Lana e acqua

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IV VI


Mentre così parlava acchiappò lo scialle e guardò per veder la persona alla quale apparteneva; l’istante dopo apparve la Regina Bianca che correva precipitosamente attraverso il bosco, con le mani aperte, come se volasse; e Alice le andò gentilmente incontro con lo scialle.

— Son molto lieta d’averlo potuto acchiappare! — disse Alice, mentre aiutava la Regina a rimetterselo.

La Regina Bianca la guardò come atterrita, continuando a ripetere a sè stessa con un bisbiglio qualche cosa che sonava come: "Pane e burro, pane e burro", e Alice capì che se voleva conversare, doveva pensarci lei. Così cominciò, con una certa solennità, con una frase che aveva sentito leggere dalla sorella:

— Si para qui innanzi la Regina Bianca?

— Se questo si chiama pararsi! — disse la Regina. — A me non pare!

— Alice pensò che non fosse conveniente intavolare una discussione appena all’inizio della conversazione; così sorrise e disse:

— Se Vostra Maestà vorrà insegnarmi il miglior modo di cominciare, lo farò come meglio potrò.

— È inutile! — gemè la povera Regina, è da due ore che lo sto facendo da me.

Sarebbe stato bene, come sembrava ad Alice, che la Regina che era in un acconciatura straordinariamente negletta, si fosse fatta vestire da qualche altra persona.

— "Tutto è stato messo storto!" — pensava Alice, e poi aggiunse ad alta voce:

— Posso accomodarvi lo scialle?

— Io non so che abbia, — disse la Regina, con tono melanconico. — È irritato, credo. L’ho appuntato di qui, l’ho appuntato di là, ma non c’è modo di compiacerlo.

— Ma non può star dritto, se lo appuntate tutto da un lato, — disse Alice bellamente accomodandoglielo; — e poveretta me, in che stato avete i capelli!

— Ci s’è impigliata la spazzola, — disse la Regina con un sospiro, — e ieri ho perduto il pettine.

Alice attentamente liberò la spazzola, e fece del suo meglio per riordinarle i capelli.

— Vedete come state meglio ora! — ella disse, dopo aver cambiato di posto a molte spille.—

Veramente vi converrebbe prendere una cameriera

— Certo che ti piglierei con piacere, — disse la Regina. — Quattro soldi la settimana e marmellata ogni domani.

Alice non si potè tenere dal ridere, mentre diceva:

— Io non voglio mettermi a servizio di nessuno, e non ho che farne della marmellata.

— È ottima, — disse la Regina.

— A ogni modo oggi non voglio nulla.

— E non potresti averla, anche se la volessi, — disse la Regina: — non sai? il patto è marmellata domani e marmellata ieri, ma non mai oggi.

— Qualche volta deve pur venire il giorno della marmellata

— No, non può, — disse, la Regina. — È marmellata ogni domani: oggi non è domani, sai.

— Non vi capisco, sapete, — disse Alice, — è una terribile confusione.

— Ecco che succede col vivere all’indietro, — disse gentilmente la Regina: — in principio uno si sente un po’ di vertigine.

— Vivere all’indietro! — ripete Alice nel massimo stupore, — non ho mai sentito una cosa simile!

— ...ma v’è un gran vantaggio: che la memoria lavora in tutti e due i sensi.

— Io son certa che la mia lavora in un senso solo, — osservò Alice. — Non può ricordare le cose prima che accadano.

— Che miserabile razza di memoria quella che lavora solo all’indietro! — osservò la Regina. — Oh, le cose che accaddero la settimana dopo la prossima! — riprese la Regina con tono indifferente. — Per esempio, ora, — essa continuò, incollandosi un gran quadrato di taffetà sul dito mentre parlava, — ecco l’Alfiere del Re. Essendo stato punito, ora è in prigione; e il processo non comincerà che mercoledì prossimo; naturalmente, il delitto è l’ultimo ad accadere.

— E se, non lo commette? — disse Alice.

— Tanto meglio, non è vero? — disse la Regina, legandosi il taffetà intorno al dito con un pezzo di nastro.

Alice naturalmente non poteva dir di no.

— Sì, che sarebbe meglio; ma non sarebbe meglio non essere punito?

— Hai torto, però, — disse la Regina. — Tu non sei stata mai punita?

— Soltanto per delle mancanze.

— E te ne trovasti molto meglio, dopo! disse la Regina con accento di trionfo.

— Sì, ma io avevo commesso le mancanze, per le quali ero punita, — disse Alice, — questa è la differenza.

— Ma se tu non le avessi commesse, — disse la Regina, — sarebbe stato molto meglio ancora; meglio e meglio e meglio.

La voce diveniva più acuta ad ogni "meglio", finchè non fu che un grido gutturale.

Alice stava appunto per dire: "C’è un errore in qualche punto..." quando la Regina cominciò a strillare con tanta forza ch’essa non potè finire la frase.

— Oh, oh, oh! — strillava la Regina, scotendo la mano come se volesse gettarla lontano, — il mio dito sanguina! Oh, oh, oh!

Le sue strida erano così simili ai fischi d’una macchina a vapore, che Alice dovè mettersi le mani alle orecchie.

— Che cosa avete? — disse, non appena ebbe la speranza di farsi sentire, — vi siete punto il dito?

— Non me lo son punto ancora, — disse la Regina, — ma presto me lo pungerò... Oh, oh, oh!

— Quando credete che ve lo pungerete? chiese Alice con una voglia matta di ridere.

— Quando mi rimetterò lo scialle un’altra volta, — gemeva la povera Regina. — Il fermaglio s’aprirà subito. Oh, oh!

— Mentre diceva così, il fermaglio s’aperse, la Regina vi portò a precipizio le dita, tentando di richiuderlo.

— Badate! — gridava Alice, — lo tenete storto.

Ed essa prese il fermaglio; ma era troppo tardi: la spilla aveva ferito il dito della Regina.

— Ed ecco perchè il dito mi sanguinava, — ella disse ad Alice. — Ora comprendi come vanno le cose qui.

— Ma perchè non strillate ora? — chiese Alice, levando le mani per tapparsi di nuovo le orecchie.

— Perchè ho già strillato quanto dovevo strillare, — disse la Regina. — A che servirebbe mettersi a strillare un’altra volta?

Frattanto schiariva:

— Il corvo dev’essersene andato, credo, disse Alice. — Son così contenta che se ne sia andato. Credevo che fosse già notte.

— Anch’io vorrei poter essere contenta! disse la Regina. — Soltanto non ricordo la regola. Tu devi essere felicissima, vivendo in questo bosco ed essendo contenta tutte le volte che ti piace.

— Soltanto qui son così sola, — disse Alice con voce melanconica: e al pensiero della sua solitudine, due grosse lagrime le corsero per le guance.

— Oh, non piangere così! — gridò la povera Regina, torcendosi le mani disperata. — Considera che sei già grande. Considera quanta strada hai fatta oggi. Considera che ora è. Considera qualunque cosa. Ma non piangere.

Alice non potè non sorridere, anche attraverso le lagrime.

— E voi potete fare a meno dal piangere, col considerare tutte queste cose? — essa chiese.

— Ecco come si fa, — disse la Regina con gran decisione, — come sai, nessuno può fare due cose in un volta. Per cominciare, consideriamo prima la tua età... quanti anni hai?

— Sette e mezzo in punto.

— Non è necessario dire "in punto", — osservò la Regina. — Posso crederlo senza di questo. Ora darò io a te qualche cosa da credere. Io ne ho esattamente cento e uno, cinque mesi e un giorno.

— Questo non lo posso credere, — disse Alice.

— No? — disse la Regina in tono di compatimento. — Provatici. Fa un respiro lungo, e poi chiudi gli occhi.

Alice si mise a ridere.

— È inutile che mi ci provi, — ella disse, — non si può credere alle cose impossibili.

— Forse non hai la pratica necessaria, — disse la Regina. — Quando io avevo la tua età, m’esercitavo per mezz’ora al giorno. Ebbene, a volte credevo nientemeno che a sei cose impossibili prima della colazione... Ecco che se ne va di nuovo lo scialle.

Il fermaglio s’era aperto mentre essa parlava, e un’improvvisa raffica di vento fece volar lo scialle della Regina attraverso un ruscello. La Regina spalancò di nuovo le braccia, e si mise a corrergli dietro, e questa volta riuscì ad acchiapparlo da sè.

— L’ho preso, l’ho preso! — gridò con tono di trionfo come la vispa Teresa con la farfalla. — Vedrai che ora me l’appunterò da me.

— Allora, il vostro dito sta meglio? — disse Alice con molta cortesia, mentre traversava il ruscelletto dietro la Regina.



— Oh benissimo! — gridò la Regina, con una voce che si faceva sempre più acuta. — Benissimo. Be-e-enissirmo. Be-e-ehh!

L’ultima parola finì in un lungo belato, così simile a quello d’una pecora che Alice diede un balzo.

Guardò la Regina, che pareva si fosse completamente coperta di lana. Si sfregò gli occhi e guardò di nuovo. Non poteva comprendere ciò che fosse accaduto. Si trovava essa in una bottega? E quella che sedeva all’altro lato del banco era veramente una Pecora? Per quanto si sfregasse gli occhi, era proprio così: si trovava in una piccola oscura botteguccia, appoggiata coi gomiti al banco, di fronte a una vecchia Pecora, che sedeva in una poltroncina facendo la calza e che, di tanto in tanto, levava gli occhi dal lavoro per guardarla a traverso un paio di grosse lenti.

— Che vuoi comprare? — disse finalmente la Pecora, lasciando per un momento la calza.

— Ancora non lo so, — disse Alice con dolcezza. — Vorrei, se fosse possibile, dare prima un’occhiata intorno intorno.

Tu puoi guardar di fronte e ai due lati, se vuoi, — disse la Pecora, — ma non intorno intorno a meno che tu non possegga degli occhi sulla nuca.

Ma Alice non li aveva, e così si limitò a volgersi in giro e guardar gli scaffali, avvicinandosi di volta in volta.

La bottega sembrava zeppa di ogni sorta di strani oggetti... ma il più strano di tutto si era che tutte le volte che Alice si metteva a guardar fisso uno scaffale, per veder bene ciò che conteneva, quello diventava improvvisamente vuoto, sebbene gli altri d’intorno fossero perfettamente colmi

— Qui gli oggetti se ne volano via! — ella disse finalmente, in un tono di lamento, dopo aver passato un minuto o quasi a inseguir vanamente un grande oggetto lucente, che le sembrava a volte una bambola e a volte una scatola da lavoro, ed era sempre nello scaffale al di sopra di quello in cui guardava. — E questo e il più irritante di tutti... ma io vi dirò, — essa aggiunse, come un subitaneo pensiero le sorse, — che lo seguirò fino all’ultimo scaffale in cima. Non vorrà andarsene pel soffitto, spero.

Ma anche questo mezzo non le riuscì: l’oggetto traversò tranquillamente il soffitto, come se ci fosse lungamente avvezzo.

— Sei una bambina o una trottola? — disse la Pecora, mentre prendeva un altro paio di ferri da calza. — Mi farai venire la vertigine, se continui ad aggirarti a quel modo.

Essa ora lavorava con quattordici paia di ferri contemporaneamente, e Alice non poteva non guardarla con grande meraviglia.

— Come può fare con tanti ferri? — pensava la bambina imbarazzata. — E più sta, e più mi sembra che diventi un porcospino.

— Sai remare? — chiese la Pecora, dandole un paio di ferri, mentre parlava.

— Sì, un poco... ma non per terra... e non coi ferri da calza... — cominciò a dire Alice, quando improvvisamente i ferri che aveva in mano diventarono remi, e si trovò con la Pecora in una barchetta che scivolava fra due sponde. Non potè far altro che remare.

— Remigante! — gridò la Pecora, prendendo un altro paio di ferri.

Non sembrando che questa osservazione avesse bisogno d’una risposta, Alice non disse nulla, ma tirò innanzi. V’era qualche cosa di strano nell’acqua, ella pensava, perchè di tanto in tanto i remi affondavano, ed eran tratti fuori con gran difficoltà. — Remigante, Remigante, — gridò di nuovo la Pecora, prendendo altri ferri. — Tosto piglierai un granchio.

— Un bel granchiolino, — pensava Alice, mi piacerebbe.

— Non hai sentito che dicevo Remigante? gridò irata la Pecora, prendendo addirittura un fascio di ferri.

— Sì, che l’ho sentito, disse Alice, — l’avete detto tanto spesso... e ad alta voce. Per favore dove sono i granchi?

— Nell’acqua naturalmente, — disse la Pecora, ficcandosi alcuni ferri nei capelli, chè n’aveva piene le mani. — Remigante, dico!

— Perchè dire "Remigante" tante volte? — chiese finalmente Alice, piuttosto seccata. — Io non sono un uccello.

— Si che lo sei, — disse la Pecora, — sei una piccola oca.

A questo Alice s’offese un po’. Così per un minuto o due non vi fu conversazione. La barca scivolava silenziosa sull’acqua; a volte fra letti d’alghe (nelle quali s’impigliavano più che mai i remi), e a volte sotto gli alberi, ma sempre con le stesse alte. sponde. accigliate da un lato e dall’altro

— Oh, per favore! vi sono dei giunchi profumati, — gridò Alice in un improvviso accesso di gioia. Ve ne sono tanti e come son belli!

— È inutile dirmi "per favore", a proposito dei giunchi, — disse la Pecora senza levar la testa dalla calza. — Non ce li ho messi io, e non son io che li toglierò.

— No, ma io volevo dire... per favore, possiamo fermarci a coglierne un po’? — si scusò Alice. — Se non vi dispiace di fermare per un minuto la barca.

— Come debbo fermarla? — disse la Pecora. — Se cessi di remare, si fermerà da sè.

Così la barca fu lasciata in balia della corrente, finchè scivolò pianamente fra i giunchi oscillanti. E le piccole maniche furono attentamente rimboccate, e le piccole braccia affondate fino al gomito, per afferrare i giunchi più in basso che potevano prima di romperli... e per un poco Alice dimenticò ogni cosa della pecora e delle calze, incurvandosi sul fianco della barca, con l’estremità della chioma scarmigliata nell’acqua, mentre con lucenti e avidi occhi acchiappava un ciuffo dietro l’altro dei cari giunchi odorosi.

— Spero soltanto che la barca non si rovesci, — essa si disse. — Oh, che bel ciuffo!... Solo che non ci arrivo!

Ed era una cosa veramente irritante ("come se fosse fatto apposta" ella pensava) che, sebbene ella cercasse di cogliere molti bei giunchi che la barca rasentava, v’era sempre un ciuffo più grazioso che non si raggiungeva.

— I più belli sono sempre più oltre! — esclamò finalmente, con un sospiro, all’ostinazione dei giunchi nel crescer così lontano, mentre con le guance accese e i capelli e le mani gocciolanti, si arrampicava di nuovo al suo posto e cominciava a mettere in ordine quei suoi nuovi tesori.

Che importava ora a lei che i giunchi avessero cominciato a scolorarsi e a perdere tutto il loro profumo e la loro bellezza del primo istante della raccolta? Anche i giunchi veri durano pochissimo... e quelli, essendo giunchi immaginari si liquefecero quasi come la neve, ammucchiati com’erano ai suoi piedi. Ma Alice ci badò appena, perchè v’erano tante altre cose strane alle quali pensare.

Esse non erano andate molto più innanzi quando la pala di uno dei remi s’impegolò nell’acqua e non volle uscirne più (così Alice raccontò; dopo), ed avvenne che il manico la colpì sotto il mento, e, nonostante una serie di piccoli strilli "Oh, oh, oh!" da parte della povera Alice, la divelse dal suo posto e la fece stramazzare sul mucchio dei giunchi.

— Ma essa non s’era fatto male, e si levò subito in piedi: la Pecora continuava a far la calza, come se nulla fosse accaduto.

— È un piccolo granchio che tu hai preso, ella osservò, mentre Alice ritornava al suo posto, molto confortata di trovarsi ancora in barca.

— Sì? Non l’ho visto, — disse Alice, affacciandosi cautamente sul fianco della barca, e guardando nell’acqua scura. — Non l’avrei lasciato andare... Mi piacerebbe tanto di portarmi un granchiolino a casa.

Ma la Pecora sorrise ironicamente, e continuò a far la calza.

— Vi sono molti granchi qui? — disse Alice.

— Granchi, e tutto quello che vuoi, — disse la Pecora, a tua scelta. Soltanto deciditi. Che cosa vuoi comprare?’

Comprare? — echeggiò Alice, in un tono che era mezzo di stupore e mezzo di paura, perchè i remi, e la barca e il fiume erano in un istante svaniti, ed essa si ritrovava nella piccola oscura botteguccia.

— Vorrei comprare un uovo, — essa disse timidamente. — A quanto li vendi?

— Cinquantun centesimi per uno, venti centesimi per due, — rispose la Pecora.

— Allora due costano meno di uno! — disse Alice sorpresa, cavando il borsellino.

— Ma se ne compri due, devi mangiarli tutti e due, — disse la Pecora.

— Allora ne piglio uno, — disse Alice mettendo i soldi sul banco, perchè essa diceva fra sè: "non saranno molto freschi."

La Pecora prese i soldi, e li mise in una cassetta; poi disse:

— Io non metto gli oggetti nelle mani degli avventori... Non starebbe bene... te lo prenderai da te.

E così dicendo, si diresse in fondo della bottega, e su uno scaffale mise l’uovo dritto.

"Chi sa perchè non starebbe bene? — pensava Alice, andando a tentoni fra i tavolini e le sedie, perchè la bottega in fondo era oscurissima.

Più cammino, e più sembra che l’uovo s’allontani. È una sedia questa, sì o no? To’, ha messo i rami. Strano che qui crescano gli alberi. To’, ecco un ruscello. Ma questa è la bottega più strana che io m’abbia visto."

Ella continuò ad andare innanzi, sempre più sbalordita a ogni passo, mentre ogni cosa diventava un albero nell’istante che l’avvicinava, ed essa s’aspettava che l’uovo dovesse far precisamente lo stesso.