Il dottor Antonio/XIV: differenze tra le versioni
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Ma Lucy insistendo, e sir John esprimendo lo stesso desiderio, Antonio cedette. (Il Lettore, se in un’opera di fantasia non ama veder mista la storia, non ha che a saltare il resto di questo capitolo.)
— «Le libertà siciliane(<ref name="ftn1">
«Sotto la direzione dell’illuminato Tanucci (Ferdinando aveva ott’anni di età quando salì al trono) i primi anni di quel regno diedero generale soddisfazione ai sudditi, almeno nella Sicilia: e ciò spiega come la tempesta del 1789 passò sopra l’isola senza turbarne la tranquillità. Felice e sicura, con una Costituzione che le dava di far pacificamente le riforme necessarie, perchè avrebbe dovuto prender parte a una lotta, dalla quale non avrebbe mai acquistato niente di meglio di quello che possedeva? Intanto i troni della terra ferma d’Europa erano scossi fin dalle fondamenta; e nessuno più di quel di Napoli. Si potrà ora mai credere che venne scelto quel momento per menare un colpo alle nostre antiche libertà, e così alienare dal re i fedeli Siciliani? Il Governo napolitano, unito alla coalizione contro la Francia, inteso a radunar danaro, il nerbo grandissimo d’ogni guerra, fece allora ricorso al nostro Parlamento per un sussidio mensile di ventimila once (diecimila lire sterline), per il tempo che sarebbe stato necessario. Il Parlamento siciliano componevasi di tre parti, detti ''bracci'', cioè braccia e rami dello Stato: due la nobiltà e il clero, e il terzo i vassalli della Corona; e per la validità delle risoluzioni era necessaria la maggioranza assoluta. Il Clero e la Nobiltà non si opposero al sussidio, ma sì a che rimanesse indeterminato il periodo della sua durata. I dipendenti dalla Corona votarono soli senza restrizione la tassa: e re Ferdinando, con audace abuso di potere, ordinò allora che il voto de’ suoi vassalli valesse come il voto di tutto il Parlamento.
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«I primi atti del giovane Ferdinando (aveva appena vent’anni) furono di buon augurio. La maggior parte dei ministri, creature e favoriti del Re morto, vennero a grado a grado licenziati, e Viglia mandato via. Si stabilirono giorni di udienza pubblica, e Ferdinando pubblicò un Manifesto, per cui dichiarava essere sua intenzione di rimettere in ordine le finanze dilapidate del Regno. Questi atti molto gradì il popolo. Nè la Sicilia rimase priva della sua parte di promesse. Intenzione era del Re, come distintamente si esprimeva il Manifesto, «di procurar sanare le piaghe, fatte alla Sicilia dal padre e dall’avolo suo.» La dimissione del marchese della Favara, luogotenente-generale dell’Isola, uomo universalmente odiato, e la nomina in sua vece del conte di Siracusa, fratello di Sua Maestà, lasciò credere ai buoni isolani che il nuovo Sovrano dicesse davvero. Per mala sorte il seguito non corrispose al principio: quello che era sembrato schietto amor di giustizia, non era in realtà se non astuzia di Re; chè tuttavia durava in Europa l’effetto della rivoluzione di luglio in Francia; ed era il Re abbastanza savio, per vedere come convenisse calmare e conciliare il popolo ancora scontento per l’ignobile mal governo di Francesco.
«Diminuendo bensì il pericolo, riprese tosto il Re la sua naturale disposizione. Il primo sintomo della reazione nella mente di Ferdinando fu la nomina a ministro di polizia di Del Carretto, lo sterminatore di Bosco. Egli e monsignor Cocle confessore del Re, acquistarono presto un completo predominio sul giovane monarca, e il gesuitismo e la polizia diventarono tosto le due pietre angolari dello Stato(<ref name="ftn2">
«Nella estate del 1836 apparì in Napoli il cholera. I regolamenti di quarantena fra Napoli e Sicilia erano stati sin allora estremamente severi e vessatorii. Ma ora che il flagello terribile era proprio in Napoli, il cordone sanitario veniva trascurato e negletto; mentre era stato mantenuto con tanto rigore essendo il male lontanissimo, in Russia. Questo fece nascere l’opinione universalissima che fossero il Re e i Ministri d’accordo per lasciar invadere dal cholera la Sicilia. Pur troppo il contagio giunse presto in Palermo; e credo nessuna città ne fosse più crudelmente desolata. D’una popolazione di 170.000 abitanti, in un mese 21.000 perirono. Il terrore generale si tramutò rapidamente in generale delirio. Si sparse largamente l’idea che il Governo avvelenasse il popolo all’ingrosso. Anche un leggier sospetto di tal sorta appena nato, diviene presto matura certezza.
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— «Morto, signorina, morto poche ore dopo. Seppi la sua morte prima di far vela. Non avendo osato di portarlo in carcere, avevano lasciato una guardia ad invigilarne l’agonia.»
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