Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VI/Libro I/Capo VI

Capo VI – Viaggi e scoprimento dell’America

../Capo V ../../Libro II IncludiIntestazione 8 aprile 2019 25% Da definire

Capo VI – Viaggi e scoprimento dell’America
Libro I - Capo V Libro II - Libro II

[p. 314 modifica]3 /4 LIBRO Capo VI. Piaggi e scoprimento dell’America..

I. I viaggi di Marco Polo, l’ardito tentativo de’ Genovesi per ritrovare la via marittima alI Indie orientali, la scoperta da essi fatta delT Isole Canarie, ed altre somiglianti coraggiose intraprese de’ viaggiatori italiani ne’ secoli scorsi, avean riscossa T ammirazione e l’applauso di tutto il mondo; ed esse sole potean bastare a render l’Italia eternamente gloriosa. E nondimeno esse non furono che un saggio di quelle tanto più ammirabili cbe veder si doveano nel secolo di cui scriviamo. Lo scoprimento di un nuovo mondo fu opera dell’ingegno e del coraggio italiano; e il passaggio ancora per mare all Indie orientali finalmente trovato, non fu senza il consiglio e l’indirizzo de’ nostri. Troppo è per noi glorioso questo argomento, perchè io non debba trattarne colla maggior esattezza che mi sia possibile, e mi converrà perciò a Latinif diversissimi, ut memini me iobis alas osti ridere , simul insrripti’ ìnes ex Hs vetusta* rollectas a Collenucein et Annio , et pnst etiam ab aliis vulga/as. « Alle raccolte d’antichità fatte sulla fine del secolo xv. deesi aggiugnere quella di Jacopo Zaccaria intitolata luscriplionum libellus, pubblicata da Gabriello Apollonio con lettera dedicatoria ad Andrea Brenzio, o Brenta, suo maestro, e stampata due voltP in Roma, la prima sotto Sisto IV , la seconda sotto Alessandro VI. Di amendne parla il P. M. AudilVedi (Cai. rom. Edit. saec. XV, p. 462, 4y5) ». [p. 315 modifica]pniMO 315 trattenermi in discussioni e ricerche clic assicurino sì grande onore all’Italia. A confronto di questi perdon molto di pregio gli altri viaggi, che pur potrebbon essere rammentati con lode, se troppo più luminosi oggetti non ci occupassero. Noi dunque lasceremo in disparte non solo i viaggi di Ciriaco anconitano e degli altri raccoglitori d’antichità, de’ quali si è già parlato, e que’ di Ambrogio camaldolese, più pregevoli per le letterarie notizie da lui raccolte, che pe’ paesi trascorsi, e che da lui ci sono stati descritti nel suo Hodaeporicon; ma quegli ancora che sembrerebbono meritevoli di più speciale menzione, quai sono i viaggi nell’Indie di Niccolò Conti, a’ tempi di Eugenio IV , inseriti dal Poggio ne’ suoi libri De varietate fortunae, e quelli in Persia e in altre provincie dell’Oriente di Marco Cornaro nel 1419 di Caterino Zeno nell’anno , e poco appresso di Giosafat Barbaro e di Ambrogio Contarini tutti nobili veneziani, i due ultimi de’ quali ci lasciarono la descrizione de’ loro viaggi , che si ha alle stampe nelle Raccolte del Ramusio e del Manuzio. Di essi parla eruditamente il ch. Marco Foscarini (Letterat. venez. p. 407, 4 ^5, ec.), e del Barbaro ci dà ancora più ampie notizie il conte Mazzucchelli (Scritt ital. t. 2 , par. 1, p. 270). A questo scrittor medesimo io rimetto chi brami sapere di Cristoforo dei Buondelmonti prete fiorentino (ib. par. 4, p. 23^4)? che avendo, verso il 1420, viaggiato in varie provincie, stese una descrizione dell’Isole dell’Arcipelago [p. 316 modifica]316 li imo e di quella di Candia (a). Questi ed altri viaggiatori di tal natura lascio volentieri in disparte, per venir tosto a ragionar di coloro che con assai maggior coraggio intrapresero viaggi non più tentati, o additarono agli altri la via per cui intraprenderli (b). (a) A1 codini indicati dal co Mazzucchelli, ne’ quali si contiene la descrizione delle Isole dal Iluondelnionti vedute, deesi aggiugnere que’ lo della Laurenziana, in cui perà, non so per «jual ragione, in vere del cognome di Buonddmunli si dà a Cristoforo quello di Tu senio (Band Cat. C’odd. lai. Bbl. Laur. i. 2, p. 4’’ » ec-). (/) Tra gli eruditi viaggiatori non dee omettersi Paolo Trivisano nobile veneto, di cui belle notizie ci ha date Apostolo Zeno (Lettere t. 1 , p. 192, ed. ven. 1785), rammentando gli onorevoli impieghi a’ quali fu sollevato. Dei viaggi da esso fatti, e del copioso frutto raccoltone, leggesi un giusto elogio nella lettera con cui Alessandro Benedetti veronese gli dedicò nel 1500 alcuni trattati postumi di Gianuantonio Pnnteo: Sedtu, gli dice, Eques clarissime, ita mihi clarus mirabilisque occurris, ut epistolae angustiis non multa de te dicere valeam. Qui a pubertate navigationibus continuis vitam defatigasti; deinde variis peregrinationibus Assyriam, Aegyptum , Arabiam ipsam laboris impatiens peragrasti: inter Rhodiorum Equitum Magistrum ac Aegyptiorum Regem de concordia feliciter tractasti; Assyriorum mores, Aethiopum , Arabum , Indorumque commercia optime nosti. Tu Nili incrementa, arborum, herbarum , fruticumque, et externorum aromatum naturam considerasti; animalium item varietatem etiam priscis ignotam descripsisti; numquam fessus Palaestinam, Samariam, Judaeam , Amanum , Jordanem , Asphaltidemque perscrutatus , et postremo Cyprum tot annis incoluisti, ec. Accenna qui il Benedetti qualche opera dal Trevisano composta. Di fatto dice il medesimo Zeno di averne veduta una ms. di mano dello stesso Trivisano, intitolata: De Nili origine et incremento: item de Aetklopum [p. 317 modifica]PRIMO 3 I 7 lì. lo son ben lungi dal contrastare a’ Portoghesi la gloria di avere i primi scoperta la via marittima alle Indie orientali. Troppo accertati sono i fatti e i monumenti che lor la confermano, e quelle loro prime navigazioni saranno sempre un perfetto modello di costanza e di ardire. A me basta solo il mostrare che gli Italiani ancora vi ebbero non picciola parte. E primieramente non è tenue indicio dell’alta stima in cui essi erano presso gli stranieri medesimi, la commissione che ad un di loro fu data, affine di agevolare a’ nocchieri il sempre più inoltrarsi nelle loro scoperte. L’infante don Arrigo di Portogallo, uno de’ più magnanimi e de’ più saggi principi che s’incontrino nelle storie , avea dopo il 1415 cominciato a tentare il tanto desiderato passaggio, e già i legni portoghesi si eran non poco avanzati sulle coste dell’Africa. Quando il famoso frate Mauro converso camaldolese, abitante in Murano presso Venezia, ebbe ordine dal re Alfonso V, nipote di don Arrigo, di formare un planisfero che servisse all’uso di quei nocchieri, i quali continuar doveano le cominciate scoperte. Era forse giunto a notizia di quel sovrano il magnifico planisfero che Mauro avea formato, e che ancor conservasi nel suddetto monastero di Murano, nel quale, come osserva il ch. Foscarini (l. cit p. 4*9)? regione et morìbus liber singularis , compositoi per me Paul uni Trivi sanarti Nob. Feneium anno repara tac salutis MCcccLxxxnt. Ma ili questa opera non si sa che sia avvenuto. [p. 318 modifica]3 18 LIPRO egli avea segnate le prime scoperte da essi fatte, e nelle spiegazioni allo stesso planisfero aggiunte avea fatto cenno di averne avuta contezza da alcuni de’ medesimi Portoghesi venuti forse per occasion di commercio a Venezia. A lui fu adunque dal re Alfonso commesso il formare un planisfero somigliante al già mentovato, in cui, alle coste di già da’ Portoghesi scoperte aggiugnendosi ciò che ei colf indifesso studio su tale argomento avea potuto conoscere, si venisse ad insegnare a’ nocchieri quale strada dovean tenere. Il sopraddetto scrittore avverte in fatti che nel monastero di Murano conservasi ancora un codice in cui si veggon notate le spese che per questo planisfero si andavano successivamente facendo, e che esse cominciano al 1457 e finiscono nel 1459 quando compiuto il lavoro, fu il planisfero mandato a Lisbona. E sembra certo, aggiugne egli, che questo sia quel medesimo che l’anno 1528 esisteva nella badia de’ Benedettini d’Alcobaza, ove, secondo il racconto di Antonio Galvano, fu veduto da Francesco da Sousa Tauvarez. Egli osserva ancora, che Francesco Alvarez, scrittor vicino a que’ tempi, racconta che a’ capitani di due caravelle, inviate a fare scoperte nel 1487 fu data una carta da navigare copiata da un Mappamondo, e ne congettura con assai probabile fondamento che il planisfero di f Mauro serviva di norma a formar le carte geografiche ad uso de’ nocchieri. Del planisfero di S. Michele in Murano danno ancor più copiose notizie i PP. Mittarelli e Costadoni [p. 319 modifica]PRIMO 31() dottissimi Annalisti camaldolesi, i quali descrivono esattamente, e danno un saggio delle opportune note con cui il valoroso artefice lo illustrò di sua mano, e ci pongon sotl1 occhio una medaglia in onor di esso coniata colle parole: Frater Maurus S. Michaelis Moranensis de Venetis Ordinis Camaldulensis Cosmographus incomparabilis (Ann. camald. t. 7, p. 252). Innoltre, alcuni anni appresso, il medesimo re Alfonso di Portogallo ordinò a Ferdinando Martinez, canonico di Lisbona, che intorno a questi viaggi chiedesse il par.ere di Paolo Toscanelli celebre astronomo fiorentino. e Ferdinando Colombo ci ha conservata la lettera (ì ita di Crisi. Colombo) che Paolo su ciò gli scrisse, inviandogli insieme una carta da navigare a tal bisogno opportuna. In tal maniera questi due Italiani, standosi nella lor patria, giovarono essi pure non poco a’ gloriosi tentativi de’ Portoghesi (*). f*) 11 sig. ab. Lampillas non sa persuadersi che fosse ordinato a F. Mauro camaldolese dalla Corte di Portogallo di formare un planisfero, e che dalla corte medesima fosse chiesto il consiglio a Paolo Toscanelli sugli ideati viaggi di mare. Qual bisogno aveano, dic’egli (Saggio t. 2, par. 1 , p. i Portoghesi o del Planisfero del Frate Mauro, a (tri consiglia del Toscane! li? Leggiadra maniera d’argomentare! Non esiston forse gli antichi libri del monastero di Murano, in cui son segnate distintamente le partite di denaro pagate perciò da quella corte a quel monaco? Non esiste forse la lettera del Toscanelli in risposta a quella che il canonico di Lisbona, Ferdinando Martinez, a v cagli scritto? Dunque o avessero, o non avessero i Portoghesi bisogno del planisfero e del consiglio del Toscanelli, è pur certo che e il planisfero fu ordinato e fu chiesto il

III. E vcggiarao iti fatti, die mentre i Portoghesi si andavano successivamente avanzando in mare verso le Indie orientali, si disputava in Italia se essi fossero per riuscire nel loro consiglio; e perciò può l’ab. Lampillas esclamare quanto egli vuole; ma sarà sempre vero ciò eli io ho affermato, che il passaggio per mare a.’C huiie orientali trovato non fu senza il consiglio e l’indirizzo de’ nostri. Pia» cevole è poi la riflessione ch’ei fa, cioè che il re Alfonso non fu punto sollecito di tali scoprimenti; e che perciò ei non potè ordinare quel planisfero. S1 ei leggeri il suo II a eros, troverà che benchè fosse il principe Enrico promotore di tali scoperte, gli atti però ne correvano sotto il nome del re Alfonso. Assai prima però di F. Mauro camaldolese altri in Italia eransi accinti a somiglianti lavori. Il cardin Giuseppe Garampi, già nunzio apostolico alla corte di Vienna, che in mezzo alle occupazioni del suo ministero sa trovar tempo a coltivar quegli studj che sempre hanno formate la sue delizie, e de’ quali ci ha dati sì pregevoli s iggi in diverse sue opere, mi ha avvertito che nella imperial biblioteca di Vienna trovansi nove mappe nautiche col titolo: Petrus Fe sconte de Janua fecit i sta* tabulas anno Domini MCCCXVIII. Sette altre ne ha ivi posteriori di poco al mappamondo di F. Mauro, col titolo Gratiosus Benincasa Anconitanus composuit Ancone an. n. mcccclxxx. « A ella libreria Pinelli in Venezia erano quattro carte nautiche del Benincasa disegnate fin dal i l»3, e altre da lui parimente formate nel i \~o, si trovano nella libreria de’ Oberici regolari So maschi della Salute nella stessa città (Cat. Bibl. Pinell. t. 5, p. 102.). Anche nella biblioteca pubblica di Ginevra conservansi quattro carte marittime non di Grazioso, ma di Andrea Benincasa figliuol di Grazioso, fatte l’anno 1476. Andreas Benincasa F. Gratiosi Anconitani composuit anno Domini Ne parla m. Senebier (Cat. des MSS. de la Bibl. de Geni W, p. aia t, e noi ne diremo tra poco. Più antiche ancora di quelle del Benincasa son quelle di Andrea bianchi veneziano, delle [p. 321 modifica]primo 3ai disegno. Antonio Galateo, di cui direni tra gli storici , scriveva allora il suo opuscolo de Sita Elementorum, in cui, Ira le altre cose, va di,piali ha pubblicato un Saggio il sig. Vincenzo Formaleoni al fine de’ tomi VI e XX della Storia gencr. de‘ E/aggi) « e quelle di un Genovese, che si conservano nella real biblioteca di Parma, perciocchè le une e le altre appartengono al i (36, e di e^sc pure ci verrà occasione di parlare. Della carte di Grazioso Benincasa conservasi un’altra copia più antica di quella di \ irmi.*, cioè del 14*t i , in S. Michel di Murano (ivi Append. al t. 20, n. a6, re.) *». Quattordici altre più recenti trovansi nella suddetta imperial biblioteca intitolate: Diegi ho in e ni Cosmographi opus 1561. E finalmente altre di Jnan Mar linei tn Messina an. 15'4 Ma pregevole è singolarmente la mappa cosmografica che or conservasi nella suddetta real biblioteca di Parma per dono ad essa fatto dal eh. P. Paciaudi, il quale pure aveala avuta in dono dall’erudito sig. Girolamo Zanetti. Questi è stato il pr.mo a darcene la descrizione t. Orig. di alcune arti presso i Venez. p. 46, ec.). Ella è lavorata assai diligentemente a penna, e ornata di miniature, ed è quadrata in pergamena di circa due braccia per ogni lato. In una annotazione in caratteri rossi, che vedesi alla metà di uno de’ quattro lati, si legge: MCCCLXVII. Hoc opus composuit Franciscus pizigano Venetiarum et dominicus pizigano. In Venexia me fecit Marcus a die xii decembris. Siegue egli poscia descrivendo esattamente come in esse sieno segnati i venti, e quelle che da’ marinai chiamansi rose, certi numeri che sembrano indicare i gradi, le città, gli ancoraggi, i porti, gli scogli, e dando diversi saggi delle pitture che adornan le mappe, e delle note che conforme all‘ erudizion di qne’ tempi vi aggiunsero i delineatori di essa. A me basta l’averne qui dato un cenno, per confermar sempre p.ìi ciò che ho asserito, che gT Italiani ebbero non picciol.l parte nel promuover la navigazione, e nelF aprire la strada alto scoprimento di nuove proviucie. TIMBOSCHI, Voi. VII. 21 [p. 322 modifica]312 lì LIBRO sputando se il mar Rosso congiungasi col grande Oceano. Ei parla delle prime navigazioni de’ Portoghesi indirizzate a fare questa scoperta; e dice che così fra gli altri credeva Giorgio Italiano genovese: Idem vi ile tur sentire noster Georgius Italianus Genuensis vir in peragrando orbe, atque indagando terrarum situ diligentissimus, qui nobiscum apud te Neapoli agebat (scrive al Sannazzaro), dum nos haec conscriberemus (p. 20, ed. Basil. 1558).Aggiugne però, che un ambasciador portoghese avealo assicurato che niun di coloro che dal suo re erano stati spediti a tale scoperta, era ancor giunto alla Linea. Ma prima che il Galateo pubblicasse il suo libro , seguì lo scoprimento delle Indie orientali, e fu tolto ogni dubbio. Perciò egli poco dopo le arrecate parole così continua: Haec omnia, quum libellum scripsimus, non satis certa erant. At nunc quum edidimus postremo anno Federici regis (cioè nel 15oi) onines consenti uni Lusitanos totani ci rcuiu lustrasse Africani, et ad mare Indie uni pervenisse usque ad hostia sinus Arabici et Persici. Giorgio Italiano, ossia Interiano, come altrove egli è detto, di patria genovese, dee annoverarsi egli ancora tra’ viaggiatori eruditi. Angelo Poliziano, che il conobbe in Roma, ne fa onore-’ voi menzione, e lo dice diligentissimo investigatore de’ secreti della natura (Miscell, c. 47)* Di lui abbiamo alle stampe nella Raccolta del Ramusio una breve descrizione de’ costumi de’ Circassi (t. 2, p. 166, ed. ven. 1606); e Aldo Manuzio il vecchio dedicandola con sua lettera del 1502 al Sannazzaro, gli dice che Giorgio, [p. 323 modifica]PRIMO 3a3 venuto l’anno innanzi dall’Oriente a Venezia, erasi stretto con lui in sincera amicizia, e lo loda come uom saggio e piacevole e amantissimo della letteratura; e applica a lui ciò che Omero dice di Ulisse: Qui mores omnium militari un ind.it et urbes. Lo stesso elogio ne fa altrove il sopraccitato Galateo (Descript Callip. p. 156, ed. Lyciens. 1727), il quale ancora lo appella peritissimo nella geografia e instancabile ricercatore di nuovi paesi; e aggiugne (ib. p. 147) ch’egli avea risoluto di ritirarsi a finire i suoi giorni in Gallipoli nel regno di Napoli, ma clic era morto in Epidauro nella Grecia. Di lui parla ancora lo storico Giustiniani (Ann. di Genova ad an. 1501), e dice ch’ei fu il primo che recasse alcuni platani a Venezia. Ma più d’ogni cosa ne dobbiam qui lodare lo studio da lui fatto sulla geografia, e l’accertare che ei fece la possibilità del passaggio per mare all’Indie orientali, come si è poc’anzi veduto , col che è probabile ch’egli ancora contribuisse al felice successo di sì importante scoperta.

IV. Nè gli Italiani aiutatoli soltanto col loro ingegno le scoperte de’ Portoghesi, ma col coraggio ancora le distesero maggiormente, e li fecer padroni di nuovi regni. Luigi da Mosto Veneziano, che nel volgar suo dialetto, adottato poscia da tutti gli storici, diceasi Alvise da Ca de Mosto, onde si è fatto il cognome Cademosto, fu un di coloro che dall’infante don Arrigo vennero adoperati ad innoltrarsi sempre più avanti sulle coste dell' Àfrica; ed egli stesso ci lasciò due descrizioni de’ due diversi viaggi che perciò egli fece. E ciò che a [p. 324 modifica]324 LIBRO lui è più glorioso, si è che queste relazioni sono le più antiche che ci siano rimaste intorno a quelle navigazioni. Così osservano, non solo l’esattissimo Foscarini (l. citi p. 421), ma anche gli autori della General Raccolta dei Viaggi , che non saranno , cred’io , sospetti di soverchia parzialità: Ciò che dà maggior pregio, dicon essi (Hi st. Géncr. des Voyag, t. (6. p. 330, éd. de Paris 1749 in 12), alle relazioni di lui, si è ch’esse sono le più antiche che ci sian rimaste intorno alle navigazioni de’ Portoghesi. Se ve ne ha alcune anteriori, esse non sono che brevi estratti e semplici compendj , fatti da tali storici che non meritano il nome di Giornali de’ Viaggiatori. Il Cade mosto era uomo di spirito e di talento, e di amendue queste doti ha fatto uso continuo nella sua opera. Se se ne traggono alcune circostanze ,1] nelle quali non si può dubitare che. ei non sia stato ingannato da’ mercanti africani, come suole accadere alla più parte de’ viaggiatori, noi non abbiamo giornale alcuno più curioso e più interessante di questo. Vi si troverà singolarmente una assai utile spiegazione sul commercio d oro di Tombuto, e su principali rami di esso, poco noto a’ nostri viaggiatori; il che ci fa vedere che non è già la moltitudine degli scrittori che rischiari le cose non ancor ben conosciute, e che un autore illuminato dà una più giusta idea de’ paesi da lui veduti, che venti viaggiatori mediocri che rendan conto de’ paesi medesimi. Le relazioni del Mosto furon pubblicate primieramente in Vicenza nel 1507, poscia l’anno seguente in [p. 325 modifica]PRIMO. 3 25 Milano tradotte in latino, inserite poi dal Grineo nella sua Raccolta intitolata Novus orbis , e nella sua ancor dal Ramusio, E finalmente , oltre più altre edizioni , pubblicate di nuovo nella General Raccolta de’ Viaggi da noi poc’anzi citata. Non è mia intenzione, nè è conforme allo scopo di questa Storia, il qui ripetere ciò eli’ ei racconta. Ma mi basterà darne un cenno, perchè si conosca qual parte egli ebbe in quelle scoperte (*). (*) Anche alle scoperte del Mosto muove guerra 1* libate Lampillas, che sminuisce quanto più può i progressi fatti degl’Italiani nella navigazione alle Indie orientali. Egli mi oppone in primo luogo (l. cif. p. 2 il), che Amino Tristan nel 1447 s’inoltrò sessanta leghe di là dal Capo Verde, e che Alvaro Fernandez poco appresso si avanzò ancora più oltre quaranta leghe; e porta la testimonianza degli autori della Storia generale de’ Viaggi Io ho creduto più degno di fede il Mosto, che afferma, solo nel 1454 avere i Portoghesi scoperto quel Capo. Ma se ad altri sembra che, più che a lui, si debba credere a’ suddetti autori, io non mi ostinerò in favore della mia opinione. Non così posso concedere all' ab. Lampillas ciò che' egli con ammirabile sicurezza afferma, cioè che il secondo viaggio del Mosto si ridusse a questo, che prese terra sulla spiaggia dell’Africa, ma che avendo incontrati Negri, de’ quali non intendeva la lingua, diè volta addietro, e tornossene in Portogallo, e conchiude: ecco tutte le grandi gloriose imprese di Luigi Cademosto narrate dal signor abate Tiraboschi. E non ho io qui ragione di desiderare la buona fede del sig. ab. Lampillas? Io ho scritto che il Mosto fu lo scopritore dell’Isole di Capo Verde, e che giunse fino all’imboccatura del fiume di S. Domingo. Se ciò è vero, perchè lo dissimula egli? perchè finge ch’io abbia scritto soltanto eli’ ci pose piede a terra sulla spiaggia , e poi tornossene addietro? Se è falso, perchè non mostra la falsiti»? perchè non [p. 326 modifica]3a6 LIBRO

V. Narra egli adunque, che dopo aver fatti più viaggi nel mare Mediterraneo, determinossi a navigar per l’Oceano, e a recarsi a Bruges nelle Fiandre. L’anno della sua partenza, secondo la prima edizione, fu il 1454, il qual poi nella edizion latina, seguita ancor dal Grinco, cambiossi per errore nel 1504 Gli autori della Raccolta de’ Viaggi affermano che anche nella prima-edizionc è corso errore; perciocchè essendo stato il Mosto spedito a fare scoperte dall’infante don Arrigo, ciò dovette accadere prima del 1453, in cui, dicono essi, ci insegna ria chi fossero scoperte quelle isole? Egli reca il passo, che avea recato io pure, con cui Pier Martire d Angliiera parla del Mosto, come di un glorioso millantatore, e dissimulando la riflessione ch’io ho fatta, che I’ \ gliiera paria soltanto di ciò che il Mosto ha scritto de’ le navigazioni degli Spagnuoli, non di quelle de’ Portoghesi, mi fa dare a quel passo una risposta ridicola, cosi staccata coni è dal conti sto In questo modo egli è pur facile d confutar gli scrittori, e d sostenere quelle opinioni delle quali uno è imbevuto, (die direni poi della bella figura rettoricn ch’egli usa a spiegare la sua sorpresa, quando cercando nella mia Stona, chi fossero gli Italiani che eoi loro coraggio distesero maggiormente le scoperte de’ Portoghesi, non vi trovai, dice, altro Italiano, se non che Luigi Cademosto Venezìano. Ebbi certamente paura, continua egli egregiamente , che mi si fossero annebbiati gli occhi, ec. E io dubito veramente che cosi fosse, perchè s egli avesse veduto bene, avrebbe trovato che in questo luogo medesimo io nomino Antoniotto Usomare genovese, compagno del Mosto, e Anton o Noli pur genovese, che poscia scopri ancor meglio le Isole di Lapo Verde. Nè io so intendere come l'ab. Lampillas o non abbia veduti i nomi di questi due Italiani da me nominali, o abbia dissimulato di averli veduti. [p. 327 modifica]PRIMO 327 quel principe finì di vivere. Ma essi stessi ci narrano altrove (t. 1, p. 33) ch’egli morì nel 1463 ed è questa in fatti la più comune opinione, benchè alcuni ne anticipin la morte di due anni. Non vi ha dunque ragione per dubitare se il Mosto partisse veramente nel 1455 Or, seguendo il racconto, Luigi, postosi nella nave di Marco Zeno, partì da Venezia agli 8 di agosto in età di ventidue anni, e giunto sulle coste di Portogallo , da una tempesta fu spinto al Capo di S. Vincenzo, presso cui trovavasi allora l’infante in una sua villa dedito a’ consueti suoi studj. Questi non sì tosto seppe de’ Veneziani colà arrivati, che mandò tosto alcuno de’ suoi a ragionar loro de’ paesi di già scoperti , e di que’ che potevansi scoprir tuttora , e a mostrar qualche saggio delle diverse merci che se ne portavano in Europa, proponendo loro al medesimo tempo d’intraprender quel viaggio con condizioni ad essi medesimi vantaggiose. Il Mosto non esitò ad accettare l’offerta , e venuto innanzi all’infante , ogni cosa fu concertata. Quindi apprestata una caravella per comando del medesimo principe, che fu caricata quasi interamente a spese del Mosto, questi partì a’ 2 di marzo del 1455, insieme con Vincenzo Diaz, a cui f infante volle affidare il comando del legno, lasciando che le galere venete , con cui era venuto , sen andassero in Francia.Io non seguirò il Mosto nella serie del suo viaggio, e nelle belle descrizioni che ci ha lasciate delle coste africane, sulle quali egli discese. Niuno avea ancora ardito di oltrepassar Capo Verde; perciocché, [p. 328 modifica]3n8 libro comunque gli autori della Raccolta de’ Viaggi, fondati sul detto de’ posteriori scrittori, affermino (t 1, p. 19)) che fin dall’anno 1446 esso era stato scoperto da Dionigi Fernandezio credo più degno di fede lo stesso Mosto che dice (c. 35) averlo i Portoghesi scoperto sol l’anno innanzi a questa navigazione, cioè nel 1454. Mentre adunque continuava il suo cammino, si avvenne in due altri legni che al medesimo fine di far nuove scoperte correvan que’ mari. L’uno era di Antonietto Usomare genovese, il qual però nelle edizioni latine vien detto solo Antonietto da Genova; l’altro di alcuni scudieri dell’infante don Arrigo. Unitosi pertanto con essi, continuò il suo viaggio , e passò felicemente il Capo, inoltrandosi ancor più innanzi. Ma gli assalti che ebbero a soffrire da’ Negri, avendo sparso qualche timore nell’equipaggio, i naviganti protestarono a’ loro capi di non voler cimentare più oltre le loro vite , e di esser risoluti di tornarsene in Portogallo. Il Mosto e gli altri capitani non si lusingarono di avere bastevole autorità a sedare gli ammutinati, e crederon più saggio consiglio il volgere addietro, contenti di essersi avanzati oltre i già noti confini.

VI. L’anno 1456 il Mosto unitosi di nuovo colf Usomare, e armate due caravelle, alle quali una terza ne aggiunse l’infante, intrapresero al principio di maggio un’altra navigazione. Dopo essere giunti felicemente a Capo Bianco, un’impetuosa tempesta gli spinse all’Isole di Capo Verde. Esse non erano ancor conosciute, nè io so intendere qual contradizione trovino gli [p. 329 modifica]PRIMO 3 3() autori della Raccolta de’ Viaggi (t. 6, p. 325) tra la narrazione del Mosto che a sè attribuisce la scoperta di quell’Isole, e quella degli scrittori portoghesi che ne danno, secondo i detti raccoglitori, la lode a Dionigi Fernandez. Perciocchè essi al Fernandez attribuiscono solamente la scoperta del Capo; di quella delle Isole, che ne son non poco lontane, non fan parola. E questa perciò deesi tutta al Mosto e all’Usomare. Due ne vider d'appresso j tre ne scoprirono dalla cima di un monte di una di esse , oltre due altre che parve loro di vedere in gran lontananza. Avverte qui il Mosto, che la fama di queste Isole da lui scoperte trasse poscia altri a quelle parti medesime, e questi più attentamente esaminandole , osservarono che esse erano dieci. Colle quali parole, come osservano gli autori della Raccolta de’ Viaggi (ib. p. 408) « par che egli alluda ad Antonio Noli genovese, che l’anno 1462 scoprì meglio quell' Isole. Ma di questo viaggiatore genovese non ci è rimasta più distinta memoria, e i sopraccitati autori, ove di lui ragionano più stesamente (t. 1 , p;. 33), ci dicon solo che ei fu mandato dalla repubblica- al re Alfonso, e che nell’anno suddetto fece la mentovata scoperta. Lasciate le Isole, nelle quali non trovaron) cosa per cui fosse utile l’arrestarvisi, il Mosto e l’Usomare giunsero a Capo Verde , e di là avanzandosi più che fatto non aveano nella prima navigazione , vennero fino alf imboccatura del fiume S. Domingo, sessanta leghe in circa di là da Capo Rosso. Ma avendo ivi trovati tai Negri, di cui i loro interpreti non intendevan [p. 330 modifica]330’ LITRO la lingua, credettero inutile il proseguir più oltre nelle loro ricerche, e fecer ritorno in Portogallo. Qui finiscono le relazioni de’ viaggi del Mosto, il quale ad esse ne aggiunse un’altra della navigazione che l'anno 1462 intraprese Pietro Cintra portoghese, che va aggiunta a quella del Mosto, ma che non appartiene punto al mio intento. Pietro Martire d’Anghiera scrittor famoso f di cui dovremo più volte in questo capo medesimo far menzione, riprende assai aspramente il Mosto, perchè parlando delle navigazioni spagnuole dice di aver veduto ciò che veramente non vide mai. Perciocchè , dopo aver detto che l'anno 1513 si fe’ divieto dalla corte di Spagna , che niuno straniero passar potesse senza il real consenso in America? soggiugne: Propterea fui admiratus Aloisiutn quetnr latti Cadamustum Venetum Scriptorem rerum Portugallensium ita perfricata front*.• scripsisse de rebus Castellanis: fecimus, vidimus, ivimus: quae neque, fecit unquam, ncque Venelus quisquant vi dii (Occati. dee. 2 , Contin. l. 7). Quindi si duole che il Mosto abbia involato molto dai primi libri della sua propria Storia , non ancor pubblicati , e formata con essi f opera da lui medesimo data in luce. Io non so di qual opera del Mosto parli qui Pietro Martire. In quelle che abbiamo. ei non parla punto delle navigazioni spagnuole, ma sol di quelle de’ Portoghesi, riguardo alle quali aggiugne Pietro Martire, eli’ ei non vuol cercare se il Mosto abbia scritto ciò che veramente avea veduto , o siasi ivi ancora abbellito delle altrui spoglie: De Portugallensium inventis... [p. 331 modifica]PRIMO 331 ari visa , ut ait, annotaverit, an de alterius eodem modo vigiliis subtraxerit, est menni vesti gare. Vivai et ipse marte suo. Forse il Mosto, oltre quelle dei Portoghesi, descrisse ancora le scoperte degli Spagnuoli in qualche opera ora perduta. Ma checchè sia di questa, niuno ha finor dubitato el11 ei non abbia navigato co’ Portoghesi; e Pietro Martire, benchè mal prevenuto contro del Mosto, non ardisce di rivocarlo in questione, e noi possiamo perciò a buona ragione annoverarlo tra gli Italiani che ebber 11011 piccola parte nell1 aprir quel cammino all1 Indie orientali che fu poscia ad altre nazioni fecondo di gran tesori.

VII. Ma ad assai maggior gloria fu sollevato il nome italiano dal primo scopritore del Nuovo Mondo Cristoforo Colombo. Se l’America fosse, o no, conosciuta agli antichi, non è di quest’opera il cercarlo. È certo che da moltissimi secoli quasi ogni memoria ne era perduta, e questo basta a render immortale chi concepì il pensiero di discoprirla , e fra mille pericoli lo condusse ad effetto. Fin da quando egli viveva, cercò l’invidia di offuscarne la gloria collo sparger la voce che una caravella spagnuola gittata dalla tempesta alle coste di Fernambucco, o del Brasile, fu dal piloto e da alcuni pochi nocchieri, che soli rimasero in vita, ricondotta in Europa , e che il piloto accolto dal Colombo in sua casa, ivi dopo alcuni anni morì, lasciandogli nelle sue carte memorie baste voli a formare il piano della nuova navigazione (a). Ma (a) Veggansi le belle riflessioni che intorno alla [p. 332 modifica]33 2 LIBRO questo racconto (di cui il Ferrera s, recente storico delle cose di Spagna, ha aggiunto un grave anacronismo , dicendo (Hi st. d E Spagne , t. 8, p. 128) che il detto piloto fu Amerigo Vespucci) appena trovò fede presso il vil volgo 5 e il comun consenso di tutti gli scrittori di que’ tempi e de’ posteriori ancora di qualunque nazione ne dà tutto l’onore al Colombo. Egli è degno perciò, che noi ne parliamo quanto conviene a dar giusta idea della grande impresa a cui egli si accinse. Moltissimi sono gli storici che ci si offron per guida. La Vita che ne scrisse Ferdinando Colombo di lui figliuolo, le antiche relazioni inserite nelle prime Raccolte de’ Viaggi stampate in Vicenza e in Milano, e poi in quelle del Grineo , del Ramusio e d’altri , la Storia di Pietro Martire d’Anghiera, scrittor di que’ tempi, e quelle di Gonzalo Fernando Oviedo , di Francesco Lopez di Gomara e di Antonio Herrera storici spagnuoli , che fiorirono verso la metà del secolo susseguente , oltre un’immensa folla di altri scrittori più recenti, tutti ci parlano dei viaggi e delle scoperte del Colombo. Io mi varrò singolarmente di due opere , i cui autori benchè moderni hanno però diligentemente confrontati favola ilei piloto precursore del Colombo fa l’autore delV Elogio storico del Colombo (p. 71, ec.), di cui diremo tra poco, ove ancora esamina assai bene e ribalte le pretese scoperte da altri già fatte di quelle terre alle quali approdò il olomho, e mostra che al più si può credere die qualche parte delf America settentrionale si scoprisse verso l’xi secolo da’ Norvegi, ma che questa scoperta fu presto dimenticala. [p. 333 modifica]primo 333 tra loro i più antichi, scegliendone ciò che vi ha di più accertato, o almeno di più probabile. La prima è la Raccolta generale de’ Viaggi fatta dagli eruditi Inglesi, e tradotta e posta in ordin migliore dall1 ab. Prevòt, già altre volte da me citata, che in questa parte è forse più che in altre esatta e fedele; l’altra è la Storia del1' Isola di S. Domingo del P. Charlevoix della Compagnia di Gesù, di cui dice il sopraddetto ab. Prevôt (Avant-propos au t. 45 de l’Hist. des Voyag. p. 24) , che la stima di cui è in possesso , dee farla considerare come una sorgente autorizzata dal pubblico. Un punto però, di cui tutti gli accennati scrittori si spediscono assai in breve, richiede da noi qualche più esatta ricerca; cioè ove nascesse un uom sì famoso , giacchè di lui è avvenuto ciò che di più altri celebri eroi, cioè che molte città si contendan tra loro la gloria di avergli dati i natali. Io potrei ommettere tal quistione , perciocchè all’onor dell’Italia è indifferente di qual patria egli fosse, purchè fosse italiano. Ma parmi che i miei lettori non sieno per soffrire mal volentieri ch' io prenda qui a trattarne, e a rischiarare, se fia possibile, questo punto troppo finora intralciato. Vili. Tre sono le principali sentenze intorno alla patria del Colombo. Alcuni il dicono genovese, i quali però si dividon tra loro, volendo alcuni clic ei veramente nascesse in Genova, altri in Savona, altri in Nervi nella Riviera di Levante , altri in qualche altro picciolo luogo di quel dominio. Alcuni il vogliono piacentino, e natio di Pradello picciol villaggio nella valle [p. 334 modifica]334 LIBRO di Nura. Alcuni finalmente il fanno nato in Cucaro castello del Monferrato, di nobil famiglia e signora del medesimo castello e di altri feudi. Fin qui non abbiamo di che stupirci) poichè spesso accade di vedere gli autori così fra loro discordi. Ciò che è più strano, si è che tutte tre queste diverse opinioni hanno per lor fondamento autentici monumenti che sembrano incontrastabili. Le pruove dell1 opinione de’ Genovesi saranno note a pochissimi. Perciocchè chi mai crederebbe di doverle trovare in un Comento di Tacito? E nondimeno ivi appunto le ha pubblicate Giulio Salinerio giureconsulto savonese, che ranno 1IÌ02 stampò in Genova le sue Annotazioni sul detto storico. In esse a provare che il Colombo fu genovese, benchè abitante in Savona, e natio di Quinto, produce parecchie carte, nelle quali è nominato Domenico padre del nostro Cristoforo (p. 326 , ec.). Così in una del 1470: Dominicus de Columbo Civis Januae qu. Johannis de Quinto testor pannorum et tabernarius. In un’altra dello stesso anno: Dominicus de Columbo de Janua. In una del 1473: Dominicus de Columbo de Janua habitator Saonae Lanerius. In una del 14y 1: Dominico de Columbo de Quinto Januae habitatori Savo nae. In un altra carta che è senza data , si trova nominato Domenico come defunto , e veggiam fatta menzione di Cristoforo e di Jacopo , ossia Diego di lui figliuoli: adversus Cristophorum et Jacobum fratres de Columbis filios et haeredes q. Dominici eorum patris; e più sotto: contra dictos Christophorum [p. 335 modifica]primo 333 et Jacoburn dietimi Dieghnm; e si aggiugno die essi erano assenti: dicti conventi sunt absentes citra Pisas et Niciam (p, 349;;, ec.)) e il luogo di lor dimora è meglio spiegato in un’altra carta del 15oi j in cui ancora vien nominato il terzo de’ fratelli Bartolommeo: Cristophori, Bartolomei, et Jacobi de Columbis q. Dominici... dixerunt... dictos Cristophorum, Bartolomeum et Jacobum de Columbis figlios et heredes dicti q. Dominici eorum patris jam diu fore a civitate et posse Saonae absentes ultra Pisas et Niciam de Proventia, et in partibus Di spanine commorantes, ut notorium fuit et est (p. 351, 353). Che possiam noi opporre a tai documenti? Essi non hanno cosa che faccia nascer dubbio della loro autenticità; e se non vi fosse contrarietà d’opinioni , ognuno confesserebbe che il Colombo certamente fu genovese oriondo di Quinto, e abitator di Savona.

IX. Facciamoci ora ad udire i monumenti de’ Piacentini. Il canonico Pier Maria Campi ha scritta su ciò una lunghissima dissertazione inserita nel terzo tomo della sua Storia ecclesiastica di Piacenza (p. 225, ec.), la qual non fu pubblicata che nel 1662, tredici anni dopo la morte del suo autore. Convien dire eli’ ei non vedesse il libro del Salinerio, benchè già da tanti anni venuto in luce, perciocchè di esso e de’ monumenti ivi prodotti non fa parola. Ma egli ancora produce un autentico monumento dell’anno 1481 (p• 232). scritto in Betola villaggio della detta Valle di Nura. In esso veggiamo che un certo Bertone de’ Duzzi [p. 336 modifica]33fi LIBRO avea ricevuti in affitto alcuni terreni nel territorio di Pradello, l’anno 1443, dal fu Domenico de’ Colombi figliuol di Giovanni: perniine ipi. Dominicwn de Columbiy oli in habilaboreni Civitatis Januae et filium qu. Joannis liabitato ri s in dieta Villa Pradelli; e che Bertone e poscia Tommasino di lui figliuolo avean perciò esattamente pagato ogni anno , secondo il convenuto, ottanta lire di denari piacentini al detto Domenico, e poscia, lui morto, a Cristoforo e a Bartolommeo di lui figliuoli j ma che poscia eransi questi due già da dieci anni allontanati da Genova. per andare all’Isole sconosciute, talchè di essi non aveasi più novella. Cristophoro et Bartolomeo filiis dicti qu. Dominici, et qui jam per annos decem in circa se absentaverunt a dicta Civitate Januae, etj ut dici tur, iverunt ad Insulas incognitas... taliter quod a multo tempore citra non fuit auditum de illis. Perciò Tommasino Duzzi avea cominciato non solo a non pagare il consueto denaro, ma ad alienare ancora parte de’ medesimi beni. Quindi Giovanni e Domenico de’ Colombi, cugini carnali di Cristoforo e di Bartolommeo, perchè figliuoli di Niccolò fratel di Domenico, ricorrono al giudice, acciocchè dichiari decaduto dal diritto di tenere i beni in affitto il medesimo Duzzi, atteso il non essersi da lui osservati i patti nello stromento prescritti, cioè di pagare stabilmente il mentovato denaro agli eredi di Domenico, e di non alienar parte alcuna de’ medesimi beni; e il giudice Gianniccolò de’ Nicelli decide che il Duzzi non era già decaduto da tal diritto, ma solo che [p. 337 modifica]PRIMO J07 Jovea pagare a1 mentovati fratelli il prezzo annuo convenuto insiem co’ decorsi. Or qui riflettiamo che i monumenti genovesi e i piacentini concordano esattamente nel nome dell’avolo e del padre del nostro Cristoforo, Giovanni il primo, Domenico il secondo. Il canonico Campi nomina inoltre (p. 230) parecchi altri Colombi abitanti in Pradello, e fra gli altri Bertolino padre del suddetto Giovanni e bisavolo di Cristoforo , i cui nomi trovansi registrati in parecchie carte dell’archivio pubblico di Piacenza. Ma prima di esaminare qual forza abbiano cotai monumenti, veggiamo quai sieno quelli ai quali si appoggian coloro che fanno Cristoforo natio di Cucaro nel Monferrato.

X. Io non ho trovato scrittore che abbia posto in luce le ragioni de’ Monferrini. Ma il canonico Campi le ha recate per confutarle j c di ciò ch’egli dice, varrommi io pure per darne qualche notizia. Poichè fu morto in Ispagna don Diego Colombo, pronipote di Cristoforo e l’ultimo della legittima stirpe maschile, nacque ivi contesa intorno alla eredità, che faceasi ascendere a 24000 scudi di annua entrata. Pretendevano ad essa, oltre un bastardo di D. Luigi zio di D. Diego, una figlia del medesimo D. Luigi monaca, e tre discendenti da tre figlie di D. Diego figliuolo del nostro Cristoforo, i quali tutti viveano in Ispagna. Si scrisse ancora in Italia per far ricerche se vi fosse chi appartenesse a quella famiglia. I Genovesi non pare che avessero ancora scoperti que’ monumenti che abbiam poc’anzi accennati, e ch’essi fossero allor persuasi che il Colombo, TiRAiiosaii, Voi. FU 32 [p. 338 modifica]338 LIBRO comechè nato in Genova, traesse la sua origine dal Piacentino (V. Campi L. cit p. 234)e non troviamo infatti che facessero alcun movimento. Quei di Pradello erano troppo poveri per entrare in un sì dispendioso processo y e solo molti anni dopo il dottor Anton Francesco Colombo, che discendeva dalla medesima linea, si preparava a produrre le sue ragion15 ma ne depose il pensiero, avendo saputo che l’eredità del Colombo era passata alla famiglia Mendozza (ib. p. 230)). Que’ che allora si adoperarono con più calore, furono i Colombi di Cucaro nel Monferrato, e le lor ragioni si veggono addotte nel Sommario della causa , che fu stampato in Madrid 1 anno 15yo, e di cui ebbe copia il canonico Campi (ib. p. iì44)• In esso si accennano parecchie carte, nelle quali si trova espressa la genealogia di Cristoforo. In una del 1405 si nomina: Nobilis et egregius vir D. Lantia Columbus de Cucaro filius quondam nobilis viri D). Henrici Columbi In un’altra del 1419 il marchese Gian Jacopo di Monferrato dà f.investitura di Gonzano e di Cucaro a Berettino, Arrigotto, Franceschino, Stefano, Domenico e Zanino, fratelli e figliuoli del suddetto Lancia, e di Domenico si fa menzione in più altre carte. Niuna se ne produce in cui si nomini Cristoforo. Ma nel Sommario si dice, che poichè si sa altronde che Cristoforo fu figliuol di Domenico, e troviamo un Domenico Colombo in Cucaro, si pruova abbastanza che da lui nacque Cristoforo. Ma, a dir vero, questo argomento non ha forza a provare che Cristoforo fosse della famiglia de’ Colombi di [p. 339 modifica]PRIMO 33() Cucaro, finché non provisi che non potessero vivere al tempo medesimo due uomini amendue dello stesso nome e cognome, l’uno in Monferrato , l’altro nel genovesato, o nel Piacentino. Le altre pruove che si allegano, non sono appoggiate che a una semplice tradizione, la quale ognun sa quanto sia fallace. Quindi a me pare che questa opinione sia men sostenuta da validi documenti, e a riputarla come troppo dubbiosa , oltre le molte ragioni che dal canonico Campi diffusamente si allegano (p. 252 , ec.), parmi che due singolarmente abbiano non poca forza. La prima si è che niuno ha mai creduto che il Colombo fosse natìo del Monferrato fino a quel tempo in cui insorse la lite per l’eredità mentovata. La seconda ancor più conchiudente si è , che se il Colombo fosse stato dell’antica e nobil famiglia de’ Colombi feudatarj di Cucaro e di Conzano, ei non avrebbe occultata la sua origine, nè Ferdinando di lui figliuolo ne sarebbe rimasto all’incerto, come ben si vede el11 ei fu, riflettendo alla maniera con cui ne scrive, e che vedremo tra poco. Non si troverà mai esempio, io credo, di uomo uscito per legittima nascita di nobil famiglia , che abbia vissuto più anni col padre, che sia stato sollevato a grandi onori, e il cui figliuolo vissuto egli pure lungamente con lui abbia ignorato da quale stirpe nascesse. Quindi, finchè non si producono più certe pruove, possiamo a giusta ragione affermare che il Colombo non traesse la sua origine dal Monferrato, e rimarrà solamente a decidere s’ei debba credersi genovese, o piacentino. [p. 340 modifica]340 LIBRO

XI. Ma innanzi di stabilire se più autorevoli sieno i monumenti pe’ Genovesi prodotti dal Salinerio, o que’ pubblicati dal Campi pe’ Piacentini , veggiam qual sia il sentimento degli scrittori o contemporanei, o vicini al Colombo. Bartolommeo Senarega ne’ suoi Annali di Genova, nei quali scrive le cose da lui stesso vedute dal 1448 fino al 1514? chiaramente afferma che Cristoforo era nato in Genova da un tessitore (Script. rer. ital. vol. 24 p. 535): Cristophorus et Bartholomaeus Columbi fratres Genuae plebeiis parentibus orti, et Lanificii mercede vie tifa nint; nani pater textor, carmiuntore s filii ali quando fuenuit. Lo stesso racconta Antonio Gallo, genovese egli pure e scrittore di que’ medesimi tempi , di cui il Muratori ha pubblicato un opuscolo intorno alle navigazioni del Colombo (ib. vol. 23, p. 301). Questo però, se se ne traggono pochissime linee, è lo stessissimo tratto che si legge negli Annali del Senarega) ed essendo questi due autori vissuti al tempo medesimo, è difficile a diffinire chi di essi si sia giovato dell’altrui fatica. Aggiungansi a questi e Uberto Foglietta (in Elog. Ill Ligur.) e Agostino Giustiniani (Stor. di Gen. ad un. 14i)3) essi ancora contemporanei al Colombo, e genovesi di patria, i quali accennano ancora il testamento di Cristoforo, in cui lascia al Banco di S. Giorgio di Genova la decima parte della sua entrata, benchè ciò non sia stato condotto mai ad effetto. Ma questo testamento sembra al canonico Campi (l. cit. p. 227) assai dubbioso, per non dire supposto, e non so veramente [p. 341 modifica]PRIMO 34 f se siane mai stata prodotta autentica copia (u). Nè sono i soli Genovesi che affermino il Colombo loro concittadino. Pietro Martire d1 Alighiera, clic vivea nella corte di Spagna, e che ivi avea conosciuto il Colombo, lo dice Ligure (Ocean. dec. l. 1). Nella Raccolta de’ Viaggi stampata in Vicenza l’anno 1506. e più volte da noi mentovata, ove si dà una relazione compendiosa de’ viaggi del Colombo, si dice Cristophoro Colombo Zeno erse. Cosi i più antichi scrittori son tutti concordi nell’affermare che il Colombo fu genovese, o almeno del dominio di quella repubblica. Ferdinando figliuol di Cristoforo fu il primo a muoverne dubbio. Egli, dopo aver nominati i diversi luoghi del genovesato, che diversi scrittori gli danno per patria, soggiugne (Hist. Ind. c. 1) che altri il fan natio di Piacenza, ove, ilice egli, sono alcune onorate persone di tal famiglia , e se ne veggono i sepolcri colle loro divise. Ma non possiam noi credere a buona ragione che il figliuolo così scrivesse per sollevare, come meglio poteva, l’origine di suo padre e la sua? E da ciò forse nacque ancora il narrare di’ ei fa che Cristoforo scrisse già ad una dama spagnuola , non esser lui il primo ammiraglio di sua famiglia; vanto troppo importuno in chi non ardiva di nominare il luogo onde fosse natìo. E certo, per testimonio del medesimo Campi, il Colombo non apparteneva per alcun modo alla nobil famiglia de’ Colombi piacente) È certo che questo testamento esisteva, e ne «liremo Ira poco. [p. 342 modifica]342 LIBRO tini; e basterebbe a provarlo la riflessione che fatta abbiamo parlando de’ Colombi di Monferrato. Il sentimento di Ferdinando fu poi seguito da Gonzalo d’Oviedo, il quale dice (l.2, c. 2) che ei traeva l’origine dall1 antica e 110bil famiglia di Pelestrello della città di Piacenza , nel che egli confonde la famiglia del Colombo con quella della prima sua moglie eh1 ei prese in Ispagna, c che era appunto della casa di Pelestrello. Niuno in somma ha pensato ch’ei fosse natìo, o oriondo di Predello nel Piacentino, finchè le lite insorta per occuparne la eredità ne risvegliò la prima idea. E perciò sembra evidente che l’opinione de’ Genovesi sia la meglio fondata.

XII. Che direm noi dunque de’ monumenti de’ Piacentini? Quando essi non si voglian creder supposti, il che io non ho motivo alcun d’affermare, e quando non si possano conciliare co*monumenti genovesi, converrà dire che per caso, strano veramente, ma pure non impossibile, al tempo stesso che in Pradello era un Domenico figliuol di Giovanni e padre di Cristoforo Colombo, fossero in Savona, o in Genova tre altri personaggi non sol dello stesso cognome, ma de’ medesimi nomi. Nondimeno non è forse impossibile il conciliare insieme cotai monumenti, e il dividere tra i Piacentini e i Genovesi la gloria d’aver dato alla luce lo scopritor dell’America. Io rifletto che nello strumento dell’anno 1481, prodotto dal canonico Campi, si dice che Domenico, allor già defunto , avea abitato in Genova el11 era figlio di Giovanni abitator di Pradello: per unric [p. 343 modifica]PRIMO 343 (jti. Dominicum de Columbis olim habitatorem civitatis Januae, et filium qu. Joannis habitatoris iti dieta J illa PradeìU. Rifletto ancora che nè Domenico nè Giovanni non vengon in esso detti natii di Pradello, ma di Giovanni si dice solo che ivi abitava j al contrario Tommasino dei Duzzi si dice natìo di Pradello: Thomasinum de Duziis qu. Bertoni de Villa Pradelli. Rifletto per ultimo che i beni, de’ quali si parla nel detto strumento, erano sottoposti alla condizione di Fedecommesso da Bertolino Colombo padre di Giovanni e bisavolo di Cristoforo, come sull’autorità di altre carte afferma il canonico Campi. Or posto ciò, mi sembra che ogni cosa si possa in questo modo spiegare. La famiglia di Cristoforo era, a mio parere , orionda da Pradello, ove le carte accennate dal sopradetto scrittore ci mostran molti di tal cognome. Ma già da gran tempo il ramo da cui discese Cristoforo, se n’era assentato per trasportarsi nelle terre dei Genovesi; e ciò era avvenuto probabilmente sin da’ tempi di Bertolino, il qu.tl dovea essersi stabilito in Quinto nel territorio di Genova. Giovanni però , figlio di Bertolino, dovette venire ad abitare per qualche tempo in Pradello 5 c così si concilia lo strumento piacentino, ove egli è detto abitator di Pradello, collo strumento savonese in cui, come abbiamo veduto, egli è detto ora de Quinto, ora de Quinto Januae. Domenico figliuol di Giovanni convien dire che passasse ad abitare in Genova, e che vi ottenesse il diritto della cittadinanza. Perciò nella carta di Piacenza egli è [p. 344 modifica]344 libro detto habitator Januae, in quelle di Savona è detto Civis Janiiae j c insieme habitator Saonae , ove per qualche tempo verisimilmente si trasferì. Se poi in Genova , o in Savona nascesse Cristoforo , ciò resta incerto, non ben sapendosi ove fosse Domenico , quando quegli gli nacque. In tal maniera si dovrà dire che il Colombo trasse la sua origine da Pradello nel Piacentino, ma che nacque nel Genovesato, e di famiglia già da più anni colà trasportata (*). I monumenti savonesi ci insegnano ancora la condizione del padre, che era tessitore di panni, il che concorda’ colla narrazione del Senaregn e de! Gallo. Altri ci dicono ch’egli era di professimi barcaiuolo; il che se si vuole ammetter (*) Il sig. Giantommaso Belloro savonese, versatissimo nelle antichità e nella storia della sua patria , si è compiacili lo di approvare, con sua ietterà dcJ i \ agosto del 1777, al sig. ab. Saverio Bettinelli, la via da me tenuta nel conciliare insieme i monumenti piacentini prodotti dal canonico Campi intorno alla patria del Colombo co’ monumenti savonesi pubblicati dal.Salinerio, e da lui pure veduti e esaminati. Egli però mi ha avvertito che Domenico padre di Cristoforo, il quale nella carta piacentina del 1 481 si nomina come già morto colf aggiunto q, cioè quondam s in ali uni monumenti savonesi del 1484&e del 1491 si nomina come ancor vivo. Ciò però non combatte punto la mia opinione, per cui è indifferente in qual anno morisse Domenico. E forse ancora potè errare il canonico Campi nel far copia di quel monumento. E lo stesso può dirsi intorno all’essere ommesso nel monumento piacentino Jacopo fratello esso ancor di Cristoforo, che vedesi nominato ne’ savonesi; e qualunque spiegazion voglia darsi di una tale omissione, essa non può opporsi in alcuna maniera all' opinione da me proposta. [p. 345 modifica]PRIMO 345 por vero, converrà dire el11 ci dividesse il tempo fra que’ due impieghi. Io ho esposto fin ora ciò che mi sembra più verisimile intorno a questa sì oscura quistione. Che se altri con monumenti più certi si farà a sostenere qualche altra opinione, ben volentieri mi arrenderò, e compiacerommi di esser giunto cogli altrui lumi a scoprire il vero. Or vegniamo a Cristoforo (). (67) Quando io scrivea questa dissertazione sulla patria del Colombo, non avea, nè poteva aver veduti gli Annali di Genova del Casori stampati nel 170(1, de’ quali non abbiamo qui copia. Il ch. sig. ab. Gaspare Luigi Oderigo, celebre per le belle sue opere sulle antiche medaglie, si è degnato di trasmettermi il passo in cui a pag. 27 e seguenti ei ne ragiona, c compì uova sempre più l’opinione de’' Genovesi. Egli avverte dapprima , che era antichissima in Genova una famiglia de’ Colombi, detta anche , secondo lui, de’ Colom; quindi osserva che da pubbliche scritture raccogliesi che gli ascendenti di Cristoforo abitavano in Terra rossa poco distante da Nervi; che Giovanni da Quinto fu l’avolo di Cristoforo, Domenico il padre, la madre Susanna Fontanarossa da Saulo presso Nervi; che Cristoforo fu il primo lor figlio, dietro cui vennero Bartolommeo e Giacomo, e Susanna , maritata poi in Giacopo Bavarella; che Domenico, oltre le possessioni che avea in Quinto, avea acquistate due case in Genova, ove abitava nella parrocchia di S. Stefano, ed esercitava l’arte della lana, facendo tesser del suo,- la qual professione in Genova non recava alcun pregiudizio alla nobiltà della nascita. Lo stesso Casoni però confessa la povertà del Colombo, e afferma che i due fratelli aveano da Lisbona mandate parecchie somme di denaro al vecchio lor padre; e che Cristoforo, quando venne in Italia a proporre i suoi disi gni alla repubblica nel 14S'. passò a Savona, ove allora abitava il padre gin scttuagen 1rio, ed aiutollo a tornare a Genova, ove ancor vi\ea [p. 346 modifica]346 LIBRO XTI1’ Qnal educazione egli avesse da un padre tessrtor di panni e barcaiuolo, ognun può immaginarlo. Volle però Domenico che il suo figliuolo avesse i primi clementi della letteranel 1489. Ma ciò che è ancor più autentico, il Casoni riferisce la lettera che il Colombo scrisse da Siviglia prima di partir di nuovo per l’Indie Indie, a’ 2 di aprile del 1502, a’ signori dell’Ufficio di S. Giorgio di Genova, la qual tuttora conservasi nell’archivio del detto Ufficio. In essa egli scrive, che se bene per tanto spazio di tempo era stato lontano DALLA PATRIA , ad ogni modo non si era da quella disgiunto il suo cuore.... che dovendo in breve partir per l'ìndie a nuove conquiste , e potendo in quel viaggio perire , lasciava ordine a suo figlio, che de’ profitti delle terre ritrovate somministrasse la decima parte ogni anno alf Ufficio di S. Giorgio per diminuire le imposizioni sopra del comestibile: aver mandate a Niccolo Ode rigo te adozioni de* suoi viaggi, e gli esemplari dei regj privilegi, acciocchè i suoi Cittadini avessero la consolazione di vederli, ec. Che sia avvenuto delle Relazioni , è ignoto. I privilegi si conservarono presso la famiglia Oderigo fino al 1670, nel qual anno Lorenzo bisavolo del soprallodato sig. ab Gaspare Luigi li presentò alla repubblica, acciocchè fossero custoditi ne’ pubblici archivj; e presso la stessa famiglia esiste tuttora un decreto di gradimento della repubblica a favore del detto Lorenzo e di Giampaolo di lui figliuolo. In esso si dice che Lorenzo presentò due libri, in ognuno de’ (quali si contiene in carta pergamena copia autentica del fi privilegi concessi dal Re Ferdinando e dalla Regina Isabella di Spagna sua moglie a Cristoforo Colombo Genovese in prem o delle di lui famose scoperte nella conquista del nuovo Mondo. « A questi documenti deesi aggiungere che nell’archivio segreto della repubblica di Genova conserv isi un estratto in lingua spagnuola del testamento del Colombo, rogato in Siviglia da Martino itodriguez I anno 149?) e alcuni frammenti ne sono stati inseriti nell’Elogio storico del Colombo, stampato in Parma nel 1 '3i, [p. 347 modifica]PRIMO 347 tura, c il tenne per qualche tempo alle scuole, ove cominciarono a svilupparsi in lui quelle idee che poscia il condussero a riconoscere l’esistenza (li un nuovo mondo, e ad andarne ei (p. 2o3). Ed esso rende sempre più certa e indubitabile l’opinione che il Colombo nacque veramente in Genova; perciocchè egli dice: que stendoyo navido en Genova. Il valoroso autore di questo elogio arreca altre pruove (p. 6), per le quali sembra che debba cessare ogni dubbio. Ivi si riferiscono gli argomenti da me adottati in favore de’ Piacentini solo a provare che la famiglia del Colombo traesse la sua origine da Pradello, e si adducono due motivi singolarmente per dubitare della loro autenticità. Il primo si è quel medesimo propostomi dal sig. Tommaso Belloro, e a cui mi sono già studiato di soddisfare nella nota presente. L’altro si è il dirsi nel documento piacentino accennato del 1481 che Cristoforo e Bartolommeo fossero già da dieci anni partiti per andarsene ad isole incognite, mentre in quel tempo eran ben lungi i fratelli dall intraprendere le loro scoperte, e non si recarono all1 isole incognite, che nel 1492. E certo, se in quel documento si affermasse che essi già erano dalla Spagna partiti per andare in traccia di quell’isole, esso dovrebbesi necessariamente rimirare come supposto. Ma solo in esso si dice che si allontanaron da Genova, e andarono ad isole incognite. Or non potevan essi fin da quel tempo averne formato il progetto? Non potevan essi, abbandonando la patria, dire a’ loro amici che volevano andar cercando isole finallora non conosciute? In questo senso a me sembra che si possa spiegare il monumento piacentino senza rigettarlo, come supposto , perchè esso per altra parte non si oppone al punto principale, cioè che il Colombo nascesse in Genova. Questa opinione confermasi sempre più chiaramente da un codicillo original del Colombo , scritto sedici giorni innanzi alla sua morte, che trovasi in un Ufficio della B. V. a lui già donato da Alessandro VI, e che or conservasi nella celebre libreria Corsini in Roma, come mi ha avvertito il ch. sig. aliale [p. 348 modifica]348 LIBRO medesimo in traccia. La navigazione era il principale oggetto de’ suoi pensieri, e perciò in età ancor giovanile ad essa si volse. Ei dovea Andres. Questo bel documento, che pruova insieme la singolar pietà del Colombo, vuolsi qui riportar per intero: Codicillus more militari Chris tophori Columbi. Cum SS. Alexander Papa VI me hoc devotissimo praecum libello honorarit summum milii praebent e solatiurn in captivitatibus, praeliis, et adversitatibus meis, volo ut post mortem meam pro memoria tradatur amantissimae meae Patriae Reipublicae Genuensi; et ob beneficia in eadem Urbe recepta volo ex stabilibus in Italia redditibus erigi ibidem novum hospitale, ac pro pauperum in patria meliori substentatione, deficienteque linea mea masculina in Admiralatu meo Indiarum et annexis juxta privilegia dicti Regis in successorem declaro et substituo eamdem Rempublicam S. Georgii. Datum Valledoliti 4 Maji i 5o6. SS. A. S. X. M. Y. XPOFERENS, (che è la sottoscrizione ancora delle lettere poc’anzi citate. Finalmente una nuova conferma dell5 opinione de’ Genovesi si ha nel Salterio quadrilingue di Agostino Giustiniani, stampato nel 1516, dieci anni soli dopo la morte del Colombo, ove comentando egli quelle parole del salmo XVIII, in omnem terram exivit sonus eorum , ec. fa una lunga digressione sulla scoperta dell’America e sulla vita del Colombo, cui dice genovese di patria. Egli però, autor certamente degno di fede, contraddice a’ documenti dal Casoni prodotti, che anche ad altri sono sembrati dubbiosi. e afferma ch’egli era d’ignobil famiglia: vilibus ortus parentibus; e siegue poi raccontando le altre cose che dagli altri storici e da noi pure si son narrate su questo memorabile avvenimento. Deesi osservare per ultimo , che l’estratto dell’indicata lettera del Colombo al magistrato di S. Giorgio è stato inserito ancora nel citato Elogio colla risposta finora inedita a lui fatta da quel magistrato, e due lettere del Colombo al detto Niccolò Oderigo; e si son fatte incidere le sottoscrizioni, come sono negli originali ». [p. 349 modifica]miMO 34y già esser partito da Genova verso il 1471 » perciocché abbiamo veduto che nella carta del 1481 si dice ch’egli era giada circa dieci anni assente da quella città. Bartolommeo suo fratello segli aggiunse a compagno) e degno è di essere osservato ciò che i due sopraccitati scrittori genovesi, il Senarega e il Gallo, raccontano, cioè che Bartolommeo recatosi in Lisbona, si die’ a disegnare carte geografiche ad uso de’ naviganti, nelle quali in proporzionata distanza segnava i mari, i porti, i seni, i lidi, l’isole tutte: che perciò ei trattenevasi spesso a favellar con coloro che tornavano dalle navigazioni da’ Portoghesi intraprese verso l’Indie Orientali j e che comunicando le relazioni che da essi gli veniano fatte, col suo fratello Cristoforo, questi, che nelle cose del mare avea assai maggior cognizione, cominciò a riflettere che se alcuno lasciando il lido dell’Africa si fosse volto a destra verso Occidente , avrebbe certamente trovato un nuovo amplissimo Continente. Avea frattanto Cristoforo preso a correre i mari, ed erasi perciò unito, come narra Ferdinando nella Vita del padre, a un famoso corsaro, detto Colombo il giovane, suo parente, con cui essendo venuto a combattimento contro di un legno veneziano, quello in cui era Cristoforo prese fuoco, ed egli a gran pena sostenendosi con un remo giunse finalmente a terra, ed andossene a Lisbona. E veramente gli storici veneti ci raccontano il combattimento di quattro loro galee; contro altre sette del corsaro Colombo il giovane verso [p. 350 modifica]3jo libro il 1486 (Petr. Justm. llist. Veti. I. 1 o; Sabeliti:. Enne ad. 10. I. 8), ma invece della sventura de’ legni nemici narrata da Ferdinando, ci dicono che i Veneziani ebber la peggio, e che ne rimanesser morti 300, e tutti gli altri furon fatti prigioni. Essi poi nominan bensì il sopraddetto corsaro; ma di Cristoforo e della parentela che questi avesse coll’altro, non dicon parola. Quindi il Saliniero sospetta, e forse non senza buon fondamento, che Ferdinando abbia dato Cristoforo per compagno e parente a quell’altro Colombo, chiunque egli fosse, perchè una tal parentela con un uomo che, comunque di professione corsaro, dovea essere nondimeno potente e ricco, desse qualche risalto alla bassezza de’ suoi natali. Più ey lo è ciò ch’egli poscia aggiugne , cioè che Cristoforo ebbe in Lisbona la sorte di piacere a una giovane dama figlia di Pietro Mugniz Perestrello, che il prese a marito. Da questa ebbe Diego suo primogenito; e morta essa fra pochi anni, prese a seconda moglie Beatrice Enriquez, da cui nacquegli Ferdinando lo scrittor della sua V ita. Egli frattanto, colle osservazioni sulle carte geografiche di suo fratello e sulle relazioni de’ viaggi de’ Portoghesi, andava volgendo nell’animo il gran pensiero di scoprire il nuovo mondo. Alcuni legni lavorati, e alcune piante non ben conosciute , che da’ venti occidentali erano spesse volte sospinte alle coste dell’Africa e all' Isole Àzoridi, le deposizioni di alcuni abitanti dell’Isola di Madera, ai quali era sembrato di veder da lungi verso Occidente [p. 351 modifica]I PRIMO 351 alcune terre, i dubbj di qualche antico geografo sull’esistenza di un altro mondo, ed altre simili riflessioni con lungo esame da Cristoforo ben ponderate, lo persuasero finalmente che dovean esservi cotali terre, e gli parve di poter accertare per qual via potessero ritrovarsi (a). (a) Noi) può negarsi che qualche idea di una parte non ancor conosciuta del globo terraqueo non avesser già avuta coloro che più eran versati nella geografia e nella storia. Il sig. V incenzo Fprmaleoni, nominato poc’anzi, ha pubblicata una carta di Andrea Bianco veneziano, disegnata l’anno 1436 (Stor. getter. de) / iaggi, ec. t. 6, p. 193, ec.), in cui s’indica chiaramente l’Isola de Antilia, benchè in luogo diverso da quello ove son veramente le Antille , che si dicono dal Colombo scoperte Su questa carta si è menato gran rumore da alcuni , come se essa togliesse quasi al Colombo la gloria, di cui finora ha goduto, di scopritor dell’America. Ma in primo luogo il Bianchi non fu il solo che avesse questa notizia. Nella real biblioteca di Parma conserv isi un’altra mappa dello stesso anno 1436, con una iscrizione alquanto corrosa, in cui però leggonsi chiaramente queste parole becharius (non bedrazius o bedrarius, come altri han letto) Civis Januae composuit hanc... (anno. Domini millesimo ccccxx r i die.... Julii. E in essa vrggousi a un dipresso i medesimi nomi che in quella del Bianchi, e l’Antillia nella medesima situazione e nella medesima l’orma, cioè a foggia di una grand’isola con otto porti; sicchè sembra che il Veneziano non meno che il (genovese abbiano al tempo medesimo copiata la loro carta da qualche altra più antica. Allo stesso modo vedesi delineata X Aliti Ili a nella carta disegnata da Andrea Benincasa nel • 7O, che si conserva nella pubblica biblioteca di Ginevra , come si è detto poc’anzi; e in un’altra fatta da Martino Bechaim da Norimberga nel 1492 cioè m 11’anno in cui il Colombo andavane in traccia, e pubblicata in Norimberga l’anno dal sig. Cristoforo Teofilo da Murr. Di fatto anche Paolo Toscanelli, nella lettera qui [p. 352 modifica]35a LIBRO A confermarlo nel suo pensiero giova roti non poco le lettere di 1 bioio Toscanelli fiorentino, da noi già mentovato, il quale avendogli scritto da me citata, scritta nel 1474 al canonico Ferdinando Mar linea, hi espressa menzione delle Isole de Antilla. In secondo luogo la maniera stessa con cui l’Antilla vien delineata e descritta nei' monumenti anteriori al Colombo, invece di render dubbiosa, rende anzi più incontrastabile e più ferma la gloria dello scopritore del nuovo mondo. Essa ci vien descritta come una gran» d isola cbe ha otto porti, e ere de vati, come ci mostra la lettera del Toscanelli, eh'essa avesse sette città: Delle Isole di Antilia, che voi chiamate di sette Città, della quale avete notizia , ec. Or tale non è certo il paese dal Colombo scoperto, e ognuno sa che le Antille.sono più isole l’une dall’altre separate , niuna delle quali ha, nè ha mai avute sette città. Aveasi dunque, è vero, qualche confusa notizia dell’esistenza di queste terre o da qualche antica tradizione che ne fosse rimasta, o dalla relazione di quelli che talvolta dalle tempeste erano stati a quelle parti sospinti, e perciò potevansi ancora sapere alcuni de’ nomi con cui esse venivan chiamate, e alcuni di fatto ne veggi ai no in quelle mappe indicati, e singolarmente il Brasile, benchè in parte ben diversa da quella in cui è veramente. Ma la difficoltà consisteva nell’additare il cammino che a scoprirle dovea tenersi, nel superar gli ostacoli che s’incontravano , nell’ingolfarsi in un vastissimo mare sconosciuto ed incerto, e nell’esporsi al pericolo di ritornare addietro senza alcun frutto di tanti. disagi. I lumi che si aveano dell’esistenza di un nuovo mondo, prima della scoperta fattane dal Colombo , potrebbero formar l’argomento di un’erudita dissertazione. Si posson frattanto vedere le osservazioni su ciò del soprallodato Formaleoni, e l’opuscolo del celebre:sig. abate Giuseppe Toaldo del Merito de’ Veneziani verso l'Astrattonila, i quali due scrittori han preso a mostrare quanto da quella illustre repubblica siano stati fomentali , promossi e perleziouaU gli studi all iute nautica « [p. 353 modifica]primo 353 | Colombo (in dal 1474 il disegno che andava formando, gli rispose animandolo, con ragioni tratte dalla storia e dalla geografia, a eseguire sì bella impresa. Ferdinando Colombo ci ha

conservate tai lettere (Vita del Col. c. 8), e

da esse veggiamo che la prima idea di Cristoforo era di trovar un assai più breve viaggio alla Cina per mezzo dell’Oceano occidentale , alla quale idea sottentrò poi la seconda, che fu eseguita , di scoprire le terre che in quell’immenso Oceano a lui sembrava che si dovesser trovare. Non dubitava egli dunque che il suo disegno non fosse per riuscire. Peritissimo nella navigazione e nel maneggio e nell’uso dell’astrolabio, egli era l’uomo il più acconcio a porlo in esecuzione; ma non potea sostenerne per sè solo le spese; e conveniva trovare un principe il quale colle speranza degli ampj tesori che una tale scoperta avrebbe seco recati, non temesse di fare il dispendioso apparecchio alla spedizion necessario.

XIV. A Genova sua patria, prima che ad ogni altro, propose le sue idee il Colombo. Ma esse [‘cessarli. Debbo qui aggiugnere, per tilt imo , che nel imo secondo delle Memorie della Società filosofica di iladellìa leggrsi una dissertazione di M. Otto, inserita ai anc he nell’Esprit des Journaux (1788, mars,p.?.4o), •Ila qua’e ei pretende di dimostrare che il suddetto urlino Bchaim tu veramente lo scopritor dell’America, la le prunve di questa opinione sono, a dir vero, sì felici, che giudicherei gittato qui il tempo nell' implicarle , e forse verrà ad altro luogo l’opportunità di ulartie. Tiràbosciii, Voi. VII. [p. 354 modifica]354 LI P RO vi furono considerate non altrimente che sogni. Più favorevole parve l’accoglimento ch’egli ebbe alla corte di Portogallo, ove il re Giovanni II nominò alcuni commissarj che esaminassero ciò che dal Colombo si progettava. Ma essi, mentre fingono di ponderare maturamente ogni cosa, armata segretamente una caravella, e date al piloto le carte medesime del Colombo, gli ordinarono d’innoltrarsi in mare. Egli però troppo inesperto ed inabile a sì grande impresa , al primo impeto di venti contrarj diede addietro, e tornossene in Portogallo. Il Colombo sdegnato di un tal procedere , abbandonò occultamente quel regno, e mandato Bartolommeo suo fratello in Inghilterra a proporre a quella corte la scoperta del nuovo mondo, egli andossene a Cordova, ove allora trovavasi la corte di Spagna. Non v’ebbe mezzo di cui ei non usasse per condurre molti di que’ che aveano maggior potere ne’ suoi disegni; e alcuni di fatto presero a favorirlo. Ma ciò non ostante nulla si potè ottenere; e dopo cinque anni d’indugio non ebbe altra risposta, se non che la Spagna era allora troppo occupata nella guerra contro de’ Mori per pensare ad altre spese. Rigettato da questa corte, si volse a quella di Francia, ove scrisse proponendo le sue idee, ma appena vi fu chi le degnasse di un breve pensiero. Disponevasi egli a partire per l’Inghilterra, donde già da più anni non avea ricevuta nuova alcuna di suo fratello. Ma trattenuto in Ispagna da f Giovanni Perez di Marchena francescano, soffrì che di nuovo si proponesse a quella corte il suo progetto. Esso vi ebbe allora un [p. 355 modifica]primo * 355 incontro meno infelice. Ma perchè parve che ei pretendesse troppo, chiedendo di esser fatto ammiraglio e vicerè perpetuo ed ereditario de’ paesi che avesse scoperti, rimase anche allor senza effetto. Qual fermezza chiedeasi a non ributtarsi a tante ripulse? Egli era più fermo che mai di abbandonare la Spagna. Trattenutone un’altra volta dalle preghiere del religioso suddetto e di alcuni altri, si tentò di nuovo d’indurre la reina Isabella a secondare le idee del Colombo; e di nuovo fu inutile il tentativo. Egli dunque era già arrivato al porto di Pinos, e pronto ad andarsene. Quando caduta frattanto Granata in potere degli Spagnuoli, fra la gioia di sì gloriosa conquista, rinnovato alla reina il progetto del Colombo , fu finalmente adottato, ed egli richiamato alla corte, e accoltovi con sommo onore, ebbe finalmente lettere patenti,

colle quali egli era dichiarato ammiraglio perpetuo ed ereditario in tutte le isole e terre che

gli avvenisse di discoprire, e vicerè e governatore degli stessi paesi, e gli si accordava che a lui toccasse la decima di tutto ciò che da’ paesi scoperti si riportasse, oltre il rimborso delle spese, rimanendo il restante a vantaggio de’ sovrani, e ch’egli potesse contribuire per l’ottava parte alle spese dell’armamento, e riceverne il corrispondente guadagno (*). (*) Anche la gloria del Colombo si è veduta sminuire dal sig. ab. Larapillas (p. 253), il quale non pago di aver rinnovato i dubbj sulle carte di quel piloto spagnuolo, di cui si pretende, senza alcun liinduinrnto, h’ei facesse uso, crede di aver trovato un fortissimo argomento per dimostrare che il Colombo si tornì ni [p. 356 modifica]356 LIBRO

XV. Il giorno terzo if agosto ilei 1492 fu ili memorabile in rni il Colombo salpò con tre caravelle dal porto di Palos per la più grande impresa che mai si tentasse. Io non posso allungarmi in un minuto racconto di tutte le vicende di un tale viaggio; e mi haslu accenPortogullo e in lspagtm di quel sapere che a ideare e ad eseguir quell’impresa era necessario, e che non potè avere nel suo paese quei lumi che si richiedevano allo scoprimento di un nuovo Mondo. E qual è questo invincibile argomento? Pruova evidente di ciò sia, dice egli, la negativa che ebbe il Colombo dal Senato di Genova , quando egli venne dal Portogallo a presentare alla sua patria il progetto di nuovi scoprimenti a nome della Repubblica. Or ci dica egli di grazia. Sarà dunque pruova evidente, che il Colombo in patria non potè fornirsi del saper necessario, la negativa avuta dal senato di Genova? E non saran pruova evidente ugualmente eh' ci non potè fornirsene in Portogallo e in Ispagna, le replicate negative avutene da quelle corti? Egli è pregato ad assegnarci qual diversità passi tra un argomento e l’altro, Io poi lo consiglio, per l’amor che egli porta alla gloria della sua nazione, a parlare quanto men può del Colombo, e ad esser grato a quegl' Italiani che ne ragionano con quella moderazione che alcuni altri non han saputa usare. Di ciò ch’ei soggiugne poi del Vespueci, è inutile il ragionare , giacchè io ho abbastanza mostrato che non sono punto persuaso della verità delle scoperte che a lui da alcuni si attribuiscono. Solo io spero che i dotti ammireranno la sottigliezza del sig. ab Lampillas che, in pruova della poca moderazione usata dal Vespucci nel ragionare delle sue navigazioni, osserva ch’ei parla comunemente nel numero del più: andammo , approdammo , ec. Io anzi avrei creduto degno di riprensione il Vespucci, se a sè solo avesse attribuite quelle scoperte; e che 1 accomunarle agli altri naviganti fosse segno di modestia. Ma poichè al sig. ab. Lampillas ne sembra diversamente, converrà arrendersi al suo sculiuieiito. [p. 357 modifica]PRIMO 35' ìare le circostanze che danno maggior risalto alla destrezza e al coraggio dell’italiano eroe. A’ 7 di settembre non si vide più terra; e la faccia di quell’immenso Oceano cominciò a turbare i mal esperti nocchieri. Ma quando dopo tre altre settimane di viaggio non videro ancora indicio alcuno di nuova terra, anzi si destò in essi il sospetto che non si fosser punto avanzati più oltre, la sedizione giunse a tal segno, che alcuni non temeron di dire a voce assai alta , perchè il Colombo gli intendesse, che conveniva gittar nei flutti quello straniero che aveali per capriccio condotti a sì disperata navigazione. All’aspetto di sì fiera burrasca non si mostrò punto atterrito il Colombo, e dandosi a vedere lieto e sicuro in volto, seppe sì destramente usare minacce, promesse e speranze, che i marinari e i passeggieri consentirono ad andar oltre ancora per qualche giorno. Così continuarono fino agli 8 di ottobre; quando non vedendosi ancora terra, la sedizione si eccitò più furiosa di prima; nè altro scampo rimase al Colombo , che dar promessa che se dentro tre giorni non si scoprisse la terra , avrebbeli ricondotti in Ispagna. Egli a più segni avea già conosciuto che non si sarebbe ingannato. In fatti verso la mezza notte degli 11, ecco scoprirsi da lungi un lume che additato dal Colombo a’ marinai, cambiò la loro desolazione in gioia e in trionfo, e fece loro rimirar l’ammiraglio non altrimente che uom prodigioso. La terra da lui prima d’ogni altro scoperta fu l’isola Guanahani, ossia, com’egli chiamolla, di S. Salvadore, una dell’isole dette [p. 358 modifica] Lucaie, di cui a’ 12 di ottobre prese il possesso a nome della corona di Castiglia, il che pur fece di tutti gli altri paesi che poscia scoprì. Andò egli quindi avanzandosi in que’ mari, e osservandone le diverse isole, fra le quali le più grandi furono quella di Cuba e quella d’Hayti, detta poi l’Isola Spagnuola, ossia di S. Domingo. E quindi osservata attentamente ogni cosa, e prese seco diverse merci, e singolarmente più lamine d’oro, e vari uccelli e pesci ed altre rarità di quell’isole, con alcuni Indiani si rimise in cammino per ritornarsene in Ispagna. Spinto da’ venti a Lisbona, vi fu da quel re accolto con sommo onore, benchè al medesimo tempo questi dovesse sentir dispiacere di non aver accettate le olii rie prima a lui fatte. Da Lisbona egli scrisse la Relazion del suo viaggio, che tradotta in latino si ha alle stampe (V. Bellum Christian. Principum an. 1088 auct. Rob. Monacho, ec. Basil. 1533). All' arrivare che poscia fece il Colombo al porto di Palos, chiuse senza comando alcuno tutte le botteghe, fu accolto fra’ ’l festoso suono delle campane, e fra un’immensa folla di popolo accorso a vedere sì grande eroe. Ma ciò fu nulla in confronto al ricevimento ch’ei trovò in Barcellona, ove allora era la corte, e ove egli giunse verso la metà di aprile del 1493. Gli storici da me già nominati non sanno meglio spiegarne la magnificenza e la pompa, che richiamando l’immagine degli antichi trionfi. Se non che quello del Colombo era troppo più bello, perchè non congiunto allo sterminio, o al danno di alcuno. Gli onori accordati al Colombo furon degni [p. 359 modifica]PRIMO 35lJ ilella magnificenza di quegli augusti sovrani. Egli però non se ne lasciò lusingare per modo, che non pensasse tosto a rimettersi in mare per far nuove scopette.

XVI. Diciassette vascelli furono destinati a questo secondo viaggio, carichi di tutto ciò che alle nuove colonie poteva essere opportuno, e a’ 25 di settembre dello stesso anno 1493 il Colombo sciolse la seconda volta le vele; e tenendosi più verso il Sud, giunse a’ 3 di novembre a scoprire la prima dell’Isole dette Antille, che fu detta la Dominica. Dopo aver vedute ed esaminate le altre, tornò all’isola Spagnuola, ove, se ebbe il dolore di trovar trucidati tutti coloro che ivi avea lasciati, ebbe insieme il piacere di scoprire alcune miniere d’oro, e allìel tossi perciò a rispedire in Ispagna la flotta, per recarne la lieta nuova alla corte. Continuò intanto il Colombo le sue scoperte, e fanno 14(j4 » °ÌR’C più altre isole, prese possesso della Giamaica. Al piacere di sì felici progressi si aggiunse quello di vedere improvvisamente il suo fratello Bartolommeo , che dall’Inghilterra passato in Francia, e uditi ivi i gloriosi successi di Cristoforo, si era recato alla corte di Spagna, e onorato sommamente da que’ sovrani, era stato da essi spedito con altri legni e con altre provvisioni alle nuove isole. Ma frattanto, mentre il Colombo adopera or il coraggio, or la destrezza, per tenere in dovere que’ troppo inquieti isolani, la carestia de’ viveri, da cui talvolta ,gli Spagnuoli erano molestati, il rigore che contro alcuni di essi ad esempio altrui era stato costretto ad [p. 360 modifica]3Go LIBRO usare, e quella invidia che suol essere indivisibil seguace degli straordinari onori, destò contro di lui l’odio e il furore di molti; e due fra essi, uno de’ quali, attesa la professione e il carattere ond’era fregiato, dovea più di tutti abborrire un sì indegno procedere, postisi segretamente in mare navigarono in Ispagna , e giunti alla corte parlarono del Colombo come di un furbo impostore che, sotto i pretesti di sognati vantaggi della corona, ad altro non agognava che a soddisfare alla sua ambizione, e a sfogare la sua crudeltà. Sì fatte accuse destarono qualche sospetto nel cuor de’ sovrani; e fu perciò nominato un commissario spagnuolo che navigando all1 isole del Colombo ne esaminasse lo stato. Essi pensarono di scegliere a tal fine un giudice saggio ed imparziale. Ma l’effetto non corrispose alla loro intenzione. Il commissario colà recatosi sembrò più bramoso di umiliare il Colombo, e di conciliarsi il favore de’ malcontenti, che di provvedere a’ vantaggi del pubblico e della corte. Cristoforo mostrò in questo pericoloso cimento una fermezza e una moderazione che riempiè di maraviglia i suoi stessi nemici. Quando il commissario , prese le informazioni, si rimise in mare per tornare in Ispagna, il Colombo volle seguirlo, e nel giugno del 1496 giunse a Burgos, ove allor si trovavano Ferdinando e Isabella..Mai non si vide più chiaramente quanto possa la presenza di un uomo a cui le sue magnanime imprese abbiamo ottenuta la venerazione e la stima di tutto il mondo. Il Colombo si fa innanzi al re a alla reina; ed essi lo accolgono con sommo [p. 361 modifica]PRIMO 361 onore, e pare che non ardiscano di fargli motto delle accuse contro di lui giunte al lor trono. Egli ancor le dissimula; espone lo stato delle colonie-, chiede gli opportuni provvedimenti; ottiene quanto desidera; e già si dispone a una terza navigazione, lasciando i suoi nemici, non so se più mesti per l’infelice successo delle lor trame, o attoniti per la grandezza d’animo del Colombo, che, dimenticate le loro ingiurie, sembra esser dimentico ancora del! loro nome, e non chiede alla corte soddisfazione alcuna dei ricevuti oltraggi.

XVII. Superati parecchi ostacoli che l’invidia e il livore de’ suoi nemici non cessaron mai di frapporgli, partì finalmente pel terzo viaggio a’ 30 di maggio del 1498. In esso pure innoltrossi più ancor di prima verso il Sud, e dopo scoperta l’isola della Trinità e più altre, giunse ancora a toccar Terra ferma , ossia le provincie di Caracas, Comana e Paria, benchè per qualche tempo ei la credesse un’isola. Il primo giorno d’agosto dello stesso anno fu quello in cui egli la riconobbe. Poscia, osservato il paese all’intorno, andossene a rivedere il fratello e i suoi a S. Domingo. Ma comunque ei vi fosse accolto con lieti applausi, trovò nondimeno le cose in troppo deplorabile stato. I malcontenti non finivano di eccitar sedizioni, e di rivolgere ancora le armi contro i Colombi; e conveniva al medesimo tempo domare la lor ribellione e tenere in freno i Barbari ognor rivoltosi. Non si cessava frattanto di assordar le orecchie di Ferdinando e d’isabella di accuse e di calunnie contro gli stessi Colombi; e si ottenne finalmente [p. 362 modifica]362 LIBRO di destar nuovo sospetto nell’animo di que’ sovrani. Il primo frutto che se ne vide, fu la commissione data ad Alfonso d’Ojeda di andare a far la scoperta del Continente cominciata già dal Colombo, nel qual viaggio entrò pure Amerigo Vespucci, di cui diremo fra poco. Ma di ciò non eran paghi coloro che volean vedere i Colombi del tutto abbattuti; ed essi finalmente l’ottennero; e nel mese di giugno del 1500 la reina Isabella # che finallora non erasi potuta piegare a tanto, sottoscrisse le lettere con cui Cristoforo era privato delle dignità di vicerè e governatore dell’Indie orientali. Francesco da Bovadilla ne fu nominato governator generale; nè potevasi scegliere f uomo il più opportuno a far provare al Colombo tutto il peso della sua sventura. Egli arrivato a S. Domingo finì d’inasprire gli animi di tutti contro dell’ammiraglio; e questo grand’uomo pochi anni prima accolto in Ispagna con solenne trionfo, si vide allora carico di catene, e posto su una nave per esser condotto a render ragione di se medesimo alla corte. Ferdinando e Isabella udirono con isdegno che fosse stato trattato sì indegnamente un uomo a cui ben sapevano di quanto essi erano debitori. Appena fu giunto in Ispagna, che tosto ordinarono che ei fosse lasciato libero, e, quasi a sollievo degli oltraggi sofferti, gli fecer contare mille scudi d’oro; l’accolsero poscia amorevolmente, dichiararon nullo tutto ciò che contro di lui si era fatto, e gli promisero la dovuta soddisfazione. E Isabella avea veramente ripresi gli antichi sentimenti di stima per l’ammiraglio. Ma [p. 363 modifica]PRIMO 3f)3 questi si avvide che il re non gli era favorevole ugualmente. Ei si ristrinse dunque a chiedere che gli fosse permesso di fare un quarto viaggio e di continuare le sue scoperte, e l’ottenne; benchè anche in questa occasione il mal talento de’ suoi nemici attraversasse per lungo tempo l’esecuzione de’ reali comandi.

XVIII. Quest’ultimo viaggio, a cui diede cominciamento a’ 9 di maggio del 1502, e il cui principal frutto fu la scoperta della Martinica, riuscì esso pure al Colombo pieno di amarezze e di traversie per l’implacabil furore dei suoi nemici che non cessavano di valersi d’ogni occasione per travagliarlo. Ma io non posso allungarmi a narrarne più stesamente le diverse vicende (a). Ninna cosa perù gli recò sì grave cordoglio, quanto la nuova ch’ebbe tornando in Ispagna sulla fine del 15o4, cioè clic la reina Isabella avea poco innanzi finito di vivere. Principessa degna veramente di quegli elogi di cui e in vita c in morte fu onorata, e a cui lodo dee dirsi principalmente che di ninna cosa 1110stravasi più sollecita, quanto che si usasse delle più dolci maniere cogli Indiani, di che volle labi) IVeIl i G izzette de Littérature e ne\V Esprit des Journaux (anno. 1786, mar, p 259, ec.) è stata pubblicata una patetica e dolente lettera del Colombo da lui scritta nel r ’»o3 dalla Giarnaica, menti e ivi trovavasi nel più infelice Stato; e dicesi ch’essa è stata tratta da un vecchio ms. conservato in quell’isola. L’ Herrern avea accennata questa lettera, e n’avea dato un transunto, come si può vedere nell’Elogio del Colombo (p. 183). E quanto alla sostanza, la lettera accordasi col transunto, benchè in questo trovisi qualche circostanza che in quella non si ritrova. [p. 364 modifica]36f Lir.no sciare espressa memoria nel suo medesimo testamento. Il Colombo conobbe tosto quanto questa perdita gli fosse funesta, perciocchè sapeva che il re Ferdinando non avea per lui i sentimenti medesimi della reina. Ne fu accolto ciò non ostante con testimonianze d’onore, e a varie memorie che il Colombo gli porse, rappresentandogli gl’importanti servigi che renduti avea alla corona, e gl’indegni trattamenti che avea sofferti, rispose il re con termini generali, esortandolo a sperare ogni cosa dalla reale beneficenza. Ma fra non molto ei gli fece proporre di rinunciare a tutti i suoi privilegi, offrendogli in ricompensa alcune terre e qualche pensione. Questo colpo finì di abbattere il Colombo , logoro già non tanto dagli anni, quanto dalle fatiche sofferte e dai travagli avutine in ricompensa. Memorabile esempio della incostanza del favor popolare e dell’instabilità delle umane grandezze, questo grand’uomo si vide sul finir de’ suoi giorni, per usare la riflessione di uno storico spagnuolo (Herrera, l. 6, c. 15), abbandonato da ogni soccorso, e privo di beni, mentre la Castiglia andavasi ogni giorno più arricchendo pe’ tesori ch’ei le avea additati. Pochi mesi ei sopravvisse a tale sventura, e dispostosi alla morte con quella cristiana pietà che in tutto il corso di sua vita avealo accompagnato, finì di vivere a’ 20 di maggio del 1506, in età di sessantacinque anni (a). Uomo, che nato di (a) Nel fissare l’età in cui Colombo finì di vivere , ho seguiti gli autori della Raccolta generale de' \ iaggi , i quali però io non so a qual fondamento si [p. 365 modifica]PRIMO 3(f bassa stirpe, sembrò fatto dalla natura alle più ardue imprese: così in lui congiungevasi prontezza e forza d’ingegno, costanza d’animo, destrezza ne’ più pericolosi cimenti, maestà insieme e gentilezza di tratto, moderazion negli onori, e tutti in somma que’ pregi che forman l’eroe. L’unica taccia che in lui venne notata, fu una severità talvolta eccessiva nel mantenere la disciplina tra’ suoi, e nel tenere in freno o nel punire gli Indiani; difetto in cui egli cadde probabilmente, perchè gli parve che fosse questo l’unico mezzo a riuscire nei suoi disegni a vantaggio della Castiglia. Avea egli ancora coltivate le scienze, e principalmente la nautica e l’astronomia; anzi lo storico Oviedo, da noi mentovato in addietro, racconta che ei si era formata una bella biblioteca. Il re Ferdinando parve che si dolesse di non averlo ben conosciuto; gli fece render solenni onori, e innalzare un onorevol sepolcro; confermò a’ figli gli onori di cui avea goduto il padre; e don Diego, il primogenito, ottenne l’anno 1508 di esser rimesso in tutte le cariche che con diritto ereditario erano state già concedute a Cristoforo; i cui fratelli ancora vissero poi sempre onorati e distinti, come a’ meriti loro e del loro fratello si conveniva. appoggino. Ma il Robertson, roroe osserva il sig. Landi (t. 3, p. 376) , da due lettere del Colombo, in una delle (piali, scritta nel 15oi, afferma che già da quarant’anni esercita vasi nel navigare , e in un’altra die cominciò a navigare in eia di quattordici anni, ne trae giustamente, quando sian giusti i calcoli del Colombo, ch’egli era nato nel 14-4-7 » e che niorì in età di ciuquaiilauovc anni. [p. 366 modifica]366 LIBRO \IX. Mentre il Colombo fra sì diverse vicende continuava la scoperta del nuovo mondo, un altro Italiano si accinse alla medesima impresa , ed ebbe la sorte dì dare a quel vastissimo Continente il suo proprio nome, cioè Amerigo Vespucci. La Vita di questo celebre navigatore è stata eruditamente scritta dal chiarissimo sig. canonico Bandini (Vita e Lettere dAmcr. Vèsp. 1-4^)? il quale, dopo aver mostrato che l.i nooil famiglia da cui egli nacque, era orionda da Peretola presso Firenze, rammenta gli uomini illustri o per dignità o per lettere dalla medesima usciti , e fra gli altri quel Giorgio Antonio Vespucci zio paterno di Amerigo, prima proposto della cattedral di Firenze, poscia religioso domenicano in s Marco, grande amico di Marsilio Ficino (V. Ficini Op. t. 1 , p. 156, 7310, 753, 806), e uomo assai dotto anche nel greco; e le notizie che qui ce ne dà il soprallodato scrittore, con quelle prodotte dall’ab. Mehus (praef ad Vit. Ambr. camald. p. 71, ec.), posson servire di supplemento al poco che ne hanno detto i PP. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1 , p. 884)• Amerigo era figliuol di Anastagio Vespucci e di Lisabetta Mini, e nacque a’ 9 di marzo del 1451. Ammaestrato negli studj dal suddetto suo zio, si avanzò in essi felicemente, come afferma lo scrittor della Vita. Nondimeno una lettera el11 ei ce ne dà in pruova , scritta a suo padre a’ 18 di ottobre del 1476) cioè quando Amerigo era già nel ventesimosesto anno di sua età, non ci dà grande idea nè del progresso che avesse fatto [p. 367 modifica]PRIMO OO7 a’ maggiori studj, nè di eleganza di stile acquistata con quello della gramatica; perciocchè ei dice di se medesimo, che ei non ardiva di scriver lettere latine senza il maestro, e che occupavasi nel ricopiare le regole e i latini: Quo absente nondum audeo Latinas ad vos literas dare: vernacula vero lingua nonnihil erubesco. Fui praeterea in exscribendis regulis ac Latinis , ut ita loquar, occupatus, ut in redi tu vobis ostendere valeam libellum, in quo illa ex vestra sententia colliguntur. Verso l'anno 1490 fu Amerigo inviato da Anastagio suo padre a esercitare la mercatura in Ispagna. Il canonico Bandini però crede eh* egli prima di questo viaggio molti ne avesse fatti per mare affin di addestrarsi alla scoperta del nuovo mondo. Ei ne adduce per pruova il poema intitolato l’America di Girolamo Bartolommei, in cui introduce Amerigo a narrare al re d’Etiopia i viaggi che ei fatti avea nell’Inghilterra e nell’Irlanda, tentando ancora di avanzarsi più oltre, finchè il mare agghiacciato nol costrinsero a volgere addietro. Ma, a dir vero, io bramerei che a pruova di tali viaggi si potesse addurre autorità più valevole di quella di uno scrittore vissuto alla metà del secolo XVII , e, ciò che è più, di un poeta. Recatosi dunque Amerigo a Siviglia, mentre ivi si trattiene occupandosi nella mercatura , udì parlare dell' isole dal Colombo scoperte, e invogliossi egli pure di entrare a parte di quella gloria a cui vedea innalzato il Colombo, e finalmente l’ottenne, venendo egli pur destinato dal re Ferdinando a continuare la scoperta del nuovo mondo. [p. 368 modifica]3G8 Mimo

XX. Ma qui ci si offrono a esaminare due punti assai intralciati, intorno a’ quali molto si è scritto da molti, ma non si è ancora accertata cosa alcuna per modo che sia tolto ogni dubbio. Io son ben lungi dall’entrare arbitro in tal contese, e ove pure il volessi, non avrei quella copia di monumenti , che a deciderle farebbe d uopo. Proporrò le ragioni che dalle diverse parti si arrecano, e dirò sinceramente quai mi sembrino le più fondate, lasciando che ognun ne giudichi a suo talento. Due sono singolarmente le cose delle quali si disputa. La prima, se fosse Amerigo il primo a discoprire la Terra ferma in America, ovvero se il Colombo in ciò lo prevenisse. La seconda, severamente ei fosse capo e condottiere di quella flotta che fu inviata in America, o non anzi semplice passeggero salitovi spontaneamente. E quanto alla prima, il sig. canonico Bandini afferma (p. 66)) che il Colombo non si dilungò mai dalla sua Spagnuola, Cuba , Giamaica, e da quelV altre adiacenti al Golfo Messicano , che che altri in contrario ne dicano. Ei ne cita in pruova il detto di Francesco Giuntini che vivea verso la fine del secolo xvi, e più sotto, recando le testimonianze onorevoli ad Amerigo rendute da molti scrittori (p. 68, ec.), alcuni pochi ne adduce, che afferman lo stesso, tutti però assai lontani dall’età del Vespucci, e che non hanno trattato se non per incidenza di tale argomento. Ma che il Colombo giugnesse ancora alla scoperta del continente, ne abbiam troppe pruove per poterne pur dubitare. Lasciamo stare la testimonianza di Ferdinando di [p. 369 modifica]PRIMO 3M) lui figliuolo, che potrebbe parer sospetta, e quella di tutti gli scrittori spagnuoli che attribuiscon tal gloria al Colombo, e rechiam solo due monumenti contemporanei, a’ quali non si può dare eccezione. Il primo è Pietro Martire d’Anghiera, il quale era allora in Ispagna, e scriveva le cose che successivamente accadevano. Egli dunque ragiona dell’approdar che il Colombo fece nel mese di luglio del 1498)& alla terra di Paria, e dice ch’ei la credette Terra ferma, il che però, mentre Pietro Martire così scrivea, non ancor da tutti credeasi: Hanc , cioè la terra di Paria, qui postmodum accuratius utilitatis causa investigarunt Continentem esse Indicum volunt, non autem Cubam, uti Praefectus (cioè il Colombo; e il senso di queste parole è che il Colombo era tra quegli che pensavano che non già Cuba, ma la terra di Paria fosse il Continente, come è manifesto da ciò che segue). Neque enim desunt, qui se circuisse Cubam audeant dicere. An haec ita sint, an invidia tanti inventi occasionem quaerant in hunc virum, non dijudico: tempus lo(juetur, in quo verus judex invigilat: Sed quod Paria sit vel non sit Continens, Praefectus non contendit: Continentem ipse arbitratur (Ocean. dec. 1 , l. 6 ad fin.). L’altro monumento è la Relazione allor pubblicata de’ Viaggi del Colombo, stampata al principio del secol seguente, e da me citata altre volte, in cui si dice che il Colombo co’ suoi compagni, arrivato a un gran tratto di terra, exploratum habuere , regionem nuncupari Pariam (itinerar. Portugallens. ec. p. 65.'), ed. Mediol. 1508). È Tiraboscui, Coi. CII. [p. 370 modifica]3^0 LIBRO dunque certissimo che il Colombo fu alla terra di Paria, la quale si è poi conosciuto con sicurezza che appartiene al continente, quando continente sia e non isola tutta l’America. Rimane solo a vedere quale di questi due Italiani vi giugnesse prima, se il Colombo, o il Vespucci. Il Colombo, per testimonianza di tutti non contraddetta da alcuno, vi approdò nel luglio del 1.198. Il Vespucci nella sua Relazione dice di esser partito da Cadice adì 10 maggio 1497 (Vita e Lettere iCAtncr. Vesp. p. 6); e poscia, dopo aver parlato dell’arrivo alle Canarie, soggiunge: al capo di 37 giorni fummo a tenere una terra che la giudicammo esser terra ferma. Se queste date son vere, è evidente che il Vespucci un anno innanzi al Colombo giunse in terra ferma. Ma tutti gli scrittori Spagnuoli seguiti da molti altri, e singolarmente dal Padre Charlevoix (Hist, de S. Domingue, t. 1, p. 242), accusano il Vespucci d’infedeltà, e dicono ch’egli ha anticipata l’epoca del suo viaggio per arrogarsi la gloria di tale scoperta; e eli’ egli 11011 lo intraprese la prima volta che nel maggio del 14f)9) nel qual tempo il Vespucci racconta di essersi per la seconda volta imbarcato (l. ciL p. 33) verso le Indie occidentali. Se queste accuse son vere, converrà dire che il Vespucci abbia interamente supposto quel primo suo viaggio, e a lui non rimane più scampo di sorta alcuna, sicchè ei non debba rimirarsi come impostore; e così di fatto il chiamano i mentovati scrittori. Io vorrei liberarlo (da taccia cotanto odiosa, ma confesso che in quel primo viaggio incontro non 1eggieri difficoltà. [p. 371 modifica]PRIMO 3yi Abbiaiu osservato poc’anzi che.il Colombo nel 1496 era tornato dopo il secondo viaggio in Ispagna per discolparsi innanzi al! re e alla reina de’ delitti appostigli da’ suoi nemici, e eli’ egli sì felicemente era in ciò riuscito, che col solo mostrarsi dileguò tutte le accuse, e ricevuto alla corte con sommo onore , si diè a prepararsi a una terza navigazione, che poscia intraprese nel maggio del 1498- Era dunque il Colombo in Ispagna , quando il Vespucci racconta di essere stato dal re Ferdinando mandato alla scoperta di nuovi paesi nel 1497 , ed egli era accetto alla corte, e onorato del privilegio già concedutogli di viceré c governato!* generale di tutti i paesi che si discoprissero. Or che, mentre egli era in quel regno e in sì favorevoli circostanze, si desse a un altro l’incarico di continuar le scoperte, e ch’egli sofferisse tranquillamente una tale ingiuria, o che non avesse forza bastevole ad impedirla, chi il potrà credere? Come mai è accaduto che di un tal fatto niuno, fuorchè lo stesso Vespucci, ci abbia lasciata memoria? Si dirà forse che gli scrittori spagnuoli invidiosi della gloria di uno straniero, la involsero in un malizioso silenzio? Ma il Colombo era ad essi straniero ugualmente che il Vespucci. Perchè dunque non dissimularon le glorie del primo, come si vuole che dissimulato abbiano quelle del secondo? Io desidero che si trovino tai ragioni o tai monumenti che giustifichino pienamente il Vespucci , e che cancellino qualunque sospetto che egli abbia finto a capriccio quel primo suo viaggio. Convien però confessare clic ancorché [p. 372 modifica]3^2 LIBRO il Vespucci innanzi al Colombo giugnesse a* scoprire la Terra ferma, assai maggior gloria deesi nondimeno al secondo che al primo. Dopo avere scoperte le isole, non era cosa molto difficile di giungere al Continente. Ma l’avere colla riflessione e coll’ingegno accertato dapprima l’esistenza del nuovo mondo, poscia additata la strada che tener doveasi ad arrivarvi, e finalmente tentata con invincibil coraggio l’ardita impresa, ella è gloria del Colombo, di cui niun altro può pretendere di entrare a parte (a).

XXI. Non mcn difficile a diffinire è l’altra quistioue, se fosse il Vespucci condottiero di quella flotta che fu inviata in America, o semplice passeggero. Gli scrittori spaglinoli, dopo avere stabilito che solo nel i/)99 fu il Vespucci inviato al nuovo mondo, raccontano, seguiti in (a) Il premio proposto dal signor conte di Durfort , ministro plenipotenziario del re di Francia alla corte di Toscana, a chi scrivesse il miglior elogio di Amerigo Vespucci. ha eccitati molti a intraprendere tal lavoro; e fra tutti è stato accordato il premio a quello del P. Stanislao Canovai delle Scuole Pie professore di matematica in Firenze. Ad encomiare degnamente il \ espueci, conveniva supporlo lo scopritor dell’America; e il P. Canovai non solo lo ha supposto nel corso dell elogio, ma si è anche accinto a provarlo in una dissertazione all’elogio aggiunta. E non può negarsi eli ei non abbia studiosamente e ingegnosamente raccolti quanti argomenti giovar potevano al suo intento. Ma ciò non ostante non parmi di dover cambiare di sentimento, lo lascio nondimeno (poiché una esalta risposta mi condurrebbe o una troppo lunga discussione) che ognuno , esaminati da una parte gli argomenti da ine prodotti , e dall’altra quelli del valoroso autor dell elogio, siegua quell’opinione che gli parrà meglio l’ondata. [p. 373 modifica]PRIMO 3^3 ciò dal P. Charlevoix (l. cit.) e dagli autori della Storia generale de’ Viaggi (t. 45, p. 2/\?.)ì die essendo giunta in Ispagna la nuova scoperta del Continente fatta dal Colombo nel terzo suo viaggio,, il vescovo di Badajoz, ministro allora alla corte di Ferdinando e nemico del Colombo, si valse di questa occasione per nuocergli, e ch’egli fece spedire ad Alfonso d’Ojeda lettere patenti, segnate però col solo suo nome, e non con quello de’ due sovrani, colle quali si destinava l’Ojeda a inoltrarsi nella scoperta del Continente e di qualunque altro paese, con che venivasi a sminuire l’autorità del Colombo, il quale essendo allora in S. Domingo non poteva sapere ciò che contro di lui si tramava in Ispagna. Aggiungono essi che l’Ojeda prese a suo primo piloto Giovanni de la Cosa biscaino; e che Amerigo Vespucci s’interessò in questo armamento, e salì egli ancor sulle navi. Quindi tutta la condotta di questa navigazione da essi si attribuisce all’Ojeda e al la Cosa, e del Vespucci non parlano se non come di un semplice passeggero, il quale poscia si usurpò tutta la gloria di quella navigazione e delle scoperte in essa fatte. Al contrario, i difensori del Vespucci a lui ne danno tutto f onore. Lo stesso Vespucci però, a dir vero, nelle sue relazioni parla di se medesimo con molta moderazione. Nella compendiosa relazion de’ suoi viaggi trattando del primo dice: Il Re Don Ferrando di Castiglia avendo a mandare quattro navi a discoprire nuove terre verso l’Occidente, fui eletto per sua Altezza, eli io fossi in essa flotta per ajutare a discoprile (l. cit. p. () *, e quindi, [p. 374 modifica]3^4 LIBRO così in questo come nel secondo viaggio, parla comunemente nel numero del più; andammo, approdammo , ec., sfuggendo quasi di essere considerato come il solo arbitro e direttor di quel viaggio. Solo nella lettera in cui a Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici descrive particolarmente il secondo suo viaggio, pare che se ne faccia principal condottiero: per commissione dell’Altezza di questi Re di Spagna mi partii con due caravelle a’ xv ni dì maggio del 1499 per andare ad iscoprire , ec. (ib p. 63). Ma in niun luogo ei fa menzione nè dell Ojeda nè del la Cosa, come sembra che un sincero scrittore avrebbe dovuto. Che dobbiam dunque noi credere in sì grande diversità di racconti? A me par verisimile che il Vespucci non fosse nella navigazione che semplice passeggero e interessato nell’armamento e nel traffico; ma che la perizia, per que’ tempi non ordinaria, ch’egli avea nell’astronomia, come le sue relazioni medesime ci manifestano, lo rendessero utile al capitano e a’ nocchieri, e che però salisse a molta stima tra essi. Ciò mi si rende probabile, in primo luogo, dalla maniera con cui parla di lui Pietro Martire d’Anghiera, il quale non lo nomina tra gli scopritori dell1 America, ma come uomo perito nell’astronomia e nella cosmografia; e ne rammenta soltanto i viaggi fatti per ordine del re di Portogallo, dei quali diremo tra poco. In secondo luogo, io rifletto che, come narrasi dagli autori della Storia de’ Viaggi sull’autorità dell’Herrera, (l. cit. p. 41 a) l’anno 1507 fu il Vespucci destinato a risiedere in Siviglia, affm di segnare le strade che tener [p. 375 modifica]PRIMO 3^5 doveansi nel navigare, e elio ebbe l’onorevol titolo di piloto maggiore, col diritto di chiamare ad esame tutti i piloti, e con una annuale pensione di 75000 maravedis (piccola moneta che corrisponde a un dipresso a sette denari veneti): titoli e premj sufficienti a un uomo eccellente nella scienza della navigazione, ma troppo inferiori al merito di chi fosse stato condottier di una flotta, e scopritore del continente del nuovo mondo. Ma l’impiego dato al Vespucci gli diede occasione di rendere il suo nome immortale coll’applicarlo alle provincie nuovamente scoperte. Perciocchè, dovendo egli disegnar le carte per navigare, cominciò a indicar que’ paesi col proprio suo nome chiamandoli America, e questo nome usato da’ naviganti e da’ nocchieri divenne poi universale. Gli Spagnuoli si lamentarono poscia di questa imposizione di nome; ma i loro lamenti, dicono i sopraccitati scrittori della Storia de’ Viaggi (l. cit. p. 2.55), non hanno impedito che il nuovo Mondo non abbia preso un tal nome, e checchè voglia dirsi dei diritti che a ciò avesse Amerigo , egli è ormai troppo tardi per combatterli dopo un sì lungo possesso.

XXII. Così esaminata l’epoca e il fine de’ viaggi del Vespucci, rimane a dir brevemente delle relazioni eh’egli stesso ce ne ha date. Nelle antiche raccolte de’ viaggi, da noi mentovate più volte, altro non si ha del Vespucci che la Relazione del terzo viaggio da lui fatto l’anno 1501. a nome del re di Portogallo; poscia si pubblicò il Compendio da lui scritto di tutte quattro le sue navigazioni, il quale, [p. 376 modifica]376 LIBRO prima che dal Ramusio, fu dato in luce da Simone Gri neo nel suo Novus Orbis stampato in Basilea nel 1537. Finalmente il canonico Bandini, avendo trovati gli originali italiani di tutte cotai relazioni, ne ha fatto dono al pubblico, come sopra si è accennato. Esse sono in primo luogo il compendio de’ quattro suoi viaggi, da lui esteso in una lettera, che l’erudito editore crede indirizzata a Pietro Soderini, benchè comunemente le si vegga premesso il nome di Renato re di Gerusalemme e di Sicilia e duca di Lorena. Siegue a questo la lettera del Vespucci, non mai pubblicata in addietro, a Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici (che dee distinguersi da Lorenzo il Magnifico), in cui racconta il secondo suo viaggio del 1499* Dopo essa viene la Relazione del viaggio di Vasco Gama all’Indie orientali del 1497 pubblicata altre volte, ma senza conoscere che ella era opera d’Amerigo, come ha osservato il canonico Bandini. Finalmente si aggiugne la poc’anzi accennata Relazione del terzo viaggio, che il dotto editore crede indirizzata allo stesso Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici, e non a Pietro Soderini, come si era sempre pensato. I primi due viaggi, cioè quello assai controverso del 1497 e quello del 1499 contengono la spedizione al continente dell’America, cioè alla provincia di Paria e alle altre ad essa vicine, che dal Vespucci descrivonsi. Nel secondo racconta che essendo giunto all’isola d A liti gli a... passo molti pericoli e travagli con li medesimi Cristiani, che in quest’isola stavano col Colombo, credo per invidia, che per non essere prolisso gli [p. 377 modifica]primo ’ 377 lascio di raccontare (l. cit p. 45). Parole che indican nel Vespucci qualche sentimento di gelosia contro il primo discopritore del nuovo mondo. Gli scrittori spagnuoli e, dopo essi, gli autori della Storia dei Viaggi raccontano stesamente i dissapori che nacquero nell’Isola Spagnuola tra l’Ojeda e ’l Colombo (giacchè del Vespucci appena essi fanno parola), e incolpano il primo che volle usare d’autorità in quelle provincie, le quali interamente dipendevano dal secondo. Tra le due relazioni del secondo viaggio vi ha qualche diversità nel racconto; ma forse o nell’una o nell’altra son corsi errori per negligenza de’ copisti. Ciò che più in esse dispiace, si è che il Vespucci comunemente non nomina i luoghi da lui veduti, se non col general nome di porto, d’isola, ec., il che rende queste relazioni assai men vantaggiose alla geografia, che non sarebbono, se l’autore segnasse più distintamente i luoghi de’ quali ragiona.

XXIII. I due altri viaggi furon dal Vespucci intrapresi pel re di Portogallo. Perciocchè racconta egli stesso (ib. p. 46) che stando egli in Siviglia, il re Manuello mandò replicatamente invitandolo alla sua corte, e di’egli finalmente si lasciò indurre a secondarne le istanze, e partito segretamente dalla stessa città, giunse a Lisbona, e fu da quel re destinato ad andar con tre navi alla scoperta di nuove provincie. Narra poscia i successi di questa navigazione intrapresa nel maggio del 15oi , il cui esito, secondo lui , fu la scoperta del Brasile; provincia che, benchè da lui non si nomini, operò [p. 378 modifica]378 LIBRO chiaramente espressa coll1 indicarne che fa la situazione cinque gradi di là dalla linea equinoziale verso il Sud. Ma qui ancora nuovi avversarj sollevansi contro il Vespucci. Gli scrittori spagnuoli, e singolarmente T Ilerrera , seguito dagli autori della Storia de’ Viaggi (t. 45, p. 324; t 54, p. 6), ci dicono che nel tempo in cui il Vespucci finge d’aver navigato al Brasile, egli era coll’Ojeda al golfo di Uraba ossia di Darien, e questa per essi è la seconda navigazion di Amerigo sulle navi spagnuole. Per altra parte, gli scrittori portoghesi sostengono che il primo scopritor del Brasile fu il loro Pietro Alvarez de Cabral nel 1500. Fra tanta contrarietà di racconti, niun dei quali confermasi con autentici documenti, è difficile l’accertare qual si debba aver per sicuro Che il Vespucci navigasse all’America meridionale per commissione del re di Portogallo, è certo per testimonianza di Pietro Martire d’Anghiera scritr. tore contemporaneo e versatissimo in tali materie. Egli. parlando di alcune carte da navigare da lui vedute, dice: quarum una a Portugallensibus (lepida e rat, in qua manum (dicitur imposuisse Americus Vespucius Florentinus vir in hac arte peritus, qui ad antarcticum et ipse auspiciis et stipendio Portugallensium ultra lineam aequinoctialem plures gradus adnavigavit (Ocean. decad. Contin. /. 1 o init.). Ma ch’ei veramente fosse il primo a scoprire il Brasile, non parmi che possa con certezza affermarsi. Il quarto viaggio di Amerigo fu men felice; perciocchè postosi in mare a’ 10 di maggio del 1503, per navigare all’Indie orientali, fu spinto [p. 379 modifica]PRIMO * 3^9 al Brasile, e approdò alla Baia di Tutti i Santi, alla quale dice che si pose allora quel nome, e tornò poscia a Lisbona a’ 18 di giugno del 1504. Convien credere che dopo questi due viaggi fatti pel re di Portogallo, la corte di Spagna il volesse un’altra volta a’ suoi servigi , come da ciò che poc’anzi si è detto, è manifesto. Anzi, se è vero ciò che narra Giovanni Lopez di Pintho, citato dal canonico Bandini (l. c. p. 63), cioè ch’ei morisse l’anno 1516, e fosse sepolto nell’Isola Terzera, mentre intraprendeva un altro viaggio, egli è evidente che fu di nuovo destinato a fare altre scoperte, Io desidero che si scuoprano un giorno tai monumenti che mettano in chiaro, più che non si è potuto finora , la vita di questo celebre Fiorentino, che forse è stato troppo lodato da alcuni, e troppo da altri biasimato. Altre notizie appartenenti a lui e a qualche altra opera che sembra eli’ egli avesse composta , ma di cui nulla ci è giunto, e a un suo nipote erede di Amerigo nella scienza del navigare, e viaggiatore esso pure, si posson vedere nell’erudito e più volte citato libro del canonico Bandini.

XXIV. Col Colombo e col Vespucci gareggiò a’ tempi medesimi nell’ardire e nella scienza del navigare un Veneziano, cioè Giovanni Cabotto, il quale prima di ogni altro ardì di tentare il passaggio pel mare del Nord all’Indie orientali. Era egli di profession mercante, e per cagion di traffico era passato nell’Inghilterra insieme con un suo figliuol Sebastiano. Ivi egli concepì il pensiero di tentare il sopraccennato passaggio, e propostolo al re Arri go VII. [p. 380 modifica]380 LIBRO ne ebbe il consenso. Le lettere patenti spedite a tal fine da quel sovrano 1 anno 1496 si hanno nella Raccolta de’ Viaggi dell’ Hacklnyt (p. 3,ec.), e negli Atti pubblici d’Inghilterra del Rymer (t. 12 , p. 5t)5); ed esse sono indirizzate Joanni Cabotto Civi feerie tian un, ac Lodovico, Sebastiano) et Sancto ejus filiis. Gli autori della Storia generale de’ Viaggi recano qualche ragione per dubitare (t. 45, p. 279) che questo viaggio non si conducesse ad effetto che più anni appresso; e par che inclinino a credere ch’esso non seguisse che verso il 1516, benchè poi altrove si contraddicano, e lo fissino senza mostrarne alcun dubbio al 1497 (t. 57, p. 256). Ma se essi avessero riflettuto il passo di Pietro Martire d’Anghiera, in cui ragiona di Sebastiano, avrebbero conosciuto che certamente esso avvenne molti anni prima. Egli avea continuamente in sua casa, mentre si tratteneva in Ispagna, Sebastiano Cab otto , e dice che questi era stato chiamato dall’Inghilterra alla corte de’ re Cattolici dopo la morte di Arrigo VII. Familiarem habeo domi Cabottum ipsum et contubernalem interdum. Vocatus namque ex Britannia a Rege nostro Catholico post Henrici majoris Britanniae Regis mortem concurialis noster est (Ocean. dec. 3, l. 7). Or ognun sa che Arrigo VII morì nel 1509. Ma noi abbiam monumenti con cui decidere quando seguisse tal viaggio. Convien prima riflettere che nè il Cabotto ce ne ha lasciata relazione di sorta alcuna, nè abbiamo verun distinto racconto di esso negli scrittori di que’ tempi. Ma molti lumi intorno ad esso possiam [p. 381 modifica]PRIMO 381 raccogliere primieramente dal sopraddetto passo di Pietro Martire; inoltre da un erudito discorso che il Ramusio racconta di aver udito in una villa del celebre Fracastoro da un Gentil huomo Mantovano grandissimo philosofo et matematico (Viaggi t. 1, p. 3^4 j C(l- Veti. iGoO), il quale in Siviglia conversato avea col Cabotto, e finalmente dalla Storia di Arrigo VII, re d’Inghilterra , scritta da Francesco Bacone da Vendami o (Op. t. 5, p. 229, ed. Amstel. \ Gip), scrittore che, benchè lontan da que’ tempi, era nondimeno uom troppo dotto, per non attingerne le notizie che a’ fonti sicuri. Or tutti questi scrittori attribuiscono la navigazione alle parti settentrionali non a Giovanni, ma a Sebastiano Cabotto. Anzi il gentiluom mantovano narrando il discorso che quegli gli tenne, gli fa dire che Giovanni suo padre morì nel tempo medesimo in cui giunse l’avviso che il Colombo avea scoperta la costa dell Indie. Convien dire perciò, che Giovanni morisse poco dopo la spedizione delle sopraccennate patenti, e che Sebastiano si accingesse solo a quel viaggio. Il gentiluomo medesimo e Pietro Martire ancora ci assicurano che Sebastiano era nato in Venezia , e non già in Inghilterra, come hanno scritto gli autori della Storia dei Viaggi (t. 57. p. 257), e che quasi fanciullo, già appresi i primi elementi delle scienze, era stato condotto a quell’isola. Il viaggio allo scoprimento di nuovi paesi, come racconta ei medesimo presso il gentiluomo mantovano, seguì nella state dello stesso anno 14))f, e il re Arrigo armò a tal fine due caravelle; nel che però vi ha qualche [p. 382 modifica]382 LIBRO diversità di racconto negli altri scrittori; perciocchè Pietro Martire dice che Sebastiano armò a sue proprie spese due navi: Bacone narra che una nave fu armata dal re, e che ad essa tre piccioli legni aggiunsero alcuni mercanti di Londra, carichi di lor mercanzie. Ma di troppo poco momento sono cotai differenze, per trattenerci a disputarne.

XXV. Anche nel descrivere il viaggio di Sebastiano non son del tutto tra lor concordi i suddetti scrittori. Bacone afferma, citando la relazione, ora smarrita , che ne diede al suo ritorno lo stesso Cabotto, il quale mostrava ancora la carta della sua navigazione; afferma, dico, che andando tra settentrione e ponente, costeggiò il lato boreale della terra di Labrador fino all’altezza di sessanta selle gradi e mezzo, trovando sempre il mar libero ed aperto; ma perché, e per qual via tornasse, nol dice. Il gentiluom mantovano fa dire al Cabotto, che fece vela verso maestro, pensando di non trovar terra fino al Catay, e di là volgere all’Indie orientali, ma che giunto fino agli 86 gradi, e avvedendosi che la costa piegava sempre verso levante, diede addietro, e piegando verso la linea equinoziale costeggiò il paese che fu • poi detto Florida, sempre colla speranza di ritrovare il passaggio all’Indie orientali, finchè la mancanza de’ viveri nol costrinse a tornarsene in Inghilterra. Queste due relazioni non hanno altra diversità tra loro che nel numero de’ gradi a cui giunse il Cabotto, nel che può essere corso errore o nell una o nell’altra. Pietro Martire finalmente racconta, e dice egli [p. 383 modifica]primo 383 pure ili averlo udito dal medesimo Sebastiano, che si avanzò tanto verso settentrione, clic ebbe più giorni continui senza notte; ma che avendo trovato il mare ingombro d1 immense moli di ghiaccio, benchè questo in terra fosse disciolto, fu costretto a volgere addietro per tornarsene in Occidente che non nondimeno veleggiò verso mezzogiorno fino a trovarsi quasi allo stesso grado di latitudine in cui è lo stretto di Gibilterra , e verso occidente s’inoltrò fino a trovarsi quasi allo stesso grado di longitudine, in cui è f isola di Cuba. La qual descrizione se si esamini sulle carte geografiche, si vedrà. che concorda con quella del gentiluom mantovano. Solo qui fassi menzione del mare agghiacciato , di cui nell1 altra non si fa notto j anzi Bacone afferma che trovollo sempre del tutto libero. Ma forse in questo potè Bacone prendere errore, E il gentiluom mantovano se adduce per ragione del dare addietro che fece il Cabotto, la direzion della costa diversa da quella di’ egli avrebbe voluto, non nega che vi si trovassero ancor de’ ghiacci, e che questi, uniti alle altre ragioni , lo costringessero al ritorno. Comunque fosse, il Cabotto tornò in Ingliil- • terra afìlitto al certo per l1 imitile tentativo, ma pien di speranza il’intraprenderlo un1 altra volta con più felice successo. Ma le guerre, da cui allora trovò quel regno sconvolto, non permisero che i suoi desiderj fosser condotti ad effetto , e chiamato , come si è detto, in Ispagna dopo la morte di Arrigo VII, ivi a nuovi viaggi fu destinato, de’ quali parleremo nel secol seguente a cui appartengono. II eh. Foscaritii [p. 384 modifica]384 i LIBRO all’orma (J^etturat. vcnez. p. 43*)) C^G a lui «*i loe la gloria di avere prima a ogni altro osservata la variazion della bussola. Ma ei si riserva a parlar di ciò nel V libro della sua Storia, il quale non è uscito alla luce. E noi perciò siamo privi de’ molti lumi che su quest argomento avrebbe egli sparsi colla usata sua erudizione. Io so che alcuni concedono quest1 onore al Cabotto, ma altri ancor gliel contrastano, nè a me è riuscito di trovare tal monumenti per cui possa affermarlo con sicurezza (*). Ma . (*) Una delle più valide pruove par concedere a Sebastiano Cabotto la gloria di essere stato il primo a scoprir la declinazione dell’ago calamitato, è la testimonianza di Livio Sanuto, il quale afferma di aver ciò udito da Guido Giannetti da Fano, che era presso il re d’Inghilterra, quando il Cabotto gli die’ avviso della scoperta che fatta avea (Geogr. l. 1 , p. 2). Nondimeno nella Storia dell’Accademia delle Scienze di Parigi (an. 1712, p. 17 ed, in 4) si vuol togliere questa gloria al Cabotto, di cui si dice ivi, che pubblicò la sua scoperta solo nel 1549). e che presso m. de I' Isle conserva vasi il ms. di un piloto di Dieppe, nominato Crinnon, scritto fin dal 1534, e dedicato all’ammiraglio francese Chabot, in cui si parla della declinazione della calamita , e se ne inferisce perciò, ch’era essa nota da più anni in Francia, quando il Cabotto vantavasi di averla prima di ogni altro osservata. Ma con qual fondamento si può affermare che il Cabotto solo nel 1 *»4) pubblicasse la sua scoperta? Anzi come la pubblicò egli , se non abbiamo relazione alcuna de’ suoi viaggi che sia fino a noi pervenuta? Abbiam veduto poc’anzi che Guido Giannetti affermò di essere stato presente, quando il Cabotto comunicò al re d) In gitili era la sua scoperta. Due viaggi fece il Cabotto per quella corona, il primo nel 1496 di cui qui si ragiona, il secondo nel 1556, di cui diremo nel tomo seguente. Or nel tempo di questo secondo viaggio regnava in Inghilterra [p. 385 modifica]PRIMO 385 ancorché non gli si dovesse tal lode, non poco onore ha accresciuto il Cabotlo al nome italiano coll’ardito suo tentativo; e sarà sempre gloria immortai dell’Italia , che da essa sian usciti coloro che non poco hanno giovato allo scoprimento della via marittima all’Indie orientali , ila essa i primi ritrovatori del mondo nuovo il quale ancora da un Italiano ha preso il nome, da essa, per ultimo, il primo autore dell’animoso e tante \olte tentalo progetto di penetrare nell1 estremità dell’Asia pel mare del Settentrione. la reina Li sai) et la, e «li essa perciò non si può intendere l’attestazion del (Giannetti, che nomina il re, non la regina. Dunque deesi intendere del primo viaggio fatto nel i ^t)() a' tempi di Arrigo VII , e perciò la scoperta della declinazione fatta dal Cabotto è anteriore di quasi quaranta anni al piloto di Dieppe. Pare che con maggior ragione possa il Colombo contrastar questa gloria al Cabotto; perciocchè, come giustamente ha osservato l’autore dell' Elogio , poc’anzi lodato (p). (65,ec.), e Ferdinando di lui figlio nella Vita del padre , e 1 Menerà scriltor degnissimo di fede, e poscia altri più recenti scrittori narrano che il Colombo innanzi ad ogni altro osservò questo fenomeno nella prima sua navigazione fatta nel 1492, cioè «piatirò anni prima di quella del Cabotto. TlftABOSCIir, Voi. VII.