre Guarin Veronese. Così ci assicura Timoteo Maffei canonico regolare in una sua opera inedita dedicata a Niccolò V, e intitolata in sanctam Religionem litteras impugnantem. da cui l’ab. Mehus ha tratto l’ elogio ch’ ei fa di S. Bernardino (Vita Ambr. camald. p. 384'E io il recherò qui volentieri tradotto nella volgar nostra lingua, perchè oltre le lodi di esso, contiene ancor quelle di un altro eloquente oratore, cioè del B. Alberto da Sarziano, di cui abbiamo altrove veduto con quanto applauso esercitasse l’apostolico ministero (t. 6, par. 1, p. 261). Ciò ben intesero, dic egli, Bernardino uomo santissimo e onor dei' predicatori del nostro tempo, e Alberto da Sarziano eloquentissimo banditore della divina parola, che la morte ci ha crudelmente rapito ne’ giorni scorsi. Essi ebbero a lor maestro in questi studj il nostro Guarin Veronese uomo di rara eloquenza, e quanto bene fosser da lui istruiti e formati nell arte rettorica, ne è testimonio tutta l Italia, e coloro singolarmente che dalla loro eloquenza furon persuasi a lasciare il mondo e a sottoporsi al giogo della regolare osscn’anza. Pareva che uscissero dalla lor bocca mele, gigli e viole ad abbellire la verità; talchè essi erano l’ oggetto della comun maraviglia e de’ discorsi degli uomini. Degnissime ancora d’esser» [p. 1665 modifica]TERZO »065 Jetle sono tre lettere di Ambrogio camaldolese. La prima (l. 2, ep. 39) è scritta al medesimo Santo; e in essa caldamente il prega e scongiura a non accettare la profertagli dignità vescovile, rappresentandogli il danno che ne avrà tutta l’Italia, quando egli cessi dall’ annunciare la divina parola; e in fatti non allor solamente, ma più altre volte ricusò Bernardino cotali onori, a cui la stima e la divozion de’ popoli e de’ romani pontefici volea innalzarlo. Nella seconda ch è scritta al B. Alberto da Sarziano (ib. ep. 40), e nella terza scritta a un anonimo (ib. ep. 41)? descrive lungamente Ambrogio il grandissimo frutto che dalle sue predicazioni ritraea S. Bernardino, la persecuzione che contro di lui erasi sollevata in Roma, ove innanzi al pontef Martino V dovette l’an 1427 difendersi dalle accuse che contro la sua dottrina si producevano, singolarmente per le tavolette segnate col nome di Gesù, da lui solite a distribuirsi; e la solenne vittoria che ei riportò nella decisione pienamente a lui favorevole del romano pontefice. Ei fu ancora carissimo e a Francesco Barbaro (V. Agostini, Scritt. venez. t 2, p. 49) e a Bernardo Giustiniani che con somma lode ne parla in una sua lettera (Bern. Justin. ep. 22). Ma bello singolarmente è l’elogio che ne fa Bartolommeo Fazio, uomo erudito per l'una parte, e per l’altra non divoto a tal segno che possiam dirlo ingannato da una pietà troppo credula: Siena, dic egli (De Viris ill. p. 41, ricevette non poco onore dal suo Bernardino teologo e filosofo. Questi a memoria nostra fu in concetto [p. 1666 modifica]IGG6 I.IBRO d noni grande e maraviglioso nel predicare. Ovunque egli ne andasse. traeva a sè tutto il popolo. Fu eloquente e forte, nel ragionare, d incredibil memoria, di tal grazia nella pronuncia, che. non mai destava sazietà negli uditori; di voce, sì robusta e durevole, che non gli venia mai meno, e, ciò ch è più ammirabile in una grandissima folla di popolo era udito ugualmente e colla stessa facilità dal più lontano che dal più vicino. Molti col suo parlare ei sollevò dalla feccia, in cui giacevano. de’ vizi; recò soccorso ed aiuto alle anime di molti, e molti trasse dal secolo alla Religione. Pe quali meriti, e per l innocenza della sua vita e santità dei’ costumi, da Niccolò V fu annoverato tra’ Santi. IV. Nè però mancarono a S. Bernardino avversarj e nemici in gran numero, come già si è accennato. Abbiamo altrove veduto (sup. c. 5, n. 26) che Francesco Filelfo, mentre il Santo predicava in Milano, ardì di motteggiarlo e deriderlo. Poggio fiorentino, dalla cui maldicenza pochi andarono immuni, lui ancora prese di mira, ma nell'atto medesimo di accusarlo, ei non seppe negarli la lode di una rara eloquenza. Egli introducendo a parlare Antonio Losco, Cincio romano e Bartolommeo da Montepulciano (Dial. de Avariti a, sub int), fa loro dire che Bernardino, il quale allora predicava in Roma, era il più eloquente e dotto oratore che si fosse udito; ch era singolarmente maraviglioso nel persuadere e nell’eccitare gli affetti, enei muovere il popolo or alle lagrime, or, se l argomento chiedevalo, alle risa; ch era a bramarsi ch’egli non partisse giammai da Roma; [p. 1667 modifica]TERZO 1667 perciocché gran vantaggio nvoa ei recato a quel popolo coll’ emendarne i vizj e col sedarne le interne gravissime dissensioni. Ma poscia suggiugne ch’ egli e gli altri predicatori eran degni di biasimo, perchè eran più avidi della propria lode, che dell altrui frutto; che cercavano anzi di riscuoter gli applausi del volgo, che di correggere i vizj; e rimprovera singolarmente a S. Bernardino, che non avesse mai predicato contro gli avari, ma una volta sola contro gli usurai, e ciò più coll’eccitare le risa contro di essi, che con destare orror di tal vizio. Nella quale accusa chi non vede la contraddizione e l’incoerenza? Esaltare il frutto che il santo predicatore ha tratto dai’ suoi sermoni, e poi biasimarlo, perchè non cerca il frutto de’ suoi uditori, ma sol le sue lodi. Ma non è a stupire che Poggio e nel detto passo, e ancora in una sua lettera ove riprende il culto da s Bernardino introdotto al nome di Gesù (ad calc, de variet Fortunae), seguisse il suo usato costume di mordere, comunque potesse, gli uomini ancor più saggi e più dotti. Più strano sembrerà forse che anche uomini per pietà e per saper ragguardevoli credesser degno di biasimo il metodo di predicare seguito da S. Bernardino, e la dottrina da lui insegnata, e gli movesser contro guerre ed accuse. Ne è pruova il solenne esame a cui la sottopose il pontef Martino V, e da cui, come si è detto, il Santo uscì vincitore. Fra quelli che più caldamente inveirono contro di lui, fu il celebre Andrea Biglia agostiniano, di cui parlato abbiam tra gli storici. Il Muratori ragiona (Script. rer. ital. [p. 1668 modifica]iGG8 Linno voi. 19, p. 4) di un’ opera inedita che se ne conserva nella biblioteca Ambrosiana, intitolata De institutis, discipulis, ac doctrina Fra tris Bernardini Ordinis Minorum, in cui ne loda bensì la santità e i costumi, ma ne riprende severamente il metodo di predicare, la novità da lui introdotta del nome di Gesù, e gli scandali che dalle prediche di esso e de’ suoi discepoli sovente nascevano. Ma ella non è cosa nuova che anche tra le persone che professan pietà, sorgan rivalità e discordie; e se S. Bernardino ebbe in questo Agostiniano un potente nimico, in un altro dello stesso Ordine trovò non men potente sostenitore, cioè in Paolo Veneto, come altrove abbiam detto. L’ ab. Mehus attribuisce ancora (Vita Ambr. camald. p. 1) a S. Bernardino la gloria di essere stato un dei’ primi ricercatori de’ codici antichi. Ma non veggo su qual fondamento ei lo asserisca..Morì il Santo nell’Aquila nell’Abbruzzo a’ 20 di maggio del 1444 e se ne hanno le opere che son sermoni e trattati ascetici e morali in più edizioni, fra le quali l’ ultima e la più copiosa è quella fatta nel 1745 in Venezia in 5 volumi in foglio. Intorno a’ Sermoni di esso, e della loro eloquenza abbiam già veduto ciò che debba pensarsi; e ciò che si è allor detto generalmente, deesi intendere di quasi tutti gli oratori di questo secolo. V. L’ esempio di S. Bernardino eccitò molti altri nel suo Ordine de’ Minori Osservanti a imitarne lo zelo e a seguirne gli esempi. Il b Alberto da Sarziano, da noi nominato poc’anzi, all'udirne le prediche in Trivigi si [p. 1669 modifica]TERZO tCGg determinò a correre egli ancora la stessa carriera (Alb. de Sart. Op. p. 177). Da amendue questi ministri evangelici fu persuaso ad intraprendere le fatiche medesime f Michele da Carcano milanese, di cui pure si hanno molti Sermoni alle stampe. Gli scrittori del suo Ordine e l’Argelati (Bibl. Script, mediol. t. 1, pars 2, p. 303) parlano a lungo delle grandi cose da lui operate a pro delle anime, del favore di cui egli godette presso il duca Francesco Sforza e presso Galeazzo Maria di lui figliuolo, benchè questi una volta lo esiliasse da tutti i suoi Stati, ne’ quali però gli permise fra poco di far ritorno, degli spedali e delle altre opere di pietà, delle quali egli fu autore, e della stima in cui fu presso tutti di eloquente e zelantissimo oratore. L’Argelati sostiene che diverso da lui sia un altro f Michele da Milano ib. t. 2, pars 1, p. 925) dello stesso Ordine, che visse al tempo medesimo, cioè fin verso la fine di questo secolo, e di cui pure si hanno alla luce molti Sermoni. Ma a me sembra che non vi sia bastevol ragione a distinguere l’uno dall’altro, e ch’essi non sieno verisimilmente che un sol personaggio. Scolaro e correligioso del Carcano fu f Bernardino de Busti milanese, di cui si posson vedere le opportune notizie presso il suddetto Argelati (l. c. t. 1, pars 2, p. 244)3 >1 co. Mazzucchelli Scritt. ital. t 2, par. 4, p. 2464, ec.) e il Sassi (Hist. typ. mediol. p. 353). Quest’ultimo scrittore con sicuri monumenti dimostra ch’ei non morì già nel 1480, come molti hanno scritto, ma che vivea ancora nel 1497, e forse [p. 1670 modifica]167O LIBRO ancora alcuni anni dopo. Gli stessi autori annoverano le molte opere di diversi argomenti che se ne hanno alle stampe, fra le quali veggiamo ancora alcune poesie italiane e latine. Ei fu udito con grande applauso in molte città d’Italia. Ma il leggerne ora i Sermoni, in vece di destarci a pietà e a compunzione, ci muove alle risa, non solo pel rozzo stile, ma ancora per le puerili semplicità e pe’ ridicoli racconti di cui son pieni. Celebri ancora per la loro eloquenza, ma più pel loro zelo e per le loro virtù, furono S. Giovanni da Capistrano e il s. Bernardino da Feltre dello stesso Ordine. Ma del primo abbiamo parlato altrove (par. 1, p. 271). Del secondo abbiam sol pochi Sermoni alle stampe, ma il troviamo esaltato dagli scrittori di que’ tempi con elogi somiglianti a quelli co quali abbiam udito lodare S. Bernardino da Siena, ed altri più famosi banditori della divina parola. VI. Niuno però forse vi ebbe tra i discepoli e seguaci di S. Bernardino da Siena, che fosse in tutta l’Italia più celebre di f Roberto Caraccioli natio di Lecce nel regno di Napoli. Egli non lo ebbe veramente a suo maestro, anzi nol vide mai, com’ egli stesso ci assicura in una sua orazione in lode di questo Santo, ma i Sermoni di esso furon l’oggetto del suo studio e il modello su cui si venne formando. Di lui, oltre ciò che ne hanno gli scrittori francescani, ha scritta lungamente la Vita l’ ab. Domenico de Angelis stampata in Napoli l’an 1703. Ei nacque in Lecce dalla poc’anzi accennata nobilissima famiglia l’anno »4a5, c [p. 1671 modifica]TERZO 167I fatti i primi studj in Nardò, entrò in età giovanile nell’Ordine dei’ Minori Osservanti, e accintosi assai presto all’evangelica predicazione, giunse in pochi anni a tal fama, che fin dal 1454 meritò d’essere commendato altamente da Niccolò V con un suo Breve, che dallo scrittor della Vita si riferisce. Ma questo Breve medesimo, se ci dimostra l’ applauso con cui era udito Roberto, sembra ancora darci non troppo favorevole idea della condotta e del carattere di esso, perciocchè il pontefice, a richiesta probabilmente dello stesso Roberto, il sottrae con esso all’ubbidienza de’ suoi superiori, sicchè in ogni cosa possa egli disporre di se medesimo e dei’ suoi compagni, come meglio gli piace. Vcggiamo infatti gli scrittori di que’ tempi assai tra loro discordi nel ragionar di Roberto; e se l’ ab de Angelis ha raccolte le testimonianze di molti che ne lodano la santità della vita, non ha dissimulato però, che altri ne parlano diversamente. Anzi lo stesso Wadingo confessa (Script. Ord. Min. p. 306) che Roberto fu bensì creduto il più eloquente orator de suoi tempi, e detto da molti un novello Paolo, ma sub varia fortuna, et incostanti hominum opinione. Io non mi tratterrò ad esaminare i fatti che ne racconta Erasmo da Rotterdam, il quale narra fra le altre cose che un dì Roberto salito sul pergamo a predicar la crociata, dopo avere eloquentemente arringato, trattasi di dosso la tonaca, si diè a vedere vestito da general d’armata, esibendosi a condurre egli stesso le truppe (Ecclesiastes, l. 3). Molto meno adotterò le infamie e la rea morte che ne racconta [p. 1672 modifica]1673 l.IBRO Rafaello Volterrano (Conim. Urbana, l. 21). Ma parmi insieme che il suddetto Breve, e il passar ch’ ei fece due volte dagli Osservanti a’ Conventuali, sieno una non leggera taccia alla memoria di questo celebre oratore (a). Ciò non ostante le commissioni onorevoli a lui fatte da’ pontefici Callisto III e Sisto IV, l’eleggerlo che questi fece a vescovo d’Aquino, e il trasferirlo poscia nel 1484 alla chiesa di Lecce, ove anche morì nel 1495, sono non dubbia pruova dell’ ottima fama di cui egli godeva. Ciò in che tutti concordan tra loro gli scrittori di que’ tempi, si è nel parlar di Roberto come del più eloquente oratore che si fosse udito in quel secolo. L’ ab. de Angelis ne ha prodotti non pochi che ne fanno i più luminosi elogi. Tra essi mi basterà il riferire quello del poc’anzi accennato Rafaello Volterrano, il quale essendo scrittore assai mal prevenuto contro di Roberto, non può esser sospetto di adulazione: His autem omnibus, dic egli (l. c.), dopo aver annoverati altri famosi predicatori dell’Ordine di S. Francesco, Robertus ex Alecio Apuliae oppido praeferendus erat, si per ejus vitae coeptique propositi inconstantiam licuisset. Nam adolescens admodum concionari coeperat tanta ejus eloquentiae morumi]ue ad(a) Si possono ancor vedere minute notizie intorno a F. Roberto nel Diario dell’ Iufessura (Script. Rer. ital. t. 3, parsi, p. u3a, Ii36) e in quello di Jacopo da Volterra (ib. voi. 23, p. 166, 167, 168), e l’apologià rhe ne ha fatta il P. Casirairo da Roma nelle sue Memorie istonclie del convento d‘Aro Coeli (p. 419» ec-)• [p. 1673 modifica]TERZO ifiyS mirittione, ut omnes in eadem arte et pronunciationem et gestus ejus imitati conarentur; proemiandi, acclamandi, commiserandi, digrediendi, epilogandi, novus quasi Orator Divini verbi modum saeculo monstravit Agli elogi dal suddetto scrittor riferiti si può aggiugner quello forse più di tutti magnifico di Paolo Cortese, il quale così lo dipinge. Quid Robertum Licium? quo nemo patrum memoria est abundantior in dicendo judicatus? Quo vocis sono, quo flumine verborum, aut qua affluentia rerum animo s hominum movere solitum fuisse credimus cui ex concione descendenti Populum Romanum religionis eulabiaeque causa penulam discidisse ferant, matronasque semper esse eum cum odoribus et floribus quocumque persecutas (De Cardinal. l. 2, p. 103)? Francesco Filelfo ancora, che ne udì un discorso in Milano l’anno 14^7 7 ne loda altamente la dottrina e l’eloquenza, e sol ne riprende la pronuncia e l’azione, la quale ei dice che da Roberto non si Ridalla va alle cose (l. 3, ep. 42). In fatti le replicate edizioni fatte nel secolo xv, altre in italiano, altre in latino, de’ Sermoni di Roberto, e di alcuni altri trattati teologici e ascetici da lui composti, sono un sicuro indizio del grande applauso con cui furono accolti. I suddetti scrittori ne annoverano le opere e le diverse edizioni, e più diligentemente ancora il Marchand (D'ict t. 1, p. ec.) Esse si trovano facilmente nelle biblioteche, e ognuno può consultarle e conoscere se degne sieno dei’ grandi elogi di cui le veggiamo onorate. Io nondimeno per dare un saggio d’eloquenza di Tiraboschi, Voi. IX. 29 [p. 1674 modifica]16^4 ' LIBRO questo secolo, ne recherò qui un passo tratto dalla predica nel primo dì di quaresima, secondo l'edizione italiana nel 1553 in Venezia, senza punto alterarne l’ortografia non che le parole. Quante infermità nascono de li corpi humani per troppo cibo, assai; et ancora non manzare da ogni ora come bestia. Io addimando perchè ha ordinato Dio et la natura el cibo all’ homo. O tu che innanzi cibo vai alle botte, non l’ha ordinato per mantenere la natura, che l’homo non manchi? Manzando adunque fuori di necessità, tu fai contra la natura, perchè tu cerchi la morte da te stesso. Dicetimi un poco, Signori miei. Donde nascono tante et diverse infermitade in gli corpi humani, gotta, doglie di fianchi, febre, catharri. Non d altro principalmente se non da troppo cibo, et esser molto delicato. Tu hai pane, vino, carne, pesce, et non te basta, ma cerchi a noi conviti, vino bianco, vino negro, malvagie, vino de tiro, rosto, lesso, zeladia, fritto, frittole, capari, mandole, fiche, uva passa, confetione, et empj questo tuo sacco de fecce. Empite, sgonfiate, allargate la bottonatura, e dopo el mangiare va, et buttati a dormire come un porco. Ecco l’eloquenza de’ Demosteni e de’ Tullj del secolo xv, ed ecco l’oggetto dello stupore e degli applausi non sol del volgo, ma ancor de’ più dotti. Tanto eran a que’ tempi limitate e ristrette le idee che si aveano della eloquenza. Vii. Gli altri Ordini religiosi ebbero anch’essi non pochi oratori, i cui sermoni furono allora creduti degni di venire a pubblica luce. [p. 1675 modifica]TERZO ity* 5 Ma che gioverebbe il voler dire di tutti? Basti il parlare di alcuni a’ quali veggiam profuse più ampie lodi. Paolo Attavanti fu un de’ più illustri che avesse l’Ordine de’ Servi di Maria. Il co Mazzucchelli ha parlato di lui colla consueta sua esattezza (Scritt, ital. t. 1, par. 2, p. 1209), citando ancora più altri scrittori che ne fanno menzione. Nato di nobil famiglia in Firenze nel 1419 ed entrato ancor giovinetto nel mentovato Ordine, vi si segnalò tra poco pe’ suoi rari talenti, e per quello singolarmente dell’evangelica predicazione. Udillo fra le altre città Firenze; e Marsiglio Ficino ne rimase sì attonito, che di lui scrivendo, disse ch’egli era a guisa di un altro Orfeo, e che animava le pareti stesse de’ tempj (Epist l. 3). Nè eran soli gli studj dell’ eloquenza ch’ ei coltivasse. Gli fu cara ancora la platonica filosofia, e godeva d’intervenire alla famosa accademia di Lorenzo de’ Medici, e forse questa fu la ragione per cui l’eloquenza di Paolo sembrò sì maravigli osa al Ficino. Qualche disgusto domestico lo indusse a lasciare il suo Ordine, e ad entrare in quello dei’ Cavalieri regolari di S. Spirito in Roma. Non sappiamo quando ciò accadesse, ma avvenne al certo prima del i479> ne^ (lua‘ anno fu stampato in Milano il suo Quaresimale intitolato Thesaurus Concionatorum, ch’ei dedicò al maestro general di quell’Ordine (V. Sax. Hist. typogr. mediol, p. 707). Ritornò poi nondimeno all’antica sua religione, e ciò verso il 1485, nel qual anno ei recitò un’orazione nel capitolo generale de’ Servi di Maria. Fu in essa onorato di varie cariche, e finalmente [p. 1676 modifica]1676 LlBltO pieno ili amn e di meriti morì in Firenze nel 1491). Molle sou le opere da lui composte, delle quali si può vedere il catalogo presso il co. Mazzucchelli che distingue le stampate dalle inedite. Abbiam già rammentato il dialogo sull’origine de Servi stampato solo nel 1727, a cui si possono aggiugnere le Vite di alcuni Santi dell'Ordine medesimo. Abbiam pure accennata la Storia di Mantova, che in quella città conservasi ancor manoscritta, da lui composta, mentre era nell’Ordine di S. Spirito, ed ivi si trovava circa il 1482; intorno alla quale si posson vedere più minute notizie nella elegante non meno che erudita Dissertazione delle Lettere e delle Arti mantovane del ch. ab. Bettinelli (p. 40) (*). Più altre opere di diversi argomenti veggiamo a lui attribuite, oltre i Sermoni, de’ quali si hanno alle stampe due Quaresimali. Lo stile e l’eloquenza di Paolo non è guari dissomigliante da quella degli altri oratori di que’ tempi. Solo egli più frequentemente di tutti gode di citar passi del Petrarca e di Dante, come se essi fossero due autorevolissimi santi Padri. Anzi di ciò si vanta nella prefazione al primo suo Quaresimale, dicendo di voler comentare e spiegare le loro poesie. Il che ha tratto in errore alcuni che fondati su tali parole l'han fatto autor di comenti su quei’ due poeti. All’ Ordin medesimo appartiene F.Aie(*) Un codice a penna della Storia di Mantova dell’Attnvnnti trovasi ancora nella libreria Farsetti, e se ne può vedere la descrizione nel Catalogo de' MSS. della medesima (p. 106, ec.). [p. 1677 modifica]TEnzo 1G77 sario de’ Coniughi ferrarese, di cui benché nulla ci sia rimasto, abbiam però un bel monumento che ci mostra quanto ei fosse valente predicatore, cioè un medaglione in onor di esso coniato, e in cui singolarmente se ne loda una rara eloquenza (V. Mus. Mazzucch, t. 1, (tab. 21). Vili. Aurelio Brandolini soprannomato Lippo dell’Ordine Agostiniano dovrebbe qui aver luogo, perciocchè pochi furono a quell’età che in fama di eloquenza gli si potessero pareggiare. Ma già ne abbiamo trattato nel ragionare dei’ poeti latini, e abbiamo ivi riferito il magnifico elogio che ne fece Matteo Bosso, quando lo udì predicare in Verona, e abbiamo insieme osservato ch’egli è il solo tra gli oratori che parlando dal pulpito latinamente ci abbia data qualche idea di vera eloquenza. Un altro ancor più celebre predicatore ebbe l’Ordin medesimo in f Mariano da Genazzano, di cui per altro non si ha alle stampe che un’ orazione detta l’an 1487 innanzi ad Innocenzo VIII, e nell’anno istesso stampata in Roma. Ma gli encomj a’ quali forse non si son mai uditi gli uguali, con cui ragiona di lui un de’ più dotti scrittori di questo secolo, cioè Angiolo Poliziano, ci obbligano a farne distinta menzione. Gli scrittori del suo Ordine ci raccontano ch’ ei nacque in Genazzano di poveri genitori nel 1450; che in età di 16 anni vestì l’abito di S. Agostino; e che passato l’an 1480 alla Congregazion di Lecceto, si unì poscia nel 1490 a quella di Lombardia. Essi inoltre annoverano le cariche anche supreme ch’ ebbe nel suo Vili. Eloquenza e Carattere Hi Fra Mariano Ja GruaiuDU. [p. 1678 modifica]1678 l.IBRO Ordine, e le onorevoli commissioni che gli furono affidate. Noi lasciando tai cose in disparte, passiamo a vedere quanto ne fosse ammirata e applaudita l eloquenza. Il Poliziano aveane già parlato con molta lode nella prefazione alle sue Miscellanee, dicendolo non inferiore ad alcuno in teologia, e il più saggio insieme e il più eloquente tra’ sacri oratori, e commendandone al tempo medesime le virtù religiose. Ma cose assai maggiori ei poscia ne scrisse in una sua lettera a Tristano Calchi, mentre Mariano predicava in Milano. Essa è alquanto lunga, ma troppo bella e troppo onorevole a questo sacro oratore, perchè io possa trattenermi dal recarla qui interamente tradotta nella volgar nostra lingua. Tu mi scrivi, così dic egli (l. 4, p. 6), che Mariano da Genazzano teologo, il quale predica costì al popolo, riscuote ammirazione, si grande, che ben compruova la verità di ciò che io nelle mie Miscellanee ne avea scritto; che si empiron da ogni parte le strade dalla gran turba che si affretta ad udirlo; e che tutti rimangon rapiti dalla grazia del ragionare, attoniti alla forza de’ suoi argomenti, e penetrati e compunti dalla robusta sua eloquenza. Io dirotti sinceramente ciò che mi avvenne, quando egli la prima volta predicò qui fra noi. Andai ad udirlo, secondo il mio costume, per assaggiarlo, e, a dir il vero, quasi per ridermene. Ma poichè il vidi, e ne osservai l atteggiamento e un non so che straordinario ch’ egli avea negli occhi e nel volto, cominciai a lusingarmi di udir cosa che mi piacesse. Eccoti [p. 1679 modifica]TERZO *^79 adunque eli ci comincia a parlare, ed io drizzo gli orecchi ad udirlo. Odo una voce armonica, parole scelte, sentimenti nobili e. gravi. Viene alla divisione, e nulla io vi trovo d'intralciato, nulla di inutile e nulla di ampolloso. Colle sue prove mi stringe, colle sue risposte mi assicura, coi’ suoi racconti m incanta, colla dolcezza della sua pronuncia mi rapisce. Se si fa talvolta a scherzare, io rido; se. mi incalza e mi preme, io mi arrendo e mi do vinto; se viene a più teneri affetti, mi cadon dagli occhi le lacrime; se si sdegna e minaccia, io mi atterrisco, e non vorrei esser venuto ad udirlo. In somma secondo le cose di cui ragiona, egli varia le figure e la voce, e col gesto sostiene sempre ed accompagna l azione. Anzi io confesso che a me sembra che egli sul pergamo si faccia di se stesso maggiore, e superi non la sua statura soltanto, ma la comune degli uomini. Così rimirando attentamente ogni cosa, io fui costretto a riconoscerlo come uom prodigioso. Credeva nondimeno che cessando la novità, dovesse piacermi meno di giorno in giorno. Ma avvenne al contrario. Ei mi parea diverso da lui medesimo nel dì seguente, ma migliore di quello che mi era sembrato ottimo il dì precedente. Nè ti sembri spregevole quel sì piccol corpo; ch’ esso è fermo e istancabil per modo, che sembra che dalle stesse fatiche raccolga novelle forze. Chi crederebbe che vi potesse esser racchiusa sì fatta voce, sì gran fuoco, e fianco così robusto? Aggiugni che io ho talvolta villeggiato con lui, e in casa ho con lui conversato [p. 1680 modifica]l68o Unito familiarmente, e non ho veduto l’ uomo il più dolce insieme e il più cauto; perciocchè nè ributta con soverchia severità, nè con soverchia facilità seduce ed inganna. Alcuni predicatori si credon arbitri della vita e della morte degli uomini; e abusando del lor potere, sempre rimirano con occhio bieco, e tengon sempre il tono e la voce di fastidioso pedante. Ma questi è un uom moderato, e se nel pulpito è sevt'ro censore, poichè ne è disceso, usa pulite e civili maniere. Perciò e io e il mio ottimo Pico dalla Mirandola ci tratteniamo spesso con lui, e ninna cosa più ci solleva dalle letterarie nostre fatiche., che il conversare con esso. Lo stesso Lorenzo de' Medici ottimo discernitor degl' ingegni ben dà a conoscere quanto lo stimi non solo coll avergli prontamente innalzato un magnifico monastero (cioè quello a S. Gallo, di cui ragiona ancora Niccolò Valori (Vita Laur. Med. p. 47) nella Vita di Lorenzo), ma • più ancora col visitarlo sovente, giacchè egli ad ogni altro sollievo antipone quello di trattenersi alquanto con lui passeggiando. Tu dunque ancora fa di ac costarle gli e di conoscerlo da vicino, e in ciò ancora loderai il giudizio del tuo Poliziano. Nè tu gli recherai noia. Egli di ciò non si offende, nè sfugge la luce e gli altrui sguardi, perchè, come io penso, la buona conoscenza, benchè non li cerchi, gode nondimeno di testimonj. Sta sano. A' 22 di aprile 1489. Nè fu solo il Poliziano che ne parlasse con tanta lode. Gioviano Pontano in uno de suoi Dialoghi parla egli pure con grandi elogi di Mariano (Dial. Aegidius) morto allora [p. 1681 modifica]TERZO 1 081 di fresco, c v’inserisce un inno in onor di esso da sè composto. Parecchi sonetti in lode di esso abbiamo nelle Poesie di Girolamo Casio, che lo appella il Divo Mariano (Epitafii, p. 9, 21). E pruova della rara eloquenza di questo oratore si è ciò che narra Paolo Cortese, come avvenuto, mentr egli era fanciullo, in Siena, cioè, che Mariano chiamato colà per acchetare le discordie di quel popolo tumultuante, lo commosse e lo intenerì per modo col suo ragionare, che corsero ad abbracciarsi amichevolmente Fun l’altro (De Cardinal. l. 2, p. 103). Questo scrittor medesimo nondimeno riprende altrove (ib. p. 84) Mariano, come amante di una affettata eleganza, con cui scemava la forza degli argomenti e degli affetti. IX. Non dee a questo luogo tacersi che fu Mariano in Firenze competitore e rivale del celebre f Girolamo Savonarola, di cui fra poco diremo. Fra Pacifico Burlamacchi, nella Vita che scrisse del Savonarola, pochi anni dacchè ei fu morto, e ch è stata per la prima volta data interamente a luce da monsig. Mansi (Miscell. Baluz. t. 1, p. 530, ec. ed. luc.), ne parla a lungo, ma ne fa un carattere assai diverso da quello che abbiamo udito dal Poliziano. Era in quel tempo, dic egli (ib. p. 535), un famoso predicatore più di eloquenza dotato che di santa dottrina, domandato M. Mariano da Genazzano, frate Eremitano, di vita regolare, a requisizion del quale Lorenzo de’ Medici haveva edificato un Convento bellissimo fuora della Porta S. Gallo per la sua Religione, dove detto Padre gloriosamente allora • [p. 1682 modifica]• GSj udrò predicava i giorni di festa, attraendo con l eloquenza sua molto populo, perciocchè a sua posta avea le lagrime, le. quali cadendogli dagli occhi per il viso, le raccoglieva talvolta, et gittavale al populo. Racconta poscia che Mariano a persuasion (!di Lorenzo de’ Medici predicò una volta, cioè il giorno dell'Ascensione del i49'j contro le profezie che il Savonarola andava spargendo j c ch’egli si mostrò allora sì pieno di mal talento, che molti de’ suoi amici medesimi ne rimasero scandalizzati, e lo abbandonarono; che il Savonarola alcuni giorni appresso salito in pergamo, ribattè gli argomenti e le ragioni di f Mariano; e che questi temendo di perder la grazia di cui godeva presso il popolo, se ei fosse creduto nimico del Savonarola, lo invitò in un giorno a cantar la Messa in S. Gallo. Ma andando, continua lo storico, di lì a poco tempo a Roma, fece, ogni sforzo per mandare a fondo il nome et la vita sua, perciocchè predicando nel Collegio de' Cardinali innanzi ad Alessandro VI ebbe ardir di dire 'un tratto. e di prorompere in queste parole dicendo: abrucia, abrucia, S. Padre, lo istrumento del Diavolo, abrucia, dico, lo scandalo di tutta la Chiesa, parlando apertamente del P. Girolamo. La qual cosa intendendo egli in Firenze, gli fece una pubblica correzione, predicando in Duomo dicendo: Iddio ti perdoni: lui ti punirà, e fra poco tempo si manifesterà, che attendi agli stati et reggimenti temporali. Siccome avvenne; perciocchè non vi andò molto, che si scoperse la congiura de' Cittadini che volt'vano rimettere la Casa de' [p. 1683 modifica]TF.n’/O I Gì-*-» Modici in Firenze, dove a cinque ne fu tagliato il capo, e M. Mariano et Fra Basilio del medesimo Ordine pedagogo di Lorenzo il giovine ebbono pubblico bando dalla Città di Firenze, per essersi impacciati degli Stati, et innoltre M. Mariano cascò in una infermità, dove perse tutte le membra, eccetto la lingua, la quale anco poco gli serviva. Onde poi il Cardinale di S. Croce burlando gli disse: Tu sei diventato arido, eccetto la lingua, la quale anco usi assai male, siccome sempre hai fatto. E veramente che a Mariano si dovesse in gran parte la fiera burrasca che contro il Savonarola si sollevò, affermasi ancora da Jacopo Nardi scrittor fiorentino, che fin da que’ tempi vivea (Stor. Fiorent. l. 1, p. 58,62, 72, ed. Fir. 1584) 5 e questi parimente racconta che Fra Mariano... per le cose fatte ad istanza di Piero de Medici contro alla Città era stato poco honorevolmente di Firenze accomiatato. Nè è maraviglia ch’egli grato a Lorenzo, da cui era stato amato teneramente, cercasse di rimettere il figlio nell’antico grado d’onore; e quelli che rimirano il Savonarola qual Santo, benchè non poco si frammischiasse negli affari dello Stato, non posson riprender f Mariano, perchè egli pure vi si ingerisse. Ma quanto alla malattia che il Burlamacchi gli attribuisce, io non ne trovo indizio presso altri scrittori, i quali ne raccontano in altra maniera la morte, come ora vedremo. Narra il medesimo Nardi (ib. p. 64), che l’an 1497 f Mariano dal pontef Alessandro VI fu inviato a Costanzo Sforza signor di Pesaro, perchè si riunisse [p. 1684 modifica]lG84 LIBRO con Lucrezia Borgia sua moglie) ma che fu tra via vicino di quella terra invaligiato e rubato da' satelliti mandati da quel Signore, acciocché più oltre non andasse. Più fatale gli riuscì un’altra ambasciata in cui l’anno seguente i4i)8 lu dallo stesso pontefice inviato a Federigo re di Napoli, per persuadergli a prendere in moglie un’ altra sua figlia. Perciocchè, come narra Raffaello Volterrano (Com. Urbana. l. 21), non essendo egli in ciò riuscito, ed avvedendosi di non aver soddisfatto nè all’una nè all’altra parte, e di avere perciò perduta una bella occasione di grandi onori, troppo sensibile all’amor della gloria, cadde infermo per gran dolore, e morì in Tivoli. Gli scrittori agostiniani però, citando i registri del loro Ordine, il dicon morto non in Tivoli, ma in Sessa, verso la metà di dicembre del 1498)Ed è certo in fatti che Mariano morì nel regno di Napoli, come raccogliesi dal passo poc’anzi accennato di Gioviano Pontano: qui nuper maximo cum desiderio Cristianorum omnium, Italiaeque praesertim totius, his in locis diem obiens naturae concessit. Così finì di vivere in età di soli 48 anni questo celebre oratore, di cui non possiamo ben accertare qual fosse l’eloquenza e lo stile, poichè, come si è detto, non ne abbiamo alla stampe i Sermoni. Ma comunque veggiam lodati da uomini dotti molti oratori di questa età, delle cui prediche appena possiamo sostener la lettura, parmi ciò non ostante che il Poliziano non sarebbe andato tant’oltre in lodarlo, se veramente ei non avesse avuto qualche non [p. 1685 modifica]TERZO lG85 ordinario pregio nel favellare. Anzi io rifletto che il sopraccitato scrittor della Vita del Savonarola racconta che Girolamo Benivieni cittadin fiorentino, e amicissimo di questo famoso Domenicano, gli disse un giorno: Se V. P. havesse l' eloquenza di M. Mariano, non si troverebbe meglio di lei. Il che ci mostra che f Mariano dagli amici stessi del Savonarola era riputato più di lui eloquente. Or questi, come ora vedremo, fu certamente uomo di gran forza ed energia nel favellare, e possiamo quindi inferirne qual fosse quella di chi era creduto a lui superiore. X. Fra molti sacri oratori ch'ebbe in questo secolo l’Ordin domenicano, io mi ristringo a dir di due soli, cioè di Gabbriello Barletta e del suddetto Savonarola. Intorno al primo nulla possiamo aggiungere a ciò che ne hanno scritto dopo altri Domenicani i pp’. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 844), e poscia il co Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 1, p. 372, ec.). Se egli fosse della famiglia Barletta, come alcuni sostengono, e nato in Aquino, o. se fosse così appellato dalla terra di questo nome che avesse avuto a patria, non è ben certo; ed incerte ugualmente son l epoche della sua vita. Solo veggiamo ch’ei fiorì verso la fine di questo secolo, e che ottenne nel predicare nome sì grande, che se ne fece il proverbio: Nescit predicare, qui nescit Barlettare. Ma guai a predicatori de nostri giorni, se essi prendessero a formarsi su un tal modello; così scipite e ridicole son le Prediche stampate sotto il nome di questo autore, e atte \. Notizie di' F. (jjbricll«*! Barletta. [p. 1686 modifica]i686 1.1 uno bensì a far ridere, ma non mai a persuadere e a compungere gli uditori. I suddetti scrittori domenicani affermano che cotai Prediche sono state per errore e per impostura attribuite al Barletta; e Leandro Alberti singolarmente racconta (Ital. illustr. p. di aver conosciuto egli stesso, mentre era giovine, colui che avendole composte, per accreditar le sue maggiormente, le pubblicò sotto il nome di quel famoso predicatore. Io non ho monumenti e ragioni per confutare cotal racconto, e il credo anzi sincero e certo. Ma ancorchè il Barletta fosse veramente autore di que’ Sermoni, non perciò verrebbe egli a perder della sua fama più che tanti altri oratori di questo secolo nulla di lui migliori. Fra gli abusi in esso introdotti, uno era quello di sollevare dal pergamo le risa fra gli uditori, quasi ciò fosse lo stesso che il convertirli. E ne abbiamo esempj non solo in Italia, ma in Francia ancora, ove celebri son tuttora per cotali scempiaggini le Prediche del Menot e del Maillard, e di altri che miglior comparsa farebbono sul teatro che non sul pergamo. Le varie edizioni de’ Sermoni del Barletta, la più antica delle quali è del 1498 si annoverano dal sopraccitato co. Mazzucchelli. XI. Assai più celebre nelle storie è il nome di f Girolamo Savonarola, sì per lo sconvolger ch’ei fece colla sua eloquenza tutta Firenze, come pel funesto fine a cui essa il condusse. Delle cose da lui operate, e delle vicende a cui fu soggetto, son piene le storie tutte di quell’età, e quelle singolarmente di Jacopo Nardi, di Francesco Guiccardini, di Paolo Giovio, di [p. 1687 modifica]TERZO 1687 Bernardino Corio. Oltre il Burlamacchi nominato poc’anzi, Gianfrancesco Pico della Mirandola ne scrisse la Vita e l’Apologia, la quale fu poi di nuovo pubblicata dal P. Quetif insieme con molti altri monumenti di quel tempo appartenenti al Savonarola (a). Or dopo le fatiche di tanti scrittori noi ne sappiamo bensì l’epoche e gli avvenimenti più ragguardevoli, ma non è forse ancor possibile il difinire con sicurezza, da quale spirito ei fosse condotto. Accenniamone dapprima in breve le principali notizie, e riserbiamoci a esaminarne poscia il carattere e l’eloquenza. Era il Savonarola’, nato in Ferrara nel 1452 da Niccolò figliuol di Michele celebre medico col;» chiamato da Padova, di cui abbiamo a suo luogo parlato. L’avolo prima e quindi il padre furon solleciti di farlo istruire ne’ buoni studj, ne’ quali egli felicemente si avanzò. Abbandonata poscia segretamente la casa paterna, e recatosi a Bologna, ivi l’an 1476 vestì l’abito di S. Domenico. Alcuni anni dopo cominciò a salire sul pergamo in Firenze, ma con sì poco felice successo, che determinossi a correre tutt’altra carriera. La fama nondimeno in cui era d’uomo dottissimo, fece che Lorenzo de’ Medici il richiamasse a quella città, ove l’anno 1diè di nuovo principio alla predicazione, e con esito sì diverso dal primo, che la chiesa di S. Marco (n) Una nuova Apologia del Savonarola ci ha data di fresco il P. Guglielmo Unitoli domenicano aggiunta alla \ita di S. Antonino, da lui pute composta e stampata in Firenze nel 1782. [p. 1688 modifica]i683 uuno non era abbastanza capace a contenere il gran popolo che accorreva ad udirlo. Ma fra gli applausi co’ quali eran da molti accolte le sue prediche, cominciaron presto a mischiarsi contraddizioni ed accuse. Ei prese a parlare in tuon di profeta; e la riforma che far doveasi nella Chiesa, e i flagelli che soprastavano all’Italia, e principalmente a Firenze, eran sovente l’argomento dei’ suoi sermoni. Quindi se molti il rimiravano come uom dal Cielo ispirato, molti o il deridevano come fanatico, o lo sfuggivano come impostore. A ciò si aggiunse la ni./icizia che si accese tra lui e Lorenzo de’ Medici. Perciocchè il Savonarola fatto prior di S. Marco ricusò di andare a fargli visita secondo il costume, e quando Lorenzo veniva a S. Marco, Girolamo ne schivava l’incontro; anzi si narra che gli predicesse la morte, e la caduta di Pietro di lui figliuolo. Lorenzo, benchè avesse grande stima del Savonarola, mal volentieri però soffriva ch’ ei si mostrasse nimico dell’ autorità e dell’ onore di cui egli godeva nella Repubblica. Non è perciò maraviglia che tutti gli amici e i fautori di Lorenzo fosser nimici di f Girolamo, e che tutti coloro che odiavan Lorenzo, levassero il Savonarola fino alle stelle. Assai maggiormente crebbe il calore de’contrarj partiti dopo la morte di Lorenzo, e dopo le vicende da noi accennate di Pietro. Le prediche del Savonarola avean allor per oggetto più il governo popolare da introdursi in Firenze che il Regno di Cristo, e frattanto ei non cessava d’inveire contro gli abusi nella Chiesa introdotti, e contro la curia romana, [p. 1689 modifica]terso iG8y biasimando apertamente gli scandali che in essa vedeansi a’ tempi di Alessandro VI Nel che ei si lasciò trasportare tant’oltre, che, come narra lo stesso Burlamacchi scrittor devotissimo del Savonarola, scrisse a Principi Cristiani, come la Chiesa andava in ruina, et che però dovessin fare, che si ragunasse un Concilio, nel quale voleva provare la Chiesa di Dio esser senza capo, et che chi risedeva non era vero Pontefice, nè degno di quel grado, nè anco Cristiano (Miscell. Baluz. t. 1, p. 551, ed. Lucens.). In fatti il già citato monsig Mansi ha pubblicate due lettere (ib. p. 584) su <Pe~ sto argomento dal Savonarola inviate l’ una all’imperadore, l’altra al re e alla regina di Spagna. Queste lettere, di cui giunse copia al pontefice, finirono d innasprirlo contro del loro autore. Scomunicollo adunque, e la scomunica contro di lui fu solennemente promulgata nel duomo di Firenze. Ma il Savonarola non perciò si ristette, e protestando di nullità contro la scomunica, continuò a predicare. Il foco della civile discordia si fece allora sempre più vivo, e ogni giorno si eccitavano in Firenze tumulti e scompigli dagli amici non meno che da’ nemici di f Girolamo. Tra gli stessi suoi frati avea egli molti e potenti avversarj a cagione della riforma da lui introdotta in S. Marco e in alcuni altri conventi dell’Ordin suo, cosa, come suole avvenire, che presso alcuni gli avea conciliata stima ed amore, presso altri invidia ed odio. Ma più di tutti gli si rivolsero contro i Minori Osservanti che pubblicamente inveivan dal pergamo contro al Savonarola, chiamandolo Tuuboschi, Voi. IX. 3o [p. 1690 modifica]i6yo ututo eretico e scomunicato. E si giunse a tal segno,, che fu proposto da una parte e dall altra di rinnovare gli esempi dell antica e barbara superstizione della pruova del fuoco. Ma comunque ciò più volte si progettasse, non mai si venne all’effetto, e or gli uni, or gli altri trovavan sempre qualche pretesto per sottrarsi a si pericoloso cimento. I magistrati che si andavan sovente cambiando, erano or favorevoli, or contrarj a f Girolamo; ed egli era costretto ora a tacere, ora a parlare, secondo l animo e il voler loro. Finalmente nella domenica delle Palme del 1498 i nimici del Savonarola affollatisi con gran tumulto intorno a S. Marco, dopo una lunga zuffa, in cui gli stessi novizj dieder gran pruova di valore e di coraggio guerriero, egli con f Domenico da Pescia e f Silvestro Maraffi! fu condotto prigione, e tutti tre dopo lunghi esami e replicate torture, per opera singolarmente de’ due commissarj apostolici mandati a tal fine da Roma, furono condannati, come eretici, ad essere pubblicamente appiccati e poscia arsi. La sentenza fu eseguita a 23 di maggio del detto anno innanzi a un’immensa folla di spettatori, che come prima, così anche in quell’ estremo, divisi di sentimenti, altri il veneraron qual Santo, altri il detestaron come ipocrita e seduttore (*). (¥) I11 questo (ducale archivio conservansi alcune lettere del duca Ercole I scritte al Savonarola, e alcune del Savonarola al duca, e più altre di Manfredo Manfredi al duca medesimo, nelle quali gli dà ragguaglio delle cose che intorno al Savonarola accadevano in Elici.ze, ose era il Manfredi; e molti altri monumenti intorno ad esso conservansi nella libreria Nani di Venezia. [p. 1691 modifica]TERZO iGy* XII. Tal fu la vita e la morte di f Girolamo Savonarola, a cui non v’ebbe, nè sarà forse giammai orator che si possa paragonare in ciò che appartiene a commovere colla sua eloquenza un popolo intero, e a divenir l’oggetto non sol de’ discorsi, ma ancor delle gare e delle discordie dei’ cittadini. Io ne ho ragionato finora senza adottare nè i miracoli che i suoi fautori gli attribuiscono, nè le accuse di cui l aggravano i suoi nemici, ma sol narrando ciò in che tutti convengono concordemente. Col morir di Girolamo non cessò quello spirito di partito, che lui vivente erasi acceso. Molti hanno scritto impugnandone la dottrina e le profezie; molti con dotte apologie si sono sforzati di difenderlo e di sostenerlo. Io avrei bramato d’investigare, come meglio mi fosse probabile, il vero, e di esaminare una sì intralciata quistione senza parzialità e prevenzione. Ma come farlo? Gli scrittori contemporanei sono anch’essi divisi, nè possiamo sì facilmente decidere a chi debbasi fede. Tal cosa si afferma dagli uni, dagli altri si nega; e tutti giurano di dirci il vero. Secondo gli uni, il Savonarola è un profeta, un apostolo, un martire, un taumaturgo. Secondo gli altri, egli è un eretico, un ambizioso, un fanatico, un impostore. A chi crederem noi? In mezzo a tai tenebre e a tale incertezza io sarei temerario se volessi pronunciar giudizio di sorta alcuna. Io non mi unirò a primi, nè venererò il Savonarola qual Santo. Un uomo che sì fieramente si scaglia contro il romano pontefice, e pubblicamente gli rinfaccia i suoi vizj veri pur troppo, ma [p. 1692 modifica]l(x)2 LIBRO che rispetto alla sua dignità doveano quanto più si potesse nascondersi agli occhi del volgo; un uomo che ardisce di eccitar i popoli a negar l’ubbidienza allo stesso pontefice, a rimirarlo come simoniaco ed eretico, e a gittarlo dalla cattedra su cui è assiso; un uom che si ride della scomunica contro di sè fulminata, e giugne a dire dal pergamo, come narra lo scrittor della Vita, Che Dio lo mandasse all Inferno, se mai chiedeva l assoluzione; un uom religioso che tratta dal pergamo gli affari di Stato, e vuol esser arbitro nella forma che introdur deesi nel governo; un uom tale, io dico, a me non sembra che possa proporsi per modello di santità, finchè la Chiesa, a cui ne appartiene il giudizio, non si faccia a decidere ch’egli ha operato per singolare e straordinaria ispirazione di Dio. Ma io mi arresterò ancora dal dirlo eretico ed impostore, finchè tal nol dichiari la Chiesa stessa. Più volte innanzi ai’ sommi pontefici è stata chiamata ad esame la dottrina che il Savonarola insegna nelle sue prediche e nell’ altre sue opere. Niuna sentenza si è ancor pronunziata, e solo alcune prediche ne sono state inserite nell’Indice de’ libri proibiti, ma senza tacciarle come infette di errori contro alla fede. Rispettiam dunque il silenzio che su ciò tiene la Chiesa, e non seguiamo l’esempio nè di coloro che troppo arditamente ripongono il Savonarola nel numero de’ martiri e de’ profeti, nè di coloro che il rimirano come impostore; ma lasciamo a chi s’ appartiene il proferito giudizio. [p. 1693 modifica]TERZO *693 Xin Più volentieri io entrerò a cercare di qual indole fosse l eloquenza del Savonarola, che il rendette allora sì caro a’ suoi partigiani, e sì formidabile a’ suoi avversarj. Or se in altri oratori abbiamo osservato che l’applauso con cui furono uditi, e il frutto che trassero da’ lor sermoni, deesi attribuire a tutt’ altro che a una vera e ben regolata eloquenza; nel Savonarola al contrario dobbiamo confessare che si vede una forza e un’energia di favellare, che non è a stupire se ei mettesse co’ suoi sermoni a rumore le intere città. Ei non ha al certo nè una giusta divisione del suo argomento, nè un ordinato progresso di raziocinio, nè sceltezza di espressioni, nè eleganza di stile. Ma a quando a quando egli inveisce e tuona con sì gran forza, che sembra un fulmine. Rechiamone qualche tratto per prova, in cui io non farò che leggerissimi cambiamenti, perchè la rozzezza della lingua non ne sminuisca la forza: Ora vedete, dice egli parlando dell’Esodo nella predica del primo di quaresima, se questo libro vi pare a proposito, e che parli appunto dei' tempi nostri e delle nostre persecuzioni. Ma perchè io non voglio essere stamane più lungo, vi dirò una parola, e manderovvi a casa. Che vuoi tu dire, frate? che parola sarà questa? Io ti vorrei dire miglior novella, che non ho: non si può far altro: stanotte non abbiamo avuta miglior novella che questa. A voi buoni, e che siete retti di cuore, dico sempre bene. Non dubitate voi buoni, che ’l Signor sempre vi farà bene. Popolo fiorentino, io dico a' cattivi. Tu sai ch’ egli è un proverbio che dice: XIII Qual fosse la sua eloquente. [p. 1694 modifica]1694 LIBRO propter peccata venuint adversa, cioè che per peccati vengono le avversità. Va, leggi. Quando il popolo ebreo faceva bene, e ch era amico di Dio, sempre avea bene. Così al contrario quando metteva mano alle scelleratezze, Dio gli apparecchiava il flagello. Firenze, che hai fatto tu? che hai tu commesso? Dove ti trovi tu con Dio? Vu,oi tu ch io te lo dica? Ohimè ' egli è pieno il sacco: completa est malitia: la tua malizia è venuta al sommo. Firenze, egli è pieno. Aspetta, aspetta un gran flagello. Signore, tu mi sei testimonio, che co miei fratelli mi sono sforzato di sostenere colle orazioni questa piena e questa ruina. Non si può piìu Abbi am pregato il Signore, che almen converta questo flagello in pestilenza. Se abbiamo o no impetrata la grazia, tu te ne avvedrai. Ognun si confessi, ognun stia sempre preparato a quello che vorrà fare il Signore, ec. Questo trattorecitato con enfasi da uno ch era presso molti in concetto di gran profeta, qual impressione non doveva far nell’animo di chi l’udiva? Più tenero ancora e più patetico è il tratto con cui finisce la predica del sabato dopo la seconda domenica di quaresima. Dopo aver lungamente pregato Dio a convertire i peccatori indurati, così conchiude: Io non posso più: le forze mi mancano: non dormi più, o Signore, su quella croce, esaudisci, Signore, queste orazioni, et respice in faciem (,'Christi tui. O Vergine gloriosa, o Santi, o Beati del paradiso, o Angioli, o Arcangeli, o Corte tutta del Cielo, pregate per noi il Signore, che più non tardi ad esaudirci. Non vedi tu, o Signore, che [p. 1695 modifica]t TERZO questi cattivi uomini ci dileggiano, si fanno beffe di noi, non lascianfar bene a tuoi servi?. Ognun ci si volta in deriso, e siam venuti l’obbrobrio del mondo. Noi abbiam fatta orazione, quante lagrime si sono sparse, quanti sospiri? Dov è la tua provvidenza, dov è la bontà tua, la tua fedeltà? Age, fac Domine, et respice in faciem Christi tui. Deh non tardate però, o Signore. acciocchè il popolo infedele, e tristo non dica: Ubi est Deus eorum. dov è il Dio di costoro che tante penitenze han fatto, tanti digiuni...? Tu vedi che i cattivi ogni giorno divengon peggiori, e sembrano ormai divenuti incorriggibili. Stendi, stendi dunque la tua mano, la tua potenza. Io non posso più, non so più che mi dire, non mi resta più altro che piangere. Io mi voglio sciogliere in lagrime su questo pergamo. Non dico, o Signore, che tu ci esaudisca pe nostri meriti, ma per la sua bontà, per amor del tuo figlio: respice in faciem Christi tui... Abbi compassione delle tue pecorelle. Non le vedi tu qui, tutte afflitte, tutte perseguitate? Non le ami tu, Signor mio? non venisti tu ad incarnarti per loro? Non fosti tu crocifisso e morto per loro? Se a questo effetto io non son buono e a quest' opera, tolle animam meam, toglimi di mezzo, o Signore, e mi leva la vita. Che han fatto le tue pecorelle ^ Esse non han fatto nulla. Io sono il peccatore; ma non abbi riguardo, o Signore, a’ miei peccati, abbi riguardo, una volta alla tua dolcezza, al tuo cuore, alle tue viscere, e fa pruovare a noi tutti la tua misericordia. Misericordia, Signor mio. Io non mi maraviglio [p. 1696 modifica]XIV. In qual lingua allora si predicasse. 1B9G LIBRO ili ciò che 1’ editor qui soggiunge, cioè che a tali parole gli uditori tutti proruppero in dirotto pianto e in altissima grida, talchè il predicatore piangendo egli pure dovette scender dal pergamo. Aggiungasi che queste prediche furono scritte, quali le abbiamo, non dal medesimo Savonarola, ma da alcun di coloro che le udivano; e quindi oltre ciò che la viva voce dell’ oratore dovea loro aggiungere, esse non ci son pervenute probabilmente che tronche e mancanti. Ma ancora quali esse si sono, si passono considerare a ragione come le più eloquenti che in questo secolo si vedessero. Oltre i più tomi di esse, abbiamo ancora molte altre opere del Savonarola, parte ascetiche, parte scritturali, parte teologiche, parte apologetiche in difesa di se medesimo e delle sua profezie. I PP. Quetif ed Echard ce ne han dato un ampio ed esatto catalogo (Script Ord. Praed. t. 1, p. 885)). Ad esso però si debbono aggiugnere le due lettere mentovate poc’ anzi, pubblicate con alcune altre da monsig Mansi, ed altri diversi opuscoli, dei’ quali si fa menzion nel Catalogo della libreria Capponi. Oltre le Apologie che del Savonarola già pubblicarono Domenico Benivieni, Gianfrancesco Pico, il P. Tommaso Neri domenicano, e più altri, è degna ancora d’ esser letta quella che dopo tutti ne ha fatto il ch. sig. Giannandrea Barotti (Difesa degli Scritt ferrar, par. 2, cens. 8), rispondendo a ciò che aveane scritto nella sua Biblioteca monsig. Fontanini. XIV. Questi furono i più illustri predicatori ch’ebbe in questo secol! l'Italia, per tacer di « [p. 1697 modifica]TERZO 1G97 molti clic similmonlii polrebbonsi annoverare, come Antonio da Bitonto francescano, Pier Geremia domenicano, Battista Panezio ferrarese carmelitano, il S. patriarca Lorenzo Giustiniani e più altri, de’ quali, per non allungarmi di troppo, lascio di favellare. Ma prima di finir questo capo, dobbiam qui ricercare in qual lingua si solesse nel corso di questo secolo predicare al popolo. Abbiam già altrove esaminata questa quistione (t. 4, p.481), e abbiam riferite le convincenti ragioni con cui Apostolo Zeno ed altri scrittori han rigettata l opinione del suddetto monsig Fontanini, che fino a tutto il secolo xv non fosse lecito nelle chiese predicar volgarmente. Alle incontrastabili pruove con cui il Zeno si fa a combatterla, tratte appunto dalle Prediche di f Roberto da Lecce e di f Girolamo da Ferrara, moltissime delle quali furono certamente e scritte e dette in lingua italiana, io aggiugnerò la testimonianza di uno scrittore che non ammette eccezione, e che decide la cosa sì chiaramente, che sembra non rimaner luogo a disputarne più oltre. Egli è il celebre Aurelio Brandolini da noi nominato con lode tra’ poeti non meno che tra’ predicatori. Questi adunque nella prefazione a suoi libri de Arte se ribendi, da lui scritti prima di entrar nell'Ordine di S. Agostino, così espressamente afferma: Conciones quoque patria fere oratione pronunciantur: paucae admodum aut. Sanctorum aut defunctorum laudationes latina lingua habentur; atque hae quoque ab illa veteri oratoria in novam quamdam et barbaram consuetudinem ab his, quos Fratres appellamus, [p. 1698 modifica]1G98 LIBRO cornmutatae sunt Verso h» fine del secolo xy 1' uso di predicare in lingua italiana divenne universale, talchè la latina cominciò ad essere dimenticata, e fu poscia totalmente sbandita da’ sacri pergami.