Decameron/Giornata sesta/Novella prima

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Giornata sesta - Introduzione Giornata sesta - Novella seconda
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[I]

Un cavalier dice a madonna Oretta di portarla con una novella a cavallo, e mal compostamente dicendola, è da lei pregato che a piè la ponga.


Giovani donne, come ne’ lucidi sereni sono le stelle ornamento del cielo e nella primavera i fiori de’ verdi prati, e de’ colli i rivestiti albuscelli, cosí de’ laudevoli costumi e de’ ragionamenti belli sono i leggiadri motti; li quali, per ciò che brievi sono, tanto stanno meglio alle donne che agli uomini, quanto piú alle donne che agli uomini il molto parlar si disdice. È il vero che, qual si sia la cagione, o la malvagitá del nostro ingegno o inimicizia singulare che a’ nostri secoli sia portata da’ cieli, oggi poche o non niuna donna rimasa c’è la qual ne sappia ne’ tempi opportuni dire alcuno o, se detto l’è, intenderlo come si conviene: general vergogna di tutte noi. Ma per ciò che giá sopra questa materia assai da Pampinea fu detto, piú oltre non intendo di dirne: ma per farvi avvedere quanto abbiano in sé di bellezza a’ tempi detti, un cortese impor di silenzio fatto da una gentil donna ad un cavaliere mi piace di raccontarvi.

Sí come molte di voi o possono per veduta sapere o possono avere udito, egli non è ancora guari che nella nostra cittá fu una gentile e costumata donna e ben parlante, il cui valore non meritò che il suo nome si taccia. Fu adunque chiamata madonna Oretta, e fu moglie di messer Geri Spina; la quale per ventura, essendo in contado, come noi siamo, e da un [p. 6 modifica]luogo ad uno altro andando per via di diporto insieme con donne e con cavalieri, li quali a casa sua il dí avuti aveva a desinare, ed essendo forse la via lunghetta di lá onde si partivano a colá dove tutti a piè d’andare intendevano, disse un de’ cavalieri della brigata: — Madonna Oretta, quando voi vogliate, io vi porterò gran parte della via che ad andare abbiamo, a cavallo con una delle belle novelle del mondo. — Al quale la donna rispose: — Messere, anzi ve ne priego io molto, e sarammi carissimo. — Messer lo cavaliere, al quale forse non istava meglio la spada allato che il novellar nella lingua, udito questo, cominciò una sua novella, la quale nel vero da sé era bellissima, ma egli or tre e quattro e sei volte replicando una medesima parola, ed ora indietro tornando, e talvolta dicendo: «Io non dissi bene», e spesso ne’ nomi errando, un per uno altro ponendone, fieramente la guastava: senza che, egli pessimamente, secondo le qualitá delle persone e gli atti che accadevano, proffereva. Di che a madonna Oretta, udendolo, spesse volte veniva un sudore ed uno sfinimento di cuore come se, inferma, fosse stata per terminare; la qual cosa poi che piú sofferir non potè, conoscendo che il cavaliere era entrato nel pecoreccio né era per riuscirne, piacevolemente disse: — Messer, questo vostro cavallo ha troppo duro trotto, per che io vi priego che vi piaccia di pormi a piè. — Il cavaliere, il quale per avventura era molto migliore intenditor che novellatore, inteso il motto, e quello in festa ed in gabbo preso, mise mano in altre novelle, e quella che cominciata aveva e mal seguita, senza finita lasciò stare.