Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo V/Libro II/Capo VI

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[p. 583 modifica]SECONDO • 583 nel capo seguente, ma della cattedra di Montpellier, nè egli, nè altro scrittor vicino a que’ tempi non fa parola; nè io posso perciò parlarne, se non come di cosa assai dubbiosa ed incerta. Capo VI. Storia. L Le poche copie che aveansi de’ buoni autori, e queste ancora guaste e contraffatte dagli ignoranti copisti, e la dimenticanza, in cui si giaceano i monumenti antichi non ricercati, nè esaminati da alcuno, aveano sparse ne’ secoli precedenti sì folte tenebre sulla Storia de’ tempi addietro, che appena era possibile il penetrare fra quella profonda caligine; e chi avea pure coraggio d’intraprenderlo, appena poteva fare un passo senza inciampare. Quindi, poichè nel secol presente si presero a disotterrare le opere degli antichi scrittori da tanto tempo sepolte, e a moltiplicarne le copie, e si cominciò a conoscere il pregio, in cui doveansi avere i monumenti de’ tempi loro, una nuova luce si sparse ancor sulla Storia, e benchè essa fosse ancora ben lungi dall’essere sgombra da tanti errori, fra cui giaceasi avvolta, comparve nondimeno in forma alquanto migliore; e lasciate in disparte le popolari e favolose tradizioni, a cui crasi fin allora appoggiala, cominciò a ricercare fondamenti migliori e a discernere, per quanto era possibile, il vero dal falso. Già abbiamo altrove veduto che il gran Petrarca, il [p. 584 modifica]Ò84 LIBRO cui nonio dee por tanti titoli esser sempre all’Italia memorabile e sacro, fu il primo di cui si legga che prendesse a fare raccolta di antiche medaglie. Ma ei non fu pago di tal collezione. Ei si volse con quel vivissimo ardore, di cui infiammavalo la gloria della sua patria, a esaminare con attenzione gli antichi monumenti in cui avvenivasi, e a trarne lumi onde illustrare la storia. Egli descrive a lungo (Famil l. 6, ep. 2) il piacere che avea, quando la prima volta recossi a Roma, nell1 aggirarsi con Giovanni Colonna da S. Vito, di cui abbiamo altrove parlato (l. 1, c. 5), per quell1 ampia città, osservando le vestigia che dell’antica Roma ancor rimaneano, e rammentando i memorabili avvenimenti che le rendeano illustri; nella qual descrizione il Petrarca ci si mostra versatissimo nell’antica Storia Romana, benchè adotti egli pure alcune tradizioni che la più severa critica ora ha rigettate. L’ab. de Sade afferma (Mém, pour la ine de Petr. t. 1, p, 324) che Giovanni Colonna avea fatto fin da’ primi suoi annijun continuo studio sulle antichità di Roma. Io non ho trovata pruova alcuna di ciò; anzi il Petrarca sembrami espressamente affermare il contrario nella lettera or ora accennata, perciocchè in essa egli dice di se medesimo, che nel discorrer delle cose di Roma, egli mostrava maggior perizia nelle cose antiche, Giovanni nelle moderne: Multus de historiis sermo erat; quas ita partiti videbamur, ut in novis tu, in antiquis ego viderer expertior. La stima che di cotai monumenti faceva il Petrarca, rendeagli insoffribile la indolenza e la sordida avarizia de’ [p. 585 modifica]SECONDO • 585 Romani d’allora, che ne vendevan gli avanzi, perchè servissero d’ornamento ad altre città: Non vi siete arrossiti , egli dice (Hortat. ad Nicol. Laurent, t 1 Op. n. 5i)6), di fare un vile guadagno di ciò che ha sfuggito le mani de’ barbari vostri maggiori; e delle vostre colonne, de1 limitari de’ vostri templi, delle statue, de’ sepolcri sotto cui riposavano le venerande ceneri de’ vostri antenati, per tacer d altre cose, or s’abbellisce e s’adorna l’oziosa Napoli. E altrove duolsi che i Romani nulla si curino delle antiche lor glorie, e che Roma in niun luogo sia meno conosciuta che in Roma stessa: Chi v’ha oggi più ignorante nelle cose romane de’ Romani medesimi? il dico con mio dolore: Roma in niun luogo è men conosciuta che in Roma (Famil. L 6, ep. a). II. Nè solo nella ricerca e nello studio de’ monumenti segnò il Petrarca la via agli altri, ma ancor nella critica e nelle leggi a discernere i diplomi veri da’ falsi. Era stato presentato all’imperator Carlo IV un diploma con cui pretendeasi che Giulio Cesare e Nerone avessero sottratta l’Austria alla suggezion dell’Impero. L’imperadore che forse non avea uomini sì eruditi alla sua corte, che del loro giudizio potesse in ciò sicuramente valersi, mandò il diploma , perchè ne giudicasse , al Petrarca che allora era in Milano, come dalla data della sua risposta (Senil. lib.i 5, ep. 5) si fa manifesto, la qual però non so su qual fondamento dall’ab. de Sade si assegni al i355 (Meni, pour la vie de Petr. t 3 , p. 405) piuttosto che ad altro anno. Le riflessioni con cui il Petrarca ne mostra la [p. 586 modifica]586 LIimo supposizione, son tali che a’ dì nostri non basterebbono a provare grande erudizione nell arte diplomatica. Esse sono il parlare che fanno que’ due impcr adori nel numero del più. Nos Julius$ Caesar, ec. il titolo d’Augusto, che Giulio Cesare si attribuisce, la data del diploma, che era: Datum Romae die Veneris regni nostri anno primo; ed altre simili riflessioni che ora si farebbon da chiunque sol leggermente versato in tale studio. Ma in un tempo, in cui non v’era favola ed impostura che lietamente non si ammettesse per incontrastabile verità, non possiamo non ammirare la critica e l’erudizion del Petrarca che non si lasciò avvolgere nella comune ignoranza, e che seppe riconoscerf l’errore , ove altri non ne avrebbe pur sospettato. MI. Niuno avrebbe creduto che nella Storia

  • della Letteratura Italiana dovesse aver luogo il
celebre tribuno di Roma Cola di Rienzi, ossia

Niccolò di Lorenzo, che, dal suo fanatismo medesimo sollevato l’anno 1347 al più assoluto potere in Roma, perdette per la sua imprudenza nel corso di pochi mesi tutta l’autorità, e fu poi soggetto a quelle vicende che altrove abbiamo accennate (l. 1, c. 1). E nondimeno non dobbiam qui passarlo sotto silenzio, poichè egli ancora fu grande e sollecito ricercatore de’ monumenti antichi di Roma, e come questi furono per avventura la prima origine del pazzo disegno eli’ egli formò di ricondurre Roma alr antico stato di repubblica libera , così essi furono probabilmente che strinsero il primo nodo dell’amicizia che con lui ebbe il Petrarca, il quale sorpreso prima alla nuova delle [p. 587 modifica]SECONDO 587 strepitose imprese di Rienzi si lasciò trasportare ad encomiarlo con altissime lodi (V. Meni, pour la vie de Petr. t 2, p. 335); benchè poscia conoscendone la follia , per poco non si vergognasse di essersi troppo facilmente lasciato abbagliare. Or dello studio, con cui Cola si era rivolto a ricercare e a spiegare i monumenti antichi di Roma, ne abbiamo una pruova nell* antico e contemporaneo scrittore della Vita di quest’eroe da romanzo, che è stata più volte data alle stampe e più recentemente dal chiarissimo Muratori (Antiq. Ital. t. 3 , p. 3i)j)), perciocché il suddetto autore ci narra che Cola erasi continuamente occupato nella lettura de’ buoni e antichi scrittori; che andava ogni giorno esaminando i monumenti scolpiti, che si vedevano in Roma, e che era il solo che sapesse leggere e spiegare le sovrapposte iscrizioni, e le figure onde erano ornate. Ma udiamo le stesse parole di questo scrittore nel suo proprio rozzo e volgar dialetto: Fo da soa joventutine nutricato de latte de Eloquentia, bono Gramatico, migliore Rettorico, Autorista bravo. Deh como e quanto era veloce leitore! Moito usava Tito Livio , Seneca , e Tullio , e Balerio Massimo: moito li dilettava le magnificentie de Julio Cesare raccontare. Tutto lo die se speculava negl intagli de marmo, li quali jaccio intorno a Roma. Non era aitri che esso , che sapesse lejere li antichi pataffi. Tutte scritture antiche volgarizzava; queste fiure de marmo justamente interpretava. I\. L’unico frutto però, che Cola trasse da tali studj, fu un disperato fanatismo, per cuij [p. 588 modifica]588 LIBRO credendosi destinato a rinnovare i tempi della romana repubblica, trasse molti e finalmente se stesso a irreparabil.rovina. Non così il Petrarca che volgendogli a fine troppo migliore, se ne valse a illustrare in parte l’antica storia. Io non parlo qui delle sue Lettere, in moltissime delle quali ei ben fa vedere quanto in essa fosse versato. Parlo solo delle opere che intorno ad esse egli scrisse. E due esse sono singolarmente. La prima divisa in quattro libri e intitolata He rum Memorandanun, in cui, a somiglianza di quella di Valerio Massimo, vien narrando più fatti tratti dalle antiche e dalle moderne storie, divisi in più capi, secondo le diverse virtù , o i diversi vizii a cui appartengono. L’altra sono le Vite degli antichi Uomini illustri, quasi tutti romani. Noi ne abbiamo, tra le opere latine del Petrarca, un compendio da lui cominciato per comando di Francesco da Carrara, e poscia, poichè il Petrarca fu morto, continuato per ordine del medesimo Carrarese da Lombardo da Serico padovano grande amico del Petrarca. E abbiamo inoltre le medes ir«c Vite assai più ampiamente scritte in lingua italiana , e sotto nome del Petrarca stampate l’anno 1476 nella Villa Polliana presso Verona. Intorno a queste due diverse opere io comunicai già alcune mie riflessioni al ch. sig. abate Angelo Teodoro Villa, ora professore degnifl simo di eloquenza nell’università di Pavia , che volle cortesemente inserirle nell’erudite sue giunte alla Biblioteca de’ Volgarizzatori dell’Argelati (t 5, p. 761 , ec.). In esse io mi feci a mostrare che di quest’opera italiana ancora era [p. 589 modifica]SECONDO 589 autore il Petrarca, e che anzi questa a lui doveasi interamente, e che del compendio una parte sola era stata da lui composta, come è manifesto dalla prefazione posta alla sua continuazione dal suddetto Lombardo; e credetti inoltre, fondato su un codice ms. citato da monsignor Mansi, che il Petrarca avesse preso a tradurre egli stesso la più ampia sua opera dall’italiano in latino , e che la traduzione medesima fosse poi dallo stesso Lombardo condotta a fine. Quai ragioni m’inducessero a così pensare, si può vedere nell’opera sopraccitata. Ma un codice ms. di queste Vite più ampiamente distese, citato dal P. degli Agostini (Scritt. venez t 1 , p. 4? nota 1), mi fa or dubitare di ciò che allora ho affermato; perciocchè in esso si legge: Hoc opus suprascriptum compitatum per summum Poetam literali sermone Dominimi Franciscuin Petra re ham, et in vulgari sermone reductum per Ma gìstrum Donatum de Casentino ad instantiam requisì tionemijue magri iJici D. D.Nicolai Marchionis Estensisy ec. Il che come si possa conciliare colle ragioni da me allora arrecate, lascio che ognun ne decida, perciocchè non è di quest1 onera T entrare in discussioni di tal natura {a). Un’altra grand’opera avea (#) E certo però, che anche dell’opera latina esiste sotto il nome del Petrarca un codice nella biblioteca guarneriana in S. Daniello nel Friuli , in cui le Vite degli Uomini illustri sono stese assai più ampiamente, come mi ha avvertito il ch. sig. abate Domenico Ongaro. Il che sembra confermare la mia opinione, che il Petrarca stesso la recasse, almeno in gran parte , dalla lingua italiana, in cui aveala scritta, nella latina, [p. 590 modifica]5go LIBRO egli intrapresa, ma a cui non diè compimento, e clic sembra interamente perita, cioè una Storia generale da’ tempi di Romolo sino a quelli delTimpcrator Tito, opera da lui cominciata ne1 giovanili suoi anni, c poi interrotta per rivolgersi al suo poema dell’Africa. Ne dobbiam la notizia a’ suoi dialogi con S. Agostino intitolati de Contcmptu Mundi, ne’ quali introduce il Santo a così ragionargli: Manum ad majora jam porri gius librimi historiarum a Rege Homulo in Ti tura Cesarcm, opus immensum, temporisque et laboris capacissimum aggressus et; coque nondurn ad exitiun perducto... ad Africani... transmisisti (Op. I. i , p. 411)• V. Troppo amico del Petrarca era il Boccaccio , perchè non dovesse egli pure rivolgersi a somiglianti studi; e ne abbiamo difatti in pruova più opere , e quella singolarmente divisa in i5 libri, e intitolata de Genealogia Deorum, in cui con tutto quell’apparato di erudir zione,che era allora possibile, svolge e dichiara l’antica mitologia; opera che allora non fu rimirata per poco qual cosa divina , e che ora appena ritrova chi f onori di un guardo. Nè io e potrebb’essere avvenuto che Donato da Casentino veggendo l’opera latina, e ignorando che il Petrarca l’avesse prima composta in italiano , ne facesse questa versione. Sotto il nome del Petrarca abbiamo ancora il Libro delle Vite dei Pontefici et Inipe rado ri Romani , di cui si ha la bella edizione fatta in Firenze nel convento di S. Jacopo di Ripoli, nel 1478, e ripetuta poscia altre volte. Ma niun autore, ch’io sappia, contemporaneo, o vicino al Petrarca, gli attribuisce quest’opera , e io perciò dubito che gli sia stata supposta. 0 [p. 591 modifica]SECONDO 5l) I mi sdegnerò contro quelli che or non la curano; poichè i lumi tanto maggiori e le opere tanto più critiche ed erudite che al presente abbiamo 9 ce la rendono inutile, anzi vi ravvisiamo errori e mancanze in gran numero. Ma non perciò dobbiamo non ammirare il Boccaccio che in tempi sì tenebrosi giunse a veder tanto, e con tanto maggior fatica , quanto più scarsi erano gli ajuti, diligentemente raccolse quanto su questo argomento gli avvenne di ritrovare. Alcuni , e fra gli altri Apostolo Zeno (Diss♦ voss. t 1 , p. 13), accusano il Boccaccio di aver supposti e citati autori che mai non furono al mondo, e fra gli altri quel Teodonzio greco che egli allega non poche volte. Il conte Mazzucchelli il difende (Scritt ital. t 2 , par. 3 , p. 1337) , adducendo le parole dello stesso Boccaccio , con cui previene l’accusa, e la rifonde sull1 ignoranza de’ suoi medesimi accusatori. Ma si potrebbe dire per avventura che cotai difese son troppo agevoli a farsi, finchè non si viene alle pruove, e che converrebbe provar veramente che vi sia stato cotesto Teodonzio non mai conosciuto ad alcun altro scrittore. E io penso che la miglior via a scusare il Boccaccio, sia il dire, come è probabile assai, ch’egli, e prima di lui Paolo da Perugia, da cui confessa di aver molte cose apprese , come altrove si è detto (l. 1, c. 4)? fosser tratti in errore dal monaco Barlaamo, da cui avean avuto notizia di questo supposto autore. Con maggior sicurezza possiam difendere il Boccaccio da mi’ altra taccia che da altri gli si appone , cioè che in quest’opera ei siasi arricchito delle altrui spoglie, [p. 592 modifica]592 LIBRO e singolarmente di quelle del suddetto Paolo da Perugia , accusa da cui abbastanza si purga lo stesso Boccaccio col citar sovente i libri, di cui si vale, e col dichiarare palesemente di quanto ei fosse debitore al medesimo Paolo (l. 15 , c. 7) che una grand’opera avea scritto su tal materia, perita poi per colpa dell’infedele sua moglie. Altre opere storiche ancora abbiam del Boccaccio; i nove libri intitolati De casibus virorum et foeminarum illustrium, e il libro de Claris Mulieribus, ne’ quali dalle antiche storie singolarmente raccoglie ciò che giova al suo argomento. E a questo luogo ancora può appartenere il libro de Montium, Silvarum 7 Lacuum7 Fluminum, Stagnorum, et Marium nominibus , delle quali opere, delle loro edizioni e di altri libri storici attribuiti al Boccaccio, ma o che più non si hanno, o si debbono ad altri scrittori, veggasi il diligentissimo articolo del soprallodato conte Mazzucchelli. Io non parlo qui della più celebre opera di questo scrittore, cioè del suo Decamerone, di cui sarà d’altro luogo il ragionare più a lungo. VI. A questi scrittori che presero singolarmente a rischiarare l’antica storia, aggiugniamo or quelli che, scrivendo cronache generali, all’antica non meno che alla moderna recarono quella maggior luce che per lor si poteva. E io non parlerò qui, se non di passaggio , di Benvenuto Rambaldo da Imola, di cui abbiamo una compendiosa Storia degl’Imperadori da Giulio Cesare fino a Venceslao che allor regnava, opera troppo breve e non troppo esatta che suole andare unita alle opere del Petrarca, [p. 593 modifica]SECONDO 593 cui per errore da alcuni si è attribuita (Mehus Vita Ambr. camald. p. 211); e che anche separatamente è stata data alla luce. Di lui dovrem trattare di nuovo, ove ragioneremo degli antichi commentatori di Dante. Di due altre Cronache non possiamo giudicare precisamente qual fosse il pregio , perciocchè una non trovasi che manoscritta, F altra sembra smarrita. Della prima fu autore Jacopo d’Acqui domenicano, e una copia se ne ha nell’Ambrosiana di Milano (Murat A riti a. Ital t. 3, p. 917), che io credo essere solo la prima parte di essa*, perciocchè termina a’ primi anni di Bonifacio VIII. Ma nella regia biblioteca di Torino conservasi la seconda parte del medesimo autore, da cui raccogliesi ch’ei la condusse fino al 1328 (Cat. Bibl, taurin. t. 2, p. 150, cod 589). Il Muratori però, che aveala letta, ne parla come di opera favolosa e indegna d’uscire alla luce(rt). Monsignor Mansi crede (BibL med. et inf. Latin. t 4 j p* 4) che questo Jacopo d’Acqui sia lo stesso che quel Jacopo d’Aquino a cui si attribuisce un trattato contro Guglielmo de Santamore. Ma sembra difficile che uno che ancor viveanel i328, potesse aver parte in quelle contese che ardeano circa il 1 2.5o. Dell’altra Cronaca non abbiamo altra notizia, se non quella che ne ha lasciata Guglielmo da Pastrengo di cui or ora ragioneremo. Ne fu autore un cotale Bencio natio di Alessandria} ed ecco ’il (n) 11 sig. dottor fingati, che rammenteremo qui appresso, mi ha avvertilo che la Cronaca di Jacopo d’Acqui, che è nell’Ambrosiana, è la stessa che quella che è nella biblioteca di Torino. [p. 594 modifica]594 LIBRO magnifico elogio che ne fa il suddetto scrittore, recato nella volgar nostra lingua (De Orig. Rer. p. 16): Bencio lombardo di nazione, alessandrino di patria, cancelliere di Can Grande primoì e poi de’ nipoti, uomo di grande letteratura } raccogliendo le opere di tutti gli storici, e cominciando dalla creazione del mondo, descrisse la Storia di tutti i re, de’ popoli e delle nazioni tutte; opera immensa e voluminosa eh9 ei divise in tre, parti, talchè di lui si può dire ciò che già scrisse Catullo, cioè che avea ardito di raccogliere in tre carte, cioè in tre volumi, dotti al certo e laboriosi, tutte le età. Ma di questa grand’opera io non trovo chi ci indichi non solo qualche edizione, ma pure un codice manoscritto (n). E nondimeno avendone noi la (a) La Cronaca di Bencio alessandrino, che si credeva smarrita, si è, non è molto, felicemente trovata tra’ mss. della biblioteca Ambrosiana di Milano , benchè con errore intitolata Benvenuti Chronicon. Al signor dottor Gaetano Bugati, uno de’ dottori del collegio ambrosiano, siam debitori di questa bella scoperta che egli ha comunicata al pubblico nelle Memorie Storico-Critiche intorno le Reliquie ed il Culto di S. Celso Martire , stampate in Milano nel 1782, opera piena di scelta e molteplice erudizione, in cui, a pag. 132 e segg., ei mostra assai bene che quella è appunto la Cronaca di Bencio, il quale, come da essa raccogliesi, prima di essere cancelliere di Can grande dalla Scala, era stato cancelliere del vescovo Lambertengo di Como, il quale, secondo l’Ughelli, tenne quella sede dal 1295 fino al i32 j>. Veggasi ancora ciò che a conferma di questa scoperta si è detto nel Giornale dei Letterati, che stampasi in Modena (t. 25, p. 231), ove vi sono riportate alcune altre notizie su questa Cronaca, dallo stesso dottor Bugati cortesemente comunicate a’ giornalisti. [p. 595 modifica]SECONDO 595 testimonianza di uno scrittore contemporaneo e veronese, non possiam dubitare di ciò clic egli ne afferma, e convien dire perciò, che questa grand’opera siasi smarrita. Lo stesso dicasi di Giovanni Diacono veronese che scrisse un’ampia Cronaca da’ tempi d’Augusto fino a quelli d’Arrigo VII, della quale parla con molti elogi il celebre ab. Girolamo Tartarotti che, avendone veduto un codice ms., ne ha dato un esatto ragguaglio, combattendo poscia ancora un’opinione del marchese Maffei intorno a questo scrittore, di cui non giova qui il favellare (Calog. Racc. d Opusc. L 18, p. 135, t 28 , p. I). VII. Un altro scrittore di storia generale abbiamo in Landolfo Colonna romano canonico di Chartres. L’Oudin parla (De Script, eccl. t. 3, p. 756) di due codici mss. nei quali contiensi un’opera intitolata Breve Chronicon, che dalla creazion del mondo giunge fino a’ tempi di Giovanni XXII. La qual cronaca forse è la stessa che quel Breviarium Historiale del medesimo autore, stampato in Poitiers l’anno 1479 (Fabr. BibL med. et infi Latin. t 4> p* 239), a cui qualche altro scrittore ha aggiunta un’appendice fino a’ tempi dell’impera lor Sigismondo. A lui pure attribuisconsi le Vite de’ romani Pontefici, e un libro de Pontificali Officio, di cui rammenta l’Oudin un codice ms., e afferma che dal proemio di esso raccogliesi che Landolfo era della illustre famiglia de’ Colonnesi romani. Scrisse egli ancora un libro de Statu et mutatione Romani Imperii, o, come altri l’intitolano, de Translatione Imperii a Graecis ad [p. 596 modifica]596 LIBRO Latino*^ che dallo Scharilio (De jliristi et auctor. Imper.) e dal Goldasto (De Monarch. Imper. t. 2) è stato dato alle stampe, cambiandone il nome di Landolfo in quel di Radolfo. Di questo libro conservasi un codice a penna in questa biblioteca Estense, in cui egli è chiamato canonico di Siena, come avvertì già il Muratori (Script rer, ital t 8, p. 619), onde, se non vuolsi in ciò riconoscere error di penna, convien dire che in due chiese al tempo medesimo, o successivamente fosse Landolfo canonico. Credesi inoltre da alcuni ch’ei sia quel Landolfo Sagace a cui si attribuisce in qualche codice la continuazione della Storia Miscella, della quale abbiamo altrove parlato. Ma non vi è alcun monumento che ce ne possa far certa fede. Finalmente l’Oudin, per errore, ha creduto che a lui si debbano certi Comenti sul Maestro delle Sentenze, che son veramente di Landolfo Caracciolo dell’Ordine de’ Minori (Fabr. l. cìt). A questo luogo appartiene anche F. Francesco Pipino dell’Ordine de’ Predicatori e bolognese di patria. Noi abbiam già favellato e della version latina, ch’egli ci ha data, de’ Viaggi di Marco Polo, e della breve descrizione da lui composta de’ paesi ch’egli stesso avea corsi viaggiando. Ei tradusse inoltre in latino la Storia delle guerre di Terra Santa, scritta in francese da Bernardo Tesoriere e pubblicata dal Muratori. Ma assai più ragguardevole è un altro lavoro da lui intrapreso, cioè una Cronaca generale dalla origine de’ re franchi fino all’an 1314- Nel compilarla ei tenne il metodo allor comune a tutti [p. 597 modifica]SECONDO bljrli scrittori ili storia, cioè di raccogliere e copiare quanto trovavan già scritto presso altri storici, aggiungendo poi quelle cose, di cui essi erano stati testimonj. Quindi il Muratori, che da’ codici di questa biblioteca Estense 1’ ba data in luce (l. cit, vol.9), p. 583)? ha saggiamente troncato ciò che spetta a’ tempi più antichi, e le ha fatto prender principio dall’anno 1176, avvertendo però, che anche nei tempi a lui più vicini ha il Pipino copiati sovente altri scrittori, e spesso ancora senza citarli, benchè poi le particolari notizie, di cui egli ha arricchita la sua Cronaca, e che altrove cercherebbonsi inutilmente, compensin bene qualunque difetto. Egli fioriva verso il 1320, come ha provato il Muratori, ma non sappiamo fin quando vivesse. In molte biblioteche conservasi ancora una Cronaca intitolata Fiorità d’Italia, che, cominciando da’ tempi più antichi, giunge fino all’anno 1268 (*). L’autore ne fu Àrmanno o Arma ni 110 giudice di Bologna e cittadino di Fabriano, che dedicolla a Bosone da Gubbio, di cui dovrem parlar tra" poeti. Il co. Mazzucchclli dice (Scrittiteli. L 1, par, 2, p, noi) ch’ella è un poema diviso in trentatré canti. Ma i diversi saggi che ne produce 1* ab. Mehus (Vita Arnbr, camald. p. 212, 270, 27Ì, 279? 333, ec.), c due codici, benché imperfetti, che ne ha questa biblioteca Estense, (*) Intorno alla Fiorità d’Italia alcune diligenti osservazioni si posson vedere nella Biblioteca MS. Farsetti (p.o$5) e nell’opera del conte Fantuzzi (Scritt. bologn. t, 1 , p, 291). Tirabosciti, Voi VI, [p. 598 modifica]5^8 LIBRO pruovano ch’ella è in prosa. Finalmente il Tritcniio (De Script, eccl. c. Syo) parla di Bartolommeo d’Osa bergamasco, da noi nominato nel precedente capo, che verso il 1340 scrisse sedici libri di Storia generale, de’ quali ora nou rimane memoria. Prima del Tritemio ne avea fatta menzione Michele Alberto da Carrara in un’orazione detta nel capitolo de’ Minori l’anno 1460, e citata dal Calvi (Scena letter. di Scritt. bergam. p. 64), nella quale ei ne parla come di opera che in Bergamo ancora si conservava C) (a). Vili. Questi scrittori altro comunemente non fecero che copiare, o restringere ciò che i più ! antichi autori aveano già scritto, aggiugnendovi solo le cose a’ tempi loro avvenute. Opera di erudizione e di fatica assai maggiore intraprese Guglielmo da Pastrengo, scrittor poco noto in Italia, e fuor d’Italia quasi a tutti sconosciuto, e degno nondimeno di essere annoverato tra1 (#) Oltre i sedici libri di Storia generale scritti da Bartolommoo d’Osa bergamasco , che qui si a< renH nano, il Pellegrino nella sua Finca Bcrgomcnsis (parsi3, r. 8) ne cita un’altra opera intitolata Glossa super Historia de Gestii Longobardo rum, e ne indica il libro e il capo. E, se essa è opera diversa dalla già nominata , con vieti dire eli’essa ancor sia perita, benché pure esistesse a’ tempi del Pellegrino. (a) A questi scrittori, o piuttosto compilatori di storia generale, possiamo aggiugm-rc F. Giovanni da Udine, o a dir meglio da Mortegliano otto miglia distatile da Udine , de!la cui opera inedita su questo argomento ragionano a lungo Apostolo Zeno (Lettere, ed. se con esattezza, t. 1, p. 282, 285, 28(1, 287, 288, 291) c il sig. Liruti (Notizie de.’ Lellcr. del Friuli, t. 1, p. 294)» [p. 599 modifica]SECONDO 5 cyj più illustri, e avuto in grande stima da Francesco Petrarca. Il marchese Maffei è stato il primo a richiamarne dall’oscurità la memoria e il nome (Verona illustr. par. 2,p. 113, ec.), e a mostrare in qual pregio si debba avere l’opera ch’ei ci lasciò. Io mi lusingo nondimeno di poterne qui dare ancora più ampie notizie, valendomi singolarmente dell’opere dello stesso Petrarca. E prima vuolsi correggere un errore del marchese Maffei che, senza addurne ragione alcuna, distingue Guglielmo da Pastrengo da Guglielmo orator veronese a cui non cinque soli, com’egli dice, ma sei (l.2, ep. 19*, l. 3, ep. 3, 11, 12, 20, 34) de’ suoi poetici componimenti latini indirizzò il Petrarca; perciocchè le cose che questi in essi gli scrive, ci mostran chiaro di’ ei non è altri che quel Guglielmo da Pastrengo a cui abbiamo non già otto lettere del Petrarca medesimo, come dice lo stesso march. Maffei, ma cinque sole (Variar. ep. 32, 35, 36, , 38), con tre di Guglielmo al Petrarca (ib. ep. 31, 33, 34). Guglielmo nato in Pastrengo villa del Veronese, da cui prese il nome, era stato scolaro di OLdrado da Lodi, come, parlando di questo giureconsulto, abbiamo veduto; e frutto della sua applicazione a questo studio fu l’impiego di notajo e di giudice, ch’egli ebbe in Verona; come dalle antiche carte pruova il march. Maffei. Questi, e dopo di lui l’ab. de Sade (Meni, pour L die de Petr. t 1, p. 270, ec.), affermano che Guglielmo, l’anno 1335, fu spedito dagli Scaligeri al pontefice Benedetto XII, insieme con Azzo da Correggio, per ottener la conferma del dominio [p. 600 modifica]fino LIBRO di Parma. Io non trovo nelle antiche cronache chi parli di questa ambasciata di Guglielmo, di.cui nulla dice il Villani citato dall1 ab. de Sade. Ma mi giova il credere che il marchese Maffei non l’abbia asserito senza probabile fondamento. E veramente le lettere da Guglielmo scritte al Petrarca, quando andò, come ora diremo, in Avignone l’anno 1338, ci persuadono che un’altra volta vi fosse egli stato; così minutamente ei descrive la dimora del Petrarca in Valchiusa, mentre per altro in questa occasione ei non avea ancora veduto nè Valchiusa nè il Petrarca. Il motivo di questo secondo viaggio di Guglielmo ad Avignone, fu f uccisione di Bartolommeo della Scala, vescovo di Verona, fatta da Mastin della Scala signore della stessa città, il quale, per ottenerne dal pontefice Benedetto XII il perdono, gli mandò suo ambasciadore e procuratore il Pastrengo. Così abbiamo nel Breve di assoluzione (Raynald Ann. eccl ad an. 1339, n. 67) in cui egli solo è nominato: nè io veggo su qual fondamento l’ab. de Sade (l. cit. p. 377) gli dia a compagni in questo viaggio Azzo da Correggio e Guglielmo Arimondi. Il Pastrengo giunto in Avignone cercò del Petrarca; e il Petrarca dal suo ritiro in Valchiusa era venuto ad Avignone per vedervi il Pastrengo; ma appena ebbe posto il piede in città, che sentì destarglisi di nuovo in cuore il suo amore per Laura, per sopire il quale erasi ritirato in Valchiusa. Quindi diè volta addietro, e senza veder l’amico tornossone al suo deserto. Questo è l’argomento di tre lettere, due del Pastrengo al Petrarca, [p. 601 modifica]SECONDO (>01 una del Petrarca al Pastrengo (Var. ep. 31, 33). Questi però o in questo, o nel primo viaggio recossi a Valchiusa, e più giorni trattennesi col Petrarca. Noi il raccogliamo da una lettera in versi, che lo stesso Petrarca gli scrisse (l.3, ep. 3), in cui gli ricorda l’occuparsi che amendue facevano piacevolmente nel coltivamento di un orticello, e nel ragionare de’ greci e de’ latini poeti; il che fa vedere che Guglielmo non era solo giureconsulto, ma ancor poeta e amico delP amena letteratura. Hic ubi te mecum convulsa revolvere saxa Non puduit, campumque satis laxare malignum,

Obvia Guillelmi facies troncisqe vadisque, Inque oculis tu solus eras: hoc aggere fessi Sedimus; has tacito accubitu compressimus herbas; Lusimus hic puris subter labentibus undis: Hic longo exilio sparsas revocare Camoeìias ^ Hic Grajos Latiosque simul conferre Poetas Dulce fuit, veterr.mque sacros memorare labores. IX. Poichè il Petrarca ricevuto ebbe il solenne onor della laurea in Roma, l’an 1341, venne a Parma, ove si trattenne circa lo spazio di un anno, e donde scrisse un1 altra lettera in versi al suo amico (l. 2, ep. 19), ragguagliandolo del tenore di vita che vi conduceva. Ma non pare che in questa occasione si rivedesse!* Pun l’altro. Ciò avvenne solo l’an 1345 in cui il Petrarca fermossi qualche tempo a Verona; e una lettera di Guglielmo al Petrarca (Var. ep. 34) ci esprime i sensi di amicizia e di tenerezza, con cui, partendo il Petrarca per Avignone, Guglielmo volle accompagnarlo [p. 602 modifica]I (>0 2 LlBItO fino a’ confini del Veronese , e la vicendevole afflizione con cui si dissero addio; lettera che il marchese Maffei, ingannato dall’error corso nell1 edizione di Basilea, ha creduta scritta dal Petrarca a Guglielmo airoccasion occasion dell’andare che questi faceva in Avignone. Io non so se essi si rivedessero più altre volte, il che nondimeno è probabile che avvenisse, dacchè principalmente il Petrarca si stabilì in Italia. Ben trovo che il Petrarca, mandando da Avignone a Verona Giovanni suo figlio naturale, l’an 1352, raccomandollo a Guglielmo, singolarmente perchè ne formasse i costumi, come da alcune lettere inedite dello stesso Petrarca pruova I1 abate de Sade (l. cit t 3, p. 220). Continuò ancora il letterario commercio tra f uno e l’altro, come dalle lettere e da’ versi al principio accennati raccogliesi chiaramente; e da un di questi veggiamo che il Petrarca invitò caldamente Guglielmo a venir seco a Roma pel giubbileo dell1 anno i35o (/.3, ep. 34), e da due lettere raccogliamo (Var. ep. 36, 37) che il Petrarca valeasi del Pastrengo ancor pe’ suoi studj , e che questi gli prestava talvolta que’ libri che nella sua biblioteca ei non avea. Guglielmo vivea certamente ancora nel 1361, in cui morì il sopraddetto figliuol del Petrarca, poichè abbiamo una lettera che questi a tal occasione gli scrisse (ib. ep. 36). Ma quando morisse, non ne trovo indicio alcuno. Panni però verisimile clic ciò accadesse prima del perciocché, avendo il Petrarca fatto in quest’anno il suo testamento, in cui a tutti i suoi amici lasciò qualche dono, non troviamo in esso menzion del Pastrengoj [p. 603 modifica]SECONDO Go3 Non è per ultimo a omettere un errore del Montfaucon, confutato, ma con altro errore , dal marchese Maffei. Quegli afferma (Diar. ital. c. 3) che Guglielmo fu maestro del Petrarca, e questi a confutarlo si vale della lettera che ei crede scritta dal Petrarca a Guglielmo (Var. ep. 34); da cui raccoglie che Guglielmo era più giovane del Petrarca. Ma la lettera , come abbiam detto, è dello stesso Guglielmo, e pruova anzi la giovanile età del Petrarca che allora in fatti non avoa che quarantini* anni. A provar però, che il Pastrengo non gli era stato maestro, basta il riflettere che il Petrarca non fu mai negli anni della prima sua gioventù a Verona , ove stabilmente abitava Guglielmo, e che nelle molte lettere a lui scritte non fa mai cenno di essere da lui stato nelle lettere istruito. X. L’opera da noi già accennata, che Guglielmo intraprese, fu una generale biblioteca di tutti gli scrittori sacri e profani. Niuno erasi finallora accinto a un tal lavoro; perciocchè S. Girolamo, Gennadio ed altri scrittori somiglianti non avevano parlato che degli scrittori di argomento sacro; Fozio avea trattato sol di que’ libri che gli eran passati per mano; laddove Guglielmo prese a favellare con ordine alfabetico di quanti ei poté rinvenire scrittori d’ogni nazione, d’ogni età e d’ogni argomento da’ tempi più antichi fino a’ suoi. Nè io negherò già che l’opera di Guglielmo non sia troppo lontana da quella esattezza che ad essa si richiederebbe. Ma come sperarlo a’ suoi tempi? Egli stesso conobbe esser ciò non solo difficile, ma impossibile: De illustribus vero gcntilium, 1 [p. 604 modifica](>C>4 LIBRO die1 egli nella prefazione, quid referam? cum codices con ini, qui illos et scripta sua commemorant, nusquam apud nos reperiantur. E infatti trovansi in questo libro ommissioni ed errori di non lieve momento. Certo è nondimeno che, qual esso è, mostra una vastissima erudizione di chi ne fu l’autore; e sembra quasi impossibile che fra tante tenebre ei potesse pur veder tanto; nè è piccola lode eli1 ei sia stato il primo di tutti a darci un dizionario di questo genere; pel quale motivo ei dovrebbe a questo nostro secolo singolarmente esser caro ed accetto. Altre riflessioni sul merito di quest’opera veggansi presso il marchese Maffei. Nè agli scrittori soltanto si ristrinse il Pastrengo. Sei altri piccioli dizionarj, o a dir meglio, indici storici e geografici egli vi aggiunse, de’ quali udiamo da lui medesimo f argomento. Qui primi quarumdam rerum vel artium inventores fuerint vel institutores: qui certarum provinciarum vel Urbium fundatores; a quibus Provinciae quaedam, Insulae, Urbes,flumina, montes, et res certa traxere vocabula primum: quibus in locis, Insulis, aut Urbibus res quaedam primum inventae sunt: quique certis dignitatibus aut officiis functi sunt primi: qui magnifica quaedam gessere primi aut instituerunt insolita. Brevi trattati, è vero, ma essi pure testimonii assai luminosi della vasta lettura di questo infaticabil uomo che ad ogni cosa che afferma, cita l’autore onde f ha tratta. Michelangiolo Bondo diede in luce quest1 opera in Venezia l’an 1547 ma l’edizione ne è sì scorretta, che spesse volte 11011 si rileva il senso; anzi il titolo ancora non è esatto, perciocché [p. 605 modifica]SECONDO Go5 essa è intitolata de Originibus rerum, di che propriamente non trattasi che nella mentovata aggiunta; e in qualche altro codice più corretto ella è intitolata de Viris illustribus. Anche il cognome dell’autore non è ivi qual fu veramente , perciocchè in vece di Pastrengo leggesi Pastregico. Essendo questa edizione divenuta rarissima, e avendola a caso veduta nel suo viaggio d1 Italia il già lodato Montfaucon, e confrontatala con due codici mss. che trovonne in Roma, avea risoluto di farne una nuova edizione (l. cit). Lo stesso disegno avea formato il marchese Maffei, ed egli pure perciò aveane collazionato un manoscritto veneto; ma nè l’uno nè f altro ha condotto il suo disegno ad effetto (a). XI. Or dagli scrittori di storia generale passiamo a coloro che ci tramandarono quella di qualche particolar provincia, benché pure, quai più quai meno, toccassero ancor le cose in (a) Opera di somigliante argomento, ma a una sola classe ristretta , intraprese circa questi tempi medesimi uno scrittor mantovano non rammentato finora, ch’io sappia , da alcuno, cioè Rinaldo degli Obizi Il signor Vincenzo Malacarne mi ha data notizia di un bel codice in pergamena da lui veduto. Il titolo è: De vita, moribus et dictis Philosophorum. Haynaldus /1/,7/i/ovanus. E opera diversa del tutto da quella di Diogene Laerzio. e contiene le Vite di centotrenta filosofi, gli ultimi de’ quali sono Claudiano, Simmaco e P ri sciano. Al fine si legge: Explicit liber de moribus et vita pòi* lo tophorum d e lune penultimo Augusti MCCCLXI Indictione quarta decima. Urbis Virgilii Raynaldus nomine natus Obizorumque fuit.scriptor de prole rrcatu*. [p. 606 modifica]606 LIBRO altre parti avvenute. E io darò principio da’ fiorentini, e dagli scrittori, toscani sì perchè essi sono i più celebri di questa età , sì perchè, avendo scritte comunemente le Storie nella materna lor lingua , giovaron non poco a perfezionarla e vie maggiormente abbellirla. Il più antico tra quelli di questo secolo è Paolino di Piero fiorentino che al principio di esso cominciò la sua Cronaca da lui divisa in due parti, la prima delle quali dal 1080 giunge fino al 1270, f altra, in cui scrisse le cose ch’egli stesso vedute avea, arriva fino al 1305, scrittor diligente e che, rigettando non poche favole che da altri erano state adottate, ed esaminando con diligenza le Cronache più fedeli che egli non rare volte allega, si sforzò , per quanto gli era possibile, di darci una esatta Storia della sua patria, a cui ancora aggiunse più altre cose di altre province, scrivendo però con istile non troppo colto, e commettendo egli ancora più falli. Il primo a darci esatta contezza di questa Storia, che era manoscritta nella Magliabecchiana , fu il ch. abate Mehus (Vita Ambr. camald p. 160). Ed essa è stata poi recentemente data alla luce prima in Roma , poscia nell1 appendice alla Raccolta degli Scrittori delle cose italiane, pubblicata in Firenze (t. 2, p. 1, ec.), nella cui prefazione si son raccolte le assai scarse notizie che di questo scrittore si son potute rinvenire. XII. A più breve spazio di tempo ristrinse la sua Storia patria Dino Compagni, perciocchè ei non si stese che dal 1270 al 1312. Questa ancora non è stata data alla luce che a’ nostri « [p. 607 modifica]SECONDO 607 giorni dal chiarissimo Muratori (Script rer. ital. vol 9, p. 467, e poscia di nuovo in Firenze l’an 1728, nella prefazione della qual ristampa si recano le ragioni per cui non erasi ancora pensato a pubblicarla. Ei parla più volte di se medesimo nella sua Cronaca, e primieramente alTanno 1282 (ibp. 47o), ove narrandola prepotenza , di cui cominciavano i Guelfi ad usare in Firenze, dice che per opporsi loro si raunarono insieme sei cittadini Popolani, frd quali io Dino Compagni fui, che per giova* nezza non conosceva le pene delle Leggi, ma la purità deW animo , e la cagione, che la Città venia in mutamento. Parlai sopracciò, e fan io andammo convertendo Cittadini, ec. Il Muratori congettura ch’egli allora contasse venti, o venticinque anni di età; ma a me sembra difficile che un giovane di sì pochi anni potesse aver bastevole autorità per farsi in certo modo capo di una sollevazione popolare, e per arringarei cittadini in sì importante occasione. E la giovanezza di Dino si può a mio parere stendere ancora fin oltre a trent’anni. L’anno 1289 egli era un de’ priori (ib. p. 4t2)> e l’anno 1293 gonfaloniere di giustizia (ib. p. 4;5), npl qual anno scoprì una congiura ordita contro Giano della Bella (ib. p. 47^)? e adoperossi, ma con esito non pienamente felice, ad opprimerla. L’anno 1301 egli era di nuovo un de’ priori (ib. p. 488), e più altre volte ci parla delle cose da sè operate (ib. p. 482 , 484? 492 7 494, 496 ec- Un uomo che sì gran parte ebbe ne’ fatti ch’egli racconta, era troppo opportuno a darci una esatta e fedele storia de’ tempi [p. 608 modifica]fio8 LIBRO suoi; e tale è veramente quella di Dino , se no» che ei si mostra talvolta troppo acre censore de’ vizii onde la sua patria era allora guasta. Molto ancora, e a ragione, si loda la purezza e l’eleganza di lingua, ch’egli usò scrivendo. Il Muratori a provare che Dino visse più anni dopo il 1312 in cui compiè la sua Storia, si vale di un1 orazione da lui detta a Giovanni XXU, che è stata pubblicata dal Doni. Ma noi abbiam già veduto che assai poca fede si dee alle Prose antiche da lui date alla luce, le quali sono in gran parte supposte, o almen contraffatte. Miglior pruova si è quella che ei poscia aggiugne, cioè del codice ms., in cui si contiene la Storia di Dino, e in cui si legge: Morì Dino Conin pugni a dì xxvi di Febbraio 1323 sepulto in Santa Trinità. XIII. Assai più celebre è il nome di Giovanni Villani, di cui per altro niunoha ancora scritta con diligenza la Vita. Filippo di lui nipote appena ne ha fatto un cenno nella sua Storia degli Uomini illustri fiorentini, di cui presto ragioneremo. Poco ancora ne ha detto l’ab. Mehus (Vita Ambr. camald. p. 188), che pur tante notizie ci ha date degli scrittori fiorentini, per non dir nulla d’altri autori, da’ quali non possiamo sperare intorno al Villani que’ lumi che pur brameremmo di avere. Il co. Mazzucchelli (Note alle Ti te degli Uom. ill di Fil. Vill, p. 90, ec.) e il sig. Domenico Maria Manni (Sigilli. t 4, p. 76) sono i primi che ce ne han data qualche più esatta contezza, e dopo essi il dottor Pietro Massai (Elogi d ili. ’Toscani t. 1). Da essi dunque e dalla Storia [p. 609 modifica]SECONDO medesima del Villani, e da altri antichi scrittori, noi verrem raccogliendo ciò che appartiene alla vita di un sì rinomato storico. Giovanni Villani, così detto perchè figliuol di Villano (della cui famiglia il sopraddetto Manni ha pubblicato T albero genealogico) fiorentino di patria, era già in età sufficientemente adulta l’an 1300, perciocchè in detto anno egli andossene a Roma pel giubbilco 5 anzi fu in quella occasione appunto ch’ei formò il disegno della sua Storia, a cui, tornato a Firenze, tosto si accinse. Udiamo come egli stesso ci narra il fatto (l 8, c. 36). E trovandomi io in quello benedetto pellegrinaggio nella Santa Città di Roma, veggendo le grandi ed antiche cose di quella 9 et veggendo le Storie e gran fatti de’ Romani scritte per Virgilio e per Sallustio, Lucano, Titolivio, Valerio, Paolo Orosio , et altri maestri (C li istorie , i quali così le piccole come le grandi cose descrissono, et etiandio delli stremi dello universo mondo, per dare memoria et essemplo a quelli, che sono a venire, presi lo stile et forma da loro , tutto che degno discepolo non fossi, a tanta opera fare. Ma considerando, che la nostra Città di Firenze figliuola et fattura di Roma era nel suo montare, et a seguire grandi cose disposta, siccome Roma nel suo calare , mi parve convenevole di recare in questo volume et nuova Cronaca tutti i fatti et cominciamentì d essa Città , in quanto mi fosse possibile cercare, et ritrovare, et seguire de’ passati tempi, de’ presenti, et de’ futuri, infino che sia piacer di Dio, stesamente i fatti de’ Fiorentini, e (T altre notabili cose dello universo mondo, quanto possibile mi jia [p. 610 modifica]6lO LIBRO sapere, Iddio concedente la sua gratia, alla cui speranza feci la detta impresa , considerando la mia povera scienza, a cui confidato non mi sarei Et così mediante la gratia di Christo tu gli anni suoi 1300 tornato io da Roma cominciai a compilare questo libro a reverentia di Dio et del Beato Santo Joanni, a commendatione della nostra Città di Firenze. L’applicazione al lavoro della sua Storia che dovette certamente costargli non leggera fatica, nol distolse dall’entrare a parte de’ pubblici affari. Ma prima sembra eli egli viaggiasse in Francia e ne’ Paesi Bassi; perciocchè; narrando le cose ivi avvenute l’an 1302 (l.8, c. 58), dice: Et noi scrittori ci trovammo in quel tempo nel paese, che con oculata fede vedemo et sapemo la veritade. E somigliantemente egli parla raccontando i fatti ivi accaduti nel 1304 (ib. c. 78). Il Muratori sospetta (Praef ad Hist Vill, vol 13 Script rer. ital) che il Villani non viaggiasse giammai nè in Francia nè in Fiandra, ma che avendo inserita nella sua Storia qualche relazione di colà trasmessa, ne copiasse incautamente ancora le riferite parole. Ma io non so indurmi a credere sì mal accorto il Villani, che cadesse in un fallo sì facile ad avvertire. Inoltre quel modo di dire: Et noi scrittore, o ed io scrittore, è appunto quello che usa comunemente il Villani, parlando di se medesimo. Nè io veggo perchè non possa ammettersi per vero un tal viaggio da lui fatto. Negli anni 1316 e 131 ^ ei fu dell1 ufficio de1 priori (Vill l 6, c. 54 l. 9, c. 80) , e in questo secondo anno egli ebbe parte nell’accorta [p. 611 modifica]SEcormo Gii maniera con cui i Fiorentini stabiliron la pace co’ Pisani e co’ Lucchesi. Nell’anno medesimo ei fu uffiziale della moneta, e a lui dovettesi in parte un esatto registro, che ancor si conserva in Firenze, delle monete a suo tempo e prima ancora battute (Marini Lcit.)) e quattro anni appresso fu di nuovo nel numero de’ priori, e soprastette alla fabbrica delle mura (Elogi d’ill Tosc. l. ciL) , nella quale occasione accusato più anni dopo d’infedeltà, fu riconosciuto e dichiarato innocente. V anno i3a3 egli era nelf esercito de’ Fiorentini contro Castruccio signor di Lucca, e narra il poco felice successo ch’ebbero le armi della sua patria (l. 9, c. 213). Abbiamo altrove parlato (sup. c. 1 > delle lettere che passaron fra lui e f Dionigi da Borgo S. Sepolcro, e il predirgli, che questi fece, la morte di Castruccio avvenuta nel 1328, nel qual anno pure ei fu destinato a provvedere alla carestia, ond’era travagliata Firenze , e narra in qual modo felicemente ne sollevò i poveri cittadini (l. 10, c. 121). L’anno seguente ei fu adoperato in un trattato di pace co’ Lucchesi , che però non ebbe felice effetto (ib. c. 171). Quando i Fiorentini l’anno 1332 fondarono la terra di Firenzuola sul fiume Santerno, ei fu autore che si desse ad essa un tal nome, ed ha inserito nella sua Storia il discorso che perciò egli tenne (ib. c. 201). Finalmente ei fu ostaggio di Mastin della Scala, con più altri Fiorentini, in Ferrara l’anno 1341 (i J i> c. 129), per due mesi e mezzo, e narra egli stesso (ib. c. 134) quanto amorevolmente fosse ivi trattato dal marchese Obizzo signor di quella città. Il [p. 612 modifica](il 2 LIBRO fallimento della compagnia de’ Bonaccorsi, in cui avea parte il Villani, avvenuto f anno 1345 , gli fu cagione di amarezza e di dolore, poichè senza sua colpa si vide condotto alle pubbliche carceri (Elogi d’ill. Tosc.), ove però non sappiano quanto tempo fosse tenuto chiuso. La fierissima peste del 1348 fu a Giovanni ancora fatale, perciocchè in essa ei morì, come afferma Matteo di lui fratello che continuonne la Storia (l. 1 , c. i). XIV. Tal fu la vita di questo storico, un de’ più colti scrittori di nostra lingua, e un degli uomini più versati nelle cose della sua patria. La Storia di essa ei prese a descrivere assai ampiamente in dodici libri dalla fondazione della medesima fino all’anno in cui cessò di vivere. Ma alla Storia di Firenze ei congiunse le principali vicende di tutte l’altre provincie, onde potrebbe quest’opera avere luogo ancora tra le cronache generali. In ciò che appartiene a’ tempi antichi, io non persuaderò ad alcuno di studiarne sulla scorta di questo autore la storia; tanto egli ancora, come tutti comunemente a questa età, è ingombro d’errori e di favole. Ma ove tratta de’ tempi a lui più vicini e de’ suoi, e ove principalmente scrive le cose a suo tempo avvenute in Toscana, niuno può meglio di lui istruirci; se non che l’esser egli stato del partito de’ Guelfi, non ci permette di rimirarlo come scrittore abbastanza sincero, ove si tratta o del suo, o del contrario partito. Un’altra non lieve accusa si dà al Villani, cioè di aver copiati di parola in parola lunghissimi tratti della Storia di Ricordano Malespini, senza « [p. 613 modifica]secondo 6i3 mai nominarlo, come io stesso ho voluto riconoscere col confronto, e come avea già avvertito anche il ch Muratori, il quale inoltre osserva che perciò si trovano presso lui alcune contraddizioni, diversi essendo i racconti ch’ei trae da altri, da que’ che fa egli stesso. Ma, ciò non ostante, la Storia del Villani si è sempre avuta, e si avrà sempre in gran pregio, per la purezza e per l’eleganza dello stile non meno che per la sostanza delle cose in essa narrate. Essa però non fu pubblicata che l’an 1537 Giunti in Firenze, dietro alla quale ne seguiron poscia alcune altre edizioni. L’ultima e la più recente è quella fatta in Milano nel tomo XIII della gran Raccolta degli Scrittori delle cose italiane. Nè è qui luogo di ravvivar la memoria di una contesa per essa eccitata (V. Mazzucch. l. cit nota 4)? in cui, come dice il ch. Apostolo Zeno (Note al Fontan. t 2, p. 235), si mettono ragioni in campo, ma più strapazzi. XV. Poichè fu morto Giovanni, Matteo Villani di lui fratello prese a continuarne la Storia, e la condusse fino al 1363 in cui egli scriveva l’xi libro di essa, quando egli ancora fu assalito dalla peste che travagliò in quell’anno molte parti dell1 Italia, e ne morì a’ 12 di luglio. Niuna notizia ci è rimasta della sua vita, e solo il Manni ci ha additate due mogli ch’egli ebbe, Lifa de’ Buondelmonti e Monna de’ Pazzi (Sigilli ant t 4, p. 75). Ei non ha ottenuto nome e riputazione uguale a quella di Giovanni, singolarmente pel suo stile troppo diffuso; e nondimeno la sua Storia ancora è a Tikaboschi, Tot. VI. 7 [p. 614 modifica]Gl 4 Limo pregiarsi non poco, perchè scritta da un autore contemporaneo e che si mostra ben istruito di ciò che narra. Filippo, figliuol di Matteo, continuò per breve tratto il lavoro del padre, aggiungendo quarantadue capi, e con essi compiendo l’xi libro e la storia del 1363 con quella dell’anno seguente; le quali continuazioni vanno aggiunte in tutte f edizioni alla Storia di Giovanni. XVI. Un’altra più pregevole opera abbiam di Filippo, cioè le Vite degl’illustri Uomini fiorentini; opera citata in addietro da molti scrittori, ma non mai pubblicata fino all’an 1747 in cui il co. Mazzucchelli ne diè alla luce con annotazioni copiose ed erudite, non già l’originale latino, che non erasi ancor ritrovato, ma un’antica versione italiana che da alcuni era stata creduta il testo originale dello stesso Villani. Questo fu trovato prima di ogni altro nella biblioteca Gaddiana in Firenze dal ch. abate Lorenzo Mehus, il quale ne ragiona assai lungamente (praef. ad Vit. Ambr. camald p. 122, ec.), mostrando, ciò che avea già avvertito il conte Mazzucchelli, che il Villani scrisse veramente quest’opera in latino, e che anzi la versione italiana è assai infedele e mancante; di che noi Eure e in questo e nel precedente tomo abbiam recate più pruove. Egli ancora osserva che queste Vite formano propriamente il secondo libro dell’opera del Villani, il quale nel primo avea trattato dell’origine e dell’antichità di Firenze, e si posson vedere presso il medesimo autore i titoli di ciaschedun capo così del primo come del secondo libro. Alcune di [p. 615 modifica]secondo 6j5 queste Vite, secondo l’originale latino, ha pubblicate il medesimo ab. Mehus nella sua Vita di Ambrogio camaldolese. Alcune pure ne ha date alla luce il p. ab. Sarti (De Prof. Bon. t. 11 pars 2, p. 200, ec.), tratte da un codice della biblioteca Barberina di Roma. Ma è piacevol cosa a vedere quanto questi due codici sien tra loro discordi. Nel primo, Filippo indirizza la sua opera ad Eusebio suo fratello; nel secondo la dedica al Cardinal Filippo d’Alençon vescovo d’Ostia, che tenne quel vescovado dal 1390 al 1397 (a). I titoli e gli argomenti sono in gran parte diversi; e un compendio della Storia di Francia, che nel secondo codice è incorporato al libro primo, manca nel Gaddiano, e trovasi nella stessa biblioteca in un codice del tutto diverso; il che ci fa credere che o egli in tempi diversi facesse diversi cambiamenti ed aggiunte alla sua opera, o che altri vi ponesse mano e la accrescesse, o cambiasse, come pareagli meglio. Ma io non debbo trattenermi a lungo, come più volte mi son protestato, in discussioni ed esami di tal natura. A me basta il riflettere che Filippo, collo scriver la Storia degli Uomini illustri fiorentini, ci ha dato il primo esempio di storia letteraria patria; poichè quasi tutti coloro de’ quali egli ragiona, sono uomini celebri per sapere; e ch’egli ci ha conservato molte notizie appartenenti alla lor « « Cardinal Filippo d5 Alencon dovea essere vescovo di Ostia fin dal 1387, come ci mostra un Breve di Urbano VI, del decimo anno del suo pontificato, pubblicato dal P. de Kubeis (Monum. Eccl. Aquilejens. col. 979, 980). [p. 616 modifica]Gi6 Libilo vita e a’ loro studj; che senza lui sarebbon perite. Egli continuò a vivere almeno fino al 14 04 in cui fu eletto di nuovo a leggere pubblicamente la Commedia di Dante, della qual lettura altrove ragioneremo. I titoli di Eliconio e di Solitario, che, come pruova l’ab. Mehus, gli vengon dati ne’ codici antichi, ci mostrano ch’egli era uomo tutto di lettere, e amante perciò • li solitudine e di riposo. Era stato nondimeno per molti anni cancelliere del Comun di Perugia, come pruova il Manni (l. cit. p. 74)? e g^ si vede perciò ancora dato il titolo di giureconsulto (*). Abbiami più volte avvertito che Domenico di Bandino a Arezzo scrisse egli pure le Vite non dei Fiorentini soltanto, ma di tutti, chiunque fossero, gli uomini celebri per sapere; e che, parlando de’ Fiorentini, usò comunemente l’espressioni medesime del Villani; sicchè, essendo essi vissuti al medesimo tempo, sembra difficile a diffinire a chi si debba la taccia di plagiario. Ma di Domenico ci riserbiamo a parlare nel secol seguente in cui solo egli pubblicò l’immensa sua opera, di cui piccola parte son cotai Vite; e allor mostreremo che è assai probabile che non già il Villani da lui, ma egli anzi dal Villani traesse ciò che intorno a questo argomento ci ha lasciato. (*) Di Filippo Villani abbiamo anche la Vila.scruta in latino del 15. Andrea Scozzese, pubblicata dal P. Caperò (Acta SS, Aug. ad d, 22), la quale potrebbesi emendare coll9 aiuto di un buou codice che se ne conserva ms. nella libreria Nani in Venezia (Codd. J1SS. Bibl. Non. p. 77). [p. 617 modifica]SECONDO 617 XVII. À questi scrittori fiorentini, a cui niuno nega il primato fra gli storici de’ bassi tempi, » voglionsi aggiugnere, almeno col farne un cenno,! alcuni altri che, se a’ primi non s’uguagliano in fama, degni son nondimeno di lode per lo studio che posero in tramandarci le notizie de’ loro tempi. Tali furono Donato Velluti, la cui Cronaca dal 1300 al 1370 ha pubblicata il Manni (Firenze, 1731, 4.°)> nella quale però più della sua propria famiglia ei ragiona che de’ pubblici affari; e Castore di Durante morto nell anno ^77, di cui il medesimo Manni ha dato alla luce, unendolo alla suddetta, un frammento di Cronaca dal 1342 al 1345, e Simone della Tosa che scrisse gli Annali della sua patria dal 1115 fino al 1379 che fu l’anno precedente alla sua morte, i quali pure han veduta la luce nella Raccolta di Cronichette di antichi autori pubblicata dal medesimo Manni (Firenze, 1733, 4*°)? e degne son d’esser lette le notizie della vita di questo scrittore, che il diligente editore ad essi ha premesse. Nè furon prive di storici le altre città della Toscana. Nella gran Raccolta del Muratori abbiamo la Cronaca sanese (Script Rer. ital. vol. 15,p. 1, ec.) di Andrea Dei dal 1186 fino al 1348, o, come pensa il Muratori, fino al 1328, continuata poi da Angiolo Tura, detto il Grasso, sino al 1352, a’ quali poscia si aggiungono gli Annali sanesi di Neri figliuol di Donato Neri, che arrivano fino al 1381. Abbiamo ivi pure la Cronaca d’Arezzo (ib. p. 813) dal 1310 fino al 1348 scritta in terza rima, e non troppo felicemente, da ser Gorello d’Arezzo, o come leggesi in altro [p. 618 modifica]XVIII. Slorin reDesùmi: An> tlrra Dandolo: notizie della sua vi* la. 6l8 LIBRO codice, da ser Gorello di Ranieri di Jacopo Sini gardi d’Arezzo; gli Annali della stessa città dal 1192 fino al 1343, scritti in questo secolo medesimo da incerto autore (ib. vol. 24? p. 853), e la Cronaca Pisana dal 1089 fino al 1389 (ib. vol. 15, p.973), che sembra scritta in questo secol medesimo, e le Storie pistoiesi scritte da anonimo autore contemporaneo, dall’anno 1300 fino al 1348 (ib. vol 11y p. 359); intorno alle quali Storie e a’ loro autori veggansi le prefazioni dell’eruditissimo editore. Finalmente deesi qui ancora accennare il poema latino pubblicato dal medesimo Muratori (ib. p. 289), e da lui a ragione detto Caliginoso > che ha per titolo de Praeliis Tusciae scritto in questo secolo da F. Rainieri Granchi, o, come altri dicono, Grachia domenicano, che contiene singolarmente la Storia di Pisa fino al 1342. Il Muratori inclina a credere ch’ei sia quel medesimo Rainieri da Pisa autore della Panteologia, di cui abbiamo altrove parlato; intorno a che non credo che cosa alcuna si possa accertare. Ma nella gran copia di storici che questo secolo ci offre, noi non possiam trattenerci a parlare stesamente di tutti, e dobbiamo restringerci a fare particolari ricerche di quei soli che per la fama, a cui giunsero, ne son più degni. XVIII. La città di Venezia è la sola, fra le italiane , come osserva il chiarissimo Apostolo Zeno (Note al Fontan. t. 2, p. 237), che possa gareggiar con Firenze in numero e in isceltezza di storici. E il primo di essi, non inferiore ad alcuno pel merito della sua Storia, e superiore [p. 619 modifica]secondo 619 a tutti per la dignità di cui fu onorato, è il doge Andrea Dandolo, uomo degnissimo, di cui prendi am qui a ricercare diligentemente la vita e gli studj. La notizia dell anno in cui egli nascesse, dipende dall’accertare qual età egli avesse, quando fu eletto doge, nel gennaio dell’anno x 343 che da’ Veneziani diceasi ancora il 1342. Marino Sanudo, che al principio del secolo xvi scrisse le Vite de’ Dogi veneti, pubblicate dal Muratori, dice ch’egli allora contava 36 anni, mesi otto , e giorni 5 (Script Rer. ital vol 22, p. 609). ICortusi, scrittori contemporanei, affermano (ib. vol 12, p.909) ch’ei ne avea 38. Rafaello Caresino, scrittore egli pure contemporaneo e veneziano, dice clic egli avea 33 anni (ib. p. (\ 17); e questa parmi la più sicura opinione, perchè confermata ancora da due codici della Storia poc’anzi accennata de’ Cortusj, nei quali, invece di 38, leggesi 33. Convien dunque, per quanto sembra, fissarne la nascita all’anno 1310, o al precedente. Intorno al cognome di Contesino, o, come crede il Muratori doversi leggere Cortesino , veggasi la prefazione che egli ne ha premessa alla Cronaca (ib. vol. 12, p. 3). Il sopraccitato Sanudo ci narra eli’ ci fu Dottore valente, e che studiò sotto Riccardo Malombra gran Giureconsulto (ib. vol. 22, p.627), il quale era di questi tempi in Venezia col titolo di consultore, come abbiamo altrove veduto. Il titolo di dottore, dato ad Andrea, ha fatto credere al Sansovino, citato dal p degli Agostini (Scritt. venez t. 1 , pref. p. 8), clic [p. 620 modifica](ilo libuo ei fosse il primo tra1 Veneziani, che nell’iiriversilà di Padova ottenesse P onor della laurea; ma l’eruditissimo Foscarini combatte con forti argomenti questa opinione (Letterat venez. p 35), e mostra che assai prima del Dandolo furono in Venezia altri giureconsulti onorati della laurea. Le leggi però non furono l’unico studio a cui il Dandolo si volgesse. Le belle lettere ancora, e singolarmente la storia , furon da lui coltivate , ed ei ne diede que’ saggi che fra f)oeo vedremo. Eletto prima proccurator di s Marco, e poscia doge di Venezia l’anno 1343, cominciò dal collegarsi con altri principi contro de’ Turchi, della qual guerra però sostennero i Veneziani quasi tutto il peso e il danno (Caresin. Continuata. Chron. Dand Script. rer. ital. vol 12, p. 417)J perciocché dopo aver essi riportati sopra i nemici molti vantaggi, il patriarca di Gerusalemme e il capitano Pietro Zeno con più altri nobili e valorosi soldati, assaltati a Smirne improvvisamente da’ Turchi mentre udivano Messa, furono trucidati. Più felicemente venne fatto ad Andrea di soggiogare Zara che l’an 1345 erasi ribellata contro de’ Veneziani (ib. p. 419)e Capo d’Istria, che parimente l’anno 1348 aveane scosso il giogo (ib. p. 420). Ed ei costrinse ancora ad implorar supplichevolmente la pace Alberto conte di Gorizia, che dava il guasto all’Istria. Ma ciò che maggior gloria acquistò ad Andrea, fu il commercio coll’Egitto da lui aperto per mezzo di un’ambasciata spedita al Soldano (ib. p. 438); e l’antico storico osserva che il primo capitan [p. 621 modifica]SECONDO 621 delle navi che partirono per Alessandria, fu Soranzo Soranzo, l’anno 1345. L’origine di questo nuovo commercio furono le dissensioni insorte tra i Tartari, co’ quali prima faceasi, e i Veneziani; ma queste ancora da Andrea furono con solenne ambasciata tolte di mezzo , e il commercio rinnovossi felicemente l’anno 1347 (ib.). Questo si fiorente commercio risvegliò la gelosia dei Genovesi; e la gelosia proruppe, l’anno 1351 , in un’aperta guerra con diversi successi or all’una, or all’altra parte favorevoli, che non è di quest’opera il raccontare. XIX. Ciò che non dee passarsi sotto silenzio, si è che questa guerra diede occasione al letterario commercio fra questo doge e il Petrarca. Questi, che fin dal 1350 era stato fatto canonico in Padova, ed ivi perciò abitava almeno per qualche tempo , poté in qualche viaggio a Venezia conoscere il Dandolo; ed ambedue erano tali in cui il conoscersi non poteva andare disgiunto dallo stringersi in amicizia. Or quando il Petrarca vide queste due potenti e valorose nazioni rivolgersi l’una contro del1’altra , e incominciare una funestissima guerra, scrisse da Padova, a’ 18 di marzo di quest’anno medesimo 1351, una lunga lettera al Dandolo, in cui con robusta eloquenza si sforza di persuadergli la pace, e mostra insieme quanta stima egli ne avesse (Variar. ep. 1); perciocchè, dopo aver detto che la prudenza e il senno del Dandolo era di gran lunga superiore agli anni , gli rammenta che uomo qual egli è caro alle Muse e ad Apolline, deve odiare i guerreschi tumulti; e che comunque, ove il ben [p. 622 modifica]633 LIBRO della patria così richieda, debba depor la co tera per prender le armi, dee però maneggiarle per modo, eli* esse siano indirizzate soltanto ad ottenere una gloriosa pace. A questa lettera rispose il Dandolo a’ 22 di maggio, e la risposta è stampata essa pur tra le Lettere del Petrarca (ib. cp. a); e in essa, dopo aver esaltata con somme lodi T eloquenza e il saper del Petrarca, si scusa dall1 accettarne il consiglio, allegando esser quella una guerra cui l1 alterigia e la prepotenza de’ Genovesi avea renduta indispensabile. Questo carteggio non si stese allora più oltre. L’abate de Sade assegna all1 anno i353 una lettera inedita del Petrarca al Dandolo (Mcm. pour la vie de Petr. t 3, p. 297), in cui rispondendo a un cortese invito che fatto gli avea, di venire a fissare il suo soggiorno in Venezia , si scusa con esso lui di una cotale sua incostanza che non permetteagli il trattenersi a lungo nel medesimo luogo. Ma questa lettera, come si raccoglie da ciò che il medesimo ab. de Sade riferisce (ib. p. 355), non fu scritta che nel 1354, e dopo quella di cui ora ragioneremo. Frattanto il Petrarca era passato a Milano, e Giovanni Visconti, arcivescovo e signore di quella città, incaricollo di recarsi a Venezia l’an 1354? per usar di nuovo ogni sforzo affin di conchiuder la pace tra le due repubbliche. Ma l’eloquenza del Petrarca e dei suoi colleghi non fu bastevole a calmar gli animi troppo innaspriti. Tornato perciò senza alcun frutto a Milano, scrisse a’ 28 di maggio un’altra eloquentissima lettera al Dandolo (Furiar, ep. 3), rammentandogli ciò che a voce aveagli [p. 623 modifica]SECONDO (ta3 già detto più volte, e rinnovandogli le più calde preghiere perchè a ben dell’Italia cessasse dall’armi. Il Petrarca in altra lettera dice (ib. ep. 19) che il Dandolo, comunque uomo di grande ingegno; non seppe sì presto dare risposta alla sua lettera, e che, dopo aver trattenuto per sette giorni il corriere speditogli dal Petrarca , il rimandò dicendo che con altro corriere gli avrebbe fatta risposta; ma ch’egli era morto prima di mantenere la sua promessa. Abbiamo nondimeno tra le lettere del Petrarca un’altra del Dandolo in risposta a quella che egli aveagli scritto (Var. ep. 4); ma da un’altra dello stesso Petrarca raccogliesi (ib. ep. 13) che questi non l’ebbe se non più mesi, dacchè il Dandolo era morto, qualunque fosse la ragione di sì lungo ritardo. XX. Ma questa guerra medesima fu fatale al Dandolo. I Genovesi, vinti prima da’ Veneziani, entrati nel golfo di Venezia lo stesso anno 1354, e presi alcuni navigli de’ nemici, corsero l’Istria e diedero alle fiamme la città di Parenzo. La qual nuova giunta a Venezia , destò sì grande costernazione in quel popolo, che convenne, come dice Marino Sanudo il giovane (Vite de’ Duchi di Ven. Script. Rer. ital. vol. 22 , p. 627 , chiudere con catene il porto, per timore che i Genovesi improvvisamente non l’occupassero. In questo tumulto di cose il Dandolo stesso, vestite contro il costume le armi, si diè a provvedere alla salvezza della città. Ma frattanto, dice lo stesso Sanudo, per dolore dell’annata nemica venuta ad abbrugiare Parenzo, s’ammalò, e stette 22 giorni [p. 624 modifica]6*4 LIBRO ammalato, e avendo dogato anni 11 e mesi 8 morì a’ 7 di Settembre , e perciò non ebbe il dolore di vedere una troppo più funesta sconfitta che nel novembre di questo anno medesimo ebbero i Veneziani da’ Genovesi a Portolungo (ib. p. 629, ec.). Alla qual battaglia alludendo il Petrarca in una sua lettera (Var. ep 19), Dio volesse, dice, che il Doge Andrea che governava la Repubblica, ancor vivesse; io certo lo pungerei colle mie lettere, e il motteggerei francamente; perciocchè io il conosceva come uom dabbene, incorrotto, amantissimo della Repubblica, dotto inoltre ed eloquente , e prudente e affabile e cortese; ma sol mi dispiaceva eli egli era più avido della guerra, che convenir non sembrasse alla sua indole, e a’ suoi costumi. Somiglianti elogi degli studi e dell’erudizione di Andrea Dandolo fa altre volte il Petrarca e nelle lettere da noi in addietro allegate, e in un’altra (Famil. l. 8, ep. 5) in cui, parlando delle diverse città d’Italia , in cui sarebbe dolce l’aver stanza , Saravvi ancora, dice, Venezia, la più maravigliosa città di quante io n abbia vedute, e ho pur vedute quasi tutte le più illustri di Europa; e il chiarissimo doge di essa Andrea, uomo da nominarsi con sommo rispetto, e celebre non solo per le divise di sì gran dignità, ma per gli studi ancora delle Bell’Arti. Conformi a que’ del Petrarca sono i sentimenti degli altri scrittori di questi e de’ vicini tempi. Io non recherò qui T elogio che di lui ci ha lasciato Benintendi de’ Ravegnani, cancelliere della Repubblica, di cui parleremo fra poco, e che leggesi innanzi alla [p. 625 modifica]secondo Ga5 Crònaca del Dandolo. Egli lo scrisse mentre questi ancora vivea ed era doge; onde potrebb’esser sospetto di adulazione. Raffaello Caresino, che continuonne la Cronaca, afferma che ei fu uomo dotato di singolar gravità di costumi e d’ogni virtù, fornito di maravigliosa eloquenza, peritissimo nelle scienze divine e umane, e amantissimo della giustizia e della Repubblica (Script. rer. ital. vol. 12, p. 4f7)* I Cortusj ne lodano singolarmente la scienza legale (ib. p. 909). Finalmente il già citato Marino Sanudo dice eli’ ei Ju uomo facondo, letterato , e amantissimo della Repubblica (ib. vol. 22, p. 609). XXI. A lui deesi, come pruova il ch. Foscarini (Letterat. venez.p. 17), il sesto libro dello Statuto veneto. Ma gloria maggiore assai egli ottenne colla sua Cronaca veneta scritta latinamente, e pubblicata prima d’ogni altro dal Muratori , in cui comprese la Storia di quella Repubblica da’ primi anni dell’era cristiana fino al 1342. In qual pregio ella debba aversi, io nol dirò che colle parole del mentovato Foscarini; perciocchè in lode di un eruditissimo doge, qual fu il Dandolo, miglior testimonio non si può a mio parere arrecare, che di uno il quale nella dignità gli fu uguale, e nel sapere e nella erudizione superiore di molto. Egli dunque, dopo aver parlato de’ più antichi storici veneziani, così continua (ib. p. 124): Avendo ogni età parecchi di cotesti compilatori, lecito era, traendone da ciascuno la parte sana, vale a dire: le notizie contemporanee, o vicine a loro} f ormarne un ragionevole corpo di Storie, siccome t [p. 626 modifica]62& LIBRO appunto fece il Dandolo, che primo fu a saper giungere a tanto: se non che il troppo sviluppo delle cose in una stagione priva di ajuti, (qual era la sua, le immense occupazioni, e la vita corta il fecero andare soverchiamente ristretto.... Più luoghi di esso danno a divedere abbondanza clì egli aveva di somiglianti Scritture, e quel che è più , quest abbondanza ce la dinotò anche nei fatti antichi Ovunque poi gli si presenta alcuna dubbiezza o difficoltà sopra un qualche punto di Storia, ci fa egli sapere incontanente iF averne ponderate le differenti opinioni entro ogni sorta dAnnali.... Due pregi segnatamente ad essi concede il comune gii idi ciò de dotti; C uno d essersi tenuto libero da passione, il che fu raro sempre mai; e l’altro di aver convalidata buona parte delia opera sua con autentici documenti, di che appena erasene per l’addietro veduto esempio. Che s’egli comincia ad usargli cent’anni dopo la fondazione della Città, rarissimi dandone fuori di là dal secolo decimo, rendelo in parte scusalo F incendio che sotto il Doge Pietro Candiano quarto aveva divorata quantità di Scritture. Fin qui egli, e siegue poscia parlando delle diverse opere di Andrea, cioè della Cronaca grande, che è quella venuta in luce, e del compendio della medesima, che è sol manoscritto; mostra che in ambedue egli giunse fino all’anno 1342, e che un’altra opera intitolata Gran Mare delle Storie, che da alcuni gli si attribuisce, non è altra veramente che la Cronaca grande; se non che ove questa in tutti i codici comincia dal libro IV, a quello eran premessi [p. 627 modifica]secondo 627 tre libri ne’ quali compendiosamente trattava la storia generale dalla creazione del mondo fino ai tempi degli Apostoli; e finalmente, colla sua consueta esattezza, ragiona de’ varj codici che di queste Cronache si conservano in più biblioteche. Abbiam per ultimo di Andrea Dandolo le due lettere mentovate al Petrarca, nelle quali ancora, come osserva il medesimo Fosca ri ni (ib. p. i4°)> egli usa maggior purezza di stile, che non negli Annali, i quali sono scritti assai più rozzamente, forse per adattarsi al costume de’ tempi, e perchè fossero più facilmente intesi da ognuno (a). (a) La pubblicazione della Storia del Dandolo diede occasione a una viva e risentita controversia tra due illustri letterati, il procuratore e poi doge Marco Foscarini , e l’ab. Girolamo Tartarotti. Questi compose un’erudita dissertazione latina sugli antichi storici veneziani che dal Dandolo nella sua Cronaca vengon citati , ed essa fu inserita nel tomo xxv degli Scrittori delle cose italiane stampato in Milano l’an 1751. Nelle Novelle letterarie, che allor si stampavano in Venezia, si parlò in biasimo di questa dissertazione, e il Tartarotti replicò al Novellista colf Esame di alcune Notizie letterarie che escono in Italia, stampato in Roveredo nel 1752. Al legger così la critica come la risposta , egli è. evidente che la censura muoveva singolarmente dal Foscarini, e perciò il Tartarotti prese a rimirarlo come suo dichiarato nimico. Quindi, essendo uscita nello stesso anno 1752 la grand’opera della Letteratura veneziana del Foscarini, il Tartarotti, che più volte vi si vide preso di mira, si accinse a farne una rigorosa censura. Il Foscarini che ne fu informato, e che anzi credette la censura già pubblicata, maneggiossi per modo presso la corte di Vienna, che il Tartarotti ne ebbe rimproveri, e fu costretto a giustificarsi presso la corte medesima. Di fatto egli nvea [p. 628 modifica]628 libro XXII. Amico pur del Petrarca, e degno per la sua letteratura di tale amicizia, fu Benintendi de’ Ravcgnnni gran cancelliere della stessa Repubblica. Assai esattamente di lui ha scritto il eli. P. degli Agostini (Scritt venez. t 2, p. Ò229 ec.), e io non farò perciò che accennare ciò ch’egli ha comprovato con autentici documenti. Egli era nato in Venezia poco innanzi al 131 n, e in età ancora assai giovanile sostenne per la sua Repubblica un’onorevole ambasciata alfimperadrice di Costantinopoli l’anno i34o. Due anni appresso, benché non avesse ancora compiuta l’età di venticinque anni, necessaria a tal impiego, fu eletto a pubblico notaio: e quindi l’anno i346 inviato ambasciadorè agli Anconitani, perchè non desser favore alla ribellione di Zara. La stima a cui egli era bensì composta, ma non pubblicata la suddetta censura; e astennesi poscia dal pubblicarla , anche perchè essendo stato frattanto il Foscarini sollevato alla dignità di doge, mentre il Tartarotti aspettava miglior occasione per darla in luce, premorì al suo avversario l’an 1761 , e il lavoro rimase inedito. Di esso, e degli Atti di questa controversia, e di un’Appendice pure inedita alla dissertazione sugli Scrittori citati dal Dandolo , io ho copia per cortese dono de’ miei eruditi amici il cavalier Carlo Rosmini e il cavalier Clementino Vannetti di Roveredo. E quanto alla censura, non può negarsi che il Tartarotti non rilevi inesattezze e falli non pochi nel suo rivale. Ma non può ancora dissimularsi che, come suole accadere quando la critica e dettata da animo inasprito, spesso egli si arresta in cose troppo frivole e non degne di esser rilevate; e che non sempre le sue censure son ragionevoli e giuste j benché pure in questa, come nelle altre sue opere , ei si mostri uomo erudito ed elegante scrittore. [p. 629 modifica]SECONDO. Cì2iJ salito presso de’ suoi concittadini, fu cagione che essendosi per le sue indisposizioni renduto inabile alla carica di gran cancelliere Niccolò Pistorini che la occupava, Benintendi fu destinato l’an 1349) a farne le veci; e poscia, morto l’an 1352 il Pistorini, ei fu eletto ad essergli successore. Mentr’ei sostenea quest’onorevole impiego, quattro altre ambasciate intraprese per ordine della Repubblica, una a Galeazzo Visconti signor di Milano nel 1355, e tre a Lodovico re d’Ungheria negli anni 1356, 1357 e 1360, nelle quali occasioni, avendo egli meritata l’approvazione della Repubblica, ne ebbe onori e privilegi non piccoli, e quello singolarmente che gli fece il senato, che a due figliuole di Benintendi si donassero 100 scudi d’oro, allorquando dovessero andare a marito. Ma nel meglio di sua fortuna ei morì in età di poco oltre a quarantotto anni, a’ 15 di luglio del 1365. Or, mentre egli così si occupava nel servir la Repubblica, il Petrarca, venuto a Venezia l’anno 1351, il conobbe e gli si strinse in sincera amicizia; di che son testimonio le lettere che tra essi poi corsero, e che si veggon fra quelle del Petrarca (Variar, Ep. 12, 13, 14, 15), dalle quali raccogliesi qual vicendevole stima nutrissero l’uno dell’altro, e la premura che Benintendi avea di possedere l’opere, e singolarmente le lettere del suo amico. Questa amicizia medesima fu cagione che si conservassero fra quelle del Petrarca tre altre lettere di Benintendi, una a’ cancellieri suoi colleghi, in cui introduce il Dandolo già defunto a compiagnere la sventure onde la Repubblica era allor Tiraboschi, Voi. VL 8 [p. 630 modifica]63o unno travagliata; le altre due a Moggio da Parma, colla risposta di questo al Ravegnani (ib. ep. 8, 9, 10, 11), di cui egli pure favella con somme lodi. Quando il Petrarca fé1 ritorno a Venezia, fanno i3(i3, non ebbe più gradevole compagnia di quella di Benintendi. Del che scrivendo egli allora al Boccaccio (Senil. l. 3, ep. 1), io qui godo, gli dice, dell’ottima compagnia, e di cui non so se altra migliore se ne possa bramare, di Benintendi cancelliere di questa città, il quale, mostrandosi veramente degno di un tal nome, attende insieme alla pubblica felicità, alle amicizie private, agli onesti studj. Tu stesso hai di fresco provato quanto piacevoli sieno le conversazioni t fi’ ci tiene con noi, quando stanco dalle cu tv di l giorno sen viene a noi lietamente sul tramontar del sole, e colla sua gondola ci conduce intorno a sollievo; e quanto pieno egli sia di sincerità e d’ingegno, Delle lettere e di qualche altro opuscolo di Benintendi, veggasi il sopraccitato P. degli Agostini. Io debbo qui sol rammentare la Cronaca veneta latina ch’egli scrisse, di cui conservansi alcuni codici mss. rammentati dal suddetto scrittore e dal Foscalini (l. dtp. i3a). Essa però non si stende oltre i tempi del Santo doge Orseolo, o perchè l’autore, rapito da morte, non la conducesse a fine, o perchè ne sia perito il rimanente; e questa è forse la ragione per cui essa non è mai stata data alle stampe. XAI11. Successore di Benintendi nella carica di gran cancelliere fu Raffaello, o, come altri scrivono, Raffaino Caresini il quale, secondo che narra il Sanudo (Script Rcr. itai voi 22, [p. 631 modifica]SECONDO G3I p. GGi), era Oratore fuori a’ servigi della Signoria. Ei segnalò il suo zelo per la Repubblica ranno i3;9 nel tempo della famosa guerra co’ Genovesi, che mise in sì gran pericolo Venezia; perciocchè tra i cittadini che in quell’occasione offrirono sè e le loro sostanze a servigio della Repubblica, così di lui si legge: Raffaello Caresini Cancelliere grande offerisce lui con due buoni compagni al suo salario e spese, e un famiglio , di andare sull9 armata, e di pagare le spese di tutti gli uomini da remo al mese Ducati 4> e a’ balestrieri Ducati 8 al mese per uno. Item dona tutti i prò de’ suoi imprestiti, e imposizioni, eli egli ha, e che farà nella presente guerra; e di prestare Ducati 500 d’oro a rendersegli due mesi dopo finita la guerra (ib. p. 736), pe’ quali suoi meriti l’an 1381 ei fu ascritto al maggior Consiglio (ib. p. 739). Or a questo gran cancelliere dobbiamo la continuazione della Cronaca del Dandolo, che insieme con essa è stata data alla luce, nella quale egli prosiegue la storia fino al 1388, cioè, come afferma il ch. Foscarini (l. cit. p. 133), sino a due anni prima della sua morte, intorno alla quale continuazione, e ad un’antica versione italiana che se ne conserva nella libreria di S. Marco, veggansi le osservazioni del medesimo diligentissimo autore. XXIV. A questi scrittori veneziani vuolsi congiungere un trevisano che una par te della storia veneta illustrò co’ suoi scritti. Egli è Daniello Chinazzo che in lingua italiana ci ha tramandata una lunga ed esatta relazione della pericolosa guerra tra’ Veneziani e i Genovesi nell’anno i3y8

e ne1 seguenti fino al 1381- Il Vossio credette De Histor. Lat l 3, c. 7) ch’egli avesse scritto latinamente; ma la Storia stessa, in cui non appare indicio di traduzione, ci mostra il contrario. Essa fu copiata da Galeazzo de’ Gatari storico padovano che la unì alla Storia della sua patria; e il Muratori traendola da un codice di essa, che si conserva in questa biblioteca Estense, l’ha data in luce (Script rer. ital. vol. 15, p. 699). Dell’autore di essa null’altro sappiamo, se non che vivea a questo tempo medesimo, e scrisse perciò le cose ch’egli stesso vedute avea. All’anno 1381, parlando di un mostro che nacque in Venezia, et io Daniele Chinazzo, dice, ritrovandomi in questo giorno in Venezia vidi detto mostro, siccome infiniti altri corsero di tutta Venezia per vederlo (ib. p. 798). Couvien dire però, che la Storia di Daniello sia stata in qualche parte alterata e guasta dai copiatori; perciocchè, come osserva il ch. Muratori (Praef. ad Ilist. I. cit.)} si vede dato il titolo di duca di Milano a Barnabò Visconti, e di duca di Savoja al conte Amadeo, che non ebber mai tali titoli. Ma non è questo l’unico esempio di tali sconci onde per l’ignoranza, o per la presunzione de’ copisti si guastan l’opere degli autori, e questi si fan credere rei d’errori che mai non commisero (*). (*) Di Daniello Chinazzo alcune più esatte notizie*ini ha cortesemente trasmesse l’eruditissimo sig. conte Rambaldo degli Azzoni Avogaro canonico di Trevigi, tratte dai monumenti di quella città, de’ quali egli è diligentissimo osservatore. La Motta, castello del Trivigiano [p. 633 modifica]SECONDO ’ 633 XXV. Agli storici veneziani congiungiam quelli delle altre città che or compongono lo Stato di questa Repubblica, e alcune delle quali (fino da, questo secolo le divenner soggetto. Padova non , ebbe di questi tempi alcuno che prendesse a j formarne una storia generale dall’origin di essa fino alla sua età. Ma ebbe in vece scrittori delle cose a’ lor tempi accadute, che posson andar del paro co’ più famosi dei secoli bassi. E il primo, di cui dobbiamo ragionare, è Alberi ino Mussato padovano, uomo celebre ugualmente e pel maneggio de’ pubblici affari, e pel coltivare che fece ogni sorta di amena letteratura, e degno perciò, che ne parliamo con particolare diligenza; il che da niuno, ch’io sappia, non si è ancor fatto. Noi ne trarrem le notizie e dalle opere medesime di Albertino, e da quelle di altri autori a lui contemporanei, o almen vicini. E qui convien avvertire che il Muratori, che ne ha di nuovo pubblicate le opere storiche e la tragedia intitolata Ezzelino (Script Rer. ital. vol. 10), avea nella Prefazione promesso di pubblicare con esse tutte le altre opere di Albertino. Ma non so per qual a’ confini del Friuli e patria de’ famosi /Meandri, diede la prima origine a questa famiglia chi? si trasferì poi a Trcvigi. dimazzo era il padre dello storico Daniello, ed era morto già nell’anno i36:). Daniello esercitò dapprima con fama di probità l’impiego di negoziante c di finanziere; indi nel 1407 ei videsi annoverato inter provi sores Communis Torvi sii ex Ci il>us Ciri*, far. prò providendo circa utilia et necessaria Civitalii Torvis. et Civiurn Tarvis. Dopo fanno i/fiq noti trovasene più alcuna menzione. [p. 634 modifica]G34 unno motivo ri non lia eseguilo il suo disegno. Io dunque non avendo alle mani l’antica edizione fattane in Venezia nel 1636, ho dovuto valermi di quella d’Olanda (Thes. Hist. Ital t 6, pars 2)^ ove tutte si leggono insieme. In qual anno ei nascesse cel dice chiaramente egli stesso in un’elegia fatta nel giorno suo natalizio (ib. in Append. p. 61): Sexta dies haec est et quinquagesima nobis (Tempora narrabat si mihi vera parens): Musta reconduntur vasis septemque decemque Nunc nova post ortum mille trecenta Deum. Avea dunque 56 anni d’età Albertino, quand’egli così scriveva, e ciò era nell’anno 1317, e perciò l’anno di sua nascita fu il 1261. Più altre notizie de’ suoi primi anni ci dà nella stessa elegia Albertino, cioè ch’egli era nato assai povero; che avea due fratelli e una sorella (nè io so su qual fondamento Secco Polentone, che ne scrisse in breve la Vita pubblicata dal Muratori (praef. ad Mussati.), gli dia sette sorelle) de’ quali tutti egli era maggiore; che mortogli il padre in età giovanile, ei dovette sostener co’ fratelli e colla sorella le veci di padre (*). (*) Il più volte lodato sig. Giovanni Roberto Pappafava mi ha avvertito che in molti strumenti fatti da Albertino come notajo, il più antico de’ quali è dell’anno 1282, egli si sottoscrive Albertinus Muxus, o de Muxo.notarius, rotarìusfilius Johannis Cava!Ieri praecon v. Ma se deesi fede a un certo Giovanni Buono Moto, di cui conservasi, presso il suddetto chiarissimo patrizio veneto, una Storia ms. delle Famiglie di Padova, ei fu bensì figlio della moglie del Cavallaio , tua non di lui; [p. 635 modifica]SECONDO G3J5 Editus in lucem mundi contagia flevi , Inque statu natus pauperiore fui. Esse miser didici teneris infantulus annis Cuique miser tribuit vix elementa (forse alimenta) pater. Bini mihi fratrum series adjuncta sorori, Et tamen illorum de grege major eram. His pater, ut major. patris post fata relinquor. Quam fierem pubes, sic pater ante fui. Par dunque falso che gli morisse il padre, mentre contava ventun anni di età , come dice il Polentone, perciocchè non direbbe Albertino, clic era divenuto padre prima di giugnere alla pubertà. Io non trovo neppure, ciò eli1 egli afferma, che Albertino innanzi alla morte del padre tenesse scuole, e che poi dopo essa si volgesse al foro. Egli ci dice solo , per quanto a me pare, che per sostentar la famiglia occupavasi in copiar libri ad uso degli scolari j clic poscia cominciò a trattar le cause nel foro e ad adunare maggiori ricchezze. Parvae mihi victum prahebant lucra scholares, Venalisque mea 1 itera lacta manu. Ad bona fortunae veni labentibus annis, Velaque sunt magno tunc mea tenta mari. Transtulit ad causas juvenem sors prima forenses, Et me verbosi mersit in ora fori. perciocché egli narra che il Cavnllerio udì sua moglie, la qual confessandosi al sacerdote, gli disse clic Albertino , creduto lìglio di suo marito , era veramente figlio di Viviano da Musso, e pare clic perciò appunto dal vero suo padre prendesse il.cognome di Mussato. Albertino ebbe in sua moglie Mobilia figlia naturale di Guglielmo Dente ila Lemice o Lcrinizzme signor potente in Padova , e ne ebbe un figlio che fu detto Vitaliano. [p. 636 modifica]036 LIBRO In lai impiego continuò Albertino fino all1 età di circa trentacinque anni; e tal fama con esso ottenne , che allora , cioè verso f anno 1296; fatto cavaliere, ebbe luogo nel pubblico Consiglio. Nostra per ambages aetas me transtulit illas , Integra dum septem vix mihi lustra forent; His raptus , jam factus Eques loca celsa Senatus Sortitus , me sic sorte ferente , fui. Prosiegue quindi ad accennare generalmente le diverse vicende a cui era stato soggetto, or accolto fra mille plausi dal popolo, or dal popolo stesso furiosamente odiato, accetto alle corti de’ grandi, soldato nel campo e ferito in battaglia, e venuto innanzi al sommo pontefice e all1 imperatore. Saepe fluens in me populi gaudentis abunde Ingruit impensus trans mea vota favor: Saepe ruens in me populi clamantis inique Invaluit properans in mea damna furor. Dilexi Proceres , et eis solertior haesi; His propior multa sedulitate fui. Perque feras acies ivi , et violentior hostis Intulit insignes per mea membra notas. Vidi supremos apices, fastigia mundi, Ponteficem excelsum , Caesareumque virum. Ma convien vedere partitamente quai fossero queste vicende di Albertino, quelle almeno di cui troviam nelle storie menzione espressa. XXVI. L’anno 1311 è il primo in cui trovi am Albertino adoperato ne’ pubblici affari. Quando Arrigo VII nel gennajo di quell’anno ricevette solennemente in Milano la corona di [p. 637 modifica]SECONDO 63^ ferro , egli fu uno dei deputati di Padova ad assistere a una sì magnifica cerimonia. Egli di ciò non ci parla nella sua Storia , ove di questo fatto ragiona (l.2, rubr. 12), ma dice solo che vi intervennero tra gli altri gli ambasciadori padovani. Ma altrove egli stesso il dice in una sua orazione al medesimo imperadore, che egli ha inserita nella sua Storia (l. 3, rubr. (6). Questa ambasciata non era che di semplice pompa. Un’altra assai più importante ne sostenne egli presso lo stesso Arrigo in quest’anno medesimo, inviato a lui da’ Padovani insieme con Antonio da Vico d’Argine, per ottenere da lui che non togliesse loro, come temevano, la libertà. I due ambasciadori si adoperarono destramente , e ne riportaron tali patti che, se non conservavano a Padova tutta la forma di repubblica libera, potean nondimeno per le circostanze de’ tempi parere onorevoli. Ma i Padovani frattanto talmente si erano innaspriti contro di Arrigo, che quando Albertino col suo collega tornò a Padova, ed espose in senato, ciò che poteasi sperar da Arrigo, poco mancò che non si eccitasse tumulto contro di lui, e sembravano i Padovani fermi e costanti in volersi colf armi difèndere contro di Cesare (l. 2 , rubr. 7). Ma i progressi che questi intanto facea in Italia, dieder loro a conoscere che la resistenza sarebbe riuscita ad essi funesta , e un’altra solenne ambasciata destinaron perciò ad Arrigo, per rendergli omaggio co’ patti già progettati. Albertino, di cui allora tutti esaltavano la prudenza, fu del numero de’ legati; e benchè egli dapprima se ne scusasse, fu [p. 638 modifica]638 unno nondimeno costretto ad accettare l’incarico; e venuto innanzi ad Arrigo, gli tenne quella non elegante ma eloquente orazione ch’egli ha inserita nella sua Storia (l 3, rubr. 6). Fu dunque accordata la pace a’ Padovani co’ patti prima proposti e spiegati ne’ due diplomi di Arrigo, che si leggono presso lo stesso Mussato. Il quale tornato cogli altri ambasciai lori a Padova, vi furono ricevuti come salvatori della patria, e a comuni voti fu approvato ciò che essi avevano operato. Un’altra volta in quest’anno medesimo ei venne innanzi ad Arrigo, condotto da Aimone vescovo di Ginevra, per assicurar Cesare della fedeltà de’ Padovani (l. 4> rubr. 4); e finalmente di nuovo gli fu inviato da’ suoi concittadini, mentre Arrigo era in Genova, per ottenere alcuni provvedimenti in certe discordie che avevano co’ Vicentini, e dopo avere aspettato oltre a tre mesi, ne riportò finalmente a Padova il bramato diploma segnato a’ 27 di gennajo del 1312, e da lui medesimo pubblicato nella sua Storia (l.5, rubr. 10). XXVII. Ma al suo ritorno ei trovò le cose in aspetto diverso assai, che non avrebbe creduto. La nuova sparsa che Can Grande, odiatissimo da’ Padovani, era stato eletto vicario imperial di Vicenza, città in addietro loro sospetta , e la voce che allor correa che la medesima dignità ei dovesse avere in Padova, in Trevigi e in Feltre , irritò per tal modo gli animi de’ Padovani, che, radunato il senato, Rolando da Piazzola , già da noi mentovato, perorò con gran forza per indurli a ribellarsi apertamente ad Arrigo. Il Mussato al contrario [p. 639 modifica]SECONDO 63p si adoperò per condurre i Padovani a consigli più miti; ma in vano. Il popolo era troppo furioso, e la ribellione scoppiò immantinente. Egli ha inserite nella sua Storia (l. 6, nibr. i) 1 l’orazion di Rolando non men che la sua; ed amendue, se se ne tragga l’incolto stile, sono scritte con una robusta ed artificiosa eloquenza. Di questo suo disparer con Rolando, che per altro eragli amico, fa menzione lo stesso Albertino in una delle sue lettere in versi (ep. 3). Can Grande, non si tosto udita la ribellione de’ Padovani, mosse contro di essi e ne seguì una lunga ed ostinata guerra fra loro , nella quale ebbe parte anche il Mussato (l.6, rub. 10), a cui singolarmente dovettesi l’espugnazione di Poiana, castello assai forte su’ confini del Padovano, e che seguì nel luglio dell’anno 1312 (l.7, rubr. 10); e in parte ancora lo scoprimento delP insidie che tendeva a Padova il ribelle Niccolò da Lucio (l. 10, rubr. 2). Frattanto l imperadore, sdegnato contro de’ Padovani, li condannò come ribelli , e pubblicò contro di essi il bando inserito dal Mussato nella sua Storia (l. 14, rubr. 7). Ma egli non ebbe tempo a prenderne la disegnata vendetta, rapito da immatura morte nell’agosto del 1313. Questo imperadore avea onorato del suo favore Albertino, cui più volte veduto avea a’ suoi piedi; e il Mussato accenna ancora di averne ricevuti magnifici donativi, così scrivendogli: Parce , ferox olim Patavis irate superbis, Saepe tamen verbis conciliate meis. Tu mihi magnificus supra quaesita fuisti: Solus ab imperio prodiga dona tuli. Ep. 2. [p. 640 modifica]640 LIBRO E la sua gratitudine per Arrigo fu quella probabilmente che il persuase a distogliere, quanto era dal canto suo, i Padovani dal pensiero di ribellarsi e a fare di questo principe nella sua Storia un carattere più vantaggioso di quello (l. 1 , rubr. 3) che si potesse attendere da uno a cui la fedeltà verso la sua patria avea poste le armi in mano contro di lui. La morte di Arrigo non diè fine alle guerre de’ Padovani co’ Vicentini e con Can Grande. Tentossi, è vero, in quest’anno medesimo di conchiuder la pace, e a questo fine Albertino insieme con IVI ai \siglio Pollafrissana furon mandati a trattarne con Bailardino Nogarola inviato di Can Grande; e Albertino ci ha tramandato il colloquio che con lui tenne (De gestis ital. l. 2, rubr. 2). Tutto però fu inutile, e la guerra ripigliossi con più ardore di prima. Ma assai più dannose furono ai Padovani le interne discordie che in questo stesso anno per opera di alcuni torbidi e sedizioni si eccitarono. Albertino fu singolarmente preso di mira, e sotto pretesto di una tassa eli"egli avea persuaso di porre sopra tutti i contratti, levatasi a rumore la plebe, corse per arderne ed atterrarne la casa. Egli per non esporre sè a pericolo, e per non rivolgere l’armi, come agevolmente avrebbe potuto, contro de’ suoi concittadini, fuggì segretamente, e ritirossi a Vico d’Argine; donde però, ucciso frattanto Pietro d’Alticlino capo de’ sollevati, ei fu con decreto pubblico richiamato, e si ordinò che in soddisfazione dell’ingiuria recatagli gli fossero conferiti solenni onori. Così racconta egli stesso (ib. l. 4? rubr. 1), e a questa [p. 641 modifica]SECONDO 641 occasione ei fa un’eloquente ed amara invettiva contro la plebe di Padova (ib. rubr. 2), da cui era stato sì indegnamente trattato, e a cui ponendo innanzi le cose che per salvezza di essa avea operate, rammenta alcune imprese di guerra, a cui era intervenuto, e delle quali non ha fatta menzione nella sua Storia. XXV11I. Tra gli onori che in questa occasione conceduti furono al Mussato, fu quel della laurea poetica di cui solennemente fu coronato. Io penso che ciò accadesse in quest’anno medesimo 1314; e(J ecco quali ragioni melo persuadono. Egli ci narra che di questo onore ei fu debitore al vescovo di Padova e ad Alberto di Sassonia. Annuit Antistes: plausit praeconia Saxo Dux: habet auctores laurea nostra duos. Ep. 4» Or noi abbiamo veduto che Alberto di Sassonia , secondo il parere del Facciolati, fu rettore dell’università di Padova l’anno 1314, e a lui perciò in quest’anno si conveniva l’accordare sì solenne onore al Mussato. È certo inoltre che egli ottenne la laurea dopo la morte di Arrigo VII , seguita l’an 1313, e che l’ebbe in premio sì della tragedia, intitolata Ezzelino, da lui composta, sì della Storia da lui scritta del medesimo Arrigo, a cui perciò volgendosi, ei dice: Jure tibi teneor, Rex invictissime: pro te Accedit capiti nexa corona meo Ep. 2. Le quali parole non si debbon già intendere in questo senso, che Arrigo ottenesse ad Albertino [p. 642 modifica]64* LIBRO la laurea , ma sì che ei l’ebbe per la Storia che aveane scritta, perciocchè poco appresso ei chiaramente ci dice che Arrigo era morto: Ut mihi te facilem , sineret dum vita, dedisti, Sic haeres famae s.t liber ille tuae. Per altra parte, quand’egli scriveva la Storia delle cose accadute dopo la morte di Arrigoy avea già ricevuta la laurea; perciocchè al principio del libro X, da lui scritto in versi, ne fa menzione dicendo: Si non petitis deponere frondem Laurinaui , cc. quali circostanze tutte, e l’accennar ch’ei fa gli onori ricevuti in occasion del suo ritorno, mi persuadono che in quest’anno appunto ciò avvenisse. Abbiamo ancora la lettera in versi, eli’ egli scrisse al collegio degli artisti ossia a’ professori dell’arti liberali di Padova , ringraziandoli di sì grande onor conferitogli (ep. 1), e un’altra ch’egli scrisse a Giovanni gramatico in Venezia , dandogliene ragguaglio (ep. 4) > dalle quali raccogliesi che questa solenne cerimonia fu fatta a lieto suono di trombe, e alla presenza di tutta l’università e d’immensa folla di popolo; che l’università ne registrò memoria ne’ fasti j che il senato ordinò che ogni anno in avvenire nel dì di Natale si dovesse recare il corpo dell’università alla casa di Albertino con alcuni presenti , e che ogni anno parimente si dovesse!* leggere pubblicamente le opere da lui composte, onore tanto più pregevole, quanto più raro e disusato a questi tempi. [p. 643 modifica]SECONDO 643 XXIX. Presto però si avvide il Mussato die f alloro poetico non era scudo abbastanza valevole contro i colpi dell* avversa fortuna. In una fiera rotta, che al 6 di settembre di quest’anno 1314 ebbero i Padovani presso i sobborghi di Vicenza da Can Grande, Albertino, mentre valorosamente combatteva, cadutogli sotto il cavallo e balzato a terra e trafitto da undici ferite, gittossi nella fossa sul cui ponte trovavasi, dove, circondato da’ nimici e fatto prigione, fu condotto in città (l. 6, rubr. 2). Can Grande recossi più volte insieme co’ suoi cortigiani a vederlo; e piacevasi di motteggiarlo su ciò che contro di lui avea spesso Albertino detto ad Arrigo; e benchè Albertino gli rispondesse con franchezza maggiore che a un prigioniero non parea convenire , non perciò quegli mostravasene offeso (ib. rubr. 4)* Stabilitasi finalmente la pace nell1 ottobre di quest’anno medesimo, e renduti vicendevolmente i prigionieri (ib. rubr. 10), Albertino ancora fe’ ritorno a Padova; e per tre anni attese verisimilmente a ristorarsi da’ sofferti disagi, e a scriver le cose avvenute dopo la morte di Arrigo. Ma avendo Can Grande nel 1317 occupato Monselice ed altre castella dei Padovani, questi atterriti inviarono alle città di Bologna, di Firenze e di Siena due ambasciadori, uno de’ quali fu Albertino (l. 8, p. 684). Qual fosse l’esito di questa ambasciata, Albertino nol dice, poichè questo tratto di storia o non è stato da lui compito , o ne è smarrita l’estrema parte. Sappiamo solo che 1* anno seguente dovettero i Padovani chieder la pace, e che, avendola [p. 644 modifica]644 LIBRO ottenuta h patto che tutti que’ che per esser del contrario partito erano stati sbanditi dalla lor città f vi facesser ritorno , molti, temendo da ciò ree conseguenze, si fuggiron da Padova, fra’ quali fu Albertino col fratel suo Gualpertino abate di S. Giustina (Cortus. Chron. l. 2, c. 26), uomo celebre egli pure per varie vicende, ma di cui io non trovo motivo per cui dargli luogo ne’ fasti della letteratura italiana. Convien dire però, che Albertino fosse presto richiamato a Padova, di cui frattanto era stato eletto signore Jacopo da Carrara) perciocchè avendo di nuovo Can Grande prese contro di essa l’armi, e venuto a porle assedio l’anno 1319, Albertino insieme con Ubertin da Carrara e Giovanni da Vigonza fu inviato ambasciadore in Toscana a chiedere ajuto (ib. c. 32). Di questa sua ambasciata fa menzione egli stesso in una sua elegia , da noi già altre volte accennata (V. sup. c. 3), ove descrive la malattia di cui fu preso in Firenze , T amorevole accoglienza che vi ebbe dal vescovo, e l’assistenza usatagli da due medici, uno de’ quali era Dino del Garbo. Non troviamo però, ch’ei traesse alcun frutto dalla sua ambasciata. Io non tesserò qui la storia di tutte le vicende a cui in questi anni Padova fu soggetta. Solo vuolsi accennare un1 altra ambasciata da Albertino commessa, per cui recossi l’an 1321 in Allemagna alla corte di Federigo duca d’Austria , cui i Padovani per difendersi contro i continui assalti di Can Grande aveano eletto a loro signore (Cortus. l. 3, c. 1), e Tadoperarsi che ei fece segretamente, perchè al medesimo fine scendesse in Italia [p. 645 modifica]SECONDO 645 Fauno i322, come avvenne, il duca di Carintia (ib. c. 3); e il tornare che poscia fece in Allemagna l’an 1324 per conchiuder la pace collo stesso Can Grande; dalla qual ambasciata tornando, ei si trattenne in Vicenza per timore delle domestiche turbolenze che frattanto sollevate eransi in Padova (ib. c. 5). Ma ciò non fu bastante a salvarlo. Un tumulto eccitato contro de’ Carraresi l’an 1325, per cui essi furono in estremo pericolo, ma da cui li trasse felicemente il loro coraggio, diede occasione alla rovina di coloro che ne erano siati, o se ne credevano autori; fra i quali Gualpertino abate di S. Giustina e fratel di Albertino con due suoi figli naturali, e un figlio dello stesso Albertino. Questi ancora, benchè assente, fu avvolto nella procella e rilegato a Chiozza (ib. c. 6). Ivi F infelice poeta passò il rimanente della sua vita. Io dovrei qui riferire un lungo tratto della sua Storia, in cui racconta (l. 12, p. 759) per qual modo ei fosse ingannato e tradito da Marsiglio da Carrara, il quale, dopo avergli promesso assistenza ed ajuto,.si mostrò poscia di lui totalmente dimentico. Perciocchè avendo egli adoperato per modo ^ che il dominio di Padova fosse conferito l’an 1328 a Can Grande, ed essendosi in seguito promulgato un generale perdono, Albertino affidato a ciò, e alle replicate promesse del Carrarese, osò l’an 1329 di venire a Padova e di farsi innanzi a Marsiglio, mentre trova vasi insieme con Can Grande. Ma troppo deluso ei rimase nelle sue speranze. Marsiglio e Can Grande mostrarono di sdegnarsi ch’egli avesse ardito pur Tiraboschi, Voi VL 9 [p. 646 modifica]646.Liisito tanto, e parve loro di esser clementi, comandandogli di tornarsene a Chiozza. Ma una tal narrazione, che per altro è degnissima d’esser letta , è troppo lunga per poterla qui inserire. Solo non vuol essere tralasciata una bella risposta ch’ei mandò a Marsiglio. Questi gli fece dire per un suo servo, che ben sapeva che nella Storia, che Albertino scrivea de’ suoi tempi, avea a lui dato il nome di traditore. A cui Albertino mandò rispondendo , che fosse pur certo Marsiglio di’ ei nulla avea scritto che non fosse vero; che le cose erano state tramandate da lui a’ posteri, quali erano accadute; e che ad essi apparteneva il giudicare quai meritasse!* lode , quai biasimo; essendo egli non giudice, ma testimonio. Tornossene dunque Albertino a Chiozza, ed ivi in età di presso a 70 anni morì l’anno 1330 (Cortus. l. 4, c. 5), l’ultimo giorno di maggio. Il corpo però ne fu trasportato a Padova, ove fu sepolto, come narra Guglielmo da Pastrengo (De Orig. rer. p. 13); e dopo lui Michele Savonarola (Comment. de Laud. Patav. vol 24 Script. rer. ital. p. 1157, a S. Giustina (*). Ma io non so come il secondo di questi scrittori abbia potuto affermare ch’ei non ebbe l’onor della laurea: etsi laurea ornatus non fuerit; mentre ne abbiamo sì chiara testimonianza nell’opere dello stesso Albertino. (*) Par che debba differirsi di qualche mese la morte del Mussato, perciocché, come mi ha avvertito il soprannomato chiarissimo patrizio veneto, ei trovasi nominato come ancor vivo in uno stromeoto de* i3 agosto del i33o. [p. 647 modifica]SECONDO 647 XXX. Tal fu la vita di Albertino Mussato che sperimentò in se stesso a quanto sublimi onori possa uno dalla fortuna e dal merito venire innalzato, ma insieme quanto incostante sia il favor della plebe e de’ grandi. Or resta a dire delf opere da lui composte. Abbiamo in primo luogo sedici libri della Storia da lui intitolata Augusta, perchè in essa racchiude la vita e le geste delTimperador Arrigo VII, a cui succedono otto libri (l’ultimo de’ quali però è imperfetto) che contengon la Storia delle cose avvenute in Italia dopo la morte di Arrigo VII sino al 1317, nelle quali due Storie, benchè il Mussato non si ristringa a parlar solo de’ fatti de’ Padovani, su questi però , come era ben ragionevole, si stende più ampiamente che sugli altri. A questi otto libri scritti, come pur la prima Storia, in prosa , altri 3 ne succedono in versi eroici. ne’ quali descrive l’assedio che Can Grande pose a Padova, da noi poc’anzi accennato, e gli effetti che ne seguirono fino al 1320. Siegue quindi il libro XII che è in prosa, e in cui narra le domestiche turbolenze di Padova da noi rammentate , e l’effetto che esse produssero, cioè che Can Grande ne avesse la signoria. Abbiamo ancora la Vita di Lodovico il Bavaro, da lui in parte descritta; perciocchè egli non poté vederne il fine, essendo morto innanzi a lui. Queste opere storiche di Albertino debbono, per quanto a me ne sembra, avere indubitatamente il primato su tutte le altre che dopo la decadenza delle lettere furono scritte in lingua latina innanzi aquesti tempi. Guglielmo da Pastrengo ne chiama [p. 648 modifica]648 LIBRO egregio lo stile (l. cit)..Ne parla ancora con molta lode Pier Paolo Vergerio il vecchio (Vit Princip. Carrar. Vol. 16 Script Rer. ital. p. 114)z e sol ne riprende F odio che mostra contro dei Carraresi. Michele Savonarola non teme di dire (l cit) che ei sembra un altro Livio nella eloquenza. E certamente, benchè lo stil del Mussato si risenta non poco della rozzezza de’ tempi ne’ quali scriveva, egli ha nondimeno una forza e un’eloquenza tutta sua propria, alla quale se si congiungesse un’espression più elegante e qualche maggior precisione, ei dovrebbe aver luogo tra gli storici più rinomati. Molte poesie ancora, oltre i tre accennati libri, abbiam del Mussato. Ma di esse ci riserbiamo a trattare ove ragioneremo de’ poeti latini di questa età. XXXI. Entrarono nel campo stesso, corso già da Albertino , Guglielmo Cortusio e poscia Allori ghetto di lui parente, e forse nipote. Essi ripreser la Storia da più alto principio, cioè dal i2ò~j • ed essendo vissuti più anni dopo il Mussato, la condussero fino al 1358. Essa non ha i pregi che abbiam veduto doversi riconoscer nell1 altra, e il Vergerlo stesso confessa (l. cit) che è scritta senza alcun ornamento. La sola sposizion de’ fatti però scritta da autori contemporanei, quali essi furono , basta a renderla assai pregevole. Di Guglielmo non abbiamo altra notizia, se non quella che egli stesso ci dà, che l’an 1336 egli era giudice di Padova sua patria (l. 6, c. 1). Di Albrighetto (se pure ei non è un altro dello stesso nome) troviam menzione in un diploma di Carlo IV (Script [p. 649 modifica]SECONDO (>4l) Ber. ital. voi. 12 a p. 762), come pure di un tra coloro che da Arrigo VII erano stati, ma inutilmente, dichiarati ribelli. La loro Storia divisa in undici libri era stata già pubblicata insieme con quella del Mussato. Il Muratori l’ha data in luce di nuovo (l. cit), ma colla giunta di ventiquattro capitoli ancora inediti. Egli vi ha unito ancora due Appendici scritte in dialetto padovano, colle quali si continua la Storia fino al i3c)i, od ha sospettato ch’esse fossero opera degli stessi Cortusj, scritte da essi in latino e poi da altri recate in quel dialetto. Finalmente illustrarono ancora la Storia di Padova loro patria i due Gatari Galeazzo il padre, e Andrea il figlio. Questi parlando della morte di suo padre, avvenuta nel 1405, dice che la sua famiglia era orionda da Bologna, e che Galeazzo da Bologna trasferito erasi a Padova nel 1229) (Script. rer. ital. vol 17 , p. 922). Nel che però certamente è corso errore; perciocchè, se Galeazzo morì l’anno 1405 in età di sessantun anni, come Andrea ci assicura, egli era nato l’an 1344 e non poté perciò trasferirsi a Padova che circa la metà di questo medesimo secolo. Ei certo vi era nel 1372, nel qual anno fu inviato ambasciadore di Francesco da Carrara ai Genovesi (ib. p. 97, 100). Egli intervenne inoltre l’anno 1388 al solenne atto con cui Francesco Novello di Carrara ricevette la signoria di Padova (ib. p. 643 644)? e nel 1390 fu da lui inviato a Venezia per partecipare a quella Repubblica il ricuperare ch’egli avea fatto Padova dalle mani di Gian Galeazzo Visconti (ib. p. 794)- E così avesse il Carrarese seguiti [p. 650 modifica]650 LIBRO sempre i consigli di Galeazzo che il persuase a voler vivere in pace co’ Veneziani (ib. 889): ei non avrebbe perduta la signoria insieme e la vita F anno dopo la morte di Galeazzo. Di Andrea non sappiamo quando morisse; e probabilmente ei sopravvisse più anni al padre. Ei però non si volle inoltrar nella Storia dal padre suo cominciata all’anno 1311, se non fino allo sterminio de’ Carraresi, cioè all’anno suddetto 1406. Qual parte debbansi al padre in questa Storia, e quale al figlio, veggasi presso il Muratori che prima d’ogni altro F ha pubblicata. Io avvertirò solo ch’ella è la più ampia e la più esatta che abbiamo intorno alle geste de’ Carraresi, scritta in lingua volgare e con maggior eleganza che a questi tempi non si usasse comunemente, e senza quello spirito di partito da cui facilmente si lascian sedurre anche i più valorosi scrittori. XXXII. Vicenza ancora ebbe un eccellente storico nel suo Ferreto. Egli scrisse le cose in Italia e singolarmente nella sua patria avvenute dal 1250 fino al 1318, benchè il veder mancante di finimento la sua Storia ci faccia nascer sospetto che più oltre ancora la continuasse , come certamente visse più oltre. Il Muratori , che è stato il primo a darla in luce (Script. rer. ital. vol. 9, p. 935), ha raccolte quelle poche notizie che di questo storico ha potuto rinvenire, le quali in somma riduconsi a fissarne a un dipresso la nascita circa l’an 1296, e ad accertare ch’ei prese a scriver la Storia dopo l’an 1330; perciocchè nella prefazione ei ragiona della morte di Albertino [p. 651 modifica]SECONDO 65I Mussato in quelPanno accaduta (*). La Storia di Ferrelo è una delle migliori di questi tempi, scritta latinamente e, per ciò che è dello stile, con più eleganza assai dell’usata, e lungi da quelle rozze maniere di favellare, che per F adietro erano state comuni a quasi tutti gli storici. Potrebbe qui dirsi ancora del poema da lui composto sull’origine degli Scaligeri; ma di esso e di altre poesie ch’egli ci ha lasciato, ragioneremo altrove. Il Muratori ci ha dati alcuni frammenti di Storiai di Vicenza dal 1371 al 1387, latinamente scritti da Conforto Pulice, intorno al qual autore però convien leggere le riflessioni da lui fatte nel pubblicarlo (ib. vol 13, p. 1235). A questi scrittori padovani e vicentini, de’ quali abbiamo ragionato finora, noi siam debitori delle notizie che ci sono pervenute intorno agli Scaligeri. Pareva che dovesse esser pensiero dei Veronesi lo scriver le imprese di questi (*) Alcune più esatte notizie dello storico Ferreto ci ha date il I*. Angiol Gabriello da Santa Maria (Bibl. degli Scri/t. vi cent. t. 1, p. t53), il quale ancora ragiona dello storico Conforto Pulice (ivi, p. iqi, 200), qui da noi nominato sulla scorta del Muratori. Egli pruova con autentici documenti che Pulice e Conforto son due diversi autori, e che furon fratelli, delti amendue da Costozza, e afferma che il primo avea nome Arrigo, e solo per soprannome diceasi Pulice, che questi scrisse alcune poesie lutine e una Storia ora perita, e che i frammenti pubblicati dal Muratori sono opera di Conforto. Intorno a* pregi non men che a* difetti di Ferreto vicentino, è degno d? esser letto ciò che colf usata sua esattezza ne scrive le altre volte lodato sig. conte canonico Avogaro (Mtm. del B. Enrico , par. t, p. 81). [p. 652 modifica]65a LiDno loro concittadini e signori. Ma essi non ebbero in questo secolo se non pochi scrittori, niun de’ quali finora è stato dato in luce. Il marchese Maffei (Ver. illustr. par. 2, /*92, ec., 122, ec. ed. in 8) ne accenna i nomi e le opere, ed io rimetto chi legge a questo sì erudito scrittore. A questo secolo ancora riferiremo la Cronaca di Castello da Castello bergamasco, pubblicata dal Muratori (Script. Rer. ital. vol 16,/^.8 |i, ec.); scritta, è vero, in uno stile assai barbaro e che poco vantaggio reca alla storia general dell’Italia, perciocchè egli appena mai col racconto esce dalla sua patria; ma per ciò appunto utile assai alla storia di essa e delle sue famiglie, e che ben ci descrive l’orrido e luttuoso stato a cui essa era condotta dalle guerre civili. Comincia dall’an 1378, e fin dal principio l’autor ci racconta la parte che in quelle turbolenze egli ebbe, di che ragiona ancora altre volte; e giugne fino al 1407 in cui egli cessò di scrivere, forse perchè cessò ancora di vivere. Abbiam finalmente due frammenti di Cronaca del Friuli, l’uno pubblicato dal medesimo Muratori (ib. vol. 24, p. 1190), di cui fu in parte autore Giuliano canonico di Cividal del Friuli, e che fu poscia continuato da altri, e stendesi dal 1252 fino al 1364 Intorno alla qual Cronaca e all1 autore di essa veggansi ancora le osservazioni dell* eruditissimo sig. Liruti (Notiz. de’ Le (ter. del Friuli, t. 1, p. 292). L’altro di Giovanni Ailino di Maniaco dal 1381 fino al 1387, o anzi, come in altro codice, fino al i38q, che è stalo pubblicato dal Muratori (Antiq. Ital. t. 3) c dal eh. P. de Rubeis [p. 653 modifica]SECONDO 653 (Mommi. Feci. A quii. Appenil p. 44; ce.), presso cui, come anche presso Apostolo Zeno (l)Lss. Voss. 11, p. 30) e il mentovato sig. Liruti (l. cit. p% 302), si potranno trovare intorno a questa Storia le più esatte notizie. WA1II Nè minor numero di storici ebbero le altre città d’Italia, benchè, a dir vero, le opere loro sieno una semplice compilazione di fatti, priva di quegli ornamenti che veggiam con piacere in alcuni degli storici sopraccitati. Alcuni ne ebbe Modena, cioè Bonifacio Morano, la cui Cronaca latina dal 1306 al 1342 ha pubblicata il Muratori (ib. vol. 11, p. 89), il quale ancora ha prodotta la lapida sepolcrale che conservasi nella chiesa di S. Francesco, da cui si pruova di’ ei mori nel 1349), benchè il Muratori medesimo sembri dubitare alquanto dell’antichità di tal lapida. Egli ha ancor pubblicati gli Annali antichi de’ Modenesi (ib. p. 49), scritti pure in latino, dal 1131 fino al 1336, ai quali altri scrittori posteriori hanno poscia aggiunte altre cose.Fra essi troviamo che all’anno i3(ia vi pose la mano Pietro Tassoni, poichè al detto anno, parlando di una fierissima pestilenza che afflisse Modena, così lasciò scritto: Et ego Petrus Taxonus recessi de mense Julii9 et de mense Novembris reversus sum Muti nani, et inveni totam meam fami lia/n obiisse (ib. p. 82). Finalmente da lui abbiam ricevuta un’altra Cronaca latina di questa città.medesima, dal 1002 sino al 1363, scritta da Giovanni da Bazzano che vivea in questo secolo stesso (ib. vol 15, p. 551). Aggiungasi la Cronaca di Reggio, composta prima da Sagacio da Gazzata reggiano [p. 654 modifica]G54 libro fino all’anno x353, e continuata poscia da Pietro, di lui pronipote e monaco di S. Benedetto, fino al 1388, poichè più oltre non si estende ciò che ne abbiamo alle stampe; della qual Cronaca e degli autori di essa, leggasi la prefazione delf immortal Muratori che ne ha dati in luce que’ frammenti che si son potuti trovare (vol. 18,p. 1). Io aggiugnerò solamente ciò ch’ei non ha avvertito, cioè che in questa Cronaca ebbe parte ancora Sagacio dei Levalosi, perciocchè all’anno 1303 così si legge (ib.p. 16): Hic incepit D. Sachazinus de Levalosiis scribere gesta Lombardiae, qui fuit pater Albertini Abbatis secundi.... Filias vero habuit Dominam Flandinam uxorem Domini Johannini de Albin... ex qua nata est mater mea.... Vixit annos LXXXV et filios filiarum suarum vidit, et frater meus et ego ex illisfiiimus, qui jam tempore sue mortis eramus xx annorum et ultra. L’ab. Albertino, che qui si nomina, fu quegli, come provasi dal Muratori nella prefazione accennata, che l’an 1348 ricevè nel suo monastero di Reggio Pietro da Gazzata. Ma perciò appunto queste parole cagionano oscurità e imbarazzo, sicchè non si può ben accertare quali e quanti fosser gli autori di questa Cronaca , nè abbiamo lumi che bastino a stabilirne cosa alcuna con sicurezza (a). XXXIV. Due Storie abbiamo ancora di Parma, una in latino intitolata Chronicon Parmense, (a) Di tutti questi cronisti modenesi e reggiani abbiamo più diffusamente parlato ne’ loro articoli inseriti nella Biblioteca modenese. [p. 655 modifica]SECONDO ()35 elio dal io38 giugne lino all’anno 1309), di cui s’ignora l’autore, e solo credesi probabilmente che scrivesse al principio di questo secolo; fino a cui innoltrossi col suo racconto (ib. vol 9 , p. 753). L’altra dal 1301 fino al 1355, e continuata poi sino al 1480, scritta essa pure in latino; ma di cui non abbiamo che una versione italiana. Ne viene comunemente creduto autore F. Giovanni de’ Cornazzani domenicano. Il Muratori però ha mosso intorno a ciò qualche dubbio, parendogli ch’essa sia opera di più scrittori, come si può vedere nella prefazione ch’egli le ha premessa (ib. vol 32, p. 737) (a). Due scrittori parimente di storia ebbe in questo secol Piacenza. il primo fu Pietro da Ripalta storico citato spesso dal canonico Campi, e poscia dal recente dottissimo illustratore della storia della sua patria il proposto Poggiali il quale, da una nota che si legge al fin della Cronaca da lui scritta, dimostra (Stor. di Piac. t 6, p. 38 1) eh’ei morì di peste l’anno 1374. E fin a quest’anno appunto egli avea continuata la sua Cronaca piacentina che fu poi accresciuta dal canonico Jacopo de’ Mori, come dalla stessa nota raccogliesi. Ebbene il Muratori una copia trasmessagli da Apostolo Zeno (Script. rer. ital vol 20, p. 867), ma egli non giudicò opportuno il darla alla luce, perchè già avea pubblicata quella di Giovanni (a) Un pregevol frammento di Cronaca parmigiana, dal i3a5 al 1^29, ha recentemente pubblicalo il chiarissimo P. Ireneo Allò, che leggesi nel Giornale de* Letterati di Modena (t. 2. p. 73 , ec,). [p. 656 modifica]656 LIBRO de’ Mussi, che in gran parte è la stessa con* quella di Pietro. E questi è il secondo scrittoidi storia, ch’ebbe a questi tempi Piacenza. Ei condusse la Cronaca lino all1 anno i4o3. Il sopraddetto proposto Poggiali lo chiama copiator fedelissimo del Ripalta (l. cit. p. 163, 377, 386), ma insieme ne riprende l’aggiugnervi ch’egli ha fatto a suo talento aspre e velenose declamazioni contro la Chiesa e i pastori di essa, sedotto dal suo impegno per la fazion gibellina, di cui era seguace. Il Muratori, come si è detto, è stato il primo a pubblicarla colle stampe (Script. rer. ital. vol 16, p. 443)? e nella prefazione ha radunati que’ passi da’ quali ricavasi che Giovanni fu veramente l’autore di questa Cronaca, e ch’egli scrivea comunemente ciò di che era egli medesimo testimonio. XXXV. Nel secolo precedente assai scarso numero di storici ebbe Milano, ma il presente compensò bene la passata mancanza. E il solo Galvano Fiamma può equivalere a molti altri scrittori. Sull’antica ugualmente che sulla moderna storia milanese egli travagliò con indefesso lavoro; ma per ciò che è dell1 antica, egli soffrirà in pace che non ci curiamo di leggere ciò ch’ei ci vien raccontando, tante sono le favole che vi veggiamo sparse per entro, secondo il gusto de’ tempi che allor correvano. Nelle cose però (de’ suoi tempi, benchè qualche errore vi si trovi, tante sono e sì interessanti e minute le notizie da lui tramandateci, che non possiamo non avere in gran pregio i libri da lui composti. Questi sono in primo luogo una Cronaca del suo Ordine de’ Predicatori, [p. 657 modifica]SECONDO , G5? che il Muratori si duole di non aver potuto vedere, ma che è stata veduta dal ch. co. Giulini che di essa spesso si vale nelle sue Memorie (Mem. di Mil. t 9 p. 84> ec.), e conservasi in Roma nella Casanatense, donde ne è stata trasmessa copia in Milano all1 eruditissimo P. maestro Allegranza. Il suddetto co. Giulini però inclina a credere che due diverse Cronache dell1 Or di il suo scrivesse il Fiamma, perle ragioni che presso lui si posson vedere. Inedite parimente sono più opere da lui scritte ad illustrare l1 antichità di Milano, intitolate Politia Novella. y Chronica Extravagans e Chronicon Majus; le quali manoscritte conservansi nell’Ambrosiana di Milano. Il Muratori ne ha pubblicata un1 altra intitolata Manipulus Florum (Script. rer. ital vol 11, 533), in cui comprende la storia della sua patria dalla fondazione di essa fino al 13*j i, benché il medesimo Muratori pensi che ciò che siegue dopo il 1336 , sia d altra mano. Un opuscolo ancora del medesimo autore egli ha renduto pubblico, in cui tratta delle imprese di Azzo, di Luchino e di Giovanni Visconti dal i3:a8 fino all’an 1342 (ib. vol 12, p. 993), intorno a’ pregi e a’ difetti delle quali opere si posson leggere le prefazioni che il Muratori e il dottissimo Sassi vi hanno premesse. Di alcune altre opere di minor importanza da lui composte veggansi i PP. Quetif ed Echard (Script. Ord Praed. vol 1, p. 617) e l’Argelati (Bibl. Script, mediol, t 1, pars 2, p. 625, ec.). Io restringerommi a dir qualche cosa della vita dell’autore. Egli era nato in Milano l’anno i2<33, e entrato nelf Ordine [p. 658 modifica]658 libro de’ Predicatori l’anno 1298, come dalla Cronaca dell’Ordine stesso da lui scritta pruova il co. Giulini (l cit p. 108). Il Piccinelli afferma (Ateneo dei Letter. milan. p. 222) che per alcuni anni ei fu professore di Canoni uelf università di Pavia; ma questa non fu fondata che l’anno 1362, quando probabilmente Galvano già era morto. Più verisimile è ciò che l’Argelati racconta sulla fede di Ambrogio Taegio, cioè che il Fiamma fosse il primo professore di filosofia morale nel convento di S. Eustorgio in Milano nel 1315. Fino a quando egli vivesse, non si può accertare. S’egli avesse continuato il suo Manipolo di Fiori fino al 13y 1, ciò basterebbe a mostrarci ch’egli in quell’anno ancora vivea; ma già abbiam veduto credersi da alcuni ch’ei non s’inoltrasse in quell’opera che fino all’an 1336. Nella Cronaca però del suo 0rdine ei giunse fino al 1344? onde almeno fino a quest’anno convien prolungarne la vita. XXXVI. Contemporaneo al Fiamma fu Giovanni da Cermenate notaio milanese; e inviato l’an 1312 da’ Milanesi a Guani ieri vicario di Arrigo VII, come egli stesso racconta (Hist. c. 45). Egli era uomo di lettere e assai amante della storia; perciocchè il Fiamma citando i libri de’ quali si era giovato, alcuni ne nomina come esistenti presso Giovanni (V. Murat praef. ad ejus Hist.), e singolarmente Tito Livio. Una breve Storia egli scrisse della sua patria, in cui, dopo aver detto in breve delle antichità di essa, si fa a raccontare ciò che eravi avvenuto dall’anno 1307 fino al 1313, scrittore di cui sarebbe a bramare che una storia assai più [p. 659 modifica]SECONDO 65o diffusa ci avesse lasciato; perciocchè egli ha nel suo scrivere una forza e una precisione non ordinaria , e, ciò che è più da ammirare, un’eleganza di stile affatto insolita a questi tempi. Il Muratori, che due edizioni ce ne ha date (Anecd. lat. t. 2 , p. 35; Script, Rer. ital. vol. 9, p. 1223), ha provato ch’ei vivea ancora l’an 1330. Ma l’Argelati, citandone in pruova alcune carte di questi tempi, dimostra (l. cit p. 4!°) che visse almeno fino al 1337. Fra gli scrittori milanesi si può a ragione annoverare ancor Pietro Azario, di cui abbiamo una Cronaca intitolata de Gestis Principum Vicecomitum, dal 1250 fino al 1362, pubblicata già dal Burmanno (Thes. Antiq. Ital. t. 9, pars 6), poscia di nuovo dal Muratori (Script. Rer. ital. vol. 16, p. 293). Egli era novarese di patria, come ei narra nell’esordio della sua Cronaca, e si era prefisso di scrivere singolarmente le cose in Novara accadute. Ma benchè intorno ad esse si stenda talvolta ampiamente , nondimeno il principale argomento della sua storia sono le imprese de’ Visconti. Egli è ben lungi dall’eleganza di Giovanni da Cermenate; ma invece ha una cotal sua grazia di raccontare, e una sì natia e talvolta soverchia sincerità , che non può leggersi senza piacere. Egli ci parla talvolta di se medesimo; e dice (ib. p. 328) che mentre Bologna ubbidiva a Giovanni Visconti , ei vi stette oltre tre anni al banco degli stipendiarj!; e aggiugne altrove che avea veduto egli stesso spendersi ogni mese in Bologna pel signor di Milano trentaduemila fiorini, e questi nondimeno non bastare per le spese [p. 660 modifica]66o LIBRO ordinarie. Partito poi da Bologna, dice (ib.p. 339) che venne a fissarsi colla sua famiglia a Borgomanero sul Novarese, e che fu adoperato talvolta da Galeazzo Visconti (ib.p. 356). Ei chiude per ultimo la sua storia (t. 2, p. 401) con dolentissimi treni sul luttuoso stato d’Italia e sulla peste clic in quell1 anno i36:ì la devastava, per cui egli fu costretto ad abbandonare la sua desolata famiglia, ritirandosi a Tortona, e per cui egli perdette due figli e la moglie. In Tortona ei fu giudice al banco del Comune, e cancelliere del podestà Giovanni da Pirovano, come ricavasi dalla nota da lui stesso aggiunta al fin della Storia. A questa succede un altro breve opuscolo intorno alla guerra in quegli anni stessi fatta sul Canavese in Piemonte, pubblicata già nella Galleria di Minerva (t. 2 , p. ec.), ma con certe correzioni in cui il Muratori sospetta, e parmi a ragione, di qualche inganno. Altri per ultimo gli attribuiscono gli Annali milanesi pubblicati dal medesimo Muratori. Ma questi nella prefazione, che lor va innanzi, rigetta questa opinione (vol 16 Script. Rer. itaL p. (637); e mostra che f autor di essi, chiunque ei fosse, visse verso la metà del secolo susseguente (n). XXXV ii. Anche Monza, ragguardevole borgo del territorio di Milano , e illustre per le memorie della celebre Teodolinda, ebbe in questo secolo un non dispregevole storico, pubblicato (a) Yeggasi ciò che dell* Azario e deli* opere di esso ha scritto dopo la pubblicazione di questa Storia il eh. sig. conte di Cocconnto (Piemontesi illustr. t. 4, p. 223). [p. 661 modifica]SECONDO • G6l prima «fogni altro dal Muratori (Script. rer. ital. vol. 12 , p. 1601), cioè Buonincontro Morigia che n’era natio e che scrisse rozzamente bensì ma diligentemente le cose nella sua patria avvenute dalla fondaziondi essa fino al 1349E nelle cose di’ ei narra de’ tempi suoi, può esigere che gli si creda; perciocchè e aveale. vedute egli stesso, ed erane ancora talvolta entrato a parte. Così ei narra che l’an 1322 fu mandato insiem con Àrtusio Li, irando come capitano di duecento fanti , cui Monza mandava a Milano in soccorso di Galeazzo Visconti (ib. p. 1125). Air anno i32y troviamo ch’egli era uno de’ dodici (ib. p. 1155) destinati a formare il consiglio di quel Comune, mentre era soggetto a Lodovico il Bavaro. Finalmente l’anno 1343 ei fu mandato da’ suoi concittadini ambasciadore all’arcivescovo di Milano per trattare della restituzion del tesoro della lor chiesa, trasportato già ad Avignone (ib. p. 1178). Ma non sappiamo fino a quando ei ancora vivesse. Le altre città che or compongono la Lombardia Austriaca, non ebbero in questo secolo storico alcuno, o niuno almeno, ch’io sappia, ha veduta la luce, se se ne tragga il breve opuscolo delle lodi di Pavia, pubblicato dal Muratori (ib. vol 11, p. 1), e che contiene una esatta descrizione di questa città. Ma gli storici milanesi col descrivere le azioni e le guerre de’ Visconti vengono ancora a formare la storia delle altre città eh1 eran loro soggette. Pochi scrittori abbiam parimente alle stampe, che illustrino la storia del Piemonte e del Monferrato; e in tutta la collezione del Muratori Tiraboschi , Voi VI. 1 o [p. 662 modifica]662 libro altro non abbiamo appartenente a questo secolo, che la continuazione della Cronica d’Asti, di Ogerio Alfieri, fatta da Guglielmo Ventura sino al 1325 (ib. eo/. n, p- i35) (a), e la brevissima Cronaca di Ripalta dal 1196 fino al 1405 (ib. vol. 12, p. 1322). Ma noi possiamo sperare che vedrem fra non molto ben rischiarata ancora la storia di quelle provincie, intorno alla quale si son già adoperati con sì felice successo il sig. Terraneo , rapitoci da morte troppo immatura, il sig. Jacopo Durandi e più altri. XXXVIII. Più scarso numero di storici ebbero le città che forman lo Stato Ecclesiastico. Delle due Cronache di Bologna , che il Muratori ha dato in luce (ib. vol. 18, p. 105, 239), una, cioè la latina, è di Matteo Griffoni che morì solo l’anno 1426, e noi perciò ne ragioneremo nel tomo seguente. L’altra, cioè f italiana, come il Muratori avverte, è scritta da’ varii autori, talun de’ quali sembra vissuto nel secolo di cui trattiamo, e singolarmente f Bartolommeo della Pugliola dell1 Ordine de1 Minori. Ma troppo scarse notizie ne abbiamo per ragionarne con fondamento. Un altro storico ebbe in questo secol Bologna , cioè Giovanni di Virgilio, il quale, se crediamo al Ghirardacci, scrisse una Cronaca latina, intitolata del Regno cattolico della Chiesa romana (Stor. di (n) Belle ed esatte notizie intorno a Guglielmo Ventina , e giudiziose riflessioni sulla Cronaca da lui scritta v sulla Storia del Piemonte di quell’età, ci ha poscia date il soprallodato si*, t ouie di Cocconato (Pìemontesi tlhisfr. t. 4 > P- 199 > cc.). [p. 663 modifica]SECONDO 663 Boi. t. I , p. 5^5), in cui ragionava delle famiglie cattoliche di tutto il mondo, fra le quali però è probabile che più esattamente parlasse delle bolognesi. Infatti il medesimo Ghirardacci ne reca un frammento ovf egli tratta della famiglia Bianchetti. Ma quest’opera è una della molte imposture del celebre falsario Alfonso Ciccarelli, di cui diremo nella storia del secolo xvi. Di Giovanni di Virgilio parlerem di nuovo tra’ poeti latini. Ferrara può annoverare fra’ suoi storici gli autori della latina Cronaca Estense dal 1001 fino al 1393, pubblicata dal Muratori (l. cit. vol. 14, p. 297), il quale avverte ch’ella è opera di più autori contemporanei a’ tempi di cui scrivevano. Essa, benchè propriamente abbia per argomento le imprese de’ principi Estensi , nondimeno abbraccia ancora la storia della città di Ferrara, ove essi aveano comunemente la sede, e di altre ancora che colla loro storia hanno relazione. Lo stesso argomento trattò in lingua latina f Bartolommeo da Ferrara inquisitore Domenicano, che alla sua Storia diè il titolo di Polistore; ma questi prese principio da’ tempi più antichi , e giunse fino al 1367. Il Muratori però, che 1’ ha renduta pubblica (ib. vol. 14, p. 697), giovandosi di un codice dell’ornatiss. cavaliere. il marchese Bonifacio Rangone, ne ha saggiamente troncato , come pieno di favole, tutto ciò che era anteriore al 1287, dandocene quella parte sola di cui lo scrittore poteva essere stato testimonio di veduta. A questi aggiungansi gli Annali latini di (Cesena dal 1162 (fino al 1362 (ib. vol. 24 p• 180), e que’ d’Orvieto dal i34a [p. 664 modifica]fì64 LIBRO (ino al 1363 (ib. vol 15 , p. 641, scritti in lingua italiana, e que’ parimenti italiani di Rimini (ib. p. 8c;4) dal 1188 fino al 1385, continuati poi da altro autore fino al 1452. Intorno alle quali Cronache e a’ loro autori , io lascerò che ognuno cerchi le bramate notizie nelle prefazioni che il Muratori ha loro premesse nel pubblicarle. I PP. Quetif ed Echard parlano di un lor religioso detto Domenico Scevolino da Fabriano che in questo secolo scrisse la Storia della sua patria, che è rimasta manoscritta (Script, ord Praed. vol 1. p, 551). Roma finalmente, che fu pure in questo secolo un funesto teatro di novità strepitose, Roma, dico, non ebbe storico alcuno, o almeno niuno è fino a noi pervenuto, se non vogliamo chiamare Storia di Roma il breve frammento di Cronaca, che il Muratori ha dato in luce, di Lodovico Monaldesco (Script rer. ital. vol. 12, p. 527), che è per altro anzi una Cronaca generale che una particolare Storia di Roma. Essa è scritta in un dialetto quasi napoletano , e F autore al principio ci dà conto di se medesimo in modo tale che niuno F ha mai dato così esatto; perciocchè ei parla ancora della sua morte: Io Ludovico di Bonconte Monaldesco nacqui in Orvieto, e fui allevato alla Città di Roma, dove vissi. Nacqui l anno Mcccxxm del mese di Giugno nel tempo, che venne V Imperatore Ludovico. Hora io voglio raccontare tutta la Storia dello tempo mio, poichè io vissi allo mundo cxv anni senza malattia, autro che quanno nacqui, mi tramortio, e morsi di vecchiezza, e fui allo letto XII mesi di continuo. [p. 665 modifica]SECONDO 665 Qualche volta andai ad Orvieto a vedere li miei parenti. (Che direm noi di uno scrittore che scrive ancor dopo morie? II Muratori pensa , e a ragione, che quelle parole io vissi, ec. sieno state aggiunte da qualche copiatore , il quale volendoci ragguagliare della lunghissima vita che il Monaldeschi avuta avea, abbia creduto di non poterlo far meglio che facendo parlare il medesimo autore, come uomo più che ogni altro degno di fede. XXXIX. Rimane a dire, per ultimo, di due storici che ebbero i regni di Sicilia e di Napoli, che in questo secolo furon sempre divisi e soggetti a diversi principi. Niccolò Speciale scrisse in otto libri latinamente la Storia delle cose avvenute in Sicilia a’ suoi giorni dal i 283 fino al 1337. Ei descrive, fra le altre cose, f incendio del Mongibello avvenuto a’ 28 di giugno del i32()? e l’ardire con cui egli accostossi a vederlo, per distenderne poi, come afferma di avere allor fatto, una fedele relazione. Mihi quidem , dice egli, licet alia de longe prospexissem, ut rem ipsam admiratione dignam propinquis oculis subjicerem, et ipsa loci vicinitas et mirandae rei novitas suaserunt Factus sum itaque in pusillanimitate magnanimus 7 et in timorosis actibus temerarius vestigator: locum ipsum adii, et quicquid mens terrore percussa retinere potuit., stilo memoriae commendavi (l. 8, c. 2). Quindi siegue a descrivere minutamente i fenomeni di cui fu testimonio. L’anno 1334 ei fu uno degli ambasciadori mandati dal re Federigo al nuovo pontefice Benedetto XII (ib. c. 5). Le quali epoche provano [p. 666 modifica]666 LIBRO chiaramente l’errore di Rocco Pirro che ha confuso lo storico Niccolò Speciale con un altro dello stesso nome e cognome (Notit. Eccl Syrac p. 225), che fu fatto viceré di Sicilia nel 1425, come ha già avvertito il Muratori nella nuova edizione da lui dataci di questo storico (Script. Rer. ital. vol. 10, p. 915). Lo storico del regno fu Napoli fu Domenico da Gravina, così detto perchè nato nella città di tal nome nel medesimo regno (ib. vol. 12, p. 559). Egli ancora scrisse le cose a’ giorni suoi avvenute dal 1332 fino al 1350, nelle quali egli ebbe ancora gran parte. Perciocchè amaramente si duole che alf occasione del barbaro assassinamento del re Andrea, egli e un suo fratello, una sorella, colla comune lor madre, colla sua moglie e con quattro suoi piccoli figli costretto fosse ad andare in esilio, dopo essere stato spogliato di tutti i beni, e aver vedili a rovinala da’ fondamenti la propria casa (ib.) Quindi ei trovossi quasi sempre, benchè fosse di professione notaio (ib. p. 655), avvolto nelle guerre da cui allora era travagliato quel regno; e poté esser perciò fedel testimonio de’ fatti che ci racconta. Solo dobbiam dolerci che di questa pregevole Storia si sia smarrito il principio e il fine. Ella è stata per la prima volta data in luce dal Muratori (l. cit). XL. Così in questo secolo, a cui per qualche riguardo diamo ancora senza ragione il nome di barbaro, ebbe l’Italia un sì gran numero di storici, e molti di essi pregevoli e valorosi , che sembra quasi impossibile che fra tanto strepito di dissensioni c d’anni si [p. 667 modifica]SECONDO 667 potesse pure scrivere tanto. E mi si permetta di far qui una riflessione assai gloriosa all’Italia; cioè che non troverassi per avventura alcun1 altra provincia che possa produrne un numero non che uguale, ma che pur gli si accosti. Anzi veggiamo che gli stranieri medesimi talvolta sono costretti a ricorrere ai nostri storici per sapere le cose avvenute ne’ lor paesi , di cui essi non hanno avuti che pochi, o poco esatti scrittori. Ma tempo è di chiuder la serie de’ nostri storici col favellare di due che rischiararon co’ loro libri la storia straniera. E sia la prima una donna che nata in Italia passò in Francia ad essere oggetto di maraviglia a quella corte e a quel regno , di cui anche illustrò la storia scrivendo. Parlo della celebre Cristina da Pizzano, donna poco nota in Italia, a cui pure accrebbe non poco onore, e di cui perciò ragion vuole che rinnoviamo , quanto è possibile , la memoria. XLI. Il primo a darci un diligente ragguaglio della vita di Cristina fu M. Boivin il Cadetto, che fin dall’anno 1736 ne pubblicò la Vita (Mém. de V A e ad. des Inscr, t 2, p. 704) tratta singolarmente dalle opere così stampate come manoscritte da lei medesima. Il Marchand ne ha formato un articolo nel suo Dizionario (t. 2, p. 146), in cui ragiona principalmente dell’opere da lei composte; ove però io mi stupisco che ei non faccia menzione alcuna della Memoria di M. Boivin pubblicata tanti anni prima. Già abbiam parlato di Tommaso padre di Cristina , e abbiam veduto come egli, invitato in Francia dal re Carlo V. fu poi costretto a [p. 668 modifica]G68 LIBRO trasportarvi ancora la figlia, il che avvenne, come afferma l’abate le Beuf, scrittore egli pur di un Compendio della Vita di Cristina (Diss. sur l’Hist de Paris t, 3, p. 90), nel 1368. Cristina giovinetta di quattordici anni fu ivi data a marito a Stefano du Castel nobile e savio giovane di Piccardia, il quale ebbe tosto la carica di notaio e segretario del re Carlo V. Ma poichè questo re. gran protettore e benefattore di Tommaso, fu morto, questi ancora, ormai poco curato , morì fra non molto; e quindi a pochi anni anche il marito di Cristina finì di vivere, lasciando la giovane vedova in età di venticinque anni carica di tre figli, e priva di quegli ajuti che dal padre e dal marito avea finallor ricevuti. Ella si vide allora avvolta in molestissime liti, per cui le convenne aggirarsi spesso da un tribunale all1 altro, senza mai ottenere quelle provvide disposizioni che le parevan dovute. Annojata per ultimo di sì penose sollecitudini, cercò un dolce e onorato sollievo nello studio delle belle lettere, e vi fece tali progressi, che pochi uomini allora vi avea , che le si potessero paragonare. Udiamo da lei medesima qual metodo nei suoi studj seguisse, e quanto in essi coraggiosamente s’inoltrasse , Ains, dice ella in una sua opera citata da M. Boivin, me pris aux histoires anciennes des commencemens du monde; les histoires des Ebrieux, des Assiriens, et de principes de signouries procedant de l’une en l’autre, dessendant aux Romains, des François, des Bretons, et autres plusieurs Historiographes; après aux deductions des Sciences, selon ce que en l’espace du temps que y [p. 669 modifica]secondo GCxj estudiai en pos comprendre: puis me prix aux livres de Poetes. Ed essa era fornita di quelle cognizioni che a questi studi erano necessarie; perciocchè non solo sapeva il latino, ma il greco ancora, come da’ versi di un antico poeta francese, che le fu quasi contemporaneo, pruova M. Marchand, e poté quindi più agevolmente penetrar dentro a cotali studj, e leggere con non poco vantaggio i classici autori. XL1I. Così addestratasi non solo ad apprendere , ma a dar saggio ancora di ciò che avea appreso, cominciò l’an 1399 a scriver de’ libri, e in una sua opera composta l’an 1405 ella dice, che finallora avea scritti quindici non piccioli volumi. Le prime opere eli’ ella pubblicò, furono poesie ed altri scherzevoli componimenti , de’ quali alcuni si valsero per calunniarla malignamente, come ella stessa si duole. Ma presso i saggi ella venne in altissima stima. Il conte di Salisbury venuto l’an 1398 in Francia, per le nozze di Riccardo suo re con Isabella figlia del re Carlo VI, fu talmente preso da’ versi di Cristina, che volle, tornando alla patria, condurne seco l’unico figlio che le era rimasto. Quindi non molto dopo, gittato dal trono Riccardo e ucciso il conte, Arrigo di Lancaster usurpatore del regno, avendo letti ed ammirati egli pure i versi di Cristina, non solo era pronto per ritenerne onorevolmente il figlio, ma lei ancora fe’ invitare caldamente a passarsene in Inghilterra. Ebbe al medesimo tempo le più ampie offerte da Giangaleazzo Visconti duca di Milano, che invitavala alla sua corte. Ma ella non volle abbandonar la Francia, ove [p. 670 modifica]67O LIBRO lece tornare suo figlio ancora. Godeva ella della protezione di Filippo duca di Borgogna, il quale aveane preso a suo servigio il figliuolo, e manteneva onoratamente la madre. Ma questo appoggio ancora presto le venne meno; ed ella per poco non trovossi di nuovo ridotta a povertà. Ne’ Registri della Camera de’ Conti, all’anno 1411, trovasi menzione di una somma di duecento lire a lei accordata in ricompensa de’ fedeli servigi da Tommaso suo padre renduti al re Carlo V. Ma forse questa ancora le fu contrastata , poichè ella continuamente si duole delle liti ch’era costretta a sostenere per godere de’ suoi diritti. Dopo il detto anno 1411 non trovasi più di Cristina memoria alcuna, e forse le venne affrettata la morte dalle molestie e da’ disagi a cui fu sottoposta. Di tutte le (quali cose da me accennate si posson vedere le pruove tratte dall’opere di Cristina presso il suddetto M. Boivin. I Francesi non han lasciato di parlarne con grandissimi elogi. alcuni de’ quali sono stati riportati dal Marchand; e fra essi il più luminoso è quello di Gabriello Naudè, il (quale avea pensiero di pubblicarne le opere; ma egli non eseguì il suo disegno. Alcune però se ne hanno alle stampe; e la più pregevole è quella che il mentovato abate le Beuf ha data alla luce (l. cit), cioè la Vita di Carlo V, re di Francia, da lei scritta nell’antica lingua francese in cui scrisse tutte le sue opere. Un codice a penna ne ha ancora questa biblioteca Estense. Abbiamo ancora le Tresor de la Citò desDames stampato a Parigi nel {Debure Iìibliogr. Belles Lettres t. 2, p. 166), [p. 671 modifica]SECONDO ClH I iu cui ella vien narrando più fatti tratti dalle antiche e dalle moderne Storie ad istruzione delle dame; e les Cent Histories des Troyes, avec T F pitre de Othea Deesse de prudence 7 envoyée à T esprit chevalereux <1 Hector de Troyes, mises en rime Françoise, di cui si citano due edizioni (ib. p. 179, et Supplém. t. 1, p. oltre qualche opera pure stampata, e assai più manoscritte, delle quali veggasi il catalogo presso M. Boivin, e assai più minutamente presso il Marchand. Di due opere di Cristina ci ha dati due estratti V ab. Sallier (Mém, de l’Acad. des Inscr. t 17, p. 515), cioè dell’Epistola d’Othea , e d’un libro intitolato: le Debat, de deux amans; ma ei non ha avvertito che la prima era stampata, e non già solo, come egli ha creduto, conservata ne’ codici a penna. XLHL La Giudea ancora ebbe in Italia di questi tempi non solo uno storico, ma ancora un fervido zelatore della sua liberazione dalle mani degl’Infedeli. Ei fu Marino Sanuto nobile veneto soprannomato Torsello, intorno al qual soprannome molti sogni sono stati scritti da’ molti singolarmente Oltramontani, di che veggansi i due chiarissimi scrittori della veneziana Letteratura , il doge Foscarini (Letterat. venez. p. 343, ec.) e il P. degli Agostini (Scritt venez. t. 1, p. 44!)> c^,e con molta esattezza han parlato di questo scrittore. Egli ben cinque volte fece il viaggio di Oriente, e visitò l’Armenia, l’Egitto, l’isole di Cipro e di Rodi, ed altre circostanti provincie. Quindi, venuto a Venezia, scrisse la sua opera divisa in tre libri e intitolata: Liber Secretorum Fidelium Crucis , in [p. 672 modifica]Gj2 LIBRO cui descrive esattamente tutte quelle provincie, e i costumi degli abitanti, narra le vicende a cui erano state soggette, le guerre che per toglierle di mano agli Infedeli si erano intraprese, il cattivo successo eli esse aveano avuto, ne esamina le ragioni e propone i mezzi a suo parer più opportuni per tentarle con esito più felice. Compiuto il suo lavoro , Marino si diede a viaggiar per l’Europa, e si fece innanzi a più principi per indurgli a questa impresa che tanto stavagli a cuore. Offrì il suo libro fra gli altri al pontefice Giovanni XXII, F anno i32i in Avignone, insieme con quattro mappe che ponevan sott’occhio i paesi da lui descritti. Scrisse ancora a questo fine più lettere a ragguardevoli personaggi. Ma tutto fu inutile; nè il Sanuto vide alcun effetto delle sue sollecitudini e fatiche. L’abate Fleury attribuisce a motivi politici anzi che a vero zelo l’ardor del Sanuto per la ricuperazione di Terra Santa (Hist. eccl, t. 18, discours prél. n. 13). Ma il ch. Foscarini ha confutato ad evidenza un tal sentimento (l. cit. p. 345, nota 19). Dalle lettere da lui scritte raccogliesi che ei visse almeno fino al 1329; ma non si sa se ei vivesse ancora più oltre. L’opera mentovata insiem colle lettere fu pubblicata da Jacopo Bongarsio (Gesta Dei per Francos t. 2), il quale ne ebbe dal senato veneto in ricompensa un dono di trecento scudi, come ricavasi dal decreto perciò formato a’ 15 di gennajo del 1612 (Agostini, l. cit. p. 444)* L’opera del Sanuto, in ciò che spetta a’ suoi tempi e alle cose da lui stesso vedute, è sempre stata ed è tuttora in gran pregio per [p. 673 modifica]SECONDO 6^3 le notizie che ci somministra; e degno è singolarmente di riflessione ciò che avverte il ch. Foscarini (l. cit p. 417 nota 269) che il primo libro di essa può dirsi un pieno trattato intorno al commercio e le navigazioni di quelV età , e anche di più antico tempo. XLIV. Potrebbe qui ancora aver luogo Fazio degli Uberti che scrisse un trattato di Geografia. Ma poichè egli lo scrisse in versi, e nel poetare singolarmente egli ottenne fama, ci riserbiamo a parlarne ove ragioneremo della poesia italiana. Alla geografia parimente appartengono l’opera del Boccaccio da noi già accennata, de’ nomi dell’Isole, de’ Fiumi ec., e un’altra assai più ampia, ma inedita, di Domenico di Silvestro su tutte l’Isole del mare. Ma dell’autore di essa ragioneremo trattando de’ poeti latini; e qui frattanto facciam fine al presente libro, per passar nel seguente a più lieto e all’Italia ancor più glorioso argomento di Storia. \