Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo III/Libro I/Capo IV

Capo IV – Principii della poesia provenzale e della italiana

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Capo IV – Principii della poesia provenzale e della italiana
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Capo IV.

Filosofia e Matematica.

I. Eran già presso a quattro secoli che la filosofia giacevasi tra’ Romani quasi dimenticata; perciocchè dopo la morte di Seneca e di Plinio il Vecchio appena vi era stato fra essi chi avesse preso ad illustrarla, scrivendo libri di tale argomento; e i molti filosofi greci che furono in Roma, ottenner bensì ammirazione ed applauso, ma tra’ Romani non ebber molti imitatori e seguaci. Ma al tempo de’ primi re ostrogoti, che parve destinato al risorgimento di tutte le scienze, un uomo celebre per nascita e per dignità, e fornito di acuto ingegno e di instancabile studio, si volse con tale ardore allo studio della filosofia, che pareva dovesse essa rifiorire, e aver molti e valorosi coltivatori. E forse ciò sarebbe avvenuto, se la tranquillità de’ tempi di Teodorico e di Atalarico non si fosse poi cambiata sotto a’ lor successori in funestissime turbolenze, che devastando miseramente l’Italia tutta condussero ancor le scienze a irreparabil rovina. Io parlo del celebre Anicio Manlio Torquato Severino Boezio, uno de’ più celebri uomini di questa età, di cui oltre tutti gli autori delle Biblioteche sacre e profane han trattato assai lungamente l’abate Gervaise nella Vita pubblicatane in Parigi l’anno 1755, e il P. Daniello Papebrochio della Compagnia [p. 73 modifica]Fumo -3 di Gesù (Acta SS. maji ad d. 27); e molti punti ne ha con singolar diligenza esaminati il ch. conte. Giammaria Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, p. 3). Noi perciò ne accennerem brevemente le cose che son più certe, e sol ci tratterremo alquanto ove qualche dubbio ci arresti. II. I nomi di Anicio e di Manlio Torquato ci fan conoscere l’antichità e la nobiltà della famiglia da cui discendeva. A qual anno ei nascesse , nol possiam diffinire precisamente. Ei non era ancor vecchio, quando fu ucciso l’anno 524- Perciocchè ei si duole che la sua sventura gli avesse affrettata un’immatura vecchiezza. tVenit enim properata malis inopina senectus, Et dolor aetatem jussit inesse suam; Intempestivi funduntur vertice cani, ec. De Consol. l. 1, metr. 1. Quindi io crederei probabile ch’egli nascesse verso l’anno 470 Noi veggiamo ne’ Fasti Capitolini tra l’anno 487 e l’anno 522 nominato tre volte tra’ consoli un Boezio, cioè ne’ detti due anni e nell’anno 510. Ma non veggiamo che di alcun di essi si accenni che fosse console la seconda volta. Si può dunque affermar con certezza che il Boezio console nell’anno 487 fosse il padre del nostro filosofo, a cui di fatto troviam dato il nome di Flavio, con cui il figlio non suol chiamarsi; che il figlio fosse console l’an 510, e ch’egli l’anno 522 vedesse non solo il terzo Boezio suo figliuolo, ma Simmaco ancora di lui fratello, sollevati alla medesima dignità. Egli in fatti rammenta questa onorevol sorte che gli era toccata , di vedere [p. 74 modifica]ni. Suoi studj. ed elogi fattine da Cas«iodorA. 7 4 LIBRO amciulue i suoi figli al medesimo tempo onorati delle consolari insegne (ib. l. 2, prosa 3). .Alcuni hanno pensato che i due figliuoli di Boezio fossero Patrizio e Ipazio che furon consoli l’anno 500, e fra gli altri così ha affermato il ch. proposto Gori (Thes. Diptych. t. 1, p. 17(1); ma egli è certo che que’ due nulla appartengono a Boezio, il che oltre altre pruove raccogliesi dal sapersi di’ essi furon consoli in Oriente (Murat. Ann. d’Ital. ad an. 500). Nella distinzione de’ diversi Boezj non ha usata la consueta sua diligenza, nè è stato abbastanza coerente a se stesso il ch. Muratori. Perciocchè egli in un luogo (ib. ad an. 487), dopo avere saggiamente osservato che il Boezio console l’anno 487; non potè essere il filosofo, dice che questi fu certamente console l’anno 522. Ma poscia altrove (ib. ad an. 510) afferma che il filosofo fu console l’anno 510, e che (ib. ad an. 522) il Boezio console l’anno 522 fu di lui figlio. I quali piccioli nei di sì erudito scrittore io ho creduto di dover rilevare e qui ed altrove, quando ne abbia occasione, perchè si vegga che anche i più dotti uomini son talvolta soggetti a contraddizioni e ad errori, e per ottenere a me stesso un cortese compatimento da chi legge questa mia Storia, ove a me ancora tanto ad essi inferiore avvenga d’inciampare talvolta. Ma non sono le dignità di Boezio, ma sì gli studj da lui fatti che debbonsi da noi esaminare con maggior diligenza. IH. Tra le Lettere di S. Ennodio alcune ne abbiamo scritte a Boezio; e da una di esse raccogliesi (l. 8, ep. 1) che gli era stretto di [p. 75 modifica]VR1MO ’Jl) parentela. Or in questa egli lo esalta con somme lodi, dicendo che Boezio avea in sè unita l’eloquenza di Demostene e di Cicerone; che da’ migliori autori così greci come latini avea raccolto ciò che in essi era di più pregevole; e che nel voler imitare l’eloquenza degli antichi oratori giungeva a superarla. Ma assai maggiori sono le lodi di cui il veggiamo onorato in una lettera scrittagli da Cassiodoro a nome di Teodorico (l. 1 Var. ep. 45). Questi era stato richiesto dal re di Borgogna, perchè gli trasmettesse due oriuoli, solare l’uno, l’altro ad acqua, somiglianti a quelli cui già avea veduti in Roma (ib. ep. 46). Or Boezio era anche in tai lavorj perito assai; e a lui perciò ne fu da Teodorico addossato il pensiero. E in questa occasione entrando nelle lodi di questo grand’uomo, e tu, gli dice, per tal maniera anche da lungi hai penetrato nelle scuole degli Ateniesi, e così hai saputo unire il filosofico pallio alla toga, che hai rendute romane le opinioni de’ Greci. Le quali parole sono state non bene intese da alcuni, ed anche dal Muratori (ad an. 510), come se indicassero che Boezio fosse stato in Atene, mentre Teodorico vuol qui accennare soltanto lo studio della greca filosofia; e perciò dice che benchè stesse lontano, pur avea penetrato nelle scuole ateniesi; Atheniensum scholas longe positus introisti. Nè altro fondamento vi è a credere ch’ei viaggiasse in Grecia , se non un passo del Libro de Disciplina sc/uilarium da alcuni a lui già attribuito, ma che da tutti si conosce ora per supposto, e che si crede essere di Tommaso Canfiprate.se [p. 76 modifica]rv. Sue «per». 7 6 LIBRO (Mazziicch. I. cit). Quindi Teodorieo rammenta le Opere de’ filosofi greci, che Boezio avea recate in latino; e per te, dice , si leggono da’ Romani nella natia lor lingua la Musica di Pittagora, l’Astronomia di Tolomeo, l’Aritmetica di Nicomaco, la Geometria di Euclide, la Logica di Aristotele, la Meccanica di Archimede; e tutto ciò che intorno alle scienze ed all’arti si è scritto da molti Greci, tu solo hai donato a Roma recato in lingua latina; e con tal eleganza e con tal proprietà di parole hai tradotti tai libri, che i loro stessi autori , se l’una e l’altra lingua avesser saputo, avrebbon avuto in pregio il tuo lavoro. Così Cassiodoro, il quale altrove fa grandi encomj della scienza che Boezio avea della musica (l. 2 Var. ep. 40), e a lui commette perciò la scelta di un valente sonator di cetera, che dal re de’ Franchi era stato richiesto. IV. E veramente le Opere di Boezio cel mostrano uom versatissimo nelle scienze, e zelantissimo insieme del loro coltivamento. Noi vi troviamo in gran parte le traduzioni da Cassiodoro accennate nella sopraccitata lettera, perciocchè i libri da lui scritti sull1 Aritmetica, sulla Musica, sono per lo più tradotti da’ soprannomati scrittori greci. La più parte delle sue Opere sono di argomento logico, cioè traduzioni e comenti delle Opere di Aristotele, di Porfirio e di Cicerone su tali materie. Ed egli fu il primo a render latina, per così dire, la scolastica filosofia; almeno non abbiamo autor latino più antico che scrivesse di questo argomento, Anzi egli prima di ogni altro introdusse, [p. 77 modifica]PRIMO 77 la filosofia scolastica ancor nella teologia, come si vede in alcuni opuscoli teologici da lui composti, e in quello singolarmente contro Nestorio ed Eutiche. Ma la più celebre tra tutte f Opere di Boezio, e di cui più di cento diverse edizioni si rammentano dal conte. Mazzucchelli, oltre le traduzioni fattene in quasi tutte le lingue, e perfin nell’ebraica, si è la Consolazione della Filosofia, opera da lui composta mentre si stava prigione, come ora diremo, e scritti in prosa mista con versi, in cui egli introduce la Filosofia che prende a confortarlo nelle sue sciagure. Alcuni l’hanno esaltata di troppo. uguagliandola perfino alle Opere di Cicerone e di Virgilio. Ma chiunque non è affatto inesperto di stil latino, e prende a leggerla attentamente. non può a meno di non vedervi una troppo grande diversità. Nondimeno si può dir con ragione che la prosa e molto più i versi di Boezio sono i migliori di tutti gli altri scrittori , non solo di questa età, ma anche del iv e del v secolo. Ma di essa e delle altre Opere di Boezio veggasi il più volte lodato co. Mazzucchelli. Noi in vece passeremo a esaminare ciò che appartiene alla morte di questo illustre scrittore. V. Se io volessi qui rammentare le diverse opinioni dei diversi scrittori su di questo argomento, converrebbe impiegarvi, o a meglio dire, gittarvi non poco tempo. Io terrò dunque il metodo a cui mi sono sempre attenuto, e che parmi doversi solo seguire da esatto e diligente scrittore, cioè di esaminare ciò che ne narrano gli antichi autori. Tra questi i più [p. 78 modifica]78 unno autorevoli, e de’ quali soli io varrommi, sono l’Anonimo Valesiano, scrittore secondo il comun parere contemporaneo, Procopio che scrisse egli pure nel medesimo secolo, e lo stesso Boezio. Cominciam da Procopio. Questi così narra la morte di Simmaco e di Boezio (de Bello goth. I. i , e. 1)3 Simmaco e Boezio di lui genero, nati di nobilissima stirpe, e amendue consolari, distinguevansi fra tutti in senato. Niuno vi era più di essi versato nella filosofia, niuno più amante deli equità. A ciò aggiugnevansi le liberalità con cui sollevavano i poveri cittadini non meno che gli stranieri. Quindi venuti in gran fama trassero sopra se stessi Ì invidia de’ più malvagi, dalle calunnie de’ quali indotto Teodorico, accusati amendue di novità macchinate, dannolli a morte, e confiscò i lor beni. L’Anonimo Valesiano ne fa un più esatto ma non diverso racconto: D’allora in poi cominciò (ad calc. Amm. Marcell, ed. Tale s.) Teodorico a incrudelire, all’occasione che segli offerse, contro i Romani. Cipriano di era allora referendario, e fu poscia conte delle sacre donazioni e maestro degli ufficj, spinto da ambizione accusò. il patrizio Albino che contro di Teodorico avesse sdritto lettere ali imperadorè Giustino: il che negandosi da Albino, Boezio patrizio, ch’era allora maestro degli ufficj, disse in presenza <lelre: E falsa i accusa di Cipriano; ma se Albino è reo, il sono io non meno, e tutto il senato, con cui abbiamo operato di comune consentimento. Allor Cipriano entrando produsse falsi testimonj, non sol contro di Albino, ma contro di Boezio [p. 79 modifica]PRIMO ry ancora che il difendeva. Ma il re che tendeva insidie ai Romani, e cercava pretesto di ucciderli, ebbe più fede a’ falsi testimonj che ai senatori. Allora Albino e Boezio furon condotti prigioni presso al battistero della chiesa, e il re, chiamato a sè Eusebio prefetto di Pavia, senza udire Boezio, il condannò. Mandò quindi a Calvenzano, ov egli era tenuto prigione, e il fé’uccidere: e Boezio tormentato per lunghissimo tempo con una fune strettagli alla fronte per tal maniera che gli crepavan gli occhi, finalmente dopo varj tormenti con un bastone fu ucciso. Così raccontan la morte di Boezio questi due scrittori i più antichi di quanti si posson allegare, e vissuti l’uno al tempo medesimo, l’altro assai poco dopo. Se altri posteriori scrittori han narrata la cosa diversamente, le leggi di buona critica non ci permettono di dar loro fede, se essi non ci producono qualche autorevole monumento della contraria loro opinione. Ora essi non ne producono alcuno3 anzi le tenebre e l’ignoranza de’ secoli susseguenti sono a noi troppo forte motivo perchè non dobbiam prestar fede a’ loro racconti. E molto più che Boezio stesso così parla dell’avversa sua sorte che conferma insieme e rischiara ciò che dagli allegati scrittori abbiam veduto affermarsi. Perciocché dopo aver detto (De Cons. l. 1, par. 4) ch’egli per la difesa dell’equità avea incontrata la inimicizia e l’odio de’ cittadini malvagi 5 che si era opposto a un tal Conigasto, il quale arditamente usurpavasi i beni di quelli che non avean forze a resistergli; che avea impedito le violenze meditate da Triguilla [p. 80 modifica]8u unno soprastante al regio palazzo: che colla sua autorità avea protetto i miseri contro l’avarizia ed il furore de’ Barbari, ed altre somiglianti cose da sè operate a comune vantaggio, or ti pare, die’egli, che io abbia eccitato contro di me abbastanza d invidia?.... Ma chi sono coloro sull’accusa de’ quali io sono stato oppresso? Basilio, privo già degli onori di cui godeva alla corte, da’ suoi debiti stessi è stato indotto ad accusarmi. Opilione e Gaudenzio essendo stati pe’ molti loro delitti dal re dannati all’esilio, ed essendosi essi per non ubbidire ritirati in luogo sacro, il re avvertitone comandò che se entro il prefisso giorno non fossero usciti di Ravenna, colf impronto d infamia in fronte ne fosser cacciati Or accusandomi essi in quel giorno medesimo, l’accusa fu ricevuta. Quindi prosegue egli ad esporre di quai delitti venisse accusato, cioè di aver vietato che un delatore non recasse a Teodorico i documenti con cui pretendeva di accusare il senato di lesa maestà, e di avere scritte lettere colle quali mostrava di aver concepita speranza che Roma fosse per tornare all’antica sua libertà; e finalmente aggiugne parlando colla Filosofia: Tu ben ti ricordi, allor quando il re cercando la comune rovina volea addossare a tutto il senato il delitto di lesa maestà opposto ad. Albino,, con qual franchezza anche con mio pericolo io difendessi il senato medesimo?... Ma tu vedi qual frutto io abbia raccolto dalla mia innocenza: in vece del premio alla vera virtù dovuto, io porto la pena di un falso delitto. Ma se Boezio si dichiara innocente, e se [p. 81 modifica]PRIMO 8l innocente il dichiarano tutti gli antichi scrittori vi ha nondimeno chi ad ogni patto il vuol reo. M. de Blainville in un suo Viaggio manoscritto, di cui si è dato l’estratto nella Biblioteca Britannica (t. 18,p. 172, 303; t. 20, p. 100] ci assicura che se Teodorico fece morir Boezio , e alcune altre persone distinte, ciò fu per buone ragioni, singolarmente perchè aveano contro di lui congiurato (t. 20, p. 14®)- E siegue annoverando i delitti opposti a Boezio, come se egli ne fosse stato veramente reo. Non è ella questa una maniera di scrivere assai leggiadra? Tutti gli antichi (scrittori ci parlano di Boezio come d’uomo ingiustamente dannato a morte: non ve n’ è uno, che io sappia, che il dica reo di congiura. Dodici secoli dopo M. de Blainville si mette in viaggio, e correndo le poste scuopre che Boezio fu veramente colpevole di ribellione. Non merita egli che gli si creda, e che all’asserzione di lui si abbia più fede che all’autorità di tutti gli antichi? (7) Ma noi torniamo in sentiero. VI. Da tutti gli addotti passi attentamente considerati a me par che raccolgasi con tal certezza il motivo per cui Boezio fu condannato, e la maniera con cui fu ucciso, che non rimanga luogo a dubbio di sorte alcuna. Teodorico avea allor cominciato a mostrare verso i Cattolici un animo mal prevenuto e sdegnoso, (</) All" irragionevole accusa ili M. ile Blainville risponde anche con molta evidenza il prelodato P. M. Capsoni nell indicato terzo tomo delle sue Memorie Paves-, TlRABOSCHl, Voi. 111. 6 [p. 82 modifica]82 LIBRO di cui non avea finallora dato indicio alcuno; e la vecchiezza e il timore che Giustiniano imperadore non concepisse contro di lui qualche disegno, rendealo per avventura più solW cito e più sospettoso. In tai circostanze glif viene accusato Albino di macchinar cose nuove; ed egli facilmente si persuade che il senato ancora ne possa essere reo. Boezio coraggio-* samente intraprende la difesa di Albino insieme e del senato. Ma Cipriano accusatore di Albino rivolge contro di lui stesso l’accusa, e il rende sospetto a Teodorico, fingendo e subornando testimonj che affermano aver lui scritte lettere che conteneano sentimenti e disegni di ribellione. Più non vi volle ad infiammare di sdegno Teodorico. Par nondimeno ch’egli per mostrarsi giusto ne rimettesse la decisione al senato, e che questo per adular Teodorico condannasse Boezio, poichè egli nello stesso passo si duole che anche dal senato da lui difeso ei sia stato tradito. Abbian pure, dic’egli, cercata la mia rovina coloro che sono assetati del sangue di tutti i buoni e di tutto il senato. Ma meritava io un tal trattamento ancor da’ padri? Comunque fosse, Boezio fu condannato non solo all’esilio, come comunemente si dice dagli storici, ma alla prigionia. Egli stesso troppo chiaramente lo afferma. Hic quondam coelo liber aperto, Suetus in aelhereos ii e meatus , Nunc jacet effosso lumine mentis, Et pressus gravibus colla catenis , Declivemque gerens pondere vultum, Cogitur heu! stolidam cernere terram. metr. 2. [p. 83 modifica]PRIMO 83 E parlando colla Filosofia, e mostrandole la squallidezza del luogo in cui si stava, non ti muove egli punto , dice, i aspetto di questo luogo? È ella questa la biblioteca in cui ti solevi meco trattenere (prò. 4)? L’Anonimo Valesiano ancora troppo chiaramente indica prigionia, e non esilio. Tunc Albinus et Boethius ducti in custodia. Ma questa prigion di Boezio ove fu ella? Ad baptisterium ecclesiae, dice lo stesso Anonimo. Ma rimane a sapere qual chiesa fosse cotesta , presso il cui battistero stava prigione Boezio. L’Anonimo soggiugne dopo poche parole: qui mox in agro Calventiano, ubi in custodia habebatur, misit rex, et fecit occidi; e con questo par che dichiari ciò che sopra avea oscuramente accennato, cioè che Boezio stava prigione nella terra di Calvenzano, che è luogo nel territorio milanese tra Marignano e Pavia; e perciò a tal fine si valse Teodorico di Eusebio prefetto di Pavia, dalla cui giurisdizione dipendeva per avventura la terra di Calvenzano. Rex vero vocavit Eusebium praefectum urbis Ticini, et inaudito Boèthio proludi in eum sententiam. Sembra dunque che si possa stabilir con certezza che Boezio fu tenuto prigione nella suddetta terra, ed ivi fu ucciso. Ma a ciò si oppone la tradizion de’ Pavesi, i quali mostravano ancora negli scorsi secoli la torre in cui Boezio era stato prigione, e della quale, essendosi essa dovuta atterrare l’an 1584 (Spelta, Vite de’ Vesc. di Pav. p. 106), han voluto serbar memoria facendone incidere la figura in rame, come osservò il ch. P. Guido Ferrari della Compagnia di Gesù [p. 84 modifica]84 LIBRO in una sua erudita dissertazione su questo argomento (Diss. pertinentes ad Insubr. Antiq. diss. 16). Il Muratori non fa gran conto di cotal tradizione (Ann. di tal. ad an. 524). Anche in Chiavenna, dice l ab. Quadrio (Diss. sulla Valtellina. t. 3, diss. 1, § 24), vedesi una corte ove gli abitanti dicono ch’era la prigion di Boezio; e perciò egli si è fatto lecito di sostenere che ivi appunto egli fu imprigionato ed ucciso, e di assicurarci che Clavennano dee leggersi, e non Calventiano, nel testo dell’Anonimo. Egli crede che uh argomento invincibile a favore della sua nuova opinione sia ciò che Boezio afferma, cioè ch’egli era prigioniero 500 miglia lungi da Roma (prò. 4), perciocchè, dic’egli, Pavia non n’è distante che 400 sole. Nè io gliel nego; ma solo vorrei ch’egli avesse osservato che a quei tempi o per error di misure, o perchè le miglia e i passi fosser più brevi, o per qualunque altra ragione, credevasi che tra Roma e Milano fossero oltre a 500 miglia di strada. Ne abbiamo la pruova nell Itinerario di Antonino: Iter ab Urbe Mediolano M. P. DXXVIII (Itin. Anton, p. 123, ed. IVesseling. Anist. 1 ’“35); e benché in altri Itinerarj vi abbia notabile diversità, tutti nondimeno sono sì poco esatti, che in ciò eli’ è misura di distanza, non è a farne alcun conto. Oltre ciò, Mario Aventicese scrittore dello stesso secolo chiaramente afferma che Boezio fu ucciso nel territorio di Milano (in Chron.). La tradizion dunque di Chiavenna non può difendersi. Quella di Pavia è ella meglio fondata? Di coteste tradizioni popolari che non reggono alle pruove, [p. 85 modifica]PRIMO 85 ve HP ha tant* esempi; che un buon critico non s’induce così facilmente a dare lor fede. Io non voglio ostinarmi a negare che Boezio non sia stato prigione in Pavia 5 forse ci fu prima di essere condotto alla terra di Calvenzano. Ma ne vedrei volentieri qualche monumento che avesse più forza di una semplice tradizion popolare. Un argomento opportuno a provare che Boezio fu prigione in Pavia prima di essere trasportato a Calvenzano, sarebbono quelle parole: ad baptisterium ecclesiae, quando si potesse accertare che a questo tempo le sole cattedrali avessero battistero; poichè allora non altro battistero potrebbe intendersi che quello della cattedral di Pavia. Ma da’ trattatori della disciplina ecclesiastica non parmi che si possa raccogliere argomento bastante a negare assolutamente che in Calvenzano ancora vi potess’essere battistero. Ciò non ostante questa non lascia di essere forte assai forte ragione in favore della tradizion de’ Pavesi (8). (8) Il poc’anzi lodato P. M. Capsoni dell’Ordine de’ Predicatori nell’indicato tomo terzo delle sue Aleni nr ir Pnvesi (§ i.xxxi, cc.) di questo argomento singolarmente, che a me pure sembrò avere gran forza, si vale per confermare la tradizion de’ Pavesi, che Boezio fosse prigione in Pavia. E certo non abbiamo indicio di sorta alcuna a provare che Calvenzano fosse allora tal lungo che in un tempo in cui le chiese battesimali erano troppo più rare che non al presente, dovesse esso pure averla. Osserva egli ancora, come io pure avea osservato, che avendo Teodorico per far uccider Boezio usato dell’opera del prefetto di Pavia, come afferma I’ Anonimo ^ alesiano , convien dire eh’ei [p. 86 modifica]86 LIBRO VA. Dallo stesso racconto dell’Anonimo valesiano noi raccogliamo il crudel genere di morte che Boezio sostenne: qui accepta chorda in fronte diutissime tortus, ita ut oculi ejus creparent, sic sub tormenta ad ultimum cum fuste occiditur. A lui dunque deesi fede più che a tutti i posteriori scrittori che raccontano lui essere stato decapitato, attribuendo anche a Boezio ciò che si narra solo di Simmaco di lui suocero decapitato in Ravenna. Di altre prodigiose circostanze che da alcuni si narrano avvenute nella morte di Boezio, io stimo che sia miglior consiglio il non favellare, perchè gli stranieri non pensino per avventura che siavi ancora tra gl’italiani chi troppo buonamente le creda. Boezio fu ucciso l’anno 524, come afferma il sopraccitato Mario; l’anno dopo fu ucciso Simmaco, e nel seguente poscia morì Teodorico. Boezio fu sepolto in Pavia nella chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, e al principio fosse ucciso in un luogo a quella prefettura soggetto. Forse si può la quistione decidere in questo modo, che Boezio fosse prima per qualche tempo prigione in Pavia , e che poscia trasportato a un luogo , qualunque e ovunque esso fosse, nel territorio pavese detto Calvenzano ivi fosse ucciso. Certo non par che debba seguirsi Mario Aventicese, ove scrive che fu ucciso nel territorio di Milano. E uno scrittore lontano di luogo, com’egli era, potè facilmente essere indotto in errore dalla vicinanza delle due città , e dall’essere forse Cai« venzano ne’ confini tra l’una e l’altra. L’epitafio di Boezio da me in parte riferito , e che comincia: Hoc in sarcophago è stato interamente e più correttamente pubblicato dal m. p. Allegranza dello stesso Ordine de’ Predicatori (De Sepulchris rhrist. p. 48)• [p. 87 modifica]PRIMO 87 del secolo xiv leggevansi al sepolcro di esso i seguenti versi. Hoc in sarcophago jacet ecce Boethius arcto Magnus et omnimodo mirificandus homo; Qui ’1 heodorico regi delatus iniquo Papiae senium duxit in exilium; In qua se moestum solans dedit Urbe libellum. Post ictus gladio exiit e medio. Desc. Urb. Tic. ap. Murat. Scr. rer. Ital. t. II. Ma ora quest’altro men barbaro vi si vede scritto di fianco al sepolcro. Moenia et Latia lingua clarissimus, et qui Consul eram, hic perii missus in exilium. Ecquid mors rapuit? pietas me vexit ad auras j lit nunc fama viget maxima, vivit opus. In amendue questi elogi si fa menzione di esilio e di morte in Pavia; ma il secondo è un po’ moderno, e il primo non è abbastanza antico, perchè possan combattere l’autorità degli allegati scrittori. Questo sepolcro era in addietro vicino al presbitero; ma l’anno 1745 Per formare le scale che conducono al sotterraneo sepolcro di S. Agostino, fu quindi rimosso, e trasportato all’estremità della medesima chiesa. Molti scrittori ragionano di un sepolcro magnifico che da Ottone imperadore gli venne innalzato (V. Mazz. Scr. ital. in elog. Boet.); ma questo agli eruditi Pavesi è affatto incognito; e qual esso è al presente fatto di quadrella sostenute da una semplice piastra di marmo, e da quattro piccole colonne, hou sembra certo quel grandioso sepolcro che dicesi opera del suddetto imperadore. Boezio è dalla chiesa [p. 88 modifica]88 LIBRO pavese riconosciuto qual santo martire, perchè non senza fondamento si crede che lo sdegno conceputo negli ultimi anni dall’ariano Teodorico contro i Cattolici contribuisse molto a fargli ordinare la morte di un uomo che del suo sapere erasi servito ancora a difender la gloria del Figliuolo di Dio. Quindi nella suddetta chiesa vedesi in onor di Boezio eretto un altare, e a’ 23 di ottobre dal clero pavese se ne celebra ogni anno la festa come di martire con rito doppio. Del celebre Dittico di Boezio, che conservasi in Brescia, e su cui tanto si è scritto negli anni addietro, non è di quest’opera il ragionare. Il ch. proposto Gori, oltre il favellarne egli stesso, ha unito insieme e pubblicato ciò che di molti valentuomini n’ è stalo detto (Thes. vet. Diptych. t. 1, p. 154). VIII Prima di lasciare Boezio, vuolsi accennare qualche cosa ancor della moglie di questo illustre filosofo, di cui alcuni han fatto una valorosa poetessa. Molti scrittori moderni, e i siciliani singolarmente, ci narrano ch’essa fu Elpide siciliana di patria, che fu donna di sapere e di erudizione non ordinaria, e celebre singolarmente per le bellissime poesie da lei composte, di cui però non ci rimangono che alcuni degl’inni su’ SS. Apostoli Pietro e Paolo, che ancor si leggono, ma corretti, nel Breviario Romano (V. Mongit. Bibl. Sic. 11, p. 171). Ma con quali testimonianze affermasi tutto ciò? Gli scrittori che ci parlan di Elpide, son tutti posteriori di circa mille anni a Boezio, e son tutti scrittori che secondo il costume usato a quei tempi son persuasi che, perchè loro si [p. 89 modifica]PRIMO 89 creda, basta che l’affermino essi. Ma noi moderni facciamo alquanto i ritrosi, e non vogliam credere in ciò che è fatto antico, se non a scrittori e a monumenti antichi. Or io non veggo nè monumento nè scrittore alcuno antico che di Elpide faccia un sol motto. L’epitaffio di lei, che secondo alcuni (V. Mongit. l. c.) era prima in Roma, ed ora, se crediamo al P. Romualdo di S. Maria (Papia Sacra p. 99), vedesi nella stessa chiesa di S. Agostino in Pavia dirimpetto al sepolcro di Boezio, è il solo monumento che di lei ci rimanga. Esso è il seguente. Elpis dicta fui Siculae regionis alumna, Quam procul a patria conjugis egit amor , Quo sine moesta dies, nox anxia , flebilis hora; Cumque viro solum spiritus unus erat. I.us mea non clausa est tali remanente marito, Majorique animae parte superstes ero. Porticibus sacris jam nunc peregrina quiesco, Judicis aeterni testificata thronum. Neve manus bustum violet, ne forte jugalis Haec iterum cupiat jungere membra suis. La qual iscrizione con qualche notabile diversità è riportata dal Mongitore. Ma in primo luogo questa iscrizione medesima, per quante diligenze si siano fatte a mia istanza nella mentovata chiesa di S. Agostino per ritrovarla, mi viene assicurato ch’essa al presente non vi si vede. E innoltre in essa non si accenna ch’ella fosse moglie di Boezio. Anzi da questa iscrizion si raccoglie che essa morì innanzi al marito, e perciò ella non può essere quella Rusticiana di lui moglie, di cui parleremo frappoco, e che più anni gli sopravvisse. Alcuni quindi [p. 90 modifica]9» LIBRO ìianno pensato che Boezio avesse una dopo l’altra due mogli, prima Elpide, e poi, lei morta, Rusticiana. A confermare questo lor sentimento arrecano le parole dello stesso Boezio, in cui egli sembra accennare di aver più d’un suocero: Quis non te felicissimum cum tanto splendore socerorum (Consol. l. 2, prò. 3), ec.? Ma ognun vede facilmente che con quella parola può Boezio spiegare il padre e la madre della sua moglie. Infatti altrove ei fa menzione di un solo suocero: penetral innocens domus, honestissimorumque coetus amicorum, socer etiam sanctus, ec. (ib. l. 1, prò. 4). Non vi è dunque nè nelle Opere di Boezio, nè in alcun altro scrittore, o in verun monumento antico, indicio alcuno a provare che Elpide fosse moglie di Boezio (9). Su qual fondamento poi si affermi che da Elpide fosser composti gl’inni che abbiam mentovati poc’anzi, io nol saprei indicare. Egli è vero però, che poichè anche il celebre cardinale Tommasi diligente ricercatore di tali cose a lei alcuni ne attribuisce (in Hjmnario), vuoisi credere eli’ei non l’abbia fatto senza probabil ragione. IX. Quella che certamente fu moglie di Boezio, e che più anni gli sopravvisse, fu Busticiana figliuola di quel Simmaco stesso che dopo (a) Anche I’esattissimo Apostolo Zeno era persuaso che Elpide non fosse mai stata moglie di Tìoezio. QuelV Elpide, scrive egli al P. D. Pier Caterino suo fratello (Lettere, t. 3, p. 269, sec. ed.) , di cui si trovano o si credono gV Inni clic portano il suo nome , non fu mai moglie di Boezio; ed io ne ho, con rispetto di quanti P hanno asserito , riscontri così sicuri, che sarebbe pazzia il dubitarne o ’l contenderlo. [p. 91 modifica]PRIMO ()l JJoezio fu ucciso. Amalasunta, quando fu salita Sul trono, ben conoscendo quanto ingiusta fosse stata la morte di questi due celebri uomini, ai lor figliuoli avea renduti i beni paterni confiscati già da Teodorico Procop. de Bell, goth. l 1, c. 2). Quindi anche Rusticiana potè dopo la morte del marito vivere agiatamente. Ma ella fece tal uso di sue ricchezze, che la rendette eternamente memorabile a’ posteri. Ella insieme con altri senatori romani all’occasion della guerra che così furiosa si accese tra’ Goti e’ Greci, e che fu tanto funesta all’Italia, con cristiana generosità si diede a sollevar l’estreme miserie a cui molti eran condotti; ed ella ed essi ne venner perciò a tal povertà, che allor quando Roma fu ripresa da’ Goti, si videro questa nobil matrona e que’ nobilissimi senatori costretti ad andarsene in veste logora e servile accattando di porta in porta da’ lor nemici il pane e per loro stessi e per altri; nè essi di ciò vergognavansi; che troppo bella cagione gli avea a tale stato condotti. E nondimeno que’ barbari senza punto commuoversi a tale oggetto faceano istanza a Totila loro re, perchè condannasse a morte Rusticiana, accusandola di aver con donativi indotti i Romani ad atterrar le statue di Teodorico, per far in tal modo vendetta della morte data al suo marito. Ma il saggio principe non si lasciò piegare ad accondiscendere al barbaro lor furore j anzi vietò che alcuna ingiuria si recasse a questa incomparabil matrona. Tutto ciò da Procopio ib. l. 3, c. 20). Non sappiamo però se ella prolungasse ancor di molto i suoi giorni. [p. 92 modifica]X. Elogio di Simmaco suorero d i Boezio. 93 LIBRO X. Simmaco, suocero di Boezio. ucciso egli pure l’anno seguente 525 sotto falsi pretesti per ordine di Teodorico, era coltivator diligente de’ filosofici studj; e perciò abbiam di sopra veduto che l’Anonimo Valesiano parlando di amendue questi celebri uomini, dice che niuno era più di essi versato nella filosofia. Discendeva egli dal celebre Simmaco prefetto di Roma, di cui abbiam parlato nell’epoca precedente. Boezio ne parla con lode a lui dedicando i suoi libri del Sillogismo Ipotetico, e que’ della SS. Trinità. Così pure veggiam nominato da Boezio con molta lode un cotal Patrizio retore, a cui egli dedicò i suoi Comenti! su’ Topici di Cicerone, e ch’è probabilmente lo stesso a cui egli dedicò parimenti i suoi libri geometrici, chiamandolo l’uomo il più esercitato a’ suoi tempi nella geometria. Nè dell’uno nè dell’altro però non sappiamo che lasciassero monumento alcuno del loro sapere. Anzi ci corn ioli confessare che niun’altra cosa ci rimane qui ad aggiugnere de’ filosofi e de’ matematici di questo tempo. Se Cassiodoro e Boezio fosser vissuti a più lieti e più pacifici tempi, sembra certo probabile che i loro sforzi nel risvegliare gli animi al coltivamento de’ buoni studj avrebbero avuto felice successo. Ma le guerre, le desolazioni e le stragi che sopravvennero, randerono affatto inutili i loro desiderj; e l’Italia tornò ad esser sommersa, e più profondamente di prima, nella barbarie e nell’ignoranza, da cui questi due grandi uomini cercato aveano di liberarla.