Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo I/Parte III/Libro III/Capo VIII

Capo VIII – Biblioteche

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Capo VIII.

Biblioteche.



Tardi si cominciò a formar biblioteche in Roma. I. Questo ancora fu il tempo in cui Roma à vide per la prima volta un oggetto di cui pel corso di più secoli non aveva ancora avuta idea, e che giovò esso pure non poco a fomentare e aa’accrescere gli studi; dico le private prima, e poscia le pubbliche biblioteche.

Crederei di gittare la fatica e il tempo, se mi trattenessi qui a confutare l’opinione del Morofio (Polii histor. t. 1, l. 1) e del Falstero (Hist.

Rei Lite.r. ap. Rom.), i quali negli Atti pubblici che conservavansi in Roma, trovano la prima biblioteca che ivi si raccogliesse; e quella del Middendorpio (De Acad, lib. 3) che una biblioteca vede ne’ libri delle Sibille che conservavansi in Roma. Queste biblioteche si posson aggiugnere a quelle che prima del diluvio ancora trovò il Madero, e a quella singolarmente di Adamo, di cui Paolo Cristiano Hilscherro formò un esatto catalogo (V. Struv. introd. in Not. Rei Liter. cum notis Fise Iteri, [p. 569 modifica]LIBRO TERZO 369 t 1, p. iq5). Convien confessarlo. Tardi pensarono i Romani a coltivare gli studi, e quindi tardi a raccogliere biblioteche. Non già che niun libro non fosse in Roma, che ciò troppo chiaramente dalle cose già dette si mostra falso; ma se pochi libri bastassero a formare una biblioteca , non vi sarebbe quasi artigiano che non avesse la sua. Questo nome si usa a dinotare una collezione di libri che somministri aiuto a’ diversi studi in cui uno voglia occuparsi; e questi non sappiamo che per lo spazio di circa sei e forse sette secoli si vedesse in Roma. IL Paolo Emilio, secondo S. Isidoro (Origin. l.6,c. 5), fu il primo che avesse biblioteca in Roma, formata dei libri di Perseo re di Macedonia, da lui vinto e condotto a Roma l’anno 585. E veramente nan a Plutarco (in ejus Vita) che egli a’ suoi figliuoli, che inclinati erano allo studio , permise di scegliere tra’ libri del vinto Re que’ che loro piacesse. Ma se tale fosse la copia di questi libri, che si potesse giustamente appellare biblioteca, noi nol sappiamo; e la maniera con cui ne parla Plutarco, sembra anzi indicare una piccola scelta che una copiosa raccolta di libri. E forse questi furon que’ libri medesimi che, parlando dell’amicizia del giovine Africano con Polibio, abbiam veduto che da Scipione si davano in prestito al dotto greco; perciocchè, come ad ognuno è noto, Scipione era figlio di Paolo Emilio , ma per adozione passato nella famiglia da cui prendeva il nome. La gloria dunque di avere il primo avuta biblioteca in Roma devesi più probabilmente a [p. 570 modifica]in. Bililiuteca eli Tirannione. 5;°. ^ PARTS TERZA Lucio Cornelio Silla. il quale l’anno (667 avendo occupata Atene, tra l’immenso bottino che ne raccolse, seco portò ancora la biblioteca di Apellicone 1 eio. Ecco il racconto che ne abbiamo in Plutarco (in Vita Sillae). Riservò a se stesso (Silla) la biblioteca di Apellicone Teio, in cui erano quasi tutti gli scritti.di.Aristotile e di Teofrasto, de’ quali non avevasi ancora comunemente contezza. Questa trasportata a Roma, dicesi che per la maggior parte fosse dal gramatico Tirannione ordinata. Degli scritti di Aristotile, e di ciò che Tirannione fece riguardo ad essi, già si è parlato altrove. Luciano ancora accenna la gran copia di libri che Silla portò seco da Atene, dicendo ad un cotale (Dial. adversus indoc.tum): Se tutti i libri ancora tu avessi, che Silla portò da Atene in Italia, saresti), per avventura più dotto? Qual uso facesse Silla di questi libri, noi nol sappiamo; ma certo nè potè egli usarne molto, avvolto sempre in continue guerre or esterne, ora domestiche, nè egli pensò a renderla giovevole agli altri col farla pubblica. ìli. Non molto dopo vidersi in Roma imitar l’esempio di Silla, e gareggiare in certo modo tra loro nel formare una cop osissima biblioteca due uomini di condizione l’un dall’altro troppo lontani, uno schiavo e uno de’ più splendidi cavalieri romani, cioè il mentovato Tirannione e il famoso Lucullo. Tirannione era nativo di Amisa nel Ponto, e se vogliam credere a Suida (Lexic. ad voc. « Tyrannio »), cliiamavasi prima Teofrasto; ma perchè ne’ prjmi anni frequentando la scuola [p. 571 modifica]LIBRO TERZO 571, di un certo Istieo, egli d’indole vivace e ardita malmenava assai i fanciulli suoi condiscepoli , ne ebbe da lui il nome di Tirannione. Checchessia di ciò, nella guerra di Lucullo contro di Mitridate fu egli fatto prigione; e condotto schiavo a Roma, fu venduto a Murena, da cui riebbe la libertà (Plut. in Lucullo). Era egli uomo assai erudito; ed ebbe fra gli altri a suo scolaro Quinto nipote di M. Tullio Cicerone, il quale con molta lode ne parla scrivendo a suo fratello (l. 2, ad Qu.frat. ep. 4)Quintus tuus puer optimus eruditur egregie: hoc nunc magis animadverto, quod Tyrannio docet apud nos. Di lui più altre volte ancora egli parla, e sempre con sentimenti di somma stima (l. 12 ad Att. ep. 2 e G; l. 4 > ep. 4, 7, ec.); e vedremo fra poco che di lui singolarmente valevasi per la sua biblioteca. Or questi mise egli pure insieme una biblioteca di ben trenta mila volumi (Suid ib.), e non di soli tre mila, come contro l’autorità di Suida hanno alcuni moderni senza alcun fondamento asserito. Dal che possiamo raccogliere che ben lucrosa seppe Tirannione rendersi la sua dottrina, poichè tante ricchezze adunò, quante a formare sì copiosa biblioteca si richiedevano. Egli è però ad avvertire che il Tirannione raccoglitore di essa, secondo alcuni, è diverso da quello che spesso vien rammentato da Cicerone (V. Bruck. Hist. Phil. t. 2, p. 19, nota. e). Le lor ragioni non mi sembrano convincenti; ma non è del mio argomento l’entrarne alfesame. [p. 572 modifica]IV. Di Luculln, ed elogio ili oso. ^ PARTE TERZA P*u celebre nondimeno fu in Roma la biblioteca di Loculi«, uno de’ più grandi uomini che a questo tempo vi vivessero. La sola introduzione di Tullio al secondo, o, come altri il chiamano, quarto libro delle Quistioni Accademiche ci fa abbastanza conoscere chi egli fosse. Uomo di grande ingegno, di memoria , come Cicerone lo chiama, in certo modo divina, di continuo studio, e in tutte le belle arti maravigliosamente erudito, dopo avere impiegati molti anni nel coltivamento delle scienze e nel civile governo della repubblica , fatto improvvisamente supremo general delle truppe nella pericolosa guerra contro di Mitridate, divenne subito uno de’ più valorosi capitani che fosser mai. Il viaggio da Roma in Asia fu l’unico tempo ch’egli ebbe a istruirsi nella scienza di guerra , e nondimeno in sì poco tempo parte leggendo, parte trattenendosi co’ più versati in tal arte, divenne in essa si esperto, che Mitridate stesso ebbe a dire che non avea mai letto d’alcun altro che gli si potesse uguagliare. Dopo essere stato per molti anni l’arbitro, per così dire, della repubblica, ritiratosi a vita privata, un nuovo spettacolo offerse agli occhi de’ Romani, mostrando loro fin dove possa giugnere la magnificenza e il lusso d’un uom privato. Ampii e spaziosi portici, amenissime ville, altre sul mar medesime fabbricate, altre sul pendio de’ colli, bagni, teatri, pitture, statue, pompa in somma e delizie e grandezze reali, si videro la prima volta per opera di Lucullo in Roma, la quale cominciò [p. 573 modifica]LIBRO TERZO 5^3 allora a vergognarsi dell’antica lodevole semplicità. Ma ciò che fa al nostro argomento, si è la raccolta grande di libri ch’ei fece, e l’uso che agli uomini eruditi ne concedette. Moltissimi, come narra Plutarco (in ejus Vita), e scritti con somma eleganza egli ne unì, e volle che la sua biblioteca non meno che le scuole e i portici che vi eran d’intorno, aperte fossero a’ dotti, e a’ greci filosofi singolarmente, de’ quali allora era gran numero in Roma. Ivi dunque raccoglievansi essi, e spesso i giorni interi vi passavano disputando. Lucullo stesso v’interveniva sovente, e di qualunque cosa fosse lor d’uopo, prontamente li compiaceva5 nè abbastanza si può spiegare qual premura e qual amore egli avesse singolarmente pe’ filosofi greci. Onoravali e favorivali in ogni maniera; seco li tratteneva a mensa, e voleva che la propria casa fosse loro comune. Tutto ciò Plutarco. La biblioteca di Lucullo viene ancor rammentata da Cicerone (De Fin. l. 3, n. 1); il qual dicendo di avervi un giorno trovato Catone circondato da molti libri di filosofi stoici, ne trae occasione di dire che conveniva al giovinetto Lucullo far concepire più amore per que’ libri da suo padre raccolti, che per tutti gli altri ornamenti di quella villa in cui stava la detta biblioteca. Quindi è che Lucullo si può a ragione considerare come il primo protettore delle lettere e de’ letterati che fosse in Roma; poichè, comunque Scipione ed altri avessero alcuni poeti e alcuni filosofi onorato del lor favore, era nondimeno questo onore ristretto a pochi, e niuno avea ancor fatto ciò [p. 574 modifica]parte terza che fece LucóUo, cioè di essere protettore universal! delle scienze, e di fomentarle con regia magnificenza. Tito Pomponio Attico, l’intimo amico di Cicerone, avea egli pure una scelta e copiosa biblioteca. Uomo amante di un dolce e onorato riposo, nemico del tumulto de’ pubblici affari, e tenutosi perciò sempre lontano dal governo della repubblica, altro piacere ei non aveva che quello di trattenersi co’ dotti, di attendere agli studi, e di coltivare ed aiutare ovunque potesse i suoi amici. Questo è il carattere che di Attico ci ha lasciato Cornelio Nipote nella elegante Vita eli’ egli ne ha scritta. Ma come giustamente osservano i due traduttori francesi delle lettere di Cicerone ad Attico, f ab. di S. Real e M. Mongault, sembra ch’ei coltivasse gli amici più per suo che per loro interesse, e che fosse amico di tutti solo per non aver nimico alcuno, dal qual gli fosse turbata la pace di cui voleva godere. Quindi egli era amico di Cicerone insieme e di Clodio, e di tutti i capi de’ diversi partiti in cui era allora divisa Roma. Cicerone molte volte gli dà gran lodi; ma spesso ancora si duole di non avere in lui trovato quel sincero ed efficace amico che avrebbe voluto. Abbiamo un’apologia di Attico inserita nel quarto tomo della raccolta di Pièces de Littérature stampata in Parigi l’anno Ma difficil cosa sembra a difenderlo, quando l’accusa è fondata su troppo autorevoli documenti. Non voglio qui lasciare di far menzione della Vita di Attico scritta dal celebre ab. di S. Pierre, il quale avendo ad [p. 575 modifica]LIBRO TERZO O7D essa premessa la Vita di Socrate, di questi due uomini, che sembrano veramente troppo l’un dall1 altro diversi, forma nondimeno un esatto e ingegnoso confronto. Ma non è il carattere e la vita di Attico che noi dobbiamo esaminare; ma sì ciò che appartiene a’ suoi studi e alla sua biblioteca. Le sentenze tutte de’ migliori filosofi avea egli diligentemente studiato, e valevasene più a regolamento della.sua vita che ad ostentazion di sapere. Le antichità romane furono il principal suo studio, e parlando degli storici, già abbiam vedute le belle opere che in tal materia avea egli scritte. Dilettossi ancora di poesia, e celebri erano singolarmente alcuni elogi in pochi versi da lui tessuti a’ più illustri uomini della repubblica. Nè solo egli era uom colto, e in tutte le belle arti versato} ma colti voleva ancora che fossero i suoi schiavi, e tutti quei che componevano la sua famiglia. Quindi, come dice Cornelio Nipote che tutte queste notizie ci ha tramandate, niuno eravi tra’ suoi famigliari che non sapesse e leggere e scrivere con eleganza. Un uomo di tal carattere dovea necessariamente essere amante di libri d’ogni maniera. In fatti una bella raccolta avevane Attico; e Cicerone se n’era invaghito per modo, che temendo per avventura che Attico volesse privarsene, più volte il pregò a non farlo, ma a tenerli, poichè sperava un giorno di farli suoi. Libros tuos, così egli scrive (l. 1, ep. 4) 5 conserva, et noli desperare eos me meos facere posse; quod si assequor, supero Crassum divitiis, atque omnium vicos et prata conte nino; e di nuovo (ib. ep. 10); [p. 576 modifica]57^ PARTE TERZA Bibliothecam tuam cave cuiquam despoti deas, quanrns acrem amatorem inveneris; nam omnes meas vindemiolas eo reservo, ut illud subsidium senectuti parem. E avendogli Attico data parola che a lui l’avrebbe serbata, non ancor di ciò pago, di nuovo gli scrive (ib. ep. 11); Libros vero tuos cave cuiquam tra ias: nobis eos , quemadmodum scribis , conserva • sommimi me eorum studium tenet, sicut odiam jam ceterarum rerum VI. Queste espressioni di Cicerone sulla biblioteca di Attico come ci fan conoscere che scelta e pregevole doveva ella essere, così ancora ci danno una giusta idea della premura che di raccoglier libri avea Cicerone. E in vero questo grami’ uomo parla sì spesso nelle sue lettere della sua biblioteca, che per poco non si crederebbe ch’egli altro pensier non avesse fuorchè de’ libri. Quando ei ne ragiona , non vi ha picciolissima cosa a cui egli non pensi. Perbelle feceris, scrive egli tornato dall’esilio ad Attico (l. 4, ep. 4), si ad nos veneris: offendes designationem Tyrannionis mirificam in librorum meorum bibliotheca, quorum reliquiae multo meliores sunt quam putaras. Etiam vellem mihi mittas de tuis librariolis duos aliquos, qui bus Tyrannio ufi tur, glutinatoribus , ad cetera administris; iisque imperes, ut sumant membranulam; ex qua indices fiant, quos vos Graeci, ut opinor, syllabos appellatis. Quindi in altre lettere (ep. 5 e 7) gli dà ragguaglio dei" vaghi ornamenti che Tirannione e Dionigi e Menofilo aggiunti aveano alla sua biblioteca; e spiegando il suo giubbilo per l’ordine in cui [p. 577 modifica]LI1IItO TEREO 5^7 Tirannione avea disposti i libri, Postea vero quam, dice, Tyrannio mihi libros disposuit, mens addita videtur meis aedibus. Non è perciò a stupire che la biblioteca fosse a Cicerone f oggetto delle sue delizie, e che appena libero dagli affari corresse, per così dire, a nascondervisi entro. Itaque, scrive egli allo stesso Attico (l. 2, ep. 6), libris me delecto, quorum habeo Antii festivam copiam; e a Curio (l. 7 Famil, ep. 28) Cum salutationi nos dedimus amicorum.... abdo me in bibliothecam. Una delle sventure a cui più fosse sensibile, si fu allor quando un de’ suoi schiavi detto Dionigi, rubatigli molti libri, se ne fuggì. La maniera con cui egli ne scrive a Sulpicio, fa ben vedere quanto ei ne fosse afflitto (l. 14 Famil. ep. 77): Dionysius servus meus, qui meam bibliothecam multorum nummorum tractavit, cum multos libros surripuisset, nec se impune laturum putaret, aufugit. Is est in provincia tua Hunc si tu mihi restituendum curaris, non possum dicere, quam mihi gratum faturum sit. Res ipsa parva; sed animi mei dolor magnus est.... Ego si hominem per te recuperaro, summo me a te beneficio affectum arbitrabor. VII. Nè di libri solamente, ma di antichità ancora, che servissero a ornamento della sua biblioteca e dei suoi portici, era avidissimo Cicerone. Undici lettere scritte quasi di seguito una dopo l7 altra ad Attico noi abbiamo (l. 1, ep. 3, 4, 6, ec.), nelle quali lo va di continuo importunando per certe statue antiche che da lui gli si dovean mandare; dice, che si compiace solo al pensarvi che le aspetta con impazienza, TiR.viioscm, Voi. /. 37 vii. Questi fa ancor raerol« ta di aultchiù. [p. 578 modifica]^7® PARTE TERZA

he non tardi punto, ma affretti a spedirle:

cbc Lei italo ha promesso di concedergli a questo effetto 1 uso »Ielle sue navi; se queste mancano, le mandi per qualunque altra via; qualunque cosa egli trovi degna della sua Biblioteca, la compri tosto, e si fidi del suo scrigno; alcune di queste, statue vuole ei collocare nella sua villa Tusculana; poscia vuol adornare quella ancor di Gaeta; gli dà poi avviso che alcune di esse sono già state poste fuor di nave a Gaeta; poi, che sono state condotte alla sua villa di Formia, ma che non le ha ancora vedute. Egli parla in somma da uomo, per così dir, trasportato, e che altro pensiero non ha che quello di provvedere la sua biblioteca e il suo gabinetto di somiglianti antichi ornamenti. Una dissertazione dell’erudito ab. Filippo Venuti sul Gabinetto di Cicerone è stata inserita nelle Memorie della Società Colombaria (t. 2), e poscia compendiata nella raccolta intitolata: Variétés Littéraires (t. 4, p. 3tp). Vili. Quinto Cicerone ancora fratello di M. Tullio avea una scelta biblioteca singolarmente di libri greci. Noi ne troviamo menzione in due lettere a lui scritte dal suo fratello Marco (l. 3 ad Qu. frater. ep. 4 e 5), e qui pure egli mostra il fervido suo impegno in raccogliere libri; e quanto a lui rincrescesse che avvenisse allora ne’ codici scritti a mano ciò che ora accade spesso negli stampati, cioè che vi s’incontrassero frequenti errori. De bibliotheca tua graeca supplenda, libris commutandis, lati ni s comparandis, ■ valde velim ista confici, [p. 579 modifica]LIBRO TERZO 5"]$ praesertim cum ad meum quoque usum spectent. Sed ego mihi ipsi, ista per quem agam, non habeo; neque enim vena.lia sunt, quae quidem placeant, et confici nisi per hominem et, peritum et diligentem non possunt; Chrysippo tamen imperabo, et cum Tyrannione loquar. E poscia dolendosi alquanto della lentezza di Tirannione, spiega insieme la difficoltà di trovar codici ben corretti: De libris Tyrannio est cessator. Chrysippo dicam, sed res operosa est, et hominis perdiligentis. Sentio ipse, qui in summo studio nihil assequor. De latinis vero, quo me vertam nescio, ita mendose et scribuntur et veneunt, sed tarnen quoad*fieri poterit non negligam Da’ quali passi si vede che Quinto ancora era uomo amante di letteratura e di libri; anzi una lettera abbiamo di suo fratello, in cui secolui si rallegra che quattro tragedie in soli sedici giorni avesse composte (ib- ep. 6). Il che però non saprei se grande stima debba in noi risvegliare del suo ingegno. Certo egli fu troppo lungi dall’uguagliare, o dall’accostarsi ancora alla fama di suo fratello. IX. Cicerone rammenta ancora la biblioteca di un certo Fausto ch’era in Pozzuoli, poichè di là scrivendo ad Attico, Ego hic, gli dice (l. 4> ep- 10), pascor bibliotheca Fausti. Ed è verisimile che avendo alcuni cominciato a far raccolta di libri, in un tempo singolarmente in cui le scienze erano con ardor coltivate, molti altri ne seguisser l’esempio, e in questa parte ancora, come suole accadere, si gareggiasse nel lusso e nella magnificenza. Alcuni nel numero de’ privati che raccolsero [p. 580 modifica]^8o PARTE TF.RZA biblioteche, pongono ancora il famoso Varrone e tra gli altri il Falstero (Hist. Rei Litter. ap. Rom.). Ella è cosa probabile che così fosse; ma le testimonianze ch’egli ne adduce, nol provano in modo alcuno. Reca egli il passo di Plinio il Vecchio, ove dice (l. 7,c. 30): M Varreni s in bibliotheca, quae primi in orbe ab Asinio Pollione ex manubiis publicata Romae est unius viventis posita imago est Ma basta sapere un pochissimo di latino per intendere che Plinio parla qui della biblioteca di Pollione di cui parleremo noi pure tra poco, e che dice che al soloVarrone, tra gli uomini illustri che allor vivevano, fu in essa innalzata una statua. I due testimonii di Gellio (l. 3, c. 10, e l. 14, c. 7), ch’egli pur cita, in cui racconta che nella proscrizion di lui fatta la sua biblioteca fu rubata e dispersa, possono ancora intendersi, come confessa il Falstero medesimo , de’ libri da Varrone composti, che formar potevano quasi un’intera biblioteca. Quindi, benchè si possa probabilmente pensare che non mancasse al dotto Varrone questo ornamento (*), che era allora comune a tutti gli amanti della letteratura, non vi ha però argomento ad affermarlo sicuramente. X. Ma tutte queste biblioteche eran private; nè i cittadini potevano usarne, se non quanto (*) Una testimonianza assai più sicura ili quelle che adduconsi dal Falstero a provare che Vairone avea la sua propria biblioteca, trovasi in una lettera di Cicerone allo stesso Varrone: Si liortum in b’bliotheca habes, deerit nihil (Fornii. I 9, ep. i\). [p. 581 modifica]LIBRO TERZO 581 1’amicizia c la cortesia de’ posseditori il permetteva. Giulio Cesare fu il primo, il quale tra le molte cose che a gran vantaggio di Roma disegnava di fare, avea ancora in pensiero di aprire pubbliche copiosissime biblioteche di libri greci e latini: Bibliothecas graecas et latinas, dice Svetonio annoverando le cose ch’ei meditava (in Jul. c. 44)? <7uas maxi mas posset, publicare. E perchè questo grami’ uomo ben conosceva quanta erudizione alla scelta e all’ordinamento dei libri si richiedesse, avea egli a quest’uopo trascelto l’uomo per avventura il più dotto che allor fosse in Roma, cioè il famoso Var rone: Data, soggiugne Svetonio, M. Varroni cura comparandarum ac digerendarum. Ma questo ancora con tutti gli altri grandi disegni di Cesare fu dalla funesta sua morte troncato. XI. Ciò che non fu eseguito da Cesare, prima d’ogni altro fu condotto ad effetto da Asinio Pollione. Di lui abbiam già parlato assai lungamente , ove si è trattato del dicadimento della romana eloquenza, e addotte abbiam le ragioni che ci han mosso a pensare eh’egli ne fosse uno de’ principali autori. Egli è però vero che, se se ne tragga lo smoderato impegno di abbassare F altrui fama, Pollione fu uno de’ più colti uomini che a questo tempo vivessero. Egli per testimonio di Suida (Lex. ad voc. « Asinius Poli. »), oltre F avere scritti diciassette libri di Storia Romana , che citati vengono ancor da Svetonio (in JuL c. 30), fu anche il primo che la storia greca scrivesse in latino linguaggio. Fu egli ancora, come accennano Svetonio (in Aug. c. 43) e Orazio (l. a. [p. 582 modifica]PARTE TERZA od. i), orator eloquente. Scrisse tragedie greche e latine (Se tv. ad Virg. ecl. 8), e una singolarmente pare che preso avesse a comporne sulla guerra civile, da cui il dissuase Orazio (loc. cit.), benchè sia ad altri sembrato che di storia e non di tragedia egli parli a quel luogo. Era egli ancora amico e protettor de’ poeti , come da Virgilio raccogliesi (ecl. 3, v. 84, ec.), il quale secondo alcuni interpreti all’occasione di un figlio a lui nato scrisse la quarta delle sue egloghe. Alla gloria letteraria congiunse la militare , e celebre si rendette nella guerra della Dalmazia, da cui tornando ebbe l’onor del trionfo (Hor. l. c.). Ma ciò che forse gli acquistò maggior gloria, fu l’uso che delle spoglie in guerra raccolte egli fece; poichè impiegolle alla fabbrica di un magnifico atrio presso il tempio della Libertà, a cui una copiosa biblioteca aggiunse di libri greci e latini. Ch’egli fosse il primo ad aprire in Roma pubblica biblioteca , chiaramente lo afferma Plinio (l.. 35, c. 2): Pollionis hoc Romae invellutili, qui primus bibliothecam die andò, ingenia hominum rem publicam fecit E lo stesso avea egli già detto prima (l. 7, c. 30) colle parole da noi sopra allegate: In bibliotheca quae prima in orbe ab Asinio Pollione ex manubiis publicata Romae est Nel qual luogo però sembra strano che Plinio non abbia avute presenti al pensiero le biblioteche de’ Re di Egitto e di Pergamo tanto più antiche, e delle quali fa menzione egli stesso dopo il passo da noi in primo luogo allegato. Il P. Arduino ne esce in breve col dire (in not. ad hunc loc.) che [p. 583 modifica]LIBRO TERZO 583 private eran esse e non pubbliche. Ma a chi mai potrà egli persuaderlo? Tutti gli storici antichi che di queste biblioteche ragionano, e di quella d’Alessandria singolarmente , dicono che il desiderio di veder coltivati gli studi mosse que’ Principi a formarle, e il severo Seneca vi aggiugne ancora il desiderio di comparire possenti e magnifici (De Tranquill. Animi, c. 9). Ma qualunque si fosse di questi due motivi, che tal pensiero suggerisse a que’ Sovrani, non avrebbon essi ottenuto l’intento loro, se private e non pubbliche fossero state queste biblioteche. Ma non giova il trattenersi a provar lungamente una cosa che è per se stessa troppo chiara e palese. Potrebbe dirsi che ove si legge nel testo di Plinio in orbe dovesse leggersi in urbe; ma se così avesse egli scritto, non avrebbe soggiunto poco dopo la voce Romae, che significa lo stesso. Convien dunque confessare che Plinio a questo luogo ha errato, seppur non vogliasi dire che ciò, di che egli attribuisce il vanto ad Asinio Pollione, non sia già di aver egli prima di ogni altro aperta pubblica biblioteca; ma di averla prima di ogni altro formata delle spoglie raccolte in guerra; la quale spiegazione se possa avere alcun probabile fondamento, io lascerà che ognuno il giudichi per se stesso. XII. La protezione, di cui Augusto onorò sempre le belle arti, il condusse ad imitare V esempio di un cittadino privato. A un magnifico tempio che sul Colle Palatino ei fe’ innalzare ad Apolline, aggiunse una biblioteca di libri greci e latini. Addid.it porlicus, così XII. Augusto apre due tre. [p. 584 modifica]584 ÌARTE TEnZÀ * Svetonio (ìnAug.c. 29), cum bibliotheca latina graecaque, la quale dal tempio a cui era vicina, fu detta la biblioteca d’Apolline. Quindi in una iscrizione riferita dal Pitisco (in notis ad Svet. l. c.) e dal Muratori (Nov. Thes. inscript. t. 2, p. 932) si legge: Antiochus Ti Caesaris a Bibliotheca Latina Apollinis: Di questa biblioteca fa pur menzione Orazio: Scripta Palatinus quaecumque recepit Apollo L. 1. ep. 3. Ed altrove scrivendo ad Augusto: Si munus Apolline dignum Vis complere libris. L. 2, ep. 1. Nè di questo contento, un’altra biblioteca eresse nel portico detto di Ottavia. Questo, come narra Plutarco (in Vit. Marcelli), da Ottavia sorella d’Augusto era stato innalzato in onore e in memoria del suo caro Marcello rapitogli dalla morte in età immatura. Dione dice al contrario (l. /)q, p. 417) che da Augusto medesimo fu fabbricato, e da lui chiamato col nome di Ottavia. Ma la discordanza di questi due autori facilmente si spiega colle parole di Svetonio (loc.cit.): Quaedam etiam opera sub nomine alieno, nepotum scilicet et uxoris sororisque, fecit, ut.... porticus Liviae et Odavi ae. Qui ancora dunque aveva egli eretta una biblioteca, anzi più d’una secondo il parlar di Dione, forse perchè qui ancora vi avevano libri greci e latini: Porticus et bibliothecas a sororis nomine Octavianas dictas exstruxit. [p. 585 modifica]LIBRO TERZO 585 XHI. Della biblioteca da Pollione eretta nell’atrio della Libertà , e di quella di Augusto nell’atrio di Apolline fa menzione anche Ovidio, allor quando con leggiadrissima fantasia introduce a favellare il suo libro (l. 3 Trist. el. 1) che da lui mandato a Roma entra timoroso in città, e va intorno cercando chi per pietà lo raccolga, e così parla a coloro che in lui s’incontrano: Dici le , lectores , si non grave, qua sit eundum, Quasque petam sedes hospes in urbe liber. Quindi finge che uno mosso di compassione prenda a condurlo per le diverse vie di Roma, e fra le altre al tempio di Apolline e alla prossima biblioteca sul colle Palatino. Esso vi entra, ed esaminando que’ libri vi cerca i suoi fratelli, cioè gli altri libri da Ovidio composti, trattine quelli che il comune lor padre non vorrebbe aver mai pubblicati. Ma mentre ne cerca, il troppo severo bibliotecario gli viene innanzi, e gli comanda di uscirne tosto: Inde timore pari gradibus sublima celsis Ducor ad intonsi candida templa Dei; Signa peregrinis ubi sunt alterna columnis , Belides, et stricto barbarus ense pater; Quaeque viri docto veteres fecere novique Pectore, lecturis inspicienda patent. Qua’ rebam fratres, exceptis scilicet illis, Quos suus optaret non genuisse pater. Quaerentem frustra custos e sedibus illis Praepositus sancto jussit abire loco. Il libro infelice così bruscamente cacciato si volge all’altra biblioteca, la prima pubblica, dice, che fosse aperta in Roma nell’atrio della [p. 586 modifica]PARTE TERZA Libertà; ma questo luogo, aggiugne, alla Libertà consecrato non era luogo per me; nè!.la Dea permise pure ch’io mi ci accostassi. In tal maniera , egli dice , i figliuoli portan la pena della colpa del padre loro, E finalmente conchiude pregando che, poichè le pubbliche biblioteche per lui son chiuse, gli sia lecito almeno ricoverarsi nelle private: Altera templa peto vicino juncta theatro: Haec quoque erant pedibus non adeunda meis. Nec me, quae doctis patuerunt prima libellis , Atria, Libertas tangere passa sua est. In genus auctoris miseri fortuna redundat; Et patimur nati, quam tulit ipse , fugam. Interea quoniam statio mihi publica clausa est, Privato liceat delituisse loco. XIV. Queste private e pubbliche biblioteche che con lodevole emulazione formavansi da molti in Roma, diedero per avventura occasione al celebre architetto Vitruvio di farne menzione ne’ suoi libri d’architettura, e di prescrivere in qual modo e con quali avvertenze esse debbano fabbricarsi. Spero che farò cosa non ingrata a chi legge col recar qui le parole di questo autore, senza però impegnarmi a sostenere la verità della opinione: Bibliothecae, dice egli (l. 6, c. 7), in orientem spectare debent: usus enim matutinum postulat lumen. Item in bibliothecis (cioè quando volgono all’oriente) libri non putrescenti namque in his, quae ad meridiem et occidentein spectant, tineis et humore vitiantur, quod venti humidi advenientes procreant eas et alunt, infundentesque [p. 587 modifica]LIBRO TERZO 5»7 húmidos spiritus pallore volumina corrumpunt. Anzi Vitruvio parla in maniera che sembra che quasi comune fosse allora ai grandi il formare ne’ lor palagi, o accanto ad essi una copiosa biblioteca, perciocchè egli così aggiugne non molto dopo (ib. c. 8): Nobilibus, qui honores magistratusque gerendo praestare debent officia civibus, facienda, sunt vestibula regalia, alta atria, et peristylia amplissima, silvae ambulationesque laxiores ad decorem majestatis perfectae. Praeterea bibliothecas, pinacothecas, basilicas non dissimili modo quam publicorum operum magnificentia comparatas, quod in domibus eorum saepius et publica consilia et privata judicia arbitrio conficiuntur. XV. A raccogliere, ad ordinare e a custodire le pubbliche biblioteche scelse Augusto de’ più dotti uomini che fossero allora in Roma. Tre ne veggiam nominati presso Svetonio. Il primo è Pompeo Macro, a cui secondo il detto autore (in JuL c. 56) una breve lettera scrisse Augusto vietandogli il render pubblici alcuni libri da Giulio Cesare in età giovanile composti: In epistola, quam brevem admodum ac simplicem ad Pompejum Macrum, cui ordinandas bibliothecas delegaverat (Augustus), misit. Il secondo è Caio Giulio Igino liberto d’Augusto, uomo nelle antichità versatissimo, di cui pur dice Svetonio che fu prefetto della palatina biblioteca (De Ill Grammat, c. 20). E per ultimo Caio Melisso gramatico carissimo a Mecenate e ad Augusto, che gli diede la libertà e gli commise la cura di ordinare le biblioteche del portico di Ottavia: Quo (Augusto) [p. 588 modifica]588 PARTE TERZA delegante curam ordinandanim hibliothecammiri Octaviae porticu suscepit (ib. c. 21). Di un altro ancora noi veggiamo fatta menzione in una iscrizione riportata dal Muratori (Nov. Thesaur. Inscr. t, 2, p. 929). Questi è L. Vibius Aug. Servus Pamphilus scriba Lib. et a bibliotheca latina Apollinis; nella quale iscrizione , che quelle parole Augusti Servus appartengano veramente ad Ottaviano Augusto, chiaro è dalle altre parole della stessa iscrizione che è sepolcrale, e fatta dal mentovato Vibio alla sua moglie Vibiae Snccessae Livi ac Aug. Servae. Nell’iscrizione di un’altra liberta di Livia moglie d" Augusto, detta Bira Canaciana, si nominia T. Claudius Alcibiades Mag. a bibliotheca latina Apollinis, item Scriba ab Epistolis Latinis (ib. p. 923). Così pure in due altre iscrizioni dal medesimo riferite veggiam nominati C. Julius C. L. Phronimus a bibliliotheca graeca (ib. p. 927), e Axius a biblioth. graeca (ib. p. 919); benchè a qual tempo essi appartenessero, non si possa precisamente determinare. XVI. Da questi passi e da queste iscrizioni che qui abbiamo recato, raccogliesi chiaramente che i soprastanti alle biblioteche in Roma erano comunemente stranieri e schiavi, o liberti. Perciocchè, trattone Vai rone che certo era di ragguardevole nascita , e Pompeo Macro di cui non sappiamo la condizione, tutti gli altri son chiamati servi o liberti. Quindi quella gloriosa asserzion del Morofio (Polyhistor. t. 1 , l. 1, c. 6): Bibliothecariorum amplissima olim dignitas fuit, benchè io debba desiderare che sia vera, debbo [p. 589 modifica]confessar nondimeno che per riguardo a’ Romani non si può ammettere generalmente. Uomini dotti si certo eran quelli che alla custodia delle biblioteche si destinavano; ma erano per lo più grammatici, i quali, come già si è veduto, erano comunemente liberti o schiavi. E pare in fatti che i Romani si dilettassero bensì degli studi, quanto apparteneva a coltivar quelle scienze che più loro erano in grado; ma che tuttociò, in che alla erudizion congiugnevasi la fatica di istruire e di insegnare a’ fanciulli, di ordinar biblioteche, o altre cose somiglianti, fosse da essi stimata cosa men degna della gravità di un cittadino romano. Questa osservazione fu fatta ancora dall’erudito Pignoria: Apui’imperatores erant non pauci (servi), quibus hoc munus incumberet, cum haec ordinandarum et publicandarum bibliothecarum cura non omnino videretur imperii majestatem decere (De Servis, p. 109).