Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo V/Libro II/Capo III

Capo III – Medicina

../Capo II ../Capo IV IncludiIntestazione 9 marzo 2019 25% Da definire

Libro II - Capo II Libro II - Capo IV

[p. 361 modifica]SECONDO 361 Capo ìli. Medicina. I. Era stato fecondo il secolo precedente di c non pochi medici che arcano illustrala seri- •««pr.-*™, dei vendo l’arte lor propria, ed esercitandola aveano radunate non poche ricchezze. Molti pur ne ebbe il secolo di cui scriviamo, nel quale la medicina fece nuovi progressi, singolarmente per la maggior luce a cui fu condotta l anotomia. Ma sembra esser destino di questa per altro sì nobile scienza l’aver potenti nemici che se non contro di essa, almen contro di quelli che la professano, rivolgono il loro ingegno e tutta la loro autorità. Catone e Plinio erano stati a’ loro tempi persecutori, per così dire, implacabili de’ medici ancor più famosi, ed essi eran uomini che per la stima di cui godevano, a cagione del lor sapere, potevano agevolmente condurre molti nel lor partito. In questo secolo parimente videro i medici levarsi contro di loro il più grand’uomo che a que’ giorni vivesse, dico il Petrarca. Non v’ebbe per avventura giammai chi tanto si compiacesse di motteggiarli e deriderli ad ogni occasione5 e negli ultimi anni di sua vita principalmente. quando pareva ch’ei dovesse rendersegli amici , appena scriveva lettera in cui non si ridesse di loro. Convien però confessare, a difesa de’ medici, che un po’ di passione concorse a risvegliare nell’animo del Petrarca quell’odio, o almen quel disprezzo in cui gli avea. Racconta egli v [p. 362 modifica]362 LIBRO stesso, scrivendo a Francesco da Siena medico allor famoso (Senil. l. 15, ep. 3), che essendo infermo il pontefice Clemente VI, egli gli mandò dicendo che si guardasse da’ medici, non già da tutti, ma da molti, e si ricordasse di colui che sul suo sepolcro avea fatto incidere: La moltitudine de’ Medici mi ha ucciso; che perciò ne scegliesse non due, ma un solo, non già eloquente, ma dotto e fedele. Il messo che portò al pontefice questa ambasciata, non essendosi spiegato troppo felicemente, Clemente fe’ pregare il Petrarca che gli sponesse in iscritto ciò che aveagli fatto significare con parole. Il Petrarca ubbidì, e scrisse ne’ medesimi sentimenti al pontefice. Il medico del papa, al veder quella lettera, fremette di sdegno e fece un’amara risposta al Petrarca, il quale allora compose e divolgò i quattro libri d’invettive Contro di un Medico, che ancor abbiamo, ne’ quali egli raccoglie quanto contro dei medici si può mai dire, con uno stile ch’io certo non proporrò per esempio di filosofica moderazione (a). D’allora in poi i medici furono un oggetto troppo spiacevole al Petrarca, il quale benchè si protesti sovente, a imitazione di Plinio , ch’ei non intenda di biasimare nè la medicina nè i veri medici, ma solo i falsi, mostra però abbastanza di esser persuaso che non vi abbia nè medico nè medicina a cui convenga fidarsi. (a) Egli è lo stesso medico del papa , contro cui inveisce il Petrarca. Ma chi fosse questi tra molti medici che avea Clemente VI, non può accertarsi. L’ab. de Sade sospetta eh’ei fosse il celebre Guido de Chauliac. [p. 363 modifica]SECONDO 363 11. Degna, fra le altre, d’essere letta, se pure i medici cel permettono, è una sua lunghissimatt,,uu* II» • n 1 ir* / • • re ,i,‘° M~ lettera al Boccaccio (Senil. l. 5, ep. 4)> ni cui descrive la vanità e la pompa con cui uscivano in pubblico i medici di quella età, con vesti di porpora, con anelli preziosi, con isproni dorati; e scherzando dice che poco vi manca che essi non giungano al solenne onor del trionfo; poichè egli è vero, soggiugne, che pochi vi son tra essi che si possan vantare di aver uccisi cinque mila uomini, quanti se ne richiedevano a ottenere il trionfo, ma ciò che manca al numero, vien dalla qualità compensato, perciocchè allor si uccidevano i nemici, or si uccidono i cittadini; gli uccisori allora erano armati, or sono in toga. Quindi dopo aver proseguito a ridersi delle loro, come ei le chiama, imposture, narra ciò ch’egli stesso avea udito dire da tre medici a que’ tempi assai celebri, uno de’ quali aveagli confessato sinceramente che se cento o mille uomini della stessa età e della medesima complessione fosser sorpresi dalla medesima malattia, e la metà di essi si valesse de’ medici, quali erano a que’ tempi, l’altra si curasse da se medesima, egli credeva di certo che assai più di questi secondi l’avrebbon campata. Un altro interrogato di lui perchè non usasse egli dei cibi che prescriveva agli altri, aveagli risposto che se il viver del medico fosse somigliante a’ suoi consigli, o i suoi consigli al suo vivere, ne perderebbe o la sanità, o il denaro. Il terzo finalmente, di cui dice gran lodi, richiesto da lui medesimo perchè non esercitasse egli ancora la medicina, [p. 364 modifica]364 L1BR0 risposcgli ch’ei non era sì empio che volesse* ingannare il volgo con un’arte così fallace. Leggiadro ancora è il fatto che nella stessa lettera egli racconta di un vecchio medico della Valesia, chiamato da Galeazzo Visconti a Milano, perchè il guarisse dalla podagra, colla promessa di 3500 scudi d’oro, oltre le spese del viaggio ed un magnifico ricevimento. Quel primo giorno, dice , in cui egli arrivò a Milano, io stava cenando con Galeazzo; quando un corriere spedito innanzi diè avviso en egli era giunto, Galeazzo rallegrossene al sommo, e comandò che se gli andasse subito incontro, e che fosse ricevuto, com egli costuma, con allegrezza e con pompa. Si mandarono innanzi cortigiani, servidori e cavalli, e un destriero su cui egli dovea montare, da me stesso provato altre volte, più bianco della neve, più agil de’ venti, più mansueto di un agnello, più franco di un montone. Su questo il tedesco Galeno entrò in Milano con gran concorso del popolo che il mirava con maraviglia, e sperava omai di veder risorgere i morti. Già egli, per suo messo spedito innanzi, avea, con autorità da medico, ordinato che si tenesser pronte ova fresche, e non so quali altre cose per farne, come soglion costoro, un beveraggio all infermo. All udir ciò, tutti stupirono; e alcuni il credevano un uom divino; ma io mi stomacai al vedere la temerità di costui che a un tal infermo non mai da lui veduto prescriveva così a caso i rimedj. Essendo io frattanto tornato a Pavia, non so che si facesse egli, o che comandasse ne’ dì seguenti. Ben so che poco appresso cominciò [p. 365 modifica]SECONDO 365 Galeazza a star peggio del solito, e non molto dopo colui, perduta omai o la speranza di risanarlo, o la impudenza di prometterla, disse che non poteasi coiP arte far ciò ch’egli avea pensato; e che invece conveniva cercare certi libri magici di ei chiama sacri, poiché in questi era riposta l ultima speranza di guarigione. Questi ora si stan cercando non so in qual parte, e forse nol sa egli stesso; ma la speranza di tutti, e singolarmente di Galeazzo, è omai svanita. Così quella gran fama e quella strana aspettazione e quella immatura sollecitudine di aver rimedi è finalmente andata a terminare in magia. ni. Un uomo che tante pruove avea vedute p ,n- ( dell1 incertezza dell’arte e del poco sapere de’ n <:* >» ■« medici de’ suoi giorni, era ben degno di scusa, i^gno™se faceasene beffe. E molto più ch’egli ebbe a‘Jfarne la sperienza in se stesso Udiamolo qui ancora colle sue proprie parole, tradotte in italiano, narrare ciò che gli avvenne; poichè egli ne’ suoi racconti ha una tal grazia sua propria, che sempre leggonsi con piacere. Agli otto di maggio, scrive egli, in una sua lettera dell’an 1370, a Pandolfo Malatesta (Senil. I. i 3, ep. 8), mi sorprese una violentissima febbre che mi è omai famigliare. Accorsero i medici sì per comando del padrone (Francesco da Carrara), sì per la loro amicizia. Dopo aver lungamente, secondo il costume, conteso insieme, diffinirono che a mezza notte io sarei morto, e la notte era già cominciata. Tu vedi quanto poco di vita mi rimaneva,.se era vero ciò che sognavano questi nostri Ippocrati. Ma io sempre più mi [p. 366 modifica]366 confermo nell opinione che ho formata di loro. Dissero che il solo rimedio a prolungare un pocolino la vita, era lo stringermi con certe cordicelle per impedirmi il sonno y e che in tal modo sarei giunto forse all’aurora: prezzo troppo spiacevole di sì poco acquisto: mentre al contrario era certo che il togliermi in quello stato il sonno era lo stesso che il darmi la morte. Non furon dunque eseguiti i lor comandi; perciocohè io ho sempre pregati gli amici, e ho comandato a’ servi, che non si faccia mai sul mio corpo ciò che comandino i medici, e che se convien pure far qualche cosa, si faccia tutto il contrario. Quindi io passai quella notte in un dolce e profondo sonno, e somigliante, come dice Virgilio, a una placida morte. Che più? Io che a mezza notte dovea morire, al tornare che alla mattina fecero i medici, forse per assistere al mio funerale, me ne stava scrivendo; ed essi, attoniti al vedermi, non ebber altro che dire, se non che io era un uomo maraviglioso. Ciò che qui narra il Petrarca avvenutogli in quel giorno, in un’altra lettera, scritta l’anno seguente al cardinale Filippo di Cabassole (ib. l 14; ep \\)y dice che più di dieci volte nel corso de’ due ultimi anni eragli avvenuto. E non è perciò maraviglia che un uomo il quale viveva, per così dire, a dispetto de’ medici, si ridesse di essi non meno che de’ lor consigli e delle lor medicine. IV IV. E veramente, non ostante lo studio e le de» c“K’ff °pere di molti medici del secolo precedente, li. i i>r<>Rre«ji era ancor nascente la medicina, e troppo era deu mcd.- jungj ayer que’ principj determinati e sicuri [p. 367 modifica]SECONDO JO7 ohe solo dopo una lunghissima esperienza si son fissati, e da’ quali ciò non ostante non si deducono sempre conseguenze troppo sicure. Gli Arabi erano ancora in gran pregio; e appena credevasi che si potesse altronde che da essi apprendere la medicina j e gravissimo fallo sembrava il dipartirsi punto da essi. Io ti prego di grazia, scrive il Petrarca a Giovanni Dondi (Senil. l. 12, ep. 2) che, benchè medico, gli era amicissimo, che in tutto ciò che a me ap~ partiene, non ti valga punto di cotesti tuoi Arabi. Io gli ho tutti in odio. So che sono stati tra’ Greci dottissimi ed eloquentissimi uomini.; molti filosofi molti poeti, grandi oratori, insigni matematici di colà ci sono venuti, e ivi son nati i primi padri dell arte medica. Ma quai sieno i medici arabi, tu bene il sai. Io so qual sono i poeti. Non vi ha cosa più di essi tenera, più molle, più snervata, più oscena; e benchè diverse sono le inclinazioni degli uomini, in tutti essi pero si scorge, come tu stesso dici, l’indole loro propria. Che più? Appena posso persuadermi che dall’Arabia ci possa venire cosa alcuna di buono. E voi nondimeno, uomini dotti, per non so qual debolezza gli encomiate con grandi, e, a mio parere, non meritate lodi. Quindi, dopo aver riferito un detto di Giovanni canonico di Parma e medico, il quale avea affermato che ancorchè un Italiano fosse uguale ad Ippocrate nel sapere, non avrebbe potuto scrivere di medicina, se non era o greco, o arabo, e dopo mostrata l’insolenza e la sciocchezza di tale proposizione, ahi strano sconvolgimento di cose! [p. 368 modifica]368 LIBRO esclama, ahi ingegni italiani o addormentati, o estinti! A me spiace singolarmente che il tuo ingegno fra tali angustie si stia ristretto. Al danno che a’ medici italiani veniva dall’esser troppo ciechi adoratori degli Arabi, aggiugne- J \asi l’essere in questo secolo venuta meno la più celebre scuola di medicina che già fosse 1 tra essi, dico quella di Salerno. Egli è lo stesso Petrarca che lo accenna, ove descrivendo il viaggio di Terra Santa, e parlando del regno di Napoli, dice: Salernum videbis et Silarim: J fuisse hic medicinaefontemfama est; sed nihil ] est, quod non senio exarescat (Itin. syr. t. 1 ejus Op. p. 622). Le quali parole ci mostrano I ch’era già molto tempo che quella scuola era I ben lungi dall’aver più quel grido di cui per I molti secoli avea goduto. Nelle università d’I- 1 talia insegnavasi certamente la medicina, come 1 ora vedremo: ma, ciò non ostante, pareva a | molti che a ben apprenderla convenisse re-M carsi in Francia. Veggiamo in fatti che Ubertin fl da Carrara, signor di Padova, fatti sceglier fra 1 tutti dodici giovani padovani che mostrasser o più vivo e più acuto ingegno, e fornitili di tutto ciò che era lor necessario, mandolli a Parigi perchè vi apprendessero la medicina J (Verger. Vit.Princip. Carrar. vol 16, Script. Rer. * ital. p. 168). Così gl’italiani, dopo aver essi i primi richiamate a vita le scienze, cominciavano fin d’allora a pensare che a divenir dotti fosse lor necessario farsi discepoli degli stra- ’ nieri, de’ quali erano già stati maestri. Ciò non ostante non fu priva l’Italia di medici che a quei tempi per poco non sembraron divini; e [p. 369 modifica]SECONDO 3 6<) noi verremo qui, secondo il nostro costume, ragionando partitamente di quelli che ottennero maggior fama. V. E sia il primo quel Dino di cui abbiam fatta menzione parlando di Cecco d’Ascoli. Filippo Villani ne ha scritta la Vita, dandogli luogo tra gli uomini illustri fiorentini. Ma assai scarse son le notizie ch’ei ce ne ha tramandate. Dino, secondo il Villani, nacque in Firenze da Buono, o, come si legge in altri codici, da Bruno famoso chirurgo; e perciò alcuni han creduto ch’ei fosse figlio di quel Bruno chirurgo dello scorso secolo, di cui abbiam altrove parlato. Ma ivi appunto abbiam dimostrato che quel Bruno fu calabrese di patria, e che niuna relazione ebbe con Dino. Questi, prosiegue il Villani, secondo la traduzione italiana pubblicata dal co. Mazzucchelli (Vite d’ill Fior. /). a cui è conforme l’originale latino dato in luce dall’ab. Mehus (Vita Ambr. camald, p. i (>/j), si dette allo studio in Bologna (poco innanzi avea detto che ebbe a maestro il famoso Taddeo), ove nell arti liberali della filosofia e nella dottrina di medicina tanto valse, che di volontà di tutto V universale studio fu promosso alla cattedra; e avendo già lungo tempo con famoso nome insegnata la medicina, ingiuriato dalla invidia de’ dottori di Bologna, se ne andò a Siena, e quivi lesse; ma richiamato da’ Bolognesi non volle tornare. Questo è ciò che della Vita di Dino ne racconta il Villani; e noi dobbiam procurare di rinvenirne, se sia possibile, qualche più esatta notizia. L’ab. de Sade afferma, senza recarne pruova di sorte alcuna (Mém. pour la vie Tuiaboschi, Voi V\ v. INuliiie di Diiiu del Garbo: »uo sn^ionio ili duglia c in Sìcuj. [p. 370 modifica]3^0 LIBRO de Petr. t. i, p. 4^)? che Dino era stato qualche tempo in Avignone, e che ivi avea gareggiato con Cecco d’Ascoli. Ma come abbiamo già mostrato che Cecco probabilmente non vide mai Avignone, così lo stesso possiam dire di Dino, di cui non vi ha chi afferma che ponesse il piè fuor d’Italia, se non qualche autore troppo da lui lontano. In qual tempo cominciasse egli a tenere scuola in Bologna, si raccoglie dal titolo da lui premesso al suo Dilucidatorio sopra Avi- I cenila , che altrove abbiam rammentato, in cui dice ch’ei gli diede principio l’anno i3i i, ch’era il vi anno di sua lettura: Quam ego Dinus de Florentia ine cpi componere ciun le gì B ononide anno vi meae lecturae mcccxi. « Ma a ben intendere questo passo, convien osservarne un altro, cioè il proemio da lui premesso al suo comento sopra una parte del quarto canone ■ d’Avicenna, in cui egli rende più esatto conto I de’ primi suoi anni. Studueramus Bononiae, dice ivi Dino , uno anno in scientia medicinae, deinde propter guerram, quae tunc Bononiae erat (cioè per quella che fece a’ Bolognesi, dal 1296 al 1299, il march. Azzo d’Este) recessimus et adhaesimus patri, etc. Reversi sumus ad Studium Bononiae (cioè circa il i3oo)j studuimus continue quattor annos in scientia Medicinae; in quarto vero anno Dei gratia mihi concedente fuimus doctorati in ista scientia, ac legimus duo bus annis. Postmodum vero quam fuit privatum Studium Bononiae, coacti recessimus a Studio illo, et venimus ad Civitatem Senarum, et venimus ibi ad salarium vocati Da questo passo veggiamo che Dino, dopo aver [p. 371 modifica]SECONDO 3*71 per due anni tenuta scuola in Bologna, ne partì l’-anno 1306, a cagione dell’interdetto che contro quella città fu fulminato in quell’anno; e che allora passò a Siena, ove benchè non fosse ancora Studio generale, doveano essere nondimeno alcune scuole. Ei dovette poscia tornare l’anno 1308 a Bologna, e perciò dice che l’anno 1311 era il vi di sua lettura, comprendendo que’ due anni ne’ quali vi avea insegnato prima di andare a Siena ». Al fine del Dilucidatorio aggiugne che chiamato a riformar lo Studio di Padova , ivi continuò quell’opera, e che quindi per l’infelice stato a cui era condotta quella città, costretto a partirne, tornò a Firenze; e ivi l’anno 1319) le diè compimento. Deinde vero vocatus ad Studium reparandum a Communi Paduae, ibi legens hoc opus reincepi et processi... et tunc quidem propter malum statum Civitatis Paduae Florentiae redii, et rassumens hoc opus Florentiae... terminavi... et completum est hoc opus a me anno Christi 1319 die 25 mensis Novembris. Io credo pertanto che Dino fosse chiamato a Padova l’anno 1313, allor quando morto Arrigo VII, nimico de’ Padovani, e che avea interdetto, benché, come io credo, senza effetto , la loro università, essi probabilmente presero la opportuna occasione per condurla a stato sempre migliore, e chiamaron perciò un uomo di tale fama, che col suo nome le accrescesse non poco lustro. VI. Il Villani parla soltanto dell’andata di vi. Dino a Siena, e non (fa motto di quella eh1 ei acl[’»“‘ fece a Padova, che pure è certissima per te-dovastimonianza del medesimo Dino. Questi inoltre [p. 372 modifica]3^2 LIBRO arreca a motivo del suo partir da Bologna l’invito avutone da’ Padovani. E Villani al contrario l’attribuisce all’invidia de’ dottori bolognesi. E forse l’uno e l’altro motivo poterono indurre Dino a lasciare Bologna. Ma il Villani stesso nella Vita, che siegue immediatamente a questa, di Torrigiano medico, esso pur celebre a questi tempi, ne porta un’assai diversa ragione. Narra egli adunque (Vite. d’ill. Fior. p. 51) che Torrigiano, il quale giunto a vecchiezza renduto erasi religioso, essendo morto, due suoi confratelli, per ordin di lui avutone, presi seco un’opera da lui stesso composta, recaronla a Bologna, perchè in quello Studio si divolgasse; che avendo essi scoperto il lor disegno a Dino, questi li guadagnò con danaro, sicchè, senza far motto ad altri, a lui solo confidasser quel libro; eli’ egli giovandosi di esso e spacciando quali sue le maravigliose scoperte di Torrigiano, giunse a tal nome, che le scuole degli altri rimaser deserte; ch’essi venuti in sospetto fecero spiare per modo, che si scoperse l’inganno e l’impostura di Dino; e che questi per vergogna passò a Siena. Io non trovo chi su questo racconto abbia mossa difficoltà. Ma certo esso a me sembra assai poco probabile. Lasciamo stare che lui uomo manifestatosi sì solenne impostore non sarebbe stato con sì grandi istanze richiesto da altre università, ed anche richiamato a Bologna, ove da Siena tornò. Lasciamo stare ancora che le opere di Dino sono più celebri e più pregiate che quelle di Torrigiano. Il fatto stesso, qual raccontasi dal Villani, ha tai circostanze che ce ne mostrano la [p. 373 modifica]secondo 3*3 falsità. Ei dice che nel medesimo tempo che Dino teneva scuola in Bologna, Torrigiano la teneva in Parigi, e che amendue erano stati scolari di Taddeo; e quindi la lettura di Torrigiano in Parigi deesi (fissare tra l’anno 1306 e il 1313 in circa. Dice ancora il Villani che Torrigiano tenne la cattedra ed esercitò la medicina per lungo tempo, e supponiamo che con queste parole intenda solo lo spazio di otto, o dieci anni; che poscia, essendo già vecchio e pieno di dì, cominciò a studiare la teologia; che poi si fece religioso, e vi divenne maestro nella medesima scienza, e che finalmente essendo già di età decrepita morì. Or Dino, come abbiam veduto, partì da Bologna l’anno 1313, nè più vi fece ritorno. Come dunque si può asserire che Torrigiano, dopo tutte le cose che di lui ha narrate il Villani, in quell’anno fosse già decrepito e morto? Questa sola riflessione a me sembra bastante perchè si rigetti qual favoloso tutto questo racconto. VII. Dopo un breve soggiorno in Padova , Dino, mal soddisfatto dello stato di quella città, tornossene in patria, ove era, come abbiam veduto, l’an 1319). E questo fu appunto l’anno in cui Albertino Mussato inviato da’ Padovani a Firenze, e caduto infermo, narra di essere stato da lui visitato. Egli indica chiaramente il suddetto anno. Quum deciminoni cultum susceperet anni \ irgo Dei genetrix. elapsis mille trecentis. Inter ejus Op. ad calc. t. 6, par. 2 Thesaur. Antiq. Ital. p. 63. Quindi, dopo aver descritta la malattia da cui VII. Suo ritorno a Firenze I tua morte «J me opere. [p. 374 modifica]3^4 LIBRO fu preso in viaggio, c il riceverlo che fece cortesemente il vescovo di Firenze, prosieguo: A d veni un t Medici duo , quorum junior alter Dinus forma alacris , vultu quoque amabilis ipso; Praetereo laudes. L’anno seguente fu nuovamente inviato allo Studio di Siena, e abbiam già altrove recato il passo in cui egli racconta che molti degli scolari dell’università di Bologna, che in quelT anno si era disciolta, vennero a udirlo. Ma questo Studio ancora non ebbe lunga durata, e l’anno 1325 Dino era di nuovo ritornato a Firenze; perciocchè egli così conchiude la sua sposizione sul secondo canone d’Avicenna. Et finita est... anno Chris ti i325 die 27 mensis Octobris, quam ego Dinus de Florentia minimus inter Medicos Doctores incepi cum viguit Studium in Cini tate Senarum, et hanc partem Avicennae ibi in cathedra legi. Sed eain compievi, qui ir u Fiorenti am redii propter illius studii diminutionem et annihilationem. Il celebre dottor Lami avendo trovato che un Dino Salomoni del Garbo fu prigionier de’ Lucchesi nella rotta dell’Altopascio l’anno 1325, ebbe qualche sospetto che questi fosse il medico Dino (Nov. letter. 1718, p. 250). Ma essendo quella battaglia accaduta a’ 23 di settembre (Gio. Villani, l 9, ep. 304), se il nostro Dino fosse caduto in man de’ Lucchesi che per lungo tempo seguirono a guerreggiare co’ Fiorentini, egli non avrebbe certamente potuto compire la mentovata sua opera in Firenze a’ 27 di ottobre dell’anno stesso.# Filippo Villani conchiude dicendo che Dino già vecchio morì a [p. 375 modifica]SECONDO 375 Firenze, e nella chiesa de’ Frati Minori fu seppellito in rilevato monumento. Ma della morte di Dino abbiamo più precisa notizia presso Giovanni Villani, il quale ne fa insieme un magnifico elogio, dicendo (l. 10 c. 40): Nel detto tempo (nel 1327) a dì 30 Settembre morì in Firenze Maestro Dino del Garbo grandissimo Dottore in Fisica et in più, scienzie naturali et Filosofiche; il quale al suo tempo fu il migliore e più sovrano Medico, che fosse in Italia; et più nobili libri fece a richiesta, et intitolati per lo Re Roberto; et questo Maestro Dino fu grande cagione della morte del sopraddetto Checco (d’A scol i).... et molti dicono, che ’l fece per invidia. Dino ci ha lasciate alcune sue opere che sono singolarmente sposizioni su qualche parte de’ libri di Avicenna $ un Comento sul libro d’Ippocrate della Natura del feto, un’Epistola sulla cena e sul pranzo, un Trattato di Chirurgia, e una dichiarazione della famosa Canzon d’amore di Guido Cavalcanti. Intorno alle quali e ad altre opere, e alle loro edizioni, veggansi il Fabricio (Bibl. med. et infi Latin, t. 2 , p. 30) e il co. Mazzucchelli nelle sue note al Villani. Questi ci ha ancora descritto il carattere morale di Dino: Fu questo uomo. come da quelli che il conobbero, ho udito, di tanta considerazione e di tanto astratta natura, che spesse volte addormentati di fuori i sensi♦ quasi estatico pareva che si trovasse. Era spesse volte usato sedere in sull’uscio della camera sua, e r uno ginocchio sopra V altro ponendo, quasi un giuoco di fanciulli, velocissimamente girare una stella di sprone, intanto che si stimava [p. 376 modifica]3^6 LIBRO che con Z1 animo fosse altrove. Fu d ingegno altissimo e di sottilissimo acume, di vita ornata , culto filosofo , umano, allegro nella visitazione degl’infermi’ , altrimenti severo cercatore di segreti, e dell’ozio desideroso; nientedimeno a ciascuno caro e accetto. Il qual carattere mi fa dubitare che quel Dino di cui il Petrarca riferisce due ingegnosi e pungenti motti (Rer. memor. l. 2, c. 3, 4? Op. t. 1, p. 4>4? 4^°)> non sia quel desso di cui noi ragioniamo, vi». Vili. Più scarse ancora son le notizie che ’iwis.:....1. abbiamo di Torrigiano medico fiorentino di queCorent.no. gt0 secoi medesimo da noi rammentato poc’anzi. Questi, dice Filippo Villani che ne ha scritta la Vita (Vite d ili. Fior. p. 49? ec.), nacque nella Vigna di S. Procolo, donde anche nacqui io, della casa dei Rustichelli, la quale oggi in Valori e Torrigiani è divisa. Quindi soggiugne che recatosi agli studi in Bologna, passò poscia a Parigi, e vi tenne per lungo tempo la cattedra di medicina, nel tempo medesimo che Dino teneala in Bologna*, e ivi aiutato dall alto e acutissimo suo ingegno, del quale era mirabilmente dotato, scrisse un Comento sull’Arte piccola di Galeno, il quale ebbe l’onore di essere appellato più che Comento, e di ottenere al suo autore il nome di più che Comentatore. Io non trovo tra gli storici dell’università di Parigi menzione alcuna di questo professore italiano, se pur ei non è quel Pietro di Firenze professor di medicina l’anno 1325, nominato dal du Boulay (Hist. Univ. Paris, t. 4, p. 982); ma ciò non basta a negare ciò che narra il Villani. Si ha alle stampe l’opera mentovata da [p. 377 modifica]SECONDO 3^7 lui composta col gonfio titolo di plusquam Commentum (Mazz. note ad Vill; Fabr. Bibl. med et inf. Latin. t 6, p. 277, 278} t. 2. p. (65), ed a me spiace di non averla potuta vedere, che forse più accertate notizie avrei potuto raccoglierne intorno alla vita dell’autore. Il Villani aggiugne che Torrigiano, giunto a vecchiezza, si rivolse agli studj della teologia j clic quindi entrò nell’Ordine de’ Predicatori, e vi ebbe il grado onorevole di Maestro, e che in età decrepita si morì. Ma il conte Mazzucchelli ha opportunamente osservato che il Villani ha preso errore, affermando che il Torrigiano entrasse nell’Ordine de’ Predicatori3 nelle cui memorie non trovasi menzione alcuna di questo medico. Quindi è forse più verisimile ciò che affermano il Volterrano, F. Filippo da Bergamo ed altri scrittori citati dal co. Mazzucchelli e dal Fabricio (ll. citati), ch’egli si arrecasse tra’ Certosini. In qual anno morisse, non si può stabilire j e ciò che alcuni ne dicono congetturando , non ha alcun fondamento. S’egli tenne scuola nel tempo stesso con Dino, e se morì già decrepito, come il Villani asserisce, pare che gli si debba prolungare la vita fin verso la metà del secolo di cui scriviamo; e perciò abbiam rigettato poc’anzi ciò che degli scritti di lui usurpati da Dino narra lo stesso Villani. Questi rammenta qualche libro medico di Torrigiano, e qualche altro pur ne rammenta, seguendo gli scrittori fiorentini, il Fabricio, senza però indicare se si abbia alle stampe. Il nome di Torrigiano è stato da alcuni stranamente sfigurato , poichè altri il chiamali [p. 378 modifica]3*78 LIBRO Turnano, altri Trusiano, altri Crusiano, o Cruciano, o Cnrsiano (a). E|*-ioe IX. Lo stesso Villani, per ultimo, ci ha data nolùic di In Vita di Tommaso del Garbo figliuol di Dino (l- cit. n. 5*2)5 ma più intento a farne l’elogio Lo* che ad esporne le azioni, poche notizie ce ne ha lasciate. Tommaso del Garbo, dic’egli, del sopraddetto Dino figliuolo e imitatore, e erede dell acume paterno, pochi anni dopo lui, fu filosofo grandissimo e famoso in medicina, e essendo il nome suo per tutta l’Italia divulgato, divenne in tanta stima e in tanta reputazione di dottrina e diligenza nel medicare, che i potentissimi Tiranni, dei quali è Italia abbondante, si stimavano di dover morire, se esso Tommaso non li medicava. Questi adunque essendo tenuto dagl’Italiani per un Idolo di medicina, e riputato quasi un Esculapio, pe’ grandissimi salarj dati, divenne ricchissimo, e per questo si dette a splendida e delicata vita; intanto che alcune volte era riputato tardo e negligente: e nientedimeno, benché e cT onore e di ricchezze fosse abbondantissimo, non però si partì dalla frequenza degli studj. Veggiamo dunque, quai più esatte notizie se ne possano altronde avere. L’Alidosi l’annovera tra’ professori dell’università di Bologna (Dottori forast. (a) L’opera di Trusiano o Torrigiano, della pili che Comento, fu stampata in Bologna per Ugo Ruggieri Panno 1489, in fol., e ne ha ora copia l’Estense. 11 titolo di essa è come segue: Trusiani Monaci Carlusicnsis plusquam Comcntum in librum Galeni, (pii flfirrotcclini intitulatur. Ma essa non ci offre notizia alcuna particolare dell’autore. [p. 379 modifica]SECONDO 3j() p. 77) l’anno i3so. Ma ei prende errore chiamandolo fratel di Dino, mentre certamente gli fu figliuolo, come anche da altri monumenti prova il ch. dottor Lami (Nov. letter. 1748, p. 283). Ch’ei fosse professore in Bologna, è certo; ma è certo ancora che prima ei fu professore in Perugia. Di amendue questi fatti ci assicura lo stesso Tommaso, il quale, parlando di Francesco de’ Zanelli medico bolognese, dice (Summa Medicin. q. 90): Qui tempore, quo incepi Perusii legere Medicinam, ipse ibilegit artes; et demum post mei recessum, cum ivimus ad legendum lì ononide Medicina m, ipse in Medicina studuit et doctoratus est Ma parmi difficile ch’ei fosse professore in Bologna, dopo esserlo stato in Perugia fin dall1 anno i320, come afferma l’Alidosi; poichè vedremo ch’ei morì, in età non molto avanzata, l’anno 1370; e in fatti il eli. dottor Monti, nelle notizie trasmessemi su questo argomento, mi assicura che la lettura di Tommaso in Bologna dee fissarsi all’anno 1345, e che forse ei vi tornò su gli ultimi anni di vita, poichè Cristoforo degli Onesti, che prese la laurea nel 1367, narra di averlo avuto a suo maestro in pratica. Se in altre scuole ancora insegnasse Tommaso, non ci è giunto a notizia. Ben sappiamo ch’egli, benchè medico , godette dell’amicizia del Petrarca, e abbiamo una lunga lettera che questi gli scrisse (Senil. l. 8, ep. 3) in risposta a una quistione che Tommaso gli avea proposta, se maggior forza abbia l’opinione, ovver la fortuna. In essa il Petrarca, benchè secondo il suo costume si mostri scettico intorno alla scienza [p. 380 modifica]380 LIBRO di cui Tommaso facea professione, confessa nondimeno ch’egli era il più celebre medico che allor vivesse: Tu, egli dice, che nelF arte della medicina, sei, non dico il maggior di tutti, per non giudicare di cosa a me sconosciuta, ma certo il più famoso. Ed in pruova del nome in cui era il saper di Tommaso, soggiugne ivi il Petrarca che allora appunto Galeazzo Visconti signor di Milano avealo a sè chiamato, perchè il guarisse dalla podagra che già da più anni recavagli dolori asprissimi. Nella quale occasione, dice altrove di se stesso il Petrarca (ib. l. 12, ep. 1) che la sua complessione era sembrata a Tommaso la più robusta che mai avesse veduta. L’ab. de Sade pone la venuta di Tommaso alla corte di Galeazzo l’anno i3(56 (Mém. pour la rie de Petr. t. 3, p. 694); ni a il Petrarca, in quell’ultima lettera, che certamente fu scritta l’an 1370, dice che ciò era avvenuto due anni addietro: anno altero. x*. X. In qual anno morisse Tommaso, il Villani nol dice; e il conte Mazzucchelli e il dottor Lami dicono che non si può accertare; ma il primo pruova da un passo di Franco Sacchetti , che ciò avvenne pochi anni prima del 1375 il secondo da un passo di Zenone Zenoni pruova ch’egli morì tra il 136^ c il l7* certo nel 1366 egli ancora vivea, poichè Paolo, soprannomato il Geometra, facendo in queU anno il suo testamento, lasciò in dono a Tommaso i suoi libri di Medicina (Manni Sigilli, t. 14, p 23)* Ma le lettere del Petrarca ci additano precisamente l’anno in cui Tommaso morì. Nella lettera poc’anzi citata, in cui riferisce il parere che [p. 381 modifica]SECONDO 381 della robusta sua complessione avea dato Tommaso, parla di lui ancor vivo: testem vivum et fide dignum proferam, illum alterum medicorum modo tecum principem, si quidJamae credimus , compatriotam meum Thomam (Senil. l.12, ep. 1)* Or questa lettera fu certamente scritta l’anno 1370, poichè il Petrarca, nato l’anno i3o4 > afferma che allora avea sessantasei anni: Non hic sexagesimus tertius... sed sexagesimus sextus (annus) est; ed ella è segnata a’ 13 di luglio. Quindi nella lettera susseguente, scritta a’ 17 di novembre dello stesso anno al medesimo Giovanni Dondi a cui è scritta la prima, ne rammenta la morte testè accaduta: Ecce mortuus est ille conterraneus incus, queni n ridi us tertius viventem, nunc... ab hac luce digressum prior epistola in testem meae complexionis acciverat, et mortuus adhuc virens, et corpore non praevalidi hominis 9 sed tauri (ib. ep. 2). È certo dunque che Tommaso morì in età non molto avanzata, l’an 1370. tra’ ’l giugno e ’l novembre. Qualche particolar circostanza della sua morte ci ha tramandata Filippo Villani, dicendo ch’egli aveane predetta l’ora; nel che però egli ci permetterà che non gli diam fede sì docilmente*, e che su gli estremi in casa sua fe’! rizzare un altare, dove solennemente celebrata la Messa 9 pregò il sacerdote che consegrasse il corpo di Cristo. il quale divo fissi inamente ragguardando. quell ora propria ch’egli avea predetta, spirò; e con Dino suo padre in un medesimo sepolcro fu seppellito. XI. Parecchie opere di Tommaso si hanno alle stampe, e sono principalmente Comenti sul M. Sue ojurt. [p. 382 modifica]382 LIBRO libro di Galeno intorno la differenza delle febbri, e sul trattato del medesimo autore intorno alla Generazione del feto, un Consiglio sul modo di vivere in tempo di pestilenza, e una Somma di Medicina, che la morte non gli permise di compiere. Delle loro edizioni veggasi il co. Mazzucchelli nelle sue note al Villani. Questi accenna ancora in generale più altre opere da Tommaso composte, e specialmente un comento sul libro de Anima di Aristotele, che lasciò imperfetto, e finalmente ci descrive il corpo e l’animo di Tommaso con queste parole: Fu questo sì degno uomo di statura mediocre, ma grassetta, di corpo largo e alquanto grasso , lineamenti grossi, pe’ quali a chi ricercava la fisonomia, sarebbe paruto d’ingegno ottuso e grosso, quantunque i avesse acutissimo. La voce sua avea un risonare leonino, nientedimeno ritonda e spedita, e da quell* aspetto rusticano in fuori era giocondo , piacevole, e lieto , e della conversazione degli uomini frequentissimamente si dilettava. Fu di studio assiduo e veementissimo, quando esso spacciate le cure, delle quali importunamente era molestato9 avea commodità di rendersi. xii. XH. A questi tre medici fiorentini, de’ quali Faicwd!° c* lia lasciata memoria il Villani, aggiugniamone un altro non men famoso, benchè abbia toccati alcuni anni del secol seguente. Questi è Niccolò Falcucci che dal P. Negri e da altri è stato malamente confuso col celebre Niccolò Niccoli (Scritt. fiorent. p. 424)> di cu* Pal^e_ remo nel sesto tomo. Di questo medico vedesi un magnifico elogio in un codice della Maglia[p. 383 modifica]SECONDO becchiana, che e stato pubblicato (lai eh. abate Mehus (praef. ad Vit. Ambr. camald. p. 29), e eh1 io recherò qui colle stesse parole con cui è conceputo, comunque assai rozzo ne sia lo stile. Il Maestro Niccholò fu un huomo divino, huomo profondo di sapienza in ogni facultà etc. e ancora le sue opere dimostrano, e rinfrescono hogni in die la speranza delle chure degli Infermi per la sua dottrina, la quale e compuose \gliosi libri, i quali son Niccholò da Firenze. In tal modo, che in ogni studio ogni Dottore studia in Avicenna et in Galieno o in Ipograso, et molti valenti autori di Medicina, e nella fine istanno allo studio più anni. E dipoi lasciano tutti i libri, e tali autori. Solo si appicchono e portono con loro libri della Pratica del Maestro Niccholò; e che quelli sono alluminati della medicina mostrando perfettamente tutti rimedi. Ove egli studiasse , e se altrove che in Firenze esercitasse, o insegnasse la medicina, non v’ha chi ’l dica. Solo l’ab. Mehus assai diligentemente ha descritti i codici che in Firenze conservansi di alcune opere del Falcucci, avvertendo, fra le altre pose, che l’A nti dota rio, che da alcuni gli si attribuisce, è di un altro Niccolò più antico; nel qual errore è caduto anche il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 5, p. 111). Alcune delle opere del Falcucci si hanno alle stampe, e il Fabricio le annovera. Alcune conservansi manoscritte nella biblioteca del re di Francia (Cat. Bibl. reg. paris. t. 4, p- 300, Cod. 6982, ec.), ove però in alcuni codici egli è cognominato non Pratica del Maestro [p. 384 modifica]384 LIBRO Falcucci, ma Falcone. Ma io non credo, come più volte ho avvertito, di dovermi qui trattenere a recarne distesamente i titoli e P edizioni , trattandosi singolarmente di tali opere che ora non senza ragione sono interamente dimenticate (a). Mattia Palmieri, che visse nel secolo stesso in cui il Falcucci morì, ne fa onorevol menzione all1 anno i3t)7 (Lib. de Temporib. (r/) Nella prima edizione, sull’autorità dell’ab. Mehus, io avea asserito che Niccolò avea scritto un trattato intorno alla pestilenza, da lui dedicato al duca di Milano Filippo Maria Visconti; del qual trattato diceva-.» avere avuta copia la libreria del barone di Stosch; ma io avea ancora avvertito che non avendo Filippo Maria avuto il titolo di duca che nel 141 ^ dopo la morte del suo fratello Giammaria , non potea il Falcucci, morto nel x 411 i avergli offerto tal libro. Convien dire di fatto che qualche equivoco abbia preso chi diede all’abate Mehus quella notizia. Perciocchè il Trattato da lui attribuito al Falcucci è di Antonio Guainerio, di cui diremo nel secol seguente. Ed è verissimo ciò che afferma il Mehus, che nella dedica al duca si nomina Antonio Guainerio; ma gli è appunto l’autore che cita se medesimo: Ibis itaque, et bono quidem auspicatu , tractatule. mi, intrepide ibis , neque desines eo usque procedere , quo ad Principem illum celeberrimum (cioè a Filippo Maria) ubicumque fuerit, ad ieri s; cui cum me ejus subdituni fideli ssi munì Antoni uni tic Guaineriis inter artium et Medicinae Doctores pro meo ingenio laborantem commendatissimum feceris , memento hoc ad illo praecipuum impetrare, ut le pendimi te et excutiendum doctissimis et clarissimis physicae contemplatoribus, Magistro Johanni Francisco Balbo meo olim dignissimo praeceptori, Petro de Monte Arano , et Stephano de Burgo , quos suae vitae cuStodes invenies, ve.l quibus licitum fuerit, offerat. Egli è dunque evidente che è il Guainerio stesso l’autore del libro. [p. 385 modifica]SECONDO 385 t. i , Script Ber. ital. Florent) , Nicolaus eximii nominis Medicus Florentiae habetur doctissimus. Quindi all’anno 1411 ne rammenta la morte: Nicolaus Medicus Florentiae moritur, grande reliquens opus, quod de omni Medicina veterioribus auctoribus exquisitis ediderat. E nell1 anno stesso ne segna la morte Mariano Cecchi, autore contemporaneo, in una Cronaca ms, citata dall’ab. Mehus. Quindi deesi correggere la più recente iscrizione che ne fu posta al sepolcro l’anno i6i57 e che è stata pubblicata dal Manni (Sigilli antichi, t. 11. p. 21), in cui egli dicesi morto l’an 1412? la qual epoca è stata seguita ancora dall’editore degli Elogi degl1 Illustri Toscani (t. 4)XIII. Abbiamo nel precedente tomo parlato xm. di Bartolommco da Varignana medico delfini- da Varignuperadore /irrigo MI. Egli ebbe un figlio nomi- ,,a‘ nato Guglielmo che ò nominato in una carta bolognese del 1302 accennata dal ch. P. Sarti De Prof. Bon. t 1, pars 1, p. 483). Quindi io non so intendere come il Conringio, citato da M. Portal (Hist. de l Aitai. t. 1, p. 204), abbia potuto scrivere di’ egli era di nazione giudeo (a). Pare che il P. Sarti fosse persuaso che Guglielmo tenesse scuola di medicina in Bologna, poichè promette di ragionarne nella continuazione della sua opera. L’Alidosi in fatti (a) Il Conringio non dice clie Guglielmo da Vnrignnna Tosse di nazione giudeo, come gli fa dire M. Portai , ma che pare che il fosse d? origine: origine Judaeus quanlutn apparai (De Scr:pt. xvi Saeculur. p. 133). Tl il A BOSCHI, Voi V. 25 [p. 386 modifica]386 iiiBiio ne fa menzione (Dottori bologn. p. 79), chiamandolo dottore fisico, e afferma ch’ei fu degli anziani e consoli l’anno 1304. Nè io so su qual fondamento affermi M. Portal, ch’egli esercitò in Genova la medicina. Il P. Sarti riflette, che benchè sembri che il figlio non uguagliasse in valore e in fama il padre, le opere nondimeno da lui composte hanno avuta sorte migliore; perciocchè del padre nulla è uscito in luce; il che è avvenuto di qualche libro del figlio. Due gliene attribuisce M. Portal, uno intitolato De curandis morbis, l’altro, Secreta sublimia ad varios curandos morbos, de’ quali cita diverse edizioni. Ma io credo che sian questi due diversi titoli di un’opera sola. In fatti io ho veduto un’opera di Guglielmo intitolata De curandis aegritudinibus, seu Secretum Secretorum. Ma io sfido qualunque uom più versato nella geografia de’ bassi secoli a spiegare il titolo della lettera dedicatoria da Guglielmo premessavi: Cunctis virtutibus militaribus accincto, nec minus intellectualium diademate decorato, Magnifico Domino suo semper Domino Meladino Crobachorum, et bosue plebano, generalique Domino totius territorii Chelensis, ejus subiectus animo Guglielmus de Varignana qualis qualis Professor in Artibus et scientia Medicinae, beari. Io confesso sinceramente che non so in qual parte del mondo trovansi i paesi qui nominati, che forse sono stati stranamente corretti nell’edizione da me veduta (*). Di (*.) I! titolo dell* opera di Guglielmo da Varignana , e il nome del personaggio a cui è dedicata , è così [p. 387 modifica]SECONDO 387 questo autore niuna menzione ha fatta il Fabricio nella sua Biblioteca latina dell’età di mezzo. Figliuoli di Guglielmo furono per avventura quel Pietro e quel Matteo da Varignana, che il Ghirardacci registra tra’ professori artisti dell’università di Bologna all’anno 1381 (Stor. di Boi. t. 2, p. 390), amen due collo stipendio di lire 175, un de’ maggiori che fosse a’ professori assegnato. XIV. Gonvien dire che a questo secolo il j4 nome di primo e sommo tra tutti i medici si Foligno, ottenesse assai di leggieri. Già abbi a 111 veduti onorali di questo titolo e Pietro d’Abano e Dino e Tommaso del Garbo e Niccolò Falcucci. Questo medesimo nome da un medico del secolo xv, cioè da Michele Savonarola, si concede liberalmente a Gentile da Foligno, di cui anzi parla in maniera che sembra che, anche mentr’egli scrivea, godesse della medesima fama: Divinus ilio GentiUs Fulgincus ìiostrac et suac travisalo nell7 edizione da tue vedutane, che non è ma-’ raviglia ch’io non abbia saputo trovare i paesi ivi indicati. Un codice di un’opera di Guglielmo, intitolata Practica Medicinae, che forse è la stessa che quella sotto altro titolo da me indicata , e che conservasi nella libreria Farsetti in Venezia (Bibl. MSS. Fars. p. 43) , ci mostra più chiaramente chi fosse il suo mecenate: perciocchè essa è diretta ad Meladinum Groacorum et Bosnae Bannum , del qual Melandino più copiose notizie si posson vedere nella grande opera del P. Farlati gesuita, intitolata Illyricum sacrum. Qui pure in ho dubitato che Pietro e Matteo da Varignana fosser figliuoli di Guglielmo , e non ne furon veramente che agnati. Ma di questi medici bolognesi più esatte notizie possiamo aspettarci dall’altre volte lodato conte Giovanni Fantuzzi. [p. 388 modifica]388 LIBRO aeUitis medicorum Princeps (De Laud. Patav. vol. 24 Script. Rer. ital. 1155). E vedrem presto più altri ambire ugualmente la stessa lode, Tanto era facile in que’ tempi di tenebre e d’ignoranza F esser creduto uom singolare e meraviglioso. Ma di questo divino medico ci son rimaste assai poche notizie. Già si è altrove veduto in quale stima ei mostrasse di aver Pietro d’Abano, quando venuto a Padova entrò nella scuola ove que’ avea insegnato. Egli vi si recò, chiamatovi da Ubertino da Carrara signor di Padova dal 1337 fino al 1345, il quale, essendo infermo, volle avere al suo fianco un medico sì famoso (Verger. Vit. Princip. Carrariens. vol. 16 Script. Rer. ital. p. 168); e in questa occasione ei consigliò Ubertino, come sopra si è detto, a inviare dodici scelti giovani a Parigi ad apprendervi la medicina. Il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 3, p. 32), non so su qual fondamento, il dice primo medico di Giovanni XXII (a), e aggiugne ch’ei morì in Perugia nella celebre peste del 1348. In fatti avverte il dottissimo monsig. Mansi (ib.) che nella biblioteca Malatesta in Cesena trovasi manoscritto un Consiglio di questo celebre medico sopra la peste che travagliò Perugia in quell’anno; il che ci mostra che almeno fino a qual tempo ei sopravvisse, e che allora vivea nella suddetta città, forse tenendovi scuola di medicina. Anzi il più volte lodato dott. Gaetano (a) A nclie il sig. abate Marini non ha trovato alcun documento da cui raccolgasi che Gentile fosse medico pontificio (Archiatri pomi/, t. i, p. 56). [p. 389 modifica]SECONDO 389 Monti ini ha trasmesse le parole che leggonsi al fin di (detto trattato, aggiuntevi da Francesco da Foligno discepolo di Gentile, che confermano il sentimento medesimo: Et postea Gentilis infirmatus est ex nimia requisitone infirmorum, et hoc fuit 12 die Junii, et vixit sex diebus, et mortuus est, cujus anima requie se at in pace. Hoc fuit MCCCXLVIII. Et ego Franciscus de Fulgineo interfui aegritudini ejus, et numquam dimisi eum usque ad mortem, et sepultus fuit Foligini in loco Eremitarum. Il qual trasporto del cadavere di Gentile da Perugia a Foligno confermasi ancora dall’autor delle Note al Quadriregio del Frezzi , che afferma mostrarsene tuttora in quella città il sepolcro. L’Alidosi però il dice morto in Bologna in età di 80 anni, e sepolto in S. Domenico (Dottori forest, p. 28). Ma nè egli spiega in qual anno morisse, ne reca alcuna pruova della sua asserzione. Il Fabricio medesimo, sulla scorta degli scrittori delle Biblioteche mediche, annovera le opere da Gentile composte, alcune delle quali son venute a luce, ed io lascio che ognun ne vegga presso loro i titoli e 1’edizioni. XV. Io mi son più volte doluto che ninno \v. abbia finora diligentemente illustrata la serie de1 F„‘rn.0,,° professori dell’università di Padova, benchè pur molti n’abbiano scritto. Il Tritemio, parlando di Jacopo da Forlì celebre medico, (dice De Script, eccles. c. 772) ch’ei morì l’anno 1 43o. Gli scrittori padovani , citati dal Papadopoli (Hist Gymn. patav. t. 1, sect. 2, l. 3, c. 2), riprendon (d’errore il Tritemio, ma son tra loro troppo discordi. Il Salomoni ne fissa la morie [p. 390 modifica]3oo libro all’anno 1412? Tommasini al 1313. Il Papadopoli si attiene a questa seconda opinione, e ne cita in pruova i catalogi de’ professori, ne’ quali Jacopo di Forlì comincia ad essere nominato all’anno 1290, e perciò io ne feci un cenno nel quarto tomo di questa Storia (l. 2, c. 2, n. 37). Il Facciolati senza far menzione del Papadopoli, e senza confutar gli argomenti da lui addotti, dice (Fasti Gymn. pat pars 2, p. 161) che Jacopo della Torre, detto comunemente Jacopo da Forlì, che avea già per qualche tempo tenuta scuola in Padova sotto il dominio de’ Carraresi, ivi fu richiamato l’anno 1407 collo stipendio di 600 ducati; ch’egli morì l’an 1413; e che negli Atti del Collegio medico di quest’anno se ne vede ancora segnato il nome (a). Or fra scrittori che discordan sì stranamente gli uni dagli altri, e che nondimeno arrecano ciascuno per la sua parte i più autentici documenti, a chi dovremo noi dare la preferenza? Sarebbe questa contesa assai (a) 11 sig. abate Dorighello, che nuovamente ha esaminati gli Atti di quel collegio, accordasi sostanzialmente col Facciolati, e osserva che Jacopo da F01T1 in essi si trova segnato dal 1400 a tutto il 1 fo4; clic dovette poi partirne per la guerra de’ Carraresi, e che vi fu richiamato a5 i3 di settembre nel i4o?. L’iscrizione che ne fu posta al sepolcro, conferma I1 epoca della morte, cioè nel 1413 a’ 12 di febbraio. Ciò non ostante vedesene segnato il nome negli Atti suddetti ancor sotto a^ 29 di novembre del 1413, cosa dilfieile a spiegarsi, se non vogliam dire che l’incisore dell’epitafìo seguisse 1 uso veneto di cominciar 1’anno solo a* 2.5 di marzo; e che perciò la morte di Jacopo debba veramente fissarsi non al i4*3, ma al i4«4[p. 391 modifica]SECONDO 391 malagevole a diffinire, s’io non avessi trovati due monumenti che non lascian) più luogo a dubbio veruno. Michele Savonarola, poc’anzi da noi mentovato, e la cui gioventù cadde appunto negli ultimi anni del secolo xiv e nei primi del susseguente, parla di Jacopo, e dice di esserne stato discepolo: Noi daremo, dic’egli (l. cit. p. 1164), il secondo luogo a Jacopo da Forlì, uomo di divino ingegno, mio glorioso maestro e il primo tra’ medici del suo tempo; il quale scrisse Quistioni e Comenti così pregevoli, che anche al presente di essi si valgono le scuole tutte d Italia nella sposizion degli autori, per tal maniera che le opere di Marsiglio di Santa Sofia e di Jacopo da Forlì occupano tutte le scuole de’ nostri tempi. Se ne conservano V ossa in una magnifica tomba entro la chiesa degli Agostiniani con una effigie , di marmo, di questo celebre professore. L’altro monumento è l’Orazion funebre recitatagli da Gasparino Barzizza, che l’anno 1412 erasi fissato in Padova, e vi stette per qualche anno. Ella è stampata nell1 opere di questo celebre letterato del secolo xv (Barz. Op. p. 23, edit. rom. 1723), e in essa si dà a vedere un dolor sì grande nella morte di Jacopo, ch’io non credo che si provasse maggiore quando morì Ippocrate. Egli è dunque indubitabile che Jacopo da Forlì visse sul fine del xiv secolo, e su’ principj! del xv. In fatti anche l’Alidosi, che lo annovera tra i professori di Bologna, dice ch’egli insegnovvi filosofia, logica, medicina e filosofia naturale e morale dal 1383 sino al l’jos [p. 392 modifica]3()2 LIBRO (Dott. forast p. 29). Ma assai più esattamente il diligentissimo dottor Monti ha osservato che nelle Memorie di quella università trovasi un Jacopo da Forlì professore di logica l’anno 1357, poscia di medicina l’anno 1384? e finalmente di filosofia l’anno 1402. Ei crede però, che il Jacopo nominato in quest’anno, sia diverso da quello de’ due anni addietro, poichè non v’era costume che dalla cattedra di medicina si facesse passaggio a quella di filosofia. L’elogio, or or riferitone, ci fa vedere qual concetto se ne avesse anche più anni dacchè egli più non viveva. E pruova ancor maggiore ne è un decreto fatto dall’università di Padova, e che si arreca dal cavaliere Giorgio Viviani Marchesi (Vit. ill. Foroliviens. p. 190), in cui si ordina che i professori di medicina debban seguire il metodo di Jacopo da Forlì. Constitu timi fiat, ut in lectionibus Doctores Ordinarli Theor ’u ae non dimittant examinationem difficultatem secundum ordinem quaestionum Jacobi Foroliviensis. Questo autore e il Papadopoli ancora ne riferiscono l’iscrizione che ne fu posta al sepolcro, stesa in assai barbaro stile e piena di quei gonfi elogi che allor profondevansi a larga mano; perciocchè in essa si dice che non ebbe nè l’Italia nè la Grecia uomo più celebre e più dotto di lui; ch’ei fu un altro Aristotile e un altro Ippocrate. Le Quistioni e i Comenti, che abbiam veduto attribuirglisi dal Savonarola, sono appunto le opere che di lui abbiamo alle stampe, cioè Sposizioni sull’arte medica di Galeno, sugli Aforismi d’Ippocrate, e qualche altro libro, [p. 393 modifica]SECONDO *y3 di che veggansi gli autori or or mentovati e il Fabricio Bibl. med. et inf. Latin, t. 4, p. 11) {a). Ma ni un di essi rammenta i Comenti da lui scritti su’ libri di Aristotele intorno alla generazione, e intorno agli animali, dei quali nell’Orazione sopraccennata fa menzione il Barzizza. XVI. Il Savonarola, nel passo medesimo sopraccitato, unisce a Jacopo da Forlì Marsiglio s da Santa Sofia, come i due più celebri medici de’ quali rimanesse tuttora viva un’illustre memoria. E Marsiglio visse in fatti al tempo stesso che Jacopo. Ma prima di lui tenne scuola di medicina in Padova, e vi salì a gran nome Niccolò di lui padre. Di questo non fa menzione il Savonarola: ma, premesso un magnifico elogio della famiglia di Santa Sofia, di cui dice (l. cit. p. n63) che è celebre non solo tra’ Cristiani, ma tra’ Barbari ancora, che ha avuti innumerabili e famosissimi dottori di medicina, e che quanti maschi di essa nascevano, tutti a questa scienza venivano applicati; dopo ciò dico, egli aggiugne che con pace de’ vecchi comincerà a ragionare di un de’ moderni, cioè di Marsiglio. Noi però non dobbiamo passar del tutto sotto silenzio il suddetto Niccolò. E Papadopoli (l. cit.) e il Facciolati (l. cit. pars 1, p. 46) dicono ch’ei fu scolaro di Pietro d’Abano, e la serie de’ tempi il rende probabile; {ti) Osserva inoltre il sig. Malacarne (De’ Med. r Cerus. piemont. t. 1. p. 47) che Antonio Guainerio nelle sue Opere mediche rammenta due altri trattati inediti di Jacopo da Forlì: cioè dr necessitate Med cinarum, e de necessitate compositionis medicinarun;. [p. 394 modifica]394 LIBRO che cominciò a leggere medicina nell’università di Padova l’anno 131i, e che continuò leggendo sino al 1350 in cui finì di vivere. Il Pignoria, in una sua lettera citata dal Papadopoli. rammenta alcune opere mediche da lui composte, di cui eragli avvenuto di trovar copie scritte a penna, le quali non sono mai state date alla luce. SSìrHio Marsiglio di lui figliuolo dal Savonaa; lui fiyifuo- rola si appella non sol divino, che forse ciò sembravagli poco, ma divinissimo, creduto a’ suoi tempi principe e monarca de’ medici, e come tale ancor da’ posteri onorato. Quindi racconta ch’egli aggirossi per le università tutte d’Italia, illustrandole colla sua dottrina, e comunicando agli Oltramontani stessi non poco lume; che fu avuto in gran pregio da Giangaleazzo Visconti primo duca di Milano, e che essendoglisi Marsiglio offerto pronto ad andare a Parigi, e a disputare pubblicamente su qualunque punto di medicina o di arti gli fosse proposto, piacque la cosa a Giangaleazzo per modo, ch’egli volea inviarvelo a sue proprie spese; ma la morte del duca impedì l’esecuzione di sì glorioso disegno. Il Papadopoli (Lcit. c. 3), citando i catalogi dell’università di Padova, afferma che ivi tenne scuola Marsiglio dall’anno 1370 fino al 1380, che fu carissimo a Giangaleazzo, mentre questi era signor di Padova, e che, poichè questa città tornò 1 anno 1390 in mano del Carrarese, Marsiglio ritirossi a Bologna (a); che l’anno 1 {02, chiamato (a) I documenti dell5 università di Padova indicatimi [p. 395 modifica]secondo 3y5 a Malignano, ove era caduto infermo Giangaleazzo, gli prolungò d’alcuni giorni la vita, e che poscia, tornato a Bologna, vi morì circa l’anno 1403. Ma in questo racconto del Papadopoli alcune cose s’incontrano in cui egli ci permetterà di non credergli. Egli è certissimo che dall’anno i3c)o fino al 1402 Marsiglio non fu sempre in Bologna. Il Corio lo annovera tra’ professori (Stor.. di Mil. par. 4) che da Giangaleazzo Visconti furon chiamati a Pavia. E ne abbiamo un certissimo monumento dal sig. abate Francesco Dorighello, sembrano con tradire in qualche parte a quelli da me prodotti; perciocché, secondo essi, 11011 solo Marsiglio era in Padova nel 1387, quando gli morì la prima moglie Catarina del già Giovanni degli Ovetari di Cittadella , dopo la (|uale prese in secondo nozze Chiara del già Alberto della Lana, ed eravi ancora nel i3()?. in cui Cu accettato nel collegio de’ dottori, e nel 13q4 in cui aveva la cattedra ordinaria di medicina; ma era ancora in Padova nel i39q e nel i4oi, ne’ quali anni noi abbiam dimostrato ch’egli era in Piacenza. Ma, ciò non ostante, ei potè anche in questi due anni trovarsi per qualche tempo in Padova, ed assistere agli Atti ne’ quali è nominato. Ei trovasi ancora in Padova, per V ultima volta, nell’ufficio di promotore, a’ 3o di maggio del 14041 e forse solo dopo quel tempo passò a Bologna. Una Cronaca ms. di Padova, scritta nel secolo xvi , conferma I’ epoca della morte di esso, segnata dal Portenari all’anno 1411 • Una cosa a Marsiglio sommamente onorevole vedesi ne’ documenti Udinesi, ne’ quali sotto i 24 di gennaio del i36o si fa menzione della spesa da quel Pubblico fatta prò uno cingalo argenteo desuper aurato ponderix triginta uncìarum; quod largitimi fuit per DD. Capilaneos et homines de Consilio sapienti viro Magistro Marsilio Physico Paduano , quando visitanti perso nani egregìi militis D. Federici de Savorgnano in ejus infirmiiate. [p. 396 modifica]3$6 libho nel catalogo de’ professori deli’università di Piacenza del 1399, quando a questa città era stata trasportata l’università di Pavia, perciocchè tra essi troviam Marsiglio; e lo stipendio lautissimo che gli era pagato ogni mese, maggiore assai di qualunque altro, ci mostra l’altissima stima di cui godea: Magistro Marsilio de Sancta Sophia le genti Physicam ordinariati computata pensione domus L. 170. 6.8. (Script. rer. ital. vol. 20, p. 940); e da Piacenza, o da Pavia è probabile ch’ei fosse chiamato a curare, o almeno a rendere colla sua presenza più onorata la morte di Giangaleazzo, l’anno 1402, di che ci assicura la Storia de’ Gatari (ib. vol. 17, p. 85y)j dicendo di Gianga1 cazzo: ivi così infermo visse più giorni per gli solenni liquori e cose medicinali fatte per lo famosissimo uomo Messer Marsilio da Santa Sofia sapientissimo Medico Padovano, riputato in quel tempo il miglior e più sapiente Medico del Mondo. Egli è adunque probabile, come in fatti affermasi dall’Alidosi (Dott. forest. p. 52), che solo dopo la morte di Giangaleazzo passasse Marsiglio all’università di Bologna. Ivi il Savonarola ci narra ch’egli ebbe la lettura ordinaria di medicina alla mattina, cosa che non era stata mai in addietro conceduta ad alcuno straniero, riserbandosi ognor quella cattedra, come la più onorevole, ad alcuno fra’ cittadini; e che ivi morto Marsiglio, ne furon chiuse le ossa in onorevol sepolcro presso la chiesa di S. Francesco. S’ei morisse veramente, come il Papadopoli afferma, verso l’anno 1403 o come leggesi negli antichi Annali di Forlì, che però [p. 397 modifica]SECONDO 3()7 non son troppo esatti, l’anno (Script. Rer. ital. voi. 22 j p. 104), o, come dice il Portenari (Felicità di Pad. I. c. 6), l’anno 1411 io non so diffinire, per mancanza di più sicuri monumenti. Il Papadopoli e il Portenari citano alcune opere mediche di Marsiglio, ma non ne indicano P edizioni. Io ho veduto un suo Trattato delle febbri, stampato in Venezia nel 1514 e poscia in Lyon l’anno 1517. Alcune altre se ne trovano manoscritte nella biblioteca del re di Francia (t. 4, codd. 6860, 6933, 6935, 6941, 6910), e nondimeno il Fabricio nol nomina pure nella sua Biblioteca latina de’ secoli bassi. Il Savonarola rammenta solo generalmente le Letture così ordinarie come straordinarie di medicina, e ne ragiona come delle più sublimi cose che mai si fosser vedute. Noi, che non le abbiamo sott’occhio, non possiam giudicarne. XVIII. Ebbe Marsiglio un fratello di nome xviii. Giovanni, e, come il Savonarola accenna (l. cit. iSi’ T’’"!! p. 1165), maggiore di età; ed egli a questo]>lars,gho* ancora dà il nome d’uomo maraviglioso e famosissimo a’ suoi tempi; loda lo sporre ch’ei fece le opere d’Ippocrate, di Galeno e d’Avicenna; rammenta singolarmente un libro da lui composto, su una particella delle opere di quest’ultimo medico, il quale proseguiva ad essere in gran pregio, e dice finalmente eli’ ei fu onorevolmente sepolto nella cattedrale di Padova. Il Papadopoli aggiugne (l. cit), non so su qual fondamento , ch’ei superò ancora la fama di suo fratello, e ch’ei morì verso [p. 398 modifica]3(j8 LIBRO Fanno i410 (<*)• ne reca inoltre l’iscrizione sepolcrale , la quale, se non sapessimo quanto facilmente allora si ottenessero le lodi, ci persuaderebbe che medico più dotto al mondo non fosse mai stato: Artista eximius , Medicinae ri te Monarcha, Atque salus Patavi grandis et alta jacet. Ecce pater Studii , languentum cura Joannes , Ortum cui Celebris Sancta Sophia dedit. Quindi, dopo averne rammentate le virtù morali , così prosiegue: Quicquid Aristoteles, Hypocras tulit, et Galienus, Hauserat, ac quicquid sacra medela cavet. Praxis vera fuit, totique salutifer orbi, Cujus fama nitens permeat omne solum). Il Papadopoli non parla de’ Comenti da lui composti sopra Avicenna, ma sol di un opera intitolata Pratica di Medicina, divisa in 180 capi, che pur rammentasi dal Portenari (l.cit), il quale con grave errore il dice vissuto verso il 1460. Se dobbiam credere all’Alidosi, egli fu ancor professore di medicina in Bologna l’an 1388 (Dott.forestp. 29). Ma di lui nulla si ha, ch’io sappia, alle stampe; ed egli pure è stato sconosciuto al Fabricio (b). (a) Secondo i documenti additatimi dal sig. ab. Dorigliello, sembra che Giovanni l’osse morto fìu dal 1389 almeno. (l>) Giovanni di Santa SoGa ebbe un avversario in Albertino da Salso piacentino, di cui nel codice Vaticano in fol. si trova Tractatus seoutidus Magi stri [p. 399 modifica]SECONDO 3 99 XIX. Un altro non men celebre medico ebbe questa dotta famiglia , cioè Galeazzo. Il Savo- Jpi«uoi d» narola non ci dice di chi egli fosse o figliuolo; o fratello; ma poichè afferma di averlo avuto a maestro (l. cit. p. 1165), e aggiugne ch’egli essendo già vecchio fu concorrente nell’università di Padova con Jacopo da Forlì, da noi mentovato poc’anzi, sembra certo ch’egli giungesse fino agli ultimi anni di questo secolo, e forse toccasse ancora il seguente; e quindi è probabile che ei fosse fratello di Marsiglio e di Giovanni. L’Alidosi, nondimeno, il dice figliuol di Giovanni, e il fa professore di logica in Bologna nel 1388 (Dott. forest, p. 30), nell’anno stesso cioè in cui leggea ivi Giovanni, ch’ei gli dà per padre. Anche Galeazzo è onorato col titolo di famosissimo. Ma ciò che è per lui più onorevole, si è, ch’egli essendo ancor giovane, come narra il medesimo Savonarola, fu chiamato all’università di Vienna nell’Austria, ed ivi ebbe per più anni la cattedra ordinaria di medicina, e fu ancora medico di libertini de Salso de Placentia defensivus opinionis Galeni et plusi/uam concertalorius de corpore egro simpliciter et reprova tivus errorum Magi stri Johannis de Sancta Sophia de Padua, et responsivus ad omnia dieta Magi stri J. de Sancta Sophia, que ipse srripsit in suo Tractatu: il qual opuscolo è diretto all’università di Padova; e in esso si duole l’autore che Giovanni avesse fatta a un suo primo trattato una risposta piena di villanie e d’ingiurie. delle quali però non è men liberale Albertino verso il suo avversario. Un altro opuscolo se ne lia nella Guarneriana in San Daniello col titolo: Modus preservando aì’jue tuendi corpora a peste, quantum Medico est jjossibile. [p. 400 modifica]^OO LIBRO que’ duchi che gli assegnarono ampio stipendio. Quindi, venuto a vecchiezza, ritirassi in patria , ed ivi pure ebbe la lettura ordinaria insieme col detto Jacopo da Forlì. Nè il Savonorola nè alcun altro scrittor non ci dicono in qual anno ei morisse. Solo quegli aggiugne che fu sepolto nella chiesa degli Agostiniani, e che, mentr’egli scriveva, si stava per lui lavorando una magnifica arca di marmo, che dovea essere adorna delle immagini degli uomini illustri di quella famiglia. Egli ancora ne loda un’opera a cui avea dato nome di Ricette sulla prima parte del quarto canone d’Avicenna. Il Portenari nulla dice di questa, e accenna solo un’opera intorno alle febbri, e questa in fatti ho io veduta stampata in Venezia nel 1514 > e poi in Hagenau nel i533 (a). Altri uomini celebri in quest’arte medesima ebbe la famiglia di Santa Sofia, de’ quali ci riserbiamo a parlare nel secol seguente a cui appartengono. \x. XX. Somiglianti elogi fa il Savonarola di Bai,iuS«"are dassare da Padova, che pare alquanto più auLido"’0 ^c0? poiché egli dice che vien citato da Jacopo da Forlì, di cui ancora aggiugne che per qualche tempo fu concorrente e rivale. Egli, secondo il Savonarola, fu uomo maraviglioso, egli ancora famosissimo, egli ancora scrisse libri ammirabili, e noi gli crederemo in ciò con quella moderazione medesima con cui gli (a) Galeazzo fu figlio di Giovanni, ed ebbe due altri fratelli, liartolommeo e Francesco, i quali tutti esercitarmi con lode la mediciua; ina essi appartengono a secol seguente. i [p. 401 modifica]SECONDO 4°1 abbiam creduto riguardo agli altri. Le stesse lodi rende il Savonarola ad Antonio da Lido, di cui racconta che veggendo gli studj venuti meno in Padova, recossi a Parigi, e vi apprese profondamente la medicina, cui poscia, tornato in patria, insegnò pubblicamente. Ei ne parla come di uomo vissuto molto tempo addietro. Il Portenari al contrario non annovera tra’ medici di tal famiglia fuorchè un Giannantonio da Lido, che dice vissuto circa il 1460. In tale incertezza e in tanta mancanza di monumenti, che possiam noi diflinire? XXI. A questi celebri professori acrciucnia- „ xxl i • i i > 1* i i \ -ii* Bertuello e mone alcuni altri, de’ quali benchè niuno ci abbia i>«» »iin. fatti que’ luminosi elogi che abbiamo uditi sinora, abb iam però quanto basta a conoscere ch’essi pure ottennero fama. Guido Cauliac, celebre scrittor francese di chirurgia in questo secolo, nomina più volte il suo maestro Bertuccio or col proprio nome: Magister meus Bertucius (tract. 1, doctr. 1, c. 1); or generalmente chiamandolo il suo maestro bolognese: Magister meus Bonon. (tract. 4, doctr. 1, c. 4} tract 5, doctr. 1, c. 4)- F questi debb’esser lo stesso che quel Vertuzzo, la cui morte si rammenta all’anno \ ^\r) nell’antica Cronaca bolognese pubblicata dal Muratori: Morirono in Bologna per detta moria di molti uomini, tra’ quali... Messer Vertuzzo Medico soprano (Script. rer. ital. vol 18,p. l\o \). Il che ci pruova che anche uno dei più celebri chirurghi francesi di questa età era venuto a Bologna per formarsi a quest’arte. Abbiamo alle stampe alcune opere da lui date alla luce, e Tikaboschi, Voi V. 26 [p. 402 modifica]/j02 LI lì HO singolarmente una intitolata Collectoriuin Artis Medicete, delle quali veg’gasi il co. Mazzucchelli (Scritt. ital t. a, par. 2, p. 107 3). lu esse ei s’intitola semplicemente Bertuccio o Bertruccio, nè io so su qual fondamento altri gli aggiungano il nome di Niccolò. E questi è quel Bertruccio medesimo di cui qualche opera manoscritta rammentasi dal Fa 1)ricio (Bibl. med et inf. Latin, t. 1, p. 245$), benchè egli per errore il dica di Lipsia e vissuto circa il i |5o. Lo stesso Guido di Cauliac nomina ancora più volte un Alberto di Bologna (tract. 2 , doctr. 1 , c. 1, ec.), che probabilmente è quell1 Alberto Zancari, o quell’Alberto o Albertino di Giovanni dal Ferro de’ Maroelli, che dall’Alidosi si dicono professori di medicina in Bologna, il primo dal i32(» lino al 1347? il secondo l’anno 1314 (Dott. bologn. p. 2). Io trovo nel Catalogo de’ MSS. del re di Francia (t. 4. p. 305, cod. 7030) qualche opera medica di un Alberto da Bologna domenicano, che forse è questo medesimo rammentato dal Cauliac. Di questo lor religioso non fanno menzione i PP. Quetif ed Echard. Nomina parimente Guido di Cauliac , e un Anselmo da Genova (tract. 7, doctr. 17 c. 6), di cui rammenta un empiastro da lui offerto al pontefice Bonifacio VIII, e Mercadante e Pellegrino medici e chirurghi in Bologna (ib), de’ quali pure fa menzione l’Alidosi (Dott. bologn. p. 138, 153), e Giovanni de’ Crepati chirurgo nella stessa città (tract. 7, doctr. 2, c. 7). Aggiungansi a questi e Pietro Tossignano e Domenico da Ragusa e Michele Bertaglia e Cristoforo Onesti e più [p. 403 modifica]SECONDO 4°3 allri (*) clic rainmenlaiisi dal suddelto Garzoni come professori di medicina in Bologna , e scrii tori di opere mediche avule in gran pregio, i quali tutti si annoverano anche dall’Alidosi (l. cit. p. 2j 39, 47) *55) (a). XX.II. Alcuni altri medici troviam nominati nell1 opere del Petrarca , il quale benchè fosse lor giurato nemico? non lasciava però di averne alcuni nel numero de’ suoi amici. Tra questi era un certo Albino di Canobio, a cui tra le lettere inedite del Petrarca, rammentate dall’abate de Sade (Mém. pourla vie eie Petr. t. 3, p. 524), ve ne ha una in cui il ringrazia del cortese invito di andarsene a Canobio a villeggiar presso (*) Di Pietro da Tossignano medico fu un magnifico elogio Benedetto Morando, scrittore da lui non molto lontano, e ci rammenta un fatto ad esso mollo glorioso. Pctrurn Tausignanuni, in quo, ut in ffi spani a acce pi, p rader ejus egregia script a , tanta fuit medendi ars et doctrina, ut alterimi di ceres JEsculupiuni. tìunc Henricus Castellile Rex potcntissimns, Henrici, qui nuper obiit, avus , ad se curandum accivis 9 sanusque factus magno donatimi auri pondere in patriam remisit (Orat. de Bonon. laudili. p. 3 ">). (a) A questi medici deesi aggiugner quel Jacoj>o accennato nel Catalogo de’ Manoscritti. della Biblioteca dell5 lini versi tà di Torino, ove s ■ ne ha un trattato ile Sanitatis Custodia (t. 1 , p. 36o). Egli era suddito di Jacopo di Savoia principe di Acaia, come egli stesso si dice, dedicando il suo libro al medesimo principe; e da esso raccoltesi eli1 egli avea veduti più altri paesi, ed era stato anche in Parigi; e forse ancora fu poscia in Montpellier e in Avignone. Ma di lui ci darà più distinte notizie il eh. sig. Vincenzo Malacarne nella contimi izione delle sue Memorie deJ Medici c de’ Chirurghi piemontesi; c a lui io debbo ancor ciò che ne ho <jui accennato. XXII. Allri medili nominali dal IV l ritira. [p. 404 modifica]404 LIBRO lui, coll’esibirgli ancora l’ajuto della sua arte (*). Nella qual risposta il Petrarca, forse per mostrarsi grato all’amico, gli concede che per alcuni piccioli mali possa esser utile la medicina. Abbiam pure una sua lettera a Francesco da Siena Senil. l. 15, ep. 3), e un’altra a Guglielmo da Ravenna (ib. l. 3, ep. 8), amendue medici, e in amendue scherza amichevolmente con essi sull’arte loro. Del primo hannosi nella biblioteca del re di Francia (t. 4 , p. 300, cod. 6979) due trattati, uno de’ bagni, l’altro de’ veleni, e questo dicesi pubblicato in Avignone l’anno 1375, e dedicato a Filippo d’Alençon vescovo d’Auch; ed è probabilmente (quel Francesco da Siena lettore d’astrologia nel 1394, e poi di medicina pratica di Bolo-* gna lino al 1396 (Dott. forest. p. 11), citato dall’Alidosi, e che prima era stato reggente dello studio in Perugia, e medico del papa, di cui abbiamo altrove parlato (l 1, c. 3, n. 3?) (a). Ei nomina inoltre un certo Marco medico, compatriota di Virgilio (Variar, ep. 42), cioè mantovano. Con lode ancor maggiore ci parla di Giovanni canonico di Parma , uomo, com’egli dice (Senil. l. 12, ep. 2), che avea (*) La lettera al medico di Canobio, qui accennata , è la xvi del codice Moielliano, in cui però egli è detto non Albino, come legge P ab. de Sade, ma Albrtino. (a) Di Francesco (-asini da Siena, medico pontifìcio, nuove e più esatte notizie ci ha date poi P eruditissimo sig. abate Gaetano Marini (Degli Archiatri pontif\ t. 1 , p. qC». ec.), il quale ha ancora parlato di Giovanni di lui fratello, che fu parimente medico pontifìcio sulla fine del secolo xiv. [p. 405 modifica]$F.CONflO 4q5 gran nome in medicina, non solo nella sua patria, ma anche nella curia romana (di Avignone) fra que’ gran satrapi e fra quella turba di medici. In fatti egli è nominato da Guido di Cauliac tra’ medici che in Avignone avea conosciuto, e il chiama suo compagno: In Avignone socius meus Joannes de Parma (in proem.). Questi è probabilmente quel Giovanni di Parma , di cui narra il Ghirardacci (Stor. di Bol. t. 1, p. 554), che mentre era in Bre* scia professore di medicina col salario di qua* ranta lire annue, fu da’ Bolognesi, l’an 1311 ^ con solenne ambasciata chiesto a’ Bresciani ed ottenuto col salario di 100 lire. Prima ancora però di passare a Brescia, egli era stato una volta professore in Bologna , ed aveva gran nome, come ha osservato il ch. dott. Monti, fin dall’anno 1298. In una carta del 1308 egli è detto: Mag. Joannes dictus de Parma Filius quondam Domini Alberti de Fufia. È verisimile ch’ei passasse poscia dopo l’anno 1311 da Bologna ad Avignone a trovarvi troppo migliore e più lauto stipendio. Alcune sue opere mediche si conservano manoscritte nella biblioteca del re di Francia (t. 4 , codd. (ijyj 1 , ’j 131 ^ 81G0) (<i). Nè è maraviglia che un canonico (•/) il sig.;ibalc Marini ha saggiamente* avvertito (Degli Archiatri pontif. t. 1, p. (69, ec.) che convien distinguere due Giovanni da Parma medici amendue. Il primo professore in Bologna nel 1298. e detto in una carta del 1308 filius qu. D. Alberti de Fufia; il secondo canonico di Parma , proposto di Prato , chirurgo e medico di Clemente VI, d‘ Innocenzo \I e di Urbano V, e che vivea ancora nel 1363 , c che in 1111 rioni «icnto del Vaticano è detto Johannes de Gabriel, de Parma. [p. 406 modifica]406 li uno esercitasse a que’ Leiupi la medicina; poiché veggiamo che anche a Jacopo da Ferrara, vescovo di Modena, morto l’an 1311, si attribuisce a gran lode l’essere stato dottissimo medico: Jacobus Ferrariensis Mutinae Episcopus, qui Medicinae Scicntlarn prò fluidissime eliam tenucrat, ino ritur (Script. Rer. ital. vol. 11. P. 58, 59). ^ xx1!1-, XX1H Amico pur del Petrarca , benché di (.nido «la.. i # BagiK.io rcR- sentimenti non troppo a lui uniforme, fu Guido !Ì’,Tfi.r;« fh» Bagnolo reggiano (a). Abbiam veduto nel <u Cipro, precedente capor ch’egli era un di que’ quattro che spesso in Venezia venivano a disputa col Petrarca sulla filosofia di Averroe, di cui essi erano dichiarati sostenitori , e abbiam veduto il carattere che questi ce ne ha fatto, dipingendolo come uomo dottissimo al certo, ma insieme d’idee confuso, e pel suo sapere medesimo vano troppo e superbo. Il co. Niccola Taccoli ne ha pubblicato il testamento da lui fatto l’anno 1362 (Mem, di Reggio t. 2, p. 251), in cui egli si chiama: Magi ster Guido de Bagnoli s de Regio physicus Serenissimi Principisi et DD). Petri Hyerusalem et Cypri Regis. E che egli non avesse solamente il titolo di medico del re di Cipro, ma che ivi ancora abitasse per qualche tempo, ne è pruova il medesimo testamento che è segnato in Nicosia città di quell1 isola, e in cui nomina i beni che in essa possedeva. In esso ei nomina ancora una sua schiava, detta per nome Francesca, dalla quale avea avuta una figlia chiamata Alisia; e questa comanda (a) Di Guido da Bagnolo si è poi ragionato più stesamente nella Biblioteca modenese (l. 1 , p. i34). [p. 407 modifica]SECONDO 4°7 che sia condotta in Lombardia, ed ivi sia allevata da Franceschino di Gazzata suo zio materno, e da Tommasina monaca sua sorella, e che quando sia giunta all’età di undici anni? sia data in moglie a qualche scolaro reggiano che si trovi agli studj in Bologna. I suoi libri ancora di medicina e di arti comanda che si distribuiscano in limosina a’ poveri scolari; ed altri legati ancora egli istituisce a vantaggio di essi. Il co. Taccoli crede che Guido morisse in qull’isola in quest’anno medesimo 1362. Ma se altra pruova non può recarne che il testamento , questo certamente fu fatto da Guido , mentre egli era ancora sanus mente et corpore, come in esso egli si appella. E certo il Petrarca nel libro De suipsius et de multonun ignoranti a, che fu da lui cominciato nel 1367, cioè nell’anno in cui Urbano V tornò a Roma, parla di Guido e degli altri tre Averroisti come d’uomini ch’erano allora in Venezia. E io credo che Guido morisse solo l’anno 1370 poichè in quell’anno gli esecutori da lui nominati nel suo testamento, ne chiesero la conferma *, il qual atto è stato pubblicato insieme col medesimo testamento dal suddetto co. Taccoli. E che ei morisse in Venezia, cel persuade ancora la seguente iscrizione sepolcrale che ivi se ne conserva nella chiesa detta de’ Frari, ed è stata pubblicata dal P. degli Agostini (Scritt. venez. t. 1, p. 6). Phisicus hic Regis Cypri Regnique salubre Consiliumque fuit, solers scruptator Olympi , Gesta Ducum referens ì et sic sermone disertus. Philosophia triplex queritur sua damna: quis unquain [p. 408 modifica]4o8 libro Par.sibi veniens,(l. veniens.sibi) lustrabit tot laudibus eTirni? Ilio studiisbausitque cqd (/.hausitquicquid) Parnasia rupes Intus habet; secum virtus humana sepulta est. Quem de Bagnolo cognomine Guido vocarunt A patria Regi: saxum tenet ossa: locatiliMeos supcris: mundo vivax sua fama sedebit Non sappiamo s’egli lasciasse qualche monumento del suo sapere in medicina; ma ben sappiamo che qualche Cronica egli avea scritta: perciocchè, oltre che ciò si accenna nella riferita iscrizione, ne abbiamo il testimonio del Panciroli che avea sotto l’occhio una parte, ora smarrita, della Cronaca di Reggio, scritta da Pietro Gazzata, e che, parlando del sacco dato a questa città l’anno 1371, dice di Pietro: In ea direptione duo Chronicorum Volumina amisit ad eorum exemplum conscripta, quae Guido a Bagnolo ipsius Consobrinus composuerat (Ap. Murat. praef. ad Hist. Gazat. vol. 18 Script. rer. ital.). Ma più glorioso ancora per Guido è ciò che ivi il Panciroli soggiugne, cioè che a lui si dee la fondazione del collegio eretto in Bologna per gli scolari reggiani: Is est Guido Medicus, qui Collegium studiosorum Regiensium Bononiae instituit. XXIV. Nè questi fu il solo medico illustre che avesse Reggio di questi tempi. Abbiam veduto, parlando di Pietro d’Abano, che uno de’ più dichiarati nemici ch’egli avesse, fu un medico Pietro da Reggio. E questi è forse quel Pietro da Reggio, di cui rammentasi, nell’ultima edizion fiorentina del Vocabolario della Crusca (t. 6, p. 52), un Trattato ovvero ammaestramenti a sanità conservare, scritto a [p. 409 modifica]SECONDO 4°9 penna, se pur ei non è quel Pietro di Bonsignore da Reggio, medico in Bologna l’anno 1363, che si rammenta dall’Alidosi (Dott. forest. p. 60). L’anno 1391 viveva, dice il Ghirardacci, citandone in testimonio gli Atti pubblici della città (Stor. di Bol. t. 2, p. 455), un certo Bartolomeo di Guglielmo da Reggio Medico , che abitava in Bologna, riputato uomo miracoloso per tutti i mali degli occhi, e per conservare la vista: haveva l’anno di salario dal Senato fiorini venti di camera, ed era in Bologna e fuori molto stimato. Di lui parla ancor l’Alidosi (l. cit. p. 13), e aggiugne che lesse pur gramatica e rettorica per nove anni. Nel Catalogo de’ Manoscritti della biblioteca del re di Francia veggiamo un trattato di Jacopo da Reggio intitolato: Remedium adversus lapidum efformationem in vesicis (t. 4? p 295 , cod. 6941)• Ma non abbiamo indicio a provare eli’ egli vivesse in questo anzi che in altro secolo; se non che, dicendosi questo codice scritto nel 1402, è certo ch’egli non può fissarsi ad altro secolo posteriore. Somigliante argomento fu illustrato da un medico milanese, di cui il ch. co. Giulini rammenta un codice ms. (Contin, delle Mem, di Mil. t. 2, p. 606) che ha per titolo: Regimen ulceris vescicae; e al fin di esso: Explicit consilium super ardorem urinae editum a Magistro Joanne de Capitaneis de Vitoduno anno Domìni mcccxcxii die Lune Feb. XXV. Io non potrei sì presto giungere al fine di questo capo, se volessi ancora continuare ragionando di tutti quelli dei quali abbiamo notizia che o insegnarono nelle pubbliche xxv. Ragioni |>rr rui si Lisiia di)>url;tre di molli nitri. [p. 410 modifica]4 IO LIBRO scuoio la medicina, o la illustrarono co’ loro scritti. Molti n’ebbero le università di Bologna. di Padova, di Pavia, di Pisa, di Perugia} molti scrissero qualche trattato di medicina , de’ quali io non ho qui fatto parola, poichè mi son ristretto a que’ soli de’ quali è rimasto più celebre il nome, perchè di più luminosi encomj sono stati onorati. E nondimeno mi sarà forse avvenuto di tralasciarne alcuni che abbiano uguale, o ancora maggior ragione ad ottener la stima de’ posteri, che quelli dei quali ho ragionato. Ma mi si perdonerà, io spero, se nella necessità in cui l’ampiezza dell’argomento mi ha posto di ristringere entro un moderato confine questa mia Storia, non mi è venuto fatto di raccogliere almeno tutto ciò che più importa a sapere. Sarà sempre agevole l’aggiugnere supplementi a ciò che io abbia per inavvertenza ommesso, e lo stesso, piacendo a Dio, mi prenderò pensiero di farlo, quando abbia condotta tutta l’opera a compimento. Conchiudiamo frattanto ciò che alla medicina appartiene, col parlare di due scrittori medici milanesi, intorno a’ quali ci si offre a esaminar qualche punto non ancor ben deciso, wvi. XXVI. E il primo di essi è un certo Magnino, iianw"’** Sotto il nome di lui abbiamo alle stampe un ’l,,!a.,Uni libro intitolato Resimen Sani tatis. e alcuni al.intano.. o 7 tri opuscoli stampati insieme, le cui edizioni rammentansi dall’Argelati (Bibl. Script, mediol. t. 2, par. 1 , p. 830). Ma queste opere, e singolarmente la prima, come avverte lo stesso Argelati, da molti si attribuiscono ad Arnaldo [p. 411 modifica]SECONDO 4 1 1 da Villannova (a), fra le cui opere di fallo si trova inserita anche in alcuni codici mss.; e si pretende ch’ei, costretto ad andarsene qua e là fuggiasco, prendesse il nome di Magnino, e (a) Di Arnaldo da Villanova io non dovea ragionare in quest’opera , perchè ei non fu italiano , ma o francese o spagnolo. Veggasi l’opera degli Archiatri pontificii del ch. abate Marini (t. 1,p. 43). A lui però dobbiamo la notizia di molti medici italiani o nulla o poco finor conosciuti, de’ quali ei fa menzione nella sua opera intitolata Breviarium Medicinae practicae , stampata colle altre sue in Lione nel 1504 perciocchè in essa egli nomina un Giovanni da Perugia, un Giovanni da Firenze, forse quello che fu poi medico di Clemente VI (Marini, t. 1 , p. 64), un Teodorico da Rieti, un maestro Pietro vicentino, un maestro Pietro Marone da Salerno, un maestro Fernello pisano, un Francesco del Piemonte, e più altri. Della stessa opera si raccoglie che lo stesso Arnaldo era stato medico di Alessandro IV, o che almeno avea per lui composto alcune pillole (p. 193, 198 , ec.). Anzi da alcuni passi di essa si può inferire che la detta opera fosse composta nel monastero di Casanuova in Piemonte. Delle quali osservazioni io mi riconosco debitore alla singolare esattezza ed erudizione del ch. sig. Vincenzo Malacarne. Esaminando però diversi passi di quest’opera , i quali sembra che non possano convenire all età di un uomo solo , mi nasce qualche dubbio « he l edizione di essa sia stata fatta su qualche codice interpolato, e accresciuto da qualche meno antico medico, come spesso è accaduto. Ma ciò porterebbe una troppo lunga e minuta descrizione. Un altro Arnoldo, medico di Benedetto XI nel 1304, rammentasi dall’abate Marini (t. 1, p. 42) 1 il quale Arnoldo avea un fratello detto Uberto da Canturio nella diocesi di Milano, ma assai vicino a Como; e sembra perciò che sia quell’Arnoldo comasco indicato dal ch. conte Giovio come autore di alcuni Comenti sulla Scuola salernitana (Giornale di Mod. t. xxx, p. 86). [p. 412 modifica]XXVII. Wiiiii-o Selva) ùo. 4 I 2 LIBRO sotto esso pubblicasse alcuni suoi libri. Altri affermano che vi fosse in Milano in questo secolo un medico di questo nome, e eli’ egli avendo trovata la suddetta opera di Arnaldo 7 la facesse sua. Così si dice dell’edizione dell’opera di Arnaldo fatta in Basilea l’anno 1585, ove questo libro così s’ini il ola: Arnaldi de Villanova de, regimine sani tatis liber, quem Magninus Mediolanensis sibi appropriavit addendo et immutando nonnulla. Il delitto di cui si accusa Magnino, nella repubblica delle lettere è capitale; e perciò appunto non basta asserirlo, ma si richieggono gravi argomenti a provarlo; nè io veggo che alcuno se ne adduca. Converrebe avere più codici antichi, in alcuni de’ quali fosse ciò solo che Arnaldo scrisse su questo argomento, in altri ciò che Magnino vi aggiunse, o almeno di questa frode di Magnino converrebbe aver testimonj autentici e sicuri. Ma finchè questi non si producano,.Magnino è in diritto di esser riconosciuto autore di questo libro che da più codici gli si attribuisce. Ch’ei fosse milanese di patria, egli ce ne assicura nella detta opera, parlando di una pasta formata di millio e panico, e mista con vino e con sale, di cui dice: et iste cibus est in patria me a , quae est Civitas Mediolanum (De reg. Sanit, c. 11). Ma chi egli fosse, quando precisamente vivesse, quando morisse, niuno ce ne ha lasciata memoria. XXVU. L’altro è Matteo Selvatico, di cui vi ha controversia tra i Mantovani e i Milanesi, a chi di essi appartenga. Comunemente egli è creduto mantovano. Ma l’Argelati. citando [p. 413 modifica]SECONDO 41^ l1 autorità di Giovanni Sitone e di Rafaello Fagnano, amendue laboriosissimi raccoglitori de’ monumenti delle famiglie milanesi, stabilisce, co’ documenti da loro addotti (l. cit p. 14^4)? di’ ei fu figliuolo di Faciolo Selvatico, e marito di Erasmina Lampugnana; che l’an 1367 egli era in Milano dottor di arti e di medicina, e che l’an 1388 fu uno de’ Dodici che chiamansi di Provvisione. Così egli; nè io recherò in dubbio ciò ch’egli afferma. Ma che questo Matteo Selvatico fosse T autore dell’opera di cui or parleremo, l’Argelati non troverà sì facilmente chi glielo creda. Essa è intitolata Opus Pandectarum Medie in ae, che è in somma un dizionario de’ semplici, colla spiegazione dei molti usi a cui essi giovano nella medicina; e che è, per testimonianza del Freind (HistMedie, p. 159), la più diligente e la più esatta opera intorno alla virtù dell’erbe che in quei secoli si vedesse, e di cui si son fatte più edizioni che si rammentano dall’Argelati medesimo. Ma nel titolo si aggiugne: quod aggregavit eximius artium et Medicinae Doctor Matthaeus Selvaticus ad Serenissimun Siciliae Regem Robertum, qui fuerunt anno mundi 6516, anno vero C/iristi ìòi’ j. Or l’autore di un libro pubblicato nel 13177 che dovea essergli costata la fatica di non pochi anni, poteva egli ancora vivere oltre a settant’anni dopo sino al 1388, e sostenere in quest’anno un pubblico magistrato? Parmi assai più probabile che T autore di questo libro fosse avolo, o zio, o in altra maniera parente di quello di cui ragiona T Argelati. Sembra che dal re Roberto ei fosse chiamato a professore [p. 414 modifica]41 4 LIBRO in Salerno; perciocché egli indica un orto che aveva in detta città: Et ego ipsam (culcasiarn) habco Salerni in v iridar io rneo secus spectabilem fontem (Pandect. p. 64 ed. Lugd. 1541). Ma di lui ancora non troviamo più distinte notizie.

  • ^Vm*di- XXVIII. I progressi che per mezzo di tali

ri,,;, fu più scrittori fece in Italia la medicina , non furon iiuii/cheai- certo così felici, che questa arte si potesse creder condotta a perfezione. Essi nondimeno s’inoltrarono alquanto sopra il loro predecessori, e sparsero nuovo lume su una sì difficile scienza. E inoltre, qualunque fosse il loro sapere, non può negarsi che numero assai maggiore di scrittori ebbe in questo secolo la medicina in Italia, che in tutte insieme le altre provincie d’Europa. Io non veggo altri fra gli stranieri che di questi tempi coltivasser quest’arte co’ loro scritti, che Guido di Cauliac, Arnaldo di Villanuova, Arrigo d’Hermondaville, Bernardo Gordon, Gilberto inglese, Giovanni di Gadesden Bartolommeo Gian ville, Giovanni Arderno e Valesco daTaranta, le cui opere non son punto migliori di quelle di tanti Italiani, de’ quali per brevità abbiamo ommesso di far menzione. A niuno di questi però si potrebbe dare a ragione l’onorevol titolo di padre, o di ristoratore della medicina. Ma l’anatomia in questo secolo stesso si può dire con verità che sorgesse a nuova vita in~ Italia per opera del famoso Mondino, di cui perciò dobbiam qui trattare colla maggior esattezza che per noi si possa. xxix. XXIX. La patria di Mondino non è quasi JSTS men controversa di quella di Omero. Cinque [p. 415 modifica]SECONDO 4*5 città pretendono di avergli data la nascila. Gli scrittori fiorentini, citati e seguiti dal P. Negri (ScriU. fioretti, p /\iS) e ancora dal Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 5, p. 90), il dicon loro concittadino; ma essi non si compiacciono di darcene alcuna pruova , e perciò debbono soffrire in pace che non seguiamo il lor parere, e molto più che nol veggiam nominato da Filippo Villani tra gli illustri Uomini fiorentini, dei quali egli ha scritte le Vite. Il Freind (Hist. Medic, p. 158), M. Portai (Hi st. de 1 /hiat. t. 1, p. 209) e gli Enciclopedisti (t. 1, art. Anatomie) gli dan per patria Milano. Ma i Milanesi stessi nol riconoscon per tale; poichè nè il Sassi, nè l’Argelati, nè alcun altro de’ loro scrittori di Biblioteche gli ha dato luogo. Finalmente Bologna 7 Forlì e il Friuli ancora si fanno innanzi , e pretendono di aver data la nascita a Mondino. E la lite tra queste città non si potrà probabilmente decidere , se non col dividere almeno tra esse la gloria di cui sono gelose. E quanto a Forlì, che fosse natio di questa città un Mondino, non può negarsi. Ne abbiamo la pruova in.un documento del pubblico archivio di Bologna, che mi è stato gentilmente comunicato dal sig. co. Giovanni Fantuzzi: MCCCLIX die v Jul. Matthaeus qu. Stephani Corvolini Merzarius vendid.it... Mag. Thomae qu. Benvenuti de Pizano Doctori Medicinae Civi Bonon. de Cap. S. Mame, recipienti nomine Mag. Thomae qu. Magi stri Mondini de Forlivio Doctoris Artis Medicinae nunc Civis et habitatoris Venetiarum etc. pctiam imam la pai ria «li Mondin»; lino di ijui’ nlo nome fu Ìoìlivese. [p. 416 modifica]XXX. Prime notizie del Bolognese Mondino. ! 416 LIBRO terrae in castro S. Pel ri. Eoe Memoria!. Pitilippi de Alberghis. Eccoci dunque un Mondino da Forlì dottore di medicina e padre di un Tommaso che abitava in Venezia, del qual Mondino esistono più altri monumenti in Bologna , ne’ quali tutti ei dicesi forlivese. IN (il capo precedente parlando di Tommaso da Pizzano, abbiami osservato eli’ egli in Bologna si strinse in amicizia con un medico di Forlì, il quale essendo poi passato a Venezia, colà trasse ancora il Pi zza 110, e gli diede in moglie una sua figlia che fu madre della celebre Cristina da Pizzano. Or da questo monumento in cui veggiamo Tommaso da Pizzano agire in Bologna in nome di Tommaso da Forlì figliuol di Mondino, che abitava in Venezia, si rende chiaro abbastanza che questi fu il dottor forlivese da lui conosciuto in Bologna, e di cui poscia in Venezia ebbe in moglie la figlia. Fu dunque Mondino da Forlì avolo della madre della famosa Pizzani. Ch’ei fosse professore in Bologna , non ve ne ha memoria ne’ monumenti di quella città. Se il fosse in Padova, il cercheremo fra poco* Qui basti sol P avvertire eli’ei non è l’autore dell’opera d’Anatomia di cui singolarmente cerchiamo, perciocchè questi fu certamente bolognese di patria. XXX. Fin dall’anno 1270 erano in Bologna Albizzo dei Liuci e Liucio di lui figliuolo, come raccogliesi da un monumento pubblicato dal P. Sarti (De Prof. Bon. t. 1, pars 1, p. 463). An. mccl.xx Dominus Albizus qu. Domini Raynierii de Liucis, et Mag. Liucius ejus filius promiserunt solve re. [p. 417 modifica]SECONDO 4l7 Domino Mag. Bartholo Doctori in Physica hinc ad annum lib. xxxx Bon, quas ei debent ad laborandum in arte speciariae ad quartam partem lucri et damni Or Albizzo de’ Luci fu avolo, e Liucio zio paterno del nostro Mondino , come ci assicura il medesimo P. Sarti. Essi avean dunque contratta società con Bartolo nell1 aprire una bottega di speziale, e questa passò poscia a Mondino, da cui le rimase sì stabilmente il nome, che, come avverte il suddetto co. Fantuzzi nell1 erudita ed esatta Vita che di fresco ha pubblicata del celebre Ulisse Aldrovandi (p. 28), fino al principio di questo secolo dicevasi la speziaria di Mondino. Lucio di lui zio l’an 1306 fu eletto a professore di medicina nell1 università di Bologna , come ci narra il Ghirardacci che il chiama Maestro Leucio Dottore in Fisica (Stor. di Bol. t. 1, p. 5o5). L1 anno i3i6 essendo venuto a Bologna Giovanni figliuolo del re Roberto, e poscia partitone, Maestro Lucio,... e Maestro Mondino Dottori Fisici (ib. p. 591), cioè zio e nipote, furono a lui mandati con altri a chiedergli scusa di un insulto fatto a un agente da lui lasciato in Bologna. Due anni appresso Lucio morì, e fu sepolto in S. Vitale in un sepolcro di marmo che dal nipote Mondino gli fu fatto innalzare, e che ancora vi si conserva. Vedesi in esso scolpito a basso rilievo un maestro assiso in cattedra e attorniato da più scolari, che per errore è stato creduto da alcuni Mondino, a cui ancora si è attribuita da alcuni, e singolarmente dall’Alidosi (Dott. bologn. di Tijiaboschi, Voi. V\ 27 [p. 418 modifica]418 LIBRO Teol., ec. p. 137) 7 l’iscrizione che vi si legge e che appartien realmente a Lucio. Gloria nature Medica virtute Leuci, Cujus erant cure morentes reddere luci, Invidia fati recubat jam nomen adeptus Compar Hippocrati sublimi marmore septus. Annis millenis tercentum bisque novenis Dum sol terdenis Augustum torquet habenis. xxxi.fu XXXI. Mondino, nipote di Liucio e figliuolo, veramente il come l’Alidosi afferma (l. cit.), di Nerino Franntore zoli de’ Luzzi, era professore di medicina nelvanatomia, yuniversità di Bologna, come poc’anzi abbiam osservato, l’anno 1316. Il Ghirardacci lo annovera tra’ professori all’anno 1321 (t. 2, p. 18) e all’anno 1324 (ib. p. 56) collo stipendio di 100 lire. Secondo l’antica Cronaca italiana di Bologna, pubblicata dal Muratori, ei morì Tanno i32.6 (Script. rer. ital. vol, 19, p. 340): In questo anno morì Maestro Mondino, che fu riputato uno de’ migliori Medici del mondo , e fu seppellito a San Vitale (nel sepolcro medesimo di suo zio), ed ebbe un grandissimo onore della maggior parte del popolo. Sembra però, che in questa Cronaca sia corso errore di un anno) perciocchè il più volte lodato co. Fantuzzi mi ha avvertito che in un libro de1 frati di S. Francesco, ove si notavan l’entrate e le spese del convento e della chiesa, all’anno 1325 si legge: Item Fr. Guido de Spatis etc. pro anima Magi stri Mandini l. 15, q. 68. Ed è perciò probabile che questo appunto fosse l’anno della morte di Mondino. Or che questo Mondino, e non quel da Forlì, fosse l’autore del trattato di Anatomia, ne abbiam più pruove che non [p. 419 modifica]SECONDO 4X9 ci permeltono di dubitarne. Guido di Cauliac, scrittore di chirurgia di questo secolo e che avea studiato la medicina in Bologna, come già si è detto, parlando dell1 anatomia, dice (Chir. tract 1, doctr. 1, c. 1): secundum quod tractat Mundinus Bonon. qui super hoc scripsitj et ipsam fecit multoties, et Magister meus Bertucius. Inoltre in un codice della biblioteca regia di Torino: Anatomia Mone lini Bononiensis (Cat. Bibl. reg. taur. t 2, p. 110, cod. 477)* Finalmente Giovanni Garzoni, nella sua operetta de Dignitatis Urbis Bononiae, scritta al fine del secolo xv, ne fa questo elogio: Mondinum Bononiensem nobilissimum ac praestantissimum fuisse Medicum affirmem necesse est, cum ejus extent scripta sententiis referta, quae cum legimus maxima nos voluptate afficiunt. Totam hominis fab rie adone m, omnemque humanae naturae figuram atque perfectionem litteris mandavit , quae res quanti facienda sit, nullis possum verbis consequi. (Script rer. ital. vol. 21, p. 1162). In fatti Mondino fu il primo dopo gli antichi che ci desse un intero trattato d1 Anatomia; e questo fu allora caso pregiato , che anche nell1 università di Padova se ne leggea qualche passo come testo autentico, cui poscia il maestro spiegava più ampiamente (Facciol. Fast, pars 1, p. 48). E M. Portal produce una legge della stessa università, con cui si ordina che gli anatomici seguano la spiegazione del testo di Mondino, la qual legge, egli dice ch’era in vigore dugent’anni ancora dopo la morte di Mondino) {Hist. lAnat. t. 1. p. 209). Questo stesso autore confessa che Mondino fu [p. 420 modifica]xxxir. Dri vi probaLilmentr amnetterò un terso Mondino del Friuli. 420 LIBRO il ristoratore dell1 anatomia in Italia, poiché prima di lui ninno avea scritto di questo Jirgomento. Anche il Freind confessa che molte osservazioni e scoperte nuove fece Mondino, e le inserì nella sua opera (Hist. Medic, p. 158). Di essa abbiamo molte edizioni che si rammentano da M. Portal, dal Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 5, p. 90) e dagli autori delle Biblioteche mediche. XXXn. Il Facciolati pensa (l. cit. p. 45) che il Mondino anatomico fosse quel medesimo che fu professore in Padova l’an 1307, e che questi fosse natio del Friuli. Ei reca a provarlo gli atti dell1 esame di Aimerico polacco dei 28 di aprile del 1307, in cui si nomina come promotore Magister Mundinus de Civitate Austriae Physices et Medicinae Doctor, et ac tu re gens in Studio Paduano. Ma lo scrittore d1 Anatomia certamente fu bolognese, come si è detto. Ei dunque non può essere il professore qui mentovato. Sarà egli forse il Mondino di Forlì, nominato poc’anzi? Se le testimonianze di sopra addotte non fossero così uniformi a dirlo forlivese, io sospetterei di qualche errore, e crederei che invece di Forolivio dovesse leggersi Forojulio. Ma poichè chi ha esaminati que’ monumenti ci assicura che vi si legge chiaramente e costantemente Forolivio, non pare che possa temersi di errore. Per altra parte non solo negli Atti sopraccitati, ma anche in un codice della real biblioteca di Torino, in cui si contiene un compendio de’ Sinonimi medici di Simone da Genova, così il fine si legge: Hic finit Mundinus de Forojulio Austria Cwitate dieta [p. 421 modifica]SECONDO \‘2i Aquile/a in studio Paduae: Synon ima bresfiata cum additionibus quibusdam anno MCCCXXI die xi Augusti (Cat. Bibl. reg. taurin. t. , p. 114 > c°d- 4i)9)- E in un altro della biblioteca del re di Francia: Mundini Forojuliensis Synonima Medica (Cat. Bibl. reg. paris. t. 4 > p. 309, cod. 7057). E in un altro citato da monsignor Mansi nelle sue giunte al Fabricio (l. cit.): Synonima Magistri de Janua cum additionibus Magistri Mondini de Forojulio (a). Convien dunque necessariamente confessare che o gli scrittori degli atti e de’ codici? or or mentovati 7 lian preso errore, credendo clic friulano fosse Mondino e non forlivese? e scrivendo perciò Forojuliensis, e aggiungendo per tal persuasione quelle parole de Austria Civitatc, ec.) 0, quando ciò sembri difficile ad (a) La stessa opera delle aggiunte a’: Sinonimi di Simone da Genova , fatta da questo Mondino, trovasi in un codice della Biblioteca Vaticana-Urbinate citato da Monsig. Fontanini nel tomo undecimo de’ suoi INI SS. presso la famiglia del medesimo , e in esso ancora chiaramente si legge: Ego Mundi nus de Forojulii Ci vitate in Studio Paduano; e al fine: eXpliciunt Synonima. M. Simonis de Janua cum additionibus M. Mundini de Foro Julii. Par dunque indubitabile che del Friuli fosse natio il Mondino autor di quest’opera. Anzi il vedere che ad essa in questo codice stesso si aggiugne l’Anatomia di Mondino , senza indicarne la patria , potrebbe farci sospettare che fosse un solo l’autore di amendue le opere. Ma troppo forti sembrano gli argomenti de’ Bolognesi per annoverare tra’ loro questo scrittore , e perciò pare più verisimile che tre Mondini circa il tempo medesimo si debbano ammettere. Veggasi ora, intorno al Mondino, il tomo sesto, pag. 41 degli Scrittori bolognesi del detto conte Fontuzzi. [p. 422 modifica]/j22 LIBRO accordarsi, che oltre il Mondino da Bologna scrittore d’anatomia, ed oltre il Mondino da Forlì avolo della madre di Cristina da Pizzano , vi ebbe a questi tempi un Mondino del Friuli autore dell’opera poc’anzi accennata. N.^oio’ da XXXIII. Chiudiam questo capo col ragionar Re^iu ira-brevemente di yno, che se non fu medico di )“opere d> professione, col tradurre però molte opere di Gaieno. Galeno di greco in latino più felicemente che non erasi fatto in addietro, recò alla medicina non poco vantaggio. Ei fu Niccolò da Reggio di Calabria. Abbiam altrove parlato di un Niccolò autore di un’opera chiamata Antidotario, il qual certamente visse prima del secolo XIII, poichè veggiamo ch’essa fu commentata da Matteo Plateario vissuto nel secolo XII. Quegli di cui ora trattiamo, vivea a questo secolo; e ne abbiamo un certissimo testimonio in Guido di Cauliac che ne parla come d’uomo suo contemporaneo, e rammenta e loda molto le traduzioni di Galeno, che avea mandate alla corte del pontefice in Avignone: In hoc tempore (in prooem.), dic’egli, in Calabria Magister Nicolaus de Regio in lingua Graeca et Latina perfectissimus libros Galeni translatavit, eteos in Curia nobis transmisit, qui altioris et perfectioris stj li videntur, quam translatati de Arabica lingua. Veggiamo in fatti nel Catalogo de’ Manoscritti della Biblioteca del re di Francia molte opere di Galeno da Niccolò recate di greco in latino (t. 4> p• 286, cod. 6865; p. 287, cod. 5867), il che sempre più chiaramente scuopre la falsità di ciò che alcuni hanno asserito, e che altrove abbiam combattuto, cioè [p. 423 modifica]SECONDO 4^3 che solo nel xv secolo si cominciassero a vedere in Italia gli originali greci, e a lavorarsi sopra essi le versioni latine (*). Capo IV. Giurisprudenza civile. I. Gli onori che ne’ due secoli precedenti furono cintine a larga mano profusi sopra i giureconsulti, e le ricchezze per mezzo del lor sapere da molti di sto secolo, essi ammassate, avean conciliata autorità e stima sì grande alla giurisprudenza, ch’ella regnava in certo modo nelle pubbliche scuole, e non vi era scienza a cui non pretendesse di precedere e di soprastare. Quindi era infinito il numero di coloro che mettevansi per questa via; e collo studio della giurisprudenza si addestravano o a professarla nelle università, o ad esercitarla ne’ tribunali. Essa, a dir vero, andavasi (*) Moltissime traduzioni di diversi opuscoli di Galeno, fatte da Niccolò da Reggio tra:1 1317 e ’l i345, veggonsi ne’ primi due tomi dell’edizione latina delle Opere di esso fatte in tre tomi da Pierantonio Rustico piacentino professore dell’università di Pavia, e stampata nella stessa città , parte nel i5i5 e parte nel 151 li. E tra essi è degna di riflessione la dedica di Niccolò al re Roberto di Napoli del libro di Galeno , intitolato De passione uniuscujusque particulae corpo ris , nella quale dice che P imperador de* Greci Andronico avendo udito per fama il gran saper di Roberto, e il desiderio eh* egli avea di posseder certe opere di Galeno, che non erano state ancora recate in latino, alcune gliene avea tosto mandate.