Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo III/Libro I/Capo III

Capo III – Belle lettere

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Capo III.

Belle lettere.

I. I giorni lieti e tranquilli che sorsero all’Italia, mentre regnavano Teodorico e Atalarico, sembrarono risvegliare negl’Italiani per qualche tempo quel vivo e fervido entusiasmo nel coltivamento degli ameni studj, onde essi erano stati compresi ne’ secoli addietro, ma che per le pubbliche calamità che travagliarono nella sua decadenza il romano impero, erasi rattepidito, e quasi interamente estinto. Furono dunque all’epoca di cui trattiamo, non pochi che nello studio dell’amena letteratura si esercitarono; e benchè la maggior parte di essi lasciassero penetrare ne’ loro scritti quella barbarie medesima che contraevano nel ragionar I famigliare dal continuo commercio co’ Barbari, furon però degni di lode i loro sforzi co’ quali si adoperarono a tener viva la memoria de’ buoni autori, e a persuaderne l’imitazione; e alcuni di essi ancora si sepper difender pellai maniera dalla comune rozzezza, che parvero richiamare lo stile de’ tempi andati. Fra questi fu singolarmente Boezio, i cui versi son certamente migliori assai che non quelli della più parte degli scrittori de’ due ultimi secoli. Ma come più che in ogni altra sorte di studio ei si rendette celebre nella filosofia, di lui ci riserberemo a ragionare nel capo seguente, e qui rammenteremo coloro che o per eloquenza, o per poesia, o per qualche altra parte di amena letteratura divenner famosi. [p. 51 modifica]primo 51 II. A questo tempo incominciamo a vedere alcuni uomini dotti esser solleciti di conservare, di accrescere, di emendare i codici in cui si contenevano l’opere degli ottimi autori latini. Questi cominciavano ad essere antichi, e insieme a divenir rari assai, essendo molte le copie che se ne smarrivano per le sciagure de’ tempi; e innoltre crescendo sempre più la barbarie, e rozzi essendo i copiatori, vi s’introducevano non pochi falli che li rendevano viziosi insieme ed oscuri. Quindi uomini anche cospicui per dignità e per sapere si preser talvolta il pensiero di confrontare e di emendare tali codici, perchè fosser più esatti. Molti ne annovera il Fabricio (Bibl. lat. t. 1, p. 36 ed. Ven.) allegando l’autorità del Lindenbrogio che ne’ suoi comenti a Terenzio ne ha diligentemente raccolti i nomi; e tra essi veggiamo Vezio Agorio Basilio Mavorzio che fu console l’anno 526, il cui nome trovasi in qualche antichissimo codice delle poesie d’Orazio rammentato ancor dal Bentley (praef. ad Hor. Carm.); e un Felice retore che emendò un codice di Marziano Capella, eh’ è forse quel Felice medesimo che vedrem fra non molto fatto questore da Atalarico. Ma di uno singolarmente è celebre il nome, perchè fino a noi è pervenuto il codice ch’egli di sua propria mano volle emendare, Io parlo del celebre codice di Virgilio che ora conservasi nella Biblioteca Laurenziana in Firenze, e eh’ è forse il più antico di quanti ci son rimasti, quando non si voglia credere de’ tempi di Costantino il Virgilio vaticano di cui si è detto al fine del secondo tomo. Turcio li. Codici antichi corretti: notisi« del Virgilio mcdiceo-laureusiano. [p. 52 modifica]5a LIBRO Kufio Aproniano Asterio, uomo celebre per le dignità sostenute, e console l’an 494 > fu quegli appunto che rivide ed emendò questo codice, e ce ne lasciò egli stesso un autorevole testimonio con queste parole scritte di sua propria mano al fine della Buccolica, con cui ci annovera le ragguardevoli cariche alle quali era stato innalzato: Tarcius Rufius Apronianus Asterius V. C. et Inl. Ex Comite Domest. Protect Ex Com. Priv. Largit. Ex Praef. Urbi Patricius et Consul Ordin, legi et distinxi Codicem Fratris Macharii V. C. non mei fiducia, sed eius cui si ad omnia sum devotus arbitrio XI. Kal. Maj Romae. P. Virgilii Maronis Distincxi emendans gratum mihi munus amici Suscipiens operi sedulus incubui. Buccolicon liber explicit Dalle quali parole noi raccogliamo ch’egli avea avuto questo codice in dono da Macario, cui prima chiama per affetto fratello, ma poscia spiega ch’eragli solamente amico; e eli egli avealo diligentemente emendato, come di fatto si vede nel codice stesso. Questo codice doveva essere di qualche antichità, e tale che fosse presente degno da offerirsi ad un console; e quindi l’Olstenio citato dal cardinale Noris (Cenot pisana. diss. 4> c. 2, § 1) pensa che fosse scritto a’ tempi di Valente, ovvero di Teodosio il Grande (5). Di (a) Di questo celebre codice si parlerà nuovamente nel t. 7, j>ar. i, ove ragionerassi della Biblioteca del Cardinal Rodolfo Pio, a cui già appartenne. Vcggasi [p. 53 modifica]PRIMO 53 Aproniano e delle dignità sostenute da lui e dai chiari suoi antenati parla ampiamente con somma erudizione il sopraccitato dottissimo cardinale (l. cit.). Ma io osserverò solamente che la correzion di lui fatta di questo codice e in quell’anno stesso, come ora vedremo, in cui fu console, cel fa conoscere uomo assai amante de’ poetici studj. E di questi un piccol saggio ci ha egli lasciato nello stesso codice in un suo epigramma da lui soggiunto alle parole or or recitate, in cui dichiara ciò che sopra abbiamo accennato, che all’,emendazione di questo codice egli attese in quell’anno stesso in cui era console, e mentre si celebravano gli spettacoli da lui perciò dati al popol romano. Tempore, quo penaces Circo subjunximus, atque Scenam Euripo extulimus subitam, Ut ludos currusque simul variumque ferarum Certamen junctim Roma teneret! ovans, Tantum quippe sofos merui: terna agmina vulgi Per caveas plausus concinuere meos. Pretium (sic) In quaestum famae census jactura cucurrit, Nam laudis fructum talia damna ferant. Sic tota consumptas servant spectacula gazas, Festorumque trium) permanet una dies, Asteriumque suum vivax transmisit in aevum, Qui parcas trabeis tam bene donat opes. A lui pure dobbiamo la divulgazione del poema intitolato Pasquale di Sedulio, e non a un altro Asterio, come prova il suddetto Cardinal Noris , ribattendo le opposte ragioni del P. Sinnondo; frattanto l’esalta descrizione che ce ne ha poi data il eh. sig. canonico Rondini (Cai. Codd. lai Bill Laurent, t- i, p. arti, ec.). [p. 54 modifica]54 LIBRO ilei che nondimeno la religione più che la poesia gli dee saper grado. A questo ancora ei premise un suo breve epigramma. Alcuni affermano ch’egli sia ancora l’autore di un altro piccol poema intitolato: Collatio veteris et novi Testamenti, che da altri si attribuisce allo stesso Sedulio. 111. Monumenti assai più copiosi de’ suoi studj di poesia non meno che di eloquenza ci ha lasciato il celebre S. Ennodio vescovo di Pavia. I Maurini autori della Storia Letteraria di Francia gli han dato luogo tra’ loro scrittori (t. 3, p. 96); ed egli era certamente originario della Gallia, come egli stesso si appella (l. 1, ep. 2, e carm. 73); ma eli’ ei nascesse in Arles , essi l’afferman bensi, ma nol provano abbastanza. La lettera da lui scritta ad Euprepia sua sorella (l. 7, ep. 8), ch’essi ne arrecan per pruova, ci mostra solo ch’essa abitava allora in Arles, mentre S. Ennodio era in Milano , e che questi col pensiero recavisi alla casa ove essa dimorava nella suddetta città, cui però egli non chiama mai sua patria: Habuit Arelatensis habitatio, cum Mediolanensibus muris includerer; et cum ad dulcem sedem libertas mentis excurreret, intra Italiam me corti oris captivitas includebat. Al contrario il ch. dottor Sassi afferma ch’ei nacque in Milano (De. stud. Mediol. c. 5), e a questa opinione si eran già mostrati favorevoli il P. Sirmondo (in Vita Ennod.) e il P. Sollier (Acta SS. jul. t 4, p. 271). Nondimeno le ragioni eli’ egli ne arreca, non mi sembrano sì convincenti che rendan del tutto certa questa opinione. Ma ciò che i Francesi [p. 55 modifica]PRIMO 55 strisi non negano, si è ch’egli fosse in Milano, e che in Italia passasse presso che tutti i suoi giorni, il che ci basta perchè dobbiam noi pure annoverarlo fra’ nostri. Ei nacque verso l’anno 473, come raccogliesi dal narrar che fa egli stesso (Eucharist. de Vita sua), che avea circa sedici anni allor quando Teodorico entrò in Italia contro di Odoacre, il che avvenne l’anno 489. Nella gioventù attese egli con grande ardore agli studj dell’eloquenza e della poesia; e frutto di questi suoi studj furono e i molti Epigrammi e le molte Orazioni che di lui ci sono rimaste. IV. Ma queste Orazioni, e quelle singolarmente ch’egli intitolò Dizioni scolastiche, sono cagion di contesa tra due città, Milano e Pavia; e ciascheduna di esse pretende che delle sue scuole si debba intendere ciò ch’egli dice troppo generalmente. Veggiam prima qual sia l’argomento di queste Orazioni, e poscia esamineremo a qual delle due parti siano esse più favorevoli. Esse furono quasi tutte da lui composte all’occasione di condurre la prima volta alle pubbliche scuole alcuni giovinetti, de’ quali taluno gli era parente, altri per altre ragioni gli eran cari; e in esse egli esorta i giovani ad attendere con ardore agli studj, dice loro gran lodi del loro maestro, e a lui caldamente li raccomanda. In due di esse (dict. 8, 9) egli nomina il maestro a cui consegnavali, cioè Deuterio celebre gramatico di questa età, di cui ancora egli parla altre volte con molta lode (l. 2, epigr. 104). Nelle altre nol nomina, ma è verisimile che fosse lo stesso Deuterio. Or queste [p. 56 modifica]56 LIBRO scuole ciano esse in Milano, ovvero in Pavia? Ecco il principale oggetto di questa contesa. L’erudito Antonio Gatti (Hist. Gymnas. Ticinens. c. 4) sostiene che non solo S. Ennodio parla delle scuole pavesi, non delle milanesi, ma ch’egli ancora in quelle fu professore. Il ch. Sassi al contrario afferma che delle scuole milanesi si dee intendere ciò ch’egli dice, benchè insieme sostenga eli’ egli non vi tenne scuola giammai (De Stud.Mediol.c. 5). E quanto a questo secondo punto, a me pare che l’opinione del Sassi sia chiaramente provata. Il Gatti arreca alcune parole in cui pare che S. Ennodio chiami se medesimo precettore (di et. 7). Ma leggasi tutta quella orazione, e si vedrà che in essa ancora egli esorta i giovani ad usar con profitto dell’ottimo maestro che gl’istruisce, e a lui stesso volgendosi, Salve ergo, egli dice, nutritor profectuum, fax et splendor ingenuitatis, qui nobilia germina laboriosis purgando sarculis in fructibus facis agnosci, ec. E in tutte le altre Orazioni non vi è parola da cui ricavisi oli’ egli stesso tenesse scuola; anzi dal vedere eli’ egb in tutte raccomanda al maestro i discepoli, parmi che si raccolga con evidenza che altri dunque e non già egli era il maestro; molto più che se il fosse stato egli stesso, sembra che non avrebbe affidati ad altri que’ giovani che o per sangue o per amicizia gli eran congiunti. Per ciò poi che appartiene alla prima quistione, cioè se in Milano o in Pavia fosser le scuole di cui S. Ennodio ragiona, io dico primieramente che dalle parole di lui non raccogliamo argomento alcuno che pruovi [p. 57 modifica]PRIMO 5 7 a favore d’una città più che dell’altra; poichè alcune parole nelle quali il Gatti crede che si accenni la distruzion di Pavia seguita nella guerra tra Teodorico e Odoacre, sono così generali che niuno potrà mai provare che non si possan intendere di altra città e in altro senso. Ma le conghietture che da varj argomenti si posson raccogliere, tutte son favorevoli alla città di Milano. Che in Milano vi fossero molto prima di questo tempo pubbliche scuole, l’abbiamo altrove provato. Che vi fossero in Pavia, il Gatti lo afferma, ma non ne reca in pruova alcun antico scrittore. Dunque è assai più probabile che S. Eunodio parli di una città in cui sappiamo che vi erano pubbliche scuole, che non di un’altra di cui nol possiamo accertare. In una di queste Orazioni (dì et. 9) ei raccomanda Aratore a Deuterio nell’atto di darglielo a scolaro; e racconta che di questo giovane, essendogli morto il padre, erasi (pietosamente incaricato Lorenzo vescovo di Milano , di cui dice gran lodi, e parla in maniera che sembra indicar chiaramente ch’egli tenealo presso di se. Era dunque Aratore in Milano, ed in Milano era ancora la scuola a cui S. Ennodio il condusse. Finalmente S. Ennodio fu lungamente in Milano, come raccogliesi ad evidenza e dalle sue Lettere e da’ suoi Epigrammi. Or quando vi potè egli abitare, se non da giovane, mentre attendeva a coltivare le lettere umane? Quando egli si consacrò alla chiesa, passò, come vedremo, a Pavia; ma allora attese agli studj sacri più che a’ profani, nè in Pavia perciò potè egli comporre e dire le mentovate Orazioni. [p. 58 modifica]58 LIBRO Tutti questi argomenti mi rendono assai probabile l’opinione del Sassi, che nelle scuole di Milano l’esser da S. Ennodio recitate tutte le Orazioni medesime; e così pensa anche il Sirmondo (in not. ad dict. 9). Questi però congettura che una delle suddette Orazioni (dict. 7) che ha per titolo: In dedicatione Auditorii, quando ad forum translatio facta est, fosse da lui tenuta in Roma; e fonda la sua opinione singolarmente su queste parole: Non agnoscit forum Romani populi, non liberalis eruditionis gymnasium, qui adhuc quasi in secessibus conticescit: nel qual passo ei crede che veramente si parli del foro romano, dove in Roma fossero state trasportate le scuole del Campidoglio, ove fin allora erano state. Ma a me sembra che anche delle scuole e della città di Milano si possa intendere. Che Milano avesse il suo foro, niuno, io credo, vorrà muoverne dubbio. Ad esso dunque potean essere trasportate le scuole; e perchè in esse insegnavasi a perorare, potea allora quel foro considerarsi come somigliante al romano, ove gli oratori si esercitavano nel trattare le cause. E certo non mi par verisimile che S. Ennodio, il quale, quando andò a Roma, dovea essere almeno diacono, volesse comporre e recitare pubblicamente un’orazione su tale argomento (a). (a) Assai meglio del Gatti ha difesa l’opinione de’ Pavesi l’erudito P. M. Capsoni dell"Ordine rie’ Predicatori nel tomo III non ancora pubblicato delle sue Memorie su quella illustre città, di cui egli ha voluto gentilmente comunicarmi alcuni tratti (§. 5i, ec.). Tigli esaminando [p. 59 modifica]PRIMO 59 V. Oltre queste Orazioni, altre ancora ne abbiamo da lui composte a foggia delle antiche declamazioni, e una di esse detta improvvisamente su un argomento propostogli dal mentovato Deuterio, alcune ancora da lui fatte ad uso altrui, e singolarmente del suo Aratore, una per Onorato vescovo di Novara, e un’altra per un cotale Stefano Vicario; il che ci fa conoscere in qual pregio egli fosse, poichè gli venivano all’occasione, come ad uomo eloquente, richiesti componimenti di tal natura. E nondimeno era egli ancor giovinetto, perciocchè nato, come si è detto, l’anno 473, egli continuò ad esercitarsi in tali studj solo finchè arrolossi nel clero. Ciò avvenne certamente prima della morte di S. Epifanio vescovo di Pavia, perciocchè egli racconta che da lui era stato ammesso tra’ cherici: quem religionis titulis insignisti, religiosorum in divinam repromissionem redde participem ad (fin. Vit. Epiph.). parecchi passi di alcune delle Orazioni da me qui indicate, giustamente riflette che Ennodio era , quando le recitò , uomo di età già matura, ed arrotato nel clero, e che perciò essendo certo che quando egli consecrossi a Dio, fissò la sua dimora in Pavia, decsi credere che ivi ci tenesse queste Orazioni, quando non voglia credersi che eg’i a nella posta si trasferisse a Milano, quando dovea recitarle. Egli osserva ancora che, ove Ennodio ragiona di Aratore e del vescovo di Milano’ Lorenzo, accenna bensì che questi aveasi preso in casa quell’orfano giovane, ma non afferma che tenesselo ancora , quando ebbelo mondato alle scuole. Tn somma io debbo qui confessare sinceramente che la mia opinione mi sembra ora assni meno probabile che non mi sembrasse dapprima, e che alcune di quelle Orazioni par certo che da S. Ennodio fossero recitate in Pavia. [p. 60 modifica]V!. Suo vescovato , sua morte e sue opere. 60 T.IDRO Or questo celebre vescovo, secondo i più esatti storici, morì l’anno 4()6> e perciò S. Ennodio non dovea allora contare che ventitré anni di età. Anzi. secondo una probabile congettura del P. Sollier, pare che fin dall’anno 4^)4 ei fosse ammesso tra il clero, e quindi in età di soli ventun anni dovea egli esser salito a sì grande fama. Dell’occasione di cui egli volgendosi a Dio si determinò di consecrarsi alla chiesa, della malattia da cui fu liberato per la protezione del martire S. Vittore, della generosa risoluzione che prese la sua moglie (a cui non so su qual fondamento abbia l’ab. Longchamps (Tabl hist t. 2, p. 439) dato il nome di Melanide) di consecrarsi ella pure a Dio, e di altre minute particolarità della vitA di S. Ennodio, io lascio che ognuno vegga gli autori di me poc’anzi citati che ne hanno scritta diligentemente la storia. Io rifletterò solamente che parmi probabile, che quando S. Ennodio entrò nell’ordine clericale, passasse da Milano a Pavia , acciocchè lontano dagli amici, dagli onori e da’ pericoli fra’ quali fin allora era stato, potesse con libertà e con sicurezza maggiore servire a Dio. Certo è, come abbiamo detto, ch’ei fu ricevuto nel clero da S. Epifanio , e che a lui, e poscia a Massimo che gli succedette, ei si tenne stretto e congiunto. VI. Poichè egli fu arrolato nel clero, abbandonati i profani studj, si volse a’ sacri, e di questo tempo dee intendersi ciò ch’egli scrive ad Aratore: ego ipsa studiorum liberalium nomina jam detestor (l. 9, ep. 1); e in queste scienze egli ebbe a suo maestro un cotal [p. 61 modifica]PIUMO (}I Servilione, come da lui medesimo si raccoglie (l. 5, ep.12). Alcune nondimeno delle sue poesie ei certamente compose essendo già diacono, come quella eh1 è intitolata: Dictio Ennodii Diaconi, quando Roma rediit (l. 2, epigr. 6), onde convien credere che solo in esse si occupasse , quando le circostanze eran tali che non potea sottrarsene. Frattanto nella sede vescovil di Pavia a S. Epifanio era succeduto S. Massimo; e con lui Ennodio ancor diacono al principio del sesto secolo sen venne a Roma, e intervenne a un de’ Concilj tenuti in occasion dello scisma di Lorenzo contro il pontefice Simmaco, in difesa del quale egli scrisse un’apologia che fu avuta in sì grande stima, che venne inserita negli Atti stessi del Sinodo. Noi l’abbiamo ancora, come pure un panegirico da lui recitalo a Teodorico; ma non sappiamo nè quando, nè dove; solo è certo ch’ei recitollo come deputato a ciò della chiesa, poichè così accenna egli stesso e nell’esordio del panegirico e verso il fine con quelle parole: Vide divitias saeculi tui tunc vix fora habuere perfectos; nunc Ecclesia dirigit laudatorum. Quindi l’anno 510, o nel seguente, sollevato egli stesso alla medesima sede dopo la morte di S. Massimo, la tenne fino all’anno 521 in cui morì, come raccogliesi dall’epitafio di cui ne fu ornato il sepolcro, e che vedesi anche al presente nella chiesa di S. Michele, nel quale si dice ch’egli morì Valerio V. C. Consule; e appunto nell’anno 52 1 Valerio fu console. Delle due legazioni all’imperadore Anastasio da lui intraprese per ordine del papa Ormisda, de’ travagli [p. 62 modifica]Gj LUtllO die in esse sostenne, degli elogi di cui fu onorato da molti uomini celebri per santità e per sapere, si veggano i mentovati scrittori. Oltre le Opere che già abbiam rammentate, ci rimangono ancora di lui nove libri di Lettere, la Vita di S. Epifanio vescovo di Pavia, e di S. Antonio monaco di Lerins, ed altri opuscoli, che sono stati raccolti ed eruditamente illustrati dal P. Sirmondo (vol. 1 Op.). In esse si scorge facilmente un uomo di acuto e vivace ingegno; ma che usa di uno stile così intralciato, duro ed incolto, che si ha spesso gran fatica ad intenderne il senso. I versi però, come di altri autori abbiamo osservato, sono assai meno incolti. Il Dupin, censore troppo severo di autori che forse non avea mai letti, accusa S. Ennodio di esser caduto negli errori de’ Semipelagiani (Bibl. des Aut. eccl. t. 6, p. 27); ma il P. Sollier (l. cit. p. 275), e poscia i Maurini autori della Storia Letteraria di Francia (l. cit p. 108) hanno mostrato che il santo non poteva più apertamente di quel che ha fatto combattere gli stessi errori. VII. Prima di parlare di altri scrittori di questa medesima età, ci conviene qui osservare alcune cose appartenenti al nostro argomento, che s’incontran nell’Opere di S. Ennodio. E in primo luogo noi vi veggiamo la celebrità e il fiore in cui erano allora le scuole di belle lettere in Milano (Veggasi la nota 6 al numero IV di questo capo). L’uso di condurre ad esse i fanciulli con una cotale solennità, e di recitare nell’offerirgli al maestro un’orazione; il costume delle pubbliche recite nelle scuole [p. 63 modifica]PRIMO 63 medesime, come ricaviamo da un’altra orazione dello stesso Ennodio (dict 10); certi gradi di onore che in esse si conferivano, e che veggiamo da lui accennati (dict. 12),- il ragionamento da lui tenuto pubblicamente, come si è detto. allor quando la scuola fu dall’antico luogo trasportata al foro, ed altre somiglianti riflessioni che ci si fanno innanzi leggendo l’opere di questo autore, ci mostrano chiaramente ch’erano allora in onore gli studj e i pubblici professori. Egli è vero però, che a me par di raccogliere dagli stessi ragionamenti di S. Ennodio, che un solo, cioè Deuterio, era allor quegli che teneva scuola in Milano. Io non veggo mai nè ch’egli nomini alcun altro professore, nè accenni più professori nella stessa città. Anzi nel sopraccitato ragionamento fatto in dedicatione A udito rii, quando ad Forum translatio facta est, il qual pure già abbiam mostrato che appartiene a Milano, egli non parla mai che di un sol professore. Ma benchè questi si chiami sempre gramatico, noi veggiam nondimeno ch’egli istruiva ancora nell’eloquenza i suoi discepoli, e che questi nella mentovata scuola si addestravano a trattar le cause nel foro. Tibi ergo debentur, dic’egli al professore nel citato ragionamento, haec beneficia, quodcilaturus retini causidicus inter atria jam probata dictionem metuendus incipiet Anzi S. Ennodio celebra con molte lodi la Liguria, col qual nome, come vedremo parlando di Aratore, veniva singolarmente compresa la Lombardia, per gli egregi ingegni che vi nascevano, e che vi s’istruivan pel foro, e quindi ancor pel senato. Non est [p. 64 modifica]04 LIBRO bonis partibus infoecunda Liguria; nutrit foro germina , quae libenter amplectatur et curia (l. 4, ep. 2). Quindi nella lettera che vedremo scritta da Atalarico al medesimo Aratore, sì grandi elogi si fanno delle scuole liguri, e vi si accenna come passato in proverbio il detto che nella Liguria ancora nascevano i Tullii. Vili. Alle Opere di S. Ennodio noi dobbiam parimente la notizia che ci è rimasta di alcuni ch’erano allora celebri per eloquenza. Fra essi ei loda singolarmente Fausto ed Avieno (opusc. 6 in Rethorica) cui chiama felicità del secolo e fiumi di latina eloquenza, ma de1 quali sembra dolersi che essendo onorati d’illustri cariche in corte, non potessero perciò essere agli altri di giovamento col loro esempio. In Fausto loda ancor sommamente il talento poetico (l. 1 epigr. 7), e ne parla in maniera che se non sapessimo che le lodi a questi tempi erano ad assai buon prezzo, per poco nol crederemmo un altro Orazio. Altrove ei loda un encomio della città di Como (l. 1 , ep. 6) fatto da Fausto; e acciocchè dalla difficoltà grande dell’argomento si raccolga il grande ingegno dell’oratore, ei di questa città ci fa la più orribile dipintura che immaginare si possa, e ben diversa da quella che ce ne ha lasciata il celebre Cassiodoro (l. 11 Var. ep. 14), il quale ce la rappresenta qual ella è veramente, pel vicin lago, e pe’ lieti colli, e pe’ fruttiferi monti che la circondano, deliciosa e vaga a vedersi. E perciò io penso col P. Sirmondo (in not. ad l. cit.) che S. Ennodio volesse in questa lettera scherzare col suo amico; poichè tale gli [p. 65 modifica]PRIMO 65 era Fausto, come raccogliesi dalle molte lettere a lui scritte, e dalla frequente menzione ch’ei ne suol fare. Egli è probabilmente quel Fausto stesso che fu console f anno 490. Avieno era figlio di Fausto, e di lui pure parla spesso S. Ennodio con grandissime lodi, e in una lettera singolarmente ch’egli scrive a Fausto (l. 1, ep. 5), con lui rallegrandosi che Avieno fosse stato innalzato alla consolar dignità, il che avvenne l’anno 501. Egli chiamavasi Rufo Magno Fausto Avieno, e per canto di madre era parente di Ennodio che avea egli pure il nome di Magno. Or in questa lettera ei dice sì grandi cose di Avieno ch’era per altro ancora in tenera età, che più non si potrebbe del più perfetto oratore, fino ad affermare ch’ei sapeva quanto saper si può della lingua greca e della latina, e che avendo attentamente studiato Demostene e Cicerone, avea in sè ritratti i pregi tutti di questi due celebri oratori. Ma noi possiamo, senza farcene scrupolo, da sì grandi elogi detrarre alquanto, come più volte abbiamo osservato. IX. Olibrio ancora ci viene da S. Ennodio descritto come oratore, dalle cui labbra usciva dolcissimo mele, (l. 1, ep. 9), e uomo ad uguagliare il quale niuno era mai pervenuto (ib. ep. 1), la cui eloquenza facevasi desiderar tanto più quanto più era erudita (l. 1, ep. 9), ed era somigliante a un gonfio e impetuoso fiume che non soffre letto nè sponda (ib. ep. 13). Un’elegia ancora egli scrisse in lode di questo oratore (l. 1, carm. 8) il quale anche da Cassiodoro è chiamato col nome di Grande (l. 8 Var. Tira boschi, Voi. III. 5 [p. 66 modifica]66 LIBRO ep. 19). Con somiglianti encomj S. Ennodio ragiona (opusc. 6) ancora di Festo e di Simmaco, quel desso che fu poi ucciso poco dopo Boezio; di Probino, di Cetego, di Probo, di Costanzo, di Agapito, di Boezio che debb’essere il figlio del celebre filosofo, poichè di lui dice che benchè avesse solo l’età opportuna ad esser discepolo, avea già nondimeno dottrina bastante ad esser maestro. Questi eran tutti uomini per nascita e per dignità ragguardevoli, come osserva il P. Sirmondo (in not ad. l. cit.); e benchè vogliansi credere esagerati cotali elogi, essi nondimeno ci fan conoscere che l’eloquenza ne’ felici tempi di Teodorico era in gran pregio, e coltivavasi con fervore anche da’ più illustri e nobili personaggi. E veramente abbiam già osservato nel primo capo di questo libro, che il gran Cassiodoro usò di ogni sforzo, e si valse della grazia di cui godeva presso i re ostrogoti, per avvivare gli studj, e di quello singolarmente dell’eloquenza egli fa spesso nelle sue Lettere grandissimi encomj. Io rammenterò qui solamente quella in cui Atalarico conferisce a Felice la dignità di questore, e la seguente (l. 8 Var. ep. 18, 19) in cui ne ragguaglia il senato. Esse son piene di lodi dell’eloquenza, indirizzate a risvegliare negli animi di tutti un generoso ardore nel coltivarla; e vi si fa onorevol menzione del padre dello stesso Felice, di cui si afferma che nel foro di Milano era salito a sì grande onore, che si era renduto uguale a’ più celebri oratori di Roma. Il che io ho voluto qui accennare per confermare vie maggiormente ciò che di sopra si è detto, del [p. 67 modifica]Pluvio 67 fiore in cui erano a questa età gli studi dell’amena letteratura in Milano. Io passo sotto silenzio molti altri che da Cassiodoro e da S. Ennodio veggiam chiamati eloquenti, poichè nè abbiamo di essi più minuta contezza, nè saggio alcuno del lor valore ci è rimasto. Convien però confessare che se tutti aveano eloquenza e stile pari a quello di S. Ennodio, che pur abbiam veduto ch’era a’ suoi tempi in altissimo pregio, noi dobbiam assai poco favorevolmente giudicare degli oratori di questi tempi, e ci possiamo consolar facilmente della perdita che abbiam fatta dell’opere loro. X. Aratore da noi nominato poc’anzi fu coetaneo di S. Ennodio. Io ne parlerò in breve, poiché colf usata sua diligenza ne ha già ragionato il celebre conte. Mazzucchelli (Scritt, ital. t. 1, par. 2, p. 933). Di qual patria egli fosse, si controverte tra gli scrittori, com’egli stesso osserva. I più esatti riflettendo alla lettera che Cassiodoro gli scrisse in nome di Atalarico (l. 8 Var. ep. 12), in cui, sollevandolo alla dignità di conte de’ domestici, ne loda il sapere e l’eloquenza, e dice che per lui cominciava già a correre, come proverbio, il detto che anche la Liguria mandava i suoi Tttllii f riflettendo, dico, a questa lettera, ne inferiscono che ligure fu Aratore. Quindi i Genovesi il ripongon tra’ loro scrittori. Ma egli è certo che a provarlo genovese non basta il provarlo ligure. Chiunque è mediocremente versato negli scrittori di questa età, sa che in essa il nome di Liguria comprendeva singolarmente la Gallia Cisalpina. Se ne posson leggere le evidentissime [p. 68 modifica]G8 Limo pruove presso il Sassi De Stud. Mediol. c. 5). Per altra parte abbiamo da S. Ennodio (dict, 9), che essendo Aratore rimasto orfano in età giovanile, Lorenzo vescovo di Milano il prese in casa, ed allevollo qual figlio. E quindi rendesi | assai probabile l’opinione dello stesso Sassi (l. cit), e poscia dell’Argelati (Bibl. Script, mediol.), eh’ ci fosse di patria milanese. Non è però a spregiarsi l’autorità di un codice antico citato dal ch. Mazzucchelli, in cui Aratore è detto due volte bresciano. Checchessia di ciò, è certo che Aratore attese agli studj sotto Deuterio , come già abbiamo osservato; e perciò da Atalarico gli si ascrive a gran lode che anche in paese straniero abbia appresa l’eloquenza, e die la lettura di Tullio lo abbia renduto facondo , ove una volta non usavasi che la lingua gallica. Nella stessa lettera Atalarico rammenta l’eloquenza e il sapere di cui era fornito il padre di Aratore, da cui dice che questi avea potuto apprendere molto, finchè visse con lui. Annovera inoltre gli onorevoli impieghi dal Aratore sostenuti, cioè di causidico e di deputato della Dalmazia a Teodorico, nella qual occasione avea egli spiegata parlando un’ammirabile eloquenza. A premio di questa sua eloquenza egli ebbe, come si è accennato, la carica di conte de’ domestici, a cui il ch. Mazzucchelli colf autorità di alcuni codici mss. aggiugne quella di conte delle private donazioni. Ma a queste e ad altre onorevoli cariche, a cui poteva aspirare, ei rinunciò per entrare al servigio della Chiesa romana, (di cui fu suddiacono. Erasi egli fin da’ più teneri anni [p. 69 modifica]PRIMO Gy

  • >serc:‘alo nel verseggiare; ma poichè fu arrolato

nel clero, a persuasion di Partenio prese argomento sacro alle sue poesie, e scrisse in due libri la Storia apostolica che ancor ci rimane, a cui premise un’elegia allo stesso Partenio. Dalle annotazioni aggiunte a’ sopraccennati codici antichi si raccoglie ch’egli offerì questi suoi libri al papa Virgilio, e che furon letti pubblicamente più volte, e uditi con sommo applauso nella chiesa di S. Pietro a’ Vincoli l’anno terzo dopo il consolato di Basilio, ossia l’anno 544; e che il PaPa ordinò ch’essi fossero conservati nell’archivio della Chiesa romana. Questo sì grande applauso ci mostra quanto facilmente si acquistasse allora il nome di valoroso poeta. Non si può negare però che i versi di Aratore non siano un po’ migliori di quelli d’altri poeti di questo tempo. Egli morì secondo alcuni l’anno 556; secondo altri l’anno 560; la qual quistione non è di sì grande importanza, che ci dobbiam trattenere a esaminarla. XI. In somiglianti sacri argomenti si esercitò Rustico Elpidio medico di Teodorico, e da lui onorato della dignità di questore, e del titolo d’illustre, di cui abbiamo xxiv Epigrammi su altrettanti fatti dell’Antico e del Nuovo Testamento, e un componimento in versi esametri su’ beneficj del Redentore. IlFabricio però vuole -(Bibl. lat. med. et infim. aetat. t. 2, p. 93, ed. Patav.) che il medico Elpidio sia diverso dal poeta. Così pur Godelberto prete che credesi vissuto a questi tempi medesimi (V. Fabr. t. 3 ib. p. &67). e di cui pure abbiam alcune poesie [p. 70 modifica]qo libro scritturali; e Marco monaco casinese, che da Pietro Diacono si dice (De viris illustr. casinens. c. 6) discepolo di S. Benedetto, di cui scrisse in versi una breve Vita ch’è una delle migliori poesie di questa età, pubblicata dopo altri dal P. Mabillon (Acta SS. Ord. S. Bened. t. 1,p. 28), oltre alcune altre operette rammentate dal canonico Giambattista Mari (in not ad Petr. Diac. l. c.); ed altri che si potrebbono aggiugnere, ma de’ quali, poichè non furon poeti da aversi in gran pregio, non giova che cerchiamo più oltre. Solo ci basti l’accennar brevemente quel Massimiano Etrusco che credesi autore delle Elegie attribuite a Cornelio Gallo; ma non v’ha cosa alcuna che intorno a lui si possa accertare; ed io ne fo qui menzione, solo perchè si dice, benchè forse non senza gran fondamento, ch’ei visse di questi tempi (V. Fabr. Bibl. lat. t. 1, p. 98). XII. In tal maniera, benchè con poco felice successo, furono nondimeno sotto i primi re goti con ardor coltivate l’eloquenza e la poesia. Ma la storia fu quasi interamente dimenticata. Se se ne tragga l’opera smarrita di Cassiodoro sulla storia de’ Goti, alcune Vite di personaggi celebri per santità, e il Compendio della Storia ecclesiastica fatto da Epifanio, di cui già abbiamo parlato, appena abbiamo a questi tempi tra gli autori italiani cosa in questo genere degna di essere rammentata. Io accennerò qui solamente Giornande ossia Giornando, il quale per altro fu Alano d’origine, come egli stesso afferma (Hist. c. 5), ma sembra che vivesse in Italia, e come probabilmente [p. 71 modifica]PKIMO ri creile il Muratori, verso la metà del vi secolo. Il dir ch’egli fa che innanzi alla sua conversione era notaio, ha fatto credere, e parmi a ragione, allo stesso autore ch’egli abbracciasse la vita monastica. Di lui abbiamo una Storia de’ Goti, che è un compendio di quella ampia fatta da Cassiodoro. Di essa e dell autore veggasi lo stesso ch. Muratori nell’erudita prefazione da lui premessa alla nuova edizione che egli ne ha fatto (Vol. 1 Script. rer. ital.). Giornande fa menzione di un certo Ablabio (c. 4, 14? ec.), e dice che avea egli pure egregiamente e sinceramente scritta la Storia de’ Goti, di cui nulla ci è pervenuto. I Ravennati il pongono tra’ loro scrittori: ma il ch. P. abate Ginanni confessa (Scrittori ravennati t. 1, p. 9) che non ve ne ha alcun certo argomento. Sappiamo ancora che S. Massimiano vescovo di Ravenna, il quale secondo il parere del P. Bacchini fu sollevato a quella sede l’anno 546, avea scritta una Cronaca sul modello di quelle di S. Girolamo e di Orosio. Agnello, scrittor delle Vite de’ Vescovi di Ravenna, ne reca un frammento (l. Pont.), e aggiugne ch’egli avea ancora ordinati e fatti scrivere con gran diligenza i libri tutti appartenenti all’uso della sua chiesa. Di lui veggasi il sopraccitato P. Ginanni (Scritt. rav. t. 1, p. 35). Alcuni hanno attribuito a S. Dazio arcivescovo di Milano a questi tempi una Cronaca che in qualche codice ne porta il nome; ma dopo varie contese su quest’argomento il ch. Muratori ha con tai ragioni provato ch’essa non è diversa da quella che scritta fu da Landolfo il vecchio nel secolo xi (V’. praef. [p. 72 modifica]ad Hist. Land. sen., vol 4 Script. rer. ital.), che non ha lasciato più luogo ad alcuna questione.