Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo IV/Libro I/Capo I

Capo I – Idea generale dello stato d’Italia in questo secolo

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Capo I – Idea generale dello stato d’Italia in questo secolo
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Capo I.

Idea generale dello stato dell'Italia in quest' epoca.

I. Non fu mai per avventura così lieta l’Italia, come allor quando ella avea maggior motivo di piangere le sue imminenti sventure. La pace di Costanza stabilita l’anno 1183 avea finalmente condotte le città italiane, singolarmente di Lombardia, a quella libera indipendenza, per cui esse avevano sostenute in addietro sì lunghe e sì ostinate guerre. Trattone il supremo dominio, e qualche diritto ad esso necessariamente congiunto, che rimaneva all’imperadore, esse poteano reggersi a lor piacere, scegliere i lor magistrati, far quelle leggi che più credessero opportune, introdurre le arti, promuovere il commercio; erano in somma, a guisa di tante repubbliche, signore di lor medesime, a cui per esser felici bastava il volerlo. Qual cosa potea omai sembrare che mancasse ancora all’Italia per risorgere all’antica sua grandezza? E nondimeno, onde sperava la sua maggior felicità, indi ella ebbe appunto la sua rovina. Gl’imperadori, si consideravano, [p. 4 modifica]4 LIBRO ed erano veramente ancora sovrani d’Italia, benchè le avessero accordata la libertà) e volean pure mostrarle a' fatti ch’essi non ne avean perduto l’alto dominio. L’Italia non ricusava di render loro gli onori dovuti alla maestà imperiale; ma volea in ciò ancora mostrarsi libera, e vegliava gelosamente, perchè la sua indipendenza non sofferisse alcun danno. Ed ecco la prima origine di nuove guerre tra l'Italia e l Impero. Le città italiane inoltre erano ugualmente libere, ma non forti ugualmente. Questa disuguaglianza di forze destava nelle più potenti città desiderio d1 in gradi mento, e timore di essere sopraffatte nelle più deboli. Quindi la gelosia dapprima e l’invidia, poscia le vicendevoli leghe, e finalmente le aspre e sanguinose guerre tra le une e le altre. Le discordie per ultimo tra ’l sacerdozio e l’impero, che in quest’epoca ancora furono assai frequenti, dividevano in contrarii partiti anche le italiane repubbliche, ciascuna delle quali attenevasi a quella fazione a cui o la religione, o l’interesse, o qualunque altro motivo stringevale; anzi una stessa città vedeasi spesso divisa in contrarii partiti, e i cittadini prender gli uni contro gli altri le armi, e combattersi con più furore, che non avrebbon fatto contro i loro stranieri nemici. Per tal maniera ebbe a conoscer l’Italia che quella libertà medesima da cui ella si prometteva sì gran vantaggi, le era troppo fatale, ed ella stessa perciò, sotto pretesto di conservarla, tornò a farsi soggetta. La necessità di avere autorevoli personaggi che le conducessero in guerra, e in pace le regolassero [p. 5 modifica]PRIMO 5 saggiamente, determinò molte città italiane a sottoporsi ad alcuni de’ lor cittadini medesimi, che per nobiltà, per ricchezze, o per forze fossero più potenti. E quindi presero origine i diversi dominii in cui fu allora divisa l'Italia, i quali però non ebbero fermo stabilimento, se non dopo ostinatissime guerre o tra i possenti rivali che aspiravano a tal dominio, o tra le città medesime che ubbidivano a diversi signori. Tal fu la condizion dell'Italia nell’epoca di cui prendiamo a trattare. Ma ci conviene svolgerne partitamente le diverse vicende, che gioveranno a meglio conoscere ciò che avrem poscia a dire dello stato dell'italiana letteratura.

II. Erano appena corsi due anni dacchè la pace di Costanza avea renduta la tranquillità all'Italia, quando i Cremonesi per l’addietro alleati di Federigo, sdegnatisi contro di lui, perchè l’anno 1185 avea rendute a’ Milanesi alcune terre da quelli sopra lor conquistate, cominciarono a dolersi di tal condotta; e per mostrarne risentimento, non intervennero alle solenni nozze che Federigo festeggiò l’anno seguente in Milano, tra il suo figliuolo Arrigo e Costanza zia di Guglielmo II, allora re di Sicilia. Di che adirato l’imperadore, raccolte le truppe de’ Milanesi e di altre città, mosse contro di loro, e li mise a sì mal partito, che convenne loro ricorrere alla pietà del sovrano, il quale alle preghiere di Sicardo lor vescovo accordò ad essi il perdono. Io ho voluto accennar questo fatto, perchè si vegga quanto poco ebbero a tardar gl’italiani per riconoscere che la pace di Costanza non era troppo II. Molte città vengon presto a guerra le une contro le altre. [p. 6 modifica]6 LIBRO opportuna alla lor felicità. Ma non è mia intenzione di parlare di ciascheduna delle guerre che desolaron l Italia di questi tempi il che nè è necessario al mio argomento, e condurrebbe questa mia Storia a una soverchia e inutile prolissità. Basti il riflettere che ne’ soli 17 ultimi anni del secolo XII, che immediatamente seguirono alla pace di Costanza, oltre la guerra della Sicilia, di cui parleremo fra poco, si videro guerre civili in Faenza tra ’l popolo e i nobili l’an 1185, tra i Genovesi e i Pisani l’an 1187, tra i Piacentini e i Parmigiani ed altre città loro alleate l’an 1188 e il seguente; in questo ancora tra i Ferraresi e i Mantovani; nel 1191, e per quindici anni dopo tra gli Astigiani e’l marchese di Monferrato; l’an 1193 tra i Milanesi e i Lodigiani; e tumulti e guerre civili furono in quest’ anno medesimo in Bologna e in Genova; nel 1194 si riaccese la guerra tra’ Genovesi e i Pisani, che durò poscia più anni; l’an 1197 combatterono i Veronesi contro de’Padovani. Finalmente l’an 1199 moltissime città d’Italia si videro prender le armi le une contro le altre all’ occasione di una contesa tra i Parmigiani e i Piacentini. Delle quali e di altre somiglianti guerre ch io ho solo accennate, veggansi gli Annali del ch. Muratori, e gli altri storici italiani. III. Frattanto l’an 1189 venne a morte Guglielmo II, re di Sicilia, in età di soli 36 anni, ottimo principe, di cui ha scritta recentemente con molta esattezza ed eleganza la Storia il dottissimo monsig. Testa arcivescovo (di Monreale. Costanza moglie di Arrigo figliuolo [p. 7 modifica]PRIMO 7 di Federigo, e coronato tre anni innanzi re di’ Italia in Milano, pretese di dover col marito salire a quel trono. Ma i Siciliani proclamarono loro re l’unico che rimaneva della famiglia reale, cioè Tancredi figliuol di Ruggieri, e cugino del defunto re Guglielmo. Quindi un’ altra sanguinosa guerra s’accese in quelle provincie, alcune delle quali erano favorevoli a Tancredi, altre ad Arrigo, il quale in questo frattempo, morto l’an 1191 nelle acque del fiume Salef l’im^erador Federigo ch’era passato alla guerra di Terra Santa, succedettegli ne’paterni dominii, ed ebbe l’an 1191 dal pontefice Celestino III la corona imperiale. La guerra fra Arrigo e Tancredi durò sino all’an 1194, in cui morì Tancredi, lasciando erede delle sue sventure piuttosto che del suo regno il giovinetto suo figliuolo Guglielmo III sotto la tutela di Sibilla sua moglie. Arrigo allora giunse più facilmente ad ottenere la contrastata corona, e costrinse l’infelice reina col piccol suo figlio a darglisi nelle mani. La crudeltà di cui egli usò contro la fede data verso di essi, tenendoli di continuo in istretta prigione, e quella con cui egli sfogò lo smoderato suo sdegno contro coloro che gli erano stati nimici, diede occasione a varie sollevazioni nella Sicilia. Ma esse non ebbero altro effetto che d’innasprire maggiormente il feroce animo di Arrigo, il quale però poco tempo ebbe a secondare la sua crudeltà, morto in Messina l an 1197 (a) con grande (a) Veggasi la descrizione de’ magnifici sepolcri di Arrigo VI e di Costanza di lui moglie, e così pure di [p. 8 modifica]8 turno allegrezza della Sicilia e d altri paesi d'Italia, dice il ch. Muratori (Ann. d'Ital.ndh. an.), che l avevano provato principe crudele e sanguinario, nè gli davano altro nome che di tiranno. IV. La morte di Arrigo, e l’intervallo di dieci anni in cui vacò l’impero per la guerra che in Germania si accese fra Filippo duca di Svevia, e Ottone figliuolo di Arrigo Leone duca di Sassonia e di Baviera. diede opportuna occasione a molte città della Toscana, che finallora erano state soggette all’autorità imperiale, di scuoterne il giogo, e di reggersi nella forma medesima delle città di Lombardia. Così il governo repubblicano andava dilatandosi per l’Italia, dove al medesimo tempo si facevano sempre più frequenti e più sanguinose le guerre civili. Benchè gl’italiani non prendesser gran parte nella discordia tra’ due concorrenti al trono, essa nondimeno servì a fomentare vie maggiormente quelle sì funeste fazioni che diceansi de’ Guelfi e de’ Gibellini, dandosi il nome de’ primi a coloro che seguivano il partito d’Ottone discendente da’ principi Estensi-Guelfi, de’ secondi a coloro che favorivan Filippo discendente dalla famiglia dei’ principi Gibellini, di che veggasi il Muratori (Antiq. Ital. t. 4, diss. 51). Quando poi rinnovaronsi in questo secolo stesso le fatali guerre tra’l sacerdozio e l’impero, gli quello dell’altra Costanza moglie ili Federigo II, e di quello del medesimo Federigo, dataci dall’eruditissimo sig. D. Francesco Daniele nella bella sua opera ile’ Regali Sepolcri ilei Duomo di Palermo magnificamente stampata in Napoli l'anno 1784. [p. 9 modifica]PRIMO 9 stessi nomi furono usati a distinguere i diversi partiti; e Guelfi dicevansi i seguaci de’ papi, Gibellini i seguaci degli imperadori. Tutte le storie italiane di questo secolo ci dipingon gli orrori che furono l’effetto di sì ostinate discordie. Non sol vedeansi le une città contro l’altre rivolger l’armi; ma nelle città medesime, anzi nelle stesse private famiglie, vedeansi contrari partiti; i cittadini e i domestici mirarsi gli uni gli altri come nimici, insidiarsi, inseguirsi, cacciarsi a vicenda. Non vi ha quasi alcuna tra le più ragguardevoli città d’Italia, che non abbia le sue cronache esatte e minute di ciò che in essa avvenne di questi tempi; e non vi ha oggetto che sì spesso in tali storie ci venga innanzi, quanto i tradimenti, gli esilii, gli omicidii, le battaglie tra’ cittadini medesimi. Nè io credo che vi abbia argomento alcuno più di questo efficace a mostrarci che non vi è cosa a una repubblica più funesta della indipendenza totale de’ cittadini. V. Mentre l’Italia al principio del XIII secolo era così lacerata dalle guerre civili, cresceva in essa un principe che dovea un giorno darle assai maggior occasione di tristezza e di pianto. Federigo figliuolo del defunto imperadore Arrigo e di Costanza, nato in Jesi a’ 26 di dicembre nel 1194, fu per opera di suo padre eletto re di Germania e d’Italia, benchè fanciullo ancor di due anni. Ciò non ostante, morto Arrigo l’an 1197, di lui non si fece alcun conto, e Filippo e Ottone, come si è detto, presero a contender tra loro per la corona. Perciò la reina Costanza, fatto a sè venire in [p. 10 modifica]to LIBRO Sicilia il tenero figlio, gli ottenne dal pontefice Innocenzo III l’investitura di quel regno; ma morta ella frattanto l’an 1198, Federigo ebbe a soffrire per più anni sollevazioni e guerre pericolose, nelle quali ei fu debitore singolarmente al pontefice Innocenzo, se potè conservare il suo regno, e superare gli sforzi de’ suoi rivali. L’an 1209 ei prese in moglie Costanza figliuola del re d’Aragona; e nel seguente anno ebbe a sostener nuova guerra contro di Ottone V. Questi, poichè fu ucciso l’an 1208 il suo rivale Filippo, era rimasto pacifico posseditore del regno, e l’anno seguente avea ricevuta in Roma la corona imperiale. Ma poscia venuto a dissension col pontefice, e veggendo che questi teneasi strettamente unito col giovane re Federigo, contro di lui mosse l’armi, e avrebbelo per avventura condotto a mal partito, se il pontefice Innocenzo non avesse indotti molti de’ principi e dei’ vescovi d’Allemagna e dichiararsi in favore di Federigo. Il pericolo a cui allora Ottone si vide esposto, costrinselo ad abbandonare la Sicilia, e a tornarsene in Allemagna, ove l’an 1212 recossi ancor Federigo, giovinetto di diciotto anni, ed ebbe in Magonza la corona reale. I due rivali proseguirono per più anni a contrastare tra loro; e per loro contrastavano insieme le città italiane divise in diversi partiti, finchè l’an 1218, morto Ottone, Federigo II rimase senza contrasto padron del trono; e due anni appresso venuto in Italia, ebbe in Roma dal pontefice Onorio III successor d’Innocenzo l’imperial diadema. [p. 11 modifica]PRIMO I i VI. Io debbo a questo luogo pregare chiunque legge questa mia Storia, che mi sia lecito il passar leggermente su i trent anni del regno di questo principe. Tempi alla Chiesa e all’Italia troppo funesti, in cui si videro gli angusti capi del sacerdozio e dell’impero gareggiar quasi continuamente l’un contro l’altro le città italiane altre sostener con impegno il partito di Federigo, altre resistere con incredibil fermezza a tutti gli sforzi imperiali, o perchè collegate co’romani pontefici, o perchè gelose dell antica lor libertà, di cui temevano che Federigo volesse spogliarle e tutta in somma l'Italia, e la Lombardia singolarmente, divenuta un orribil teatro di tumulti e di stragi. Onorio III, Gregorio IX e Innocenzo IV furono de’ più grandi pontefici che occupasser la cattedra di S. Pietro. Federigo II era di sì rare doti fornito, che avrebbe potuto render felice qualunque Stato in cui egli regnasse. Sotto tali pontefici e sotto un tale imperadore, perchè mai fu sì infelice la condizion dell’Italia? Volgiamo altrove lo sguardo da tante e sì luttuose calamità, e preghiamo il cielo che sì torbidi tempi non mai ci tornino. Solo, a dar qualche idea del carattere di Federigo II io riporterò qui ciò che saggiamente ne dice un chiarissimo scrittor moderno, dico il sig. Denina che così ne ragiona (Rivai. iTItal. t. 2, p. 119): Fra gl’ imperadori pagani sarebbe stato Federigo II sicuramente de’ più lodevoli, perciocché Vambizione e la licenza sua in fatto di femmine, e il poco pensier che si prese della religione, non gli sarebbero state imputate a gran difetto: [p. 12 modifica]ia unno ed io non mi maraviglio che certi scrittori molto indifferenti in ciò che riguarda la Fede cristiana, lo abbiano chiamato francamente un grand eroe. La sua politica, il valor militale, fattività, V accortezza, la severità negli ordini della giustizia, unite alla lunghezza del regno, poteano bastare a stabilire ed accrescere qualunque impero. Ma egli si seppe troppo male accomodare alle circostanze de' tempi, o, per dir meglio, le circostanze del secolo in cui visse, non gli lasciarono acquistare dalle reali sue virtù quella gloria che potea sperare. Così egli (a). INoi di (a) Merita di esser qui riportato il carattere che dell’nnperador Federigo II fa nella sua Cronaca inedita F. Salimbene. De fide Dei, dic’egli alle pagine 354 355, ni li il habebat. Callidus homo fuit, versutus, avarus, luxuriosus, malitiosus, iracunaus. F.t valerti homo fuit interdum, quando voluit bonitates et cunalitates mas oitendere. Solaliosus, jacuntlus, industrio• sus, /egire, seri bere, et cantare sciebat, et cantilenas et cantiones invenire. Pulcher homo et bene fortis, sed mediae staturae fuit. Vidi enim cum, et aliquando dilexi. Nam pro me scripsit F. Helie generali ministro Ordinis Fratrum Minorum, ut amore Dei me redderet Patri meo. Item multis linguis et variis loqui sciebat. Et ut breviter me expediam, si. bene fuisset Catholicus, et dilexisset Deum et Ecclesiam et animam sua ni, paura s halluinet in imperio pares in mundo. Son note le favole che intorno alla nascita di Federigo II si sparsero per l’Italia, e che furono da troppo creduli scrittori facilmente adottate. Fra. Salimbene volle anche’egli lasciarci la sua storiella, ch’ ei però ci da solamente come tradizion popolare: Est autem Esium civitas, in qua Fridericus Imperator natus fuit, et divulgatum fuit de eo, quod esset filius cujusdam beccarii de. civitate, pro eo quod domina Constando Imperatrix mititorum crai die.rum et multum carnosa, quando dei-■ ponsavìt cani Imperator Henricus. Cosi egli a pag. s35. [p. 13 modifica]PRIMO l3 questo imperadore dovrem favellare di nuovo nei’ capi seguenti, e allora ne ragionerem con piacere, perciocchè in ciò che appartiene al coltivare e al promuovere i buoni studi, egli fu uno de’ più gran principi che vivessero in questi secoli. VII. Federigo lasciò di vivere nella Puglia l’an 1250, dopo aver avuto il rammarico di non poter mai soggettare le città lombarde, e di veder l’anno innanzi fatto prigione dai’Bolognesi Enzo suo figliuol naturale da lui dichiarato re di Sardegna. La morte dell’imperadore, e l’interregno di più che le venne dietro, rendette l’Italia sempre più indipendente da’ monarchi d’Allemagna; e al medesimo tempo cominciarono a formarsi le molte e varie signorie che poscia maggiormente si stesero e si confermarono negli anni seguenti. I marchesi d’Este, la cui famiglia già da più secoli era illustre e possente in Italia, i marchesi di Monferrato, i conti di Savoja, Oberto Pelavicino, Buoso di Doara, Ezzelino da Romano sì celebre per la snaturata sua crudeltà, que’ della Torre, que’ della Scala, e i Caminesi, dei’ quali Gherardo e poi Ricciardo furono capitani generali e vicarii cesarei di Trevigi, di Feltre e di Belluno, erano quelli che in questi tempi avean maggior nome, e a cui molte città erano soggette. Ma le continue guerre ch’erano costretti a sostenere, non rendevano il lor dominio abbastanza sicuro. Le fazioni e i partiti si andavano per tal maniera fortificando vie maggiormente, gli animi sempre più s innasprivano, e i danni delfltalia si facevano ogni giorno maggiori. [p. 14 modifica]Vili. Carlo d Angiò occupa quel regno: Rodolfo dello in:perudore. 14 LIBRO Frattanto Corrado figliuolo di Federigo II, e da lui fatto già eleggere re di Germania, passò in Italia fanno 1201 per difendere il regno di Sicilia, in cui molte città eransi contro di lui sollevate. Manfredi figliuol naturale di Federigo, e principe adorno di pregi non ordinarii, come altrove vedremo, governava quelle provincie in nome del suo fratello Corrado, e seppe destramente impedire che la sollevazione non si stendesse tropp oltre. Corrado giuntovi ridusse alla sua ubbidienza quasi tutto quel regno; ma insieme ingelosito del potere e della grazia di cui godea Manfredi, privollo quasi interamente di ogni autorità, senza che però Manfredi ne mostrasse risentimento di sorte alcuna. Corrado morì nel fiore di sua età fanno an.1254, lasciando erede di quel regno il suo figliuol Corradino fanciullo di due soli anni; e l’anno stesso morì il pontefice Innocenzo IV che invano avea finallora usato ogni sforzo per toglier quelle provincie a Corrado. Manfredi ad istanza de’ grandi assunse la reggenza del regno e la tutela di Corradino, e in pochi anni tutte si soggettò le città e le provincie del regno di qua e di là dal Faro; e l'anno ia58 sparsa o per artifizio o per errore la falsa voce che Corradino trasportato in Germania era morto, fecesi solennemente incoronare re di Sicilia, e pochi anni dopo diede sua figliuola Costanza per moglie a Pietro figliuol di Jacopo re d’Aragona. Vili. I romani pontefici Alessandro IV e Urbano IV non aveano mai voluto riconoscer Manfredi re di Sicilia; e perchè le lor forze non eran bastevoli a privarlo del regno, Urbano [p. 15 modifica]PRIMO 1D ne fé’ la profferta a Carlo d’Angiò fratello di S. Luigi IX, re di Francia, a cui verso il medesimo tempo il popol romano conferì la dignità onorevole di suo senatore. Egli venne perciò in Italia l’an 1265, e nel seguente fu solennemente coronato in Roma re di Sicilia da Clemente IV ch era l’anno innanzi succeduto ad Urbano; e quindi mosso l’esercito contro Manfredi, e venuto con lui a battaglia, questo infelice re, abbandonato da’ suoi, e gittatosi disperatamente nella mischia, vi fu ucciso. Carlo rimase presto signore di tutto il regno, ed ebbe ancor nelle mani Sibilla moglie e Manfredino figliuol di Manfredi. Quindi ei prese a combattere singolarmente in Toscana il partito de’ Gibellini, risoluto di sterminarlo. Le crudeltà e le violenze usate dalle truppe di Carlo, il renderono odioso agl'italiani, e molti perciò de principali tra essi, chiamato dalla Germania il giovane Corradino. l opposero a Carlo. Ma il misero principe venuto con lui a battaglia, mentre vinto se ne fuggiva, arrestato e condotto prigione, fu per ordin di Carlo pubblicamente decapitato in Napoli l’an 1268 insieme con Federigo duca d’Austria, e molti altri de’ più ragguardevoli suoi seguaci. Niuna cosa allora si tenne più contro il potere di Carlo, che creato ancor per dieci anni signore della repubblica fiorentina, e soggettate coll armi più altre provincie, poteasi quasi dire sovrano di tutta l’Italia. Eran frattanto corsi più anni, dacchè la Germania e l’impero non avean capo; e se taluno aveane portato per qualche tempo il nome, non avea saputo sostenerne l’autorità. [p. 16 modifica]lf> LIBRO Perciò per opera singolarmente di Gregorio X i principi di Germania elessero l’an 1273 in re de’ Romani Rodolfo conte di Habspurch, da cui discende l’augustissima casa di’Austria. L’autorità e il potere di Carlo fu per tal elezione sminuito alquanto in Italia; ma una assai più fiera burrasca si andava contro di lui formando, che dopo alcuni anni venne a scoppiare. IX. I Siciliani gemevano da molti anni sotto il troppo aspro governo de’ nuovi loro signori. Stanchi omai di soffrirlo, e ricordevoli del diritto che avea a quel regno Pietro re d’Aragona per la regina Costanza sua moglie, e figlia del re Manfredi, pensarono d’implorarne l ajuto. Giovanni di Proci da fu l’orditor della gran tela. L’an 1282 all’ora dei’ vespri della seconda o, come altri scrivono, della terza festa di Pasqua, tutta Palermo fu in armi, e quanti vi eran Francesi furono trucidati. Messina ne seguì presto l’esempio, e tutta l’isola si sollevò contro Carlo. Questi accorse prontamente alla punizion de’ ribelli; ma mentre ei cominciava a domarli, ecco sopraggiungere con poderoso esercito il re d’Aragona. Carlo non potè sostenerne le forze 5 ed ebbe il dolore di vedere il suo figliuol primogenito fatto prigion dai’ nemici, e tutta la Sicilia, e parte ancora della Calabria da essi occupata, e al medesimo tempo l’antica sua autorità in Italia venuta quasi al nulla. Egli non sopravvisse gran tempo a tali sventure, e morì l’an 1285, lasciando erede del regno l’infelice suo figlio Carlo II ch’era prigione in Sicilia, e che in quest’ anno fu trasportato in Catalogna. Egli ciò non ostante fu riconosciuto [p. 17 modifica]PRIMO 17 per re in Puglia, e il governo del regno fu confidato a Roberto conte di Artois. L’anno seguente fu coronato re di Sicilia in Palermo Jacopo figliuol del re Pietro, cui questi avea nominato già da alcuni anni suo successore, nel tornarsene ch’ ei fece al natio suo regno. L’an 1288 il re Carlo riebbe finalmente la libertà e venne a Napoli, e tenne quel regno fino all’an 1309, in cui finì di vivere. Jacopo re di Sicilia, poscia ancor d’Aragona, erasi già condotto l’an 1295 a cedere a Carlo tutta quell’isola, e le altre provincie ch’egli avea occupate. Ma i Siciliani che troppo temevano il ricadere sotto il dominio francese, sollecitarono Federigo fratello del re Jacopo, perchè venisse a occupare quel regno. Egli prontamente vi si condusse, e coronato in Palermo, seppe sostenersi, benchè con somma difficoltà, contro tutti gli sforzi di Carlo, e dello stesso suo fratello il re d’Aragona, finchè l’an 1302 fermossi tra essi la pace, a condizione che il re Federigo avesse la sola Sicilia, e che questa ancora, lui morto, passasse al re Carlo, o a’ suoi discendenti. X. Io ho voluto stendermi alquanto sulle vicende di questo regno, perchè esso fu il solo che in questo secolo avesse durevole co;isistenza. In tutto il rimanente d’Italia non vi ebbe che cambiamenti e rivoluzioni continue, singolarmente verso la fine del secolo, nel qual tempo tre sopra tutti si videro salire ad alto stato nella Lombardia, ed avervi ampio dominio. Guglielmo VII, marchese di Monferrato, ch' ebbe l’onore di avere in moglie una figlia Tiraboschi, P’b/. 2 x. Potenza de1 niairkfsi ili Moti ferra lo, de’ Viscouti e degli E~ «lenti. [p. 18 modifica]18 LIBRO di Alfonso re di Castiglia, e di dare una sua figlia in moglie all’imperador greco Andronico Paleologo, fu per alcuni anni capitano e signore di Pavia di Novara, di’Asti, di Torino, di’Alba, d’ivrea, di Alessandria, di Tortona, di Casale di Monferrato, e ancor di Milano; ma ebbe una fine troppo disuguale a sì grande potenza, perciocchè preso dagli Alessandrini l’an 1290, e chiuso da essi in una gabbia, vi morì miseramente dopo due anni di prigionia. Ottone Visconti arcivescovo, e poi anche signor di Milano, diede principio all’innalzamento della sua famiglia, e fe’ dichiarar Matteo suo nipote vicario generale della Lombardia da Adolfo che l’an 1292 era succeduto nella dignità di re de’ Romani a Rodolfo; ed egli poscia dopo varie sinistre vicende stabilì e dilatò vie maggiormente il suo dominio, come vedremo altrove. Finalmente Obizzo d'Este, i cui antenati aveano già da lungo tempo signoreggiata Ferrara, l’an 1288 fu chiamato a lor Signor da’Modenesi, e due anni appresso ancor da' Reggiani. Così si andavan formando in Italia quei’ diversi Stati che poi nel secolo susseguente con più fermezza si stabilirono. Lascio di parlare delle altre città, e dei’ diversi signori ch’ebbero quasi tutte verso la fine di questo secolo, delle repubbliche di Venezia, di Genova, di Firenze, di Pisa, e degli odii che tra lor si accesero, e delle guerre che tra le une e le altre città arsero continuamente, e delle diverse vicende a cui furon soggette. Ciò che ne abbiam detto poc’anzi, basta a darne un’idea, quale al mio argomento conviene; che non debbo parlare [p. 19 modifica]PRIMO ig del civile stato d’Italia, se non quanto è necessario a meglio comprender lo stato dell’italiana letteratura. Il dominio ecclesiastico finalmente fu anch’esso esposto a rivoluzioni e a cambiamenti non piccioli, di cui furon cagione e le dissensioni tra'l sacerdozio e l’impero, e la parte che i pontefici presero nelle guerre de’ re di Sicilia, e i frequenti tumulti che si sollevarono in Roma, e che diedero poscia occasione alla traslazion della sede in Avignone su’ principii del secolo xiv. Ma di molti de’ pontefici di questa età dovrem ragionare più in particolare nel capo seguente. XI. Tal fu la condizion dcllTtalia dagli ultimi anni del secolo XII sino al compimento delxm; secolo pieno di tumulti e di sconvolgimenti grandissimi, in cui non vi ebbe quasi città che non fosse soggetta a gravi sventure, e che non vedesse entro le sue proprie mura spettacoli degni di orrore e di compassione. In mezzo a un sì universale scompiglio, chi non crederebbe che le scienze e le arti non si giacessero interamente dimenticate? E nondimeno la loro sorte non fu così infelice, come sembrava doversi aspettare. Tra’ sovrani ch’ ebbero signoria ed imperio in Italia, molti ve n’ebbe che avean in pregio le lettere molti ancora che l’aveano coltivate, e che fra le ardue cure de’pubblici affari non si sdegnavano di volgere ad esse qualche pensiero, e di fomentarle col loro favore e colla loro munificenza. Si vider anche in tempi sì procellosi aprirsi nuove pubbliche scuole, accogliersi benignamente da’ principi i poeti ed altri uomini dotti, ricompensarsi le erudite loro [p. 20 modifica]20 LIBRO fatiche, promuoversi con saggi provvedimenti i buoni studi, onorarsi in somma e fomentarsi generosamente le scienze. Questi erano efficacissimi mezzi per ricondurre all’ antico suo splendore l'italiana letteratura e qualche lieto effetto pur se ne vide. Ma la rea condizione de’ tempi scemò di molto i vantaggi che potean da essi sperarsi. Molti si volsero con fervore a coltivare gli studi ma scarso era ancora comunemente il numero dei’ buoni libri e più scarsi erano ancora que’ lumi che sarebbero stati richiesti a discernere il vero dal falso. Lo stile perciò e la critica di questi tempi sembrano per lo più risentirsi non poco della barbarie e della rozzezza de’ costumi che allor regnavano. E come poteva avvenire altrimenti? Come poteasi fra tanti tumulti trovar quell’agio e quella tranquillità, senza cui le lettere non fecero, nè faranno giammai felici progressi? Se i profondi geometri de’ nostri giorni si vedessero continuamente esposti al pericolo o di civili sanguinosi tumulti, o d’improvvisi assalti nimici, per cui la stessa lor vita non fosse abbastanza sicura, e mentre si stanno tranquillamente immersi in una ingegnosa dimostrazione, si udissero di repente alle spalle rumor d’armi e d’armati, crediam noi forse che ad imitazion d’Archimede si starebbero immobili, o che non anzi gitterebbono con dispetto e compassi e figure? Or tal era l’infelice condizion di coloro che in questi tempi volean pure coltivare gli studi. Il breve compendio di storia che abbiam premesso, basta a mostrarcelo apertamente, senza ch’io mi trattenga a recarne altre prove. [p. 21 modifica]PRIMO 21 Che se ciò non ostante l’Italia non solo non fu inferiore ad alcuna delle straniere nazioni che furono assai più di essa tranquille, ma forse ancora le superò di gran lunga quasi in ogni genere di letteratura, non deesi ella riputar cosa a lei sommamente gloriosa, che fra tanti ostacoli si avanzasse pur tanto? Ma noi ci arroghiamo un onore che altri vorrà forse contenderci, e ci conviene perciò sconvolgere in ciascuna sua parte lo stato dell’ italiana letteratura in quest’epoca.