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Capitolo XIX

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Giovanni Ruffini - Il dottor Antonio (1855)
Traduzione dall'inglese di Bartolomeo Aquarone (1856)
Capitolo XIX
XVIII XX
CAPITOLO XIX.
Buona notte all’Idillio.


Era uno di que’ giorni soffocanti del mese di agosto, pericolosi per i nervi delle persone sensitive; quando, per dir così, la natura esausta anch’essa pare voglia darsi ad un perfetto riposo. Dardeggiati a traverso di un sottil velo di bianche nubi, quasi come a traverso di una lente ustoria, i raggi del sole versavano sopra la terra una massa di caldo soffocante e malefico. Non una foglia movevasi, non un augello cantava; fin le cicale avevano sospeso la loro stridula cantilena. L’unico suono che talvolta interrompeva quel malaugurato silenzio, era il lamentevole grido del cuccù richiamante la sua compagna.

Lucy s’era provata a disegnare, a coltivare i fiori, a lavorare, a dormire, e tutto inutilmente; e ora si giaceva anelante sopra un sofà. — «Oh eccovi, alla fine;» esclama, mentre entrava il dottor Antonio: «vi ho aspettato per due ore. Mi sento molto male.»

— «Davvero!» esclama Antonio facendosi bianco, «che vi succede? Ho incontrato, non è anche un’ora, sir John che se ne andava dal Conte, nè mi ha detto nulla del vostro male.»

— «Non ne ho parlato a papà, rispose Lucy, «è già abbastanza inquieto per non aver notizie di Aubrey.»

— «Volete dire di vostro fratello?»

— «Sì: Aubrey doveva scrivere per la posta delle indie, che sappiamo esser giunta senza alcuna lettera di lui.»

— «Mi spiace infinitamente,» dice Antonio. «Ditemi tutto ora sul conto vostro. Non avete ricominciato a tossire, n’è vero?

— «No; ma mi sento proprio male — debole — oppressa — soffocata dal caldo.»

— «Non è maraviglia. In questa stagione ognuno soffre più o meno. Lasciate sentire il polso — non c’è febbre. Questo maledetto sirocco vi agita i nervi. Ora giacetevi cheta cheta,» e le accomodò i cuscini sotto il capo; e procurerò farvi star meglio. Miss Hutchins,» chiamò avviandosi fuori, «volete far un bicchiere di forte limonata per miss Davenne? — il succo di due limoni in mezzo bicchier d’acqua — acqua tiepida, se vi piace.»

— «Sì, signore,» rispose la cameriera colla voce più melliflua di cui potesse disporre. Miss Hutchins era affatto guadagnata, una difficile conquista da Antonio alla fine condotta a termine. Una volta sì dura, quella governante cercava ora di non essere trascurata, e andava altera di eseguirne gli ordini.

Un momento dopo, Antonio tornò seguito da Speranza; e ambedue per la quantità di frasche verdi che portavano, pareva fossero coperti di verzura come uno spazzacamino il primo di maggio a Londra, o come una vetta della foresta di Birman. Sparsele sul pavimento, Rosa recò un inaffiatojo e il Dottore le inaffiò più volte, dicendo: — «Così ci rinfrescheremo, purchè non si lasci entrar aria dalla fornace di fuori.» Chiusa l’invetriata, e abbassata sovra essa la tendina da non ammettere che pochissima luce:

— «Vi piace la vostra limonata?» domanda a Lucy che posava il bicchiere.

— «Moltissimo, è tanto rinfrescante!»

— «Vi sentite disposta a dormire?»

— «No,» disse Lucy. «Volete andarvene?»

— «No, a meno non abbiate voglia di riposare, che non pare. Benissimo. Volete vi legga qualcosa?» continuò andando ad una scansìa di libri presso il piano, e tornandone con uno in mano. «Volete vi legga qualcosa del vostro prediletto poeta, del Giusti?»

— «Quale uomo compito siete mai,» disse Lucy invece di rispondere alla domanda; «mi sento di già meglio. Che sarà di me quando voi non ci sarete più...» — il resto si perdette in uno scoppio di pianto.

Antonio restò immobile col libro in mano e con grosse lagrime negli occhi, e lì lì per piangere anch’egli. Per buona sorte si sentì in quel momento un violento ingombro alla gola, e fece grandi sforzi per isbarazzarsene. Avendo ricuperata la sua voce naturale, le disse allora: — «Vedete quanto siete nervosa — piangete senza causa, quasi aveste a partir domani. Non sapete il proverbio italiano: — Prendi tempo e camperai?» E il tono con cui parlava era quasi di una madre che riprende un suo fanciullino. Successe allora una pausa, durante la quale a grado a grado Lucy si riebbe dalla sua emozione.

— «Dottore,» diss’ella a un tratto, «credete voi ai presentimenti?»

— «Nemmeno per ombra,» risponde vivace Antonio. «io credo al sirocco.»

— «Ma voi avete torto,» dice Lucy con gravità. «Non mi parlaste una volta di piante sensitive che predicono il temporale? Bene, io sono una di queste piante. Son sicura che sta per accadermi qualche disgrazia. La sento in aria.»

— «Voi sentite questo traditore di vento caldo, ecco tutto. Un po’ di pioggia manderà in fuga il vostro abbattimento, e con esso i presentimenti.»

Lucy scosse in atto d’incredulità la testa, e poi disse:

— «Volete leggermi qualcosa? Quel che vi pare.»

— «Vediamo un poco. Il Brindisi di Girella; è tanto curioso che vi farà ridere.» E per approfittare della poca luce, portata una sedia vicino all’invetriata, incominciò a leggere.

Abbiamo le nostre ragioni per minutamente particolarizzare gli incidenti di questa scena domestica, e la posizione reciproca del lettore e della ascoltatrice. Un poco a dritta dell’invetriata, a cinque o sei passi da essa, e come di fianco, stava il sofà su cui giacevasi Lucy colla faccia rivolta verso la luce. Era vestita di un abito di mussola bianca, con nastro azzurro alla vita; il suo cappello di paglia dalle ampie falde stava appeso per le sue fettucce turchine a un canto della spalliera del sofà, proprio sopra il capo di lei. La Hutchins, colle braccia incrociate sul petto, sedeva innanzi al largo tavolino nel centro della sala, terribilmente occupata a reprimere una serie di ostinati sbadigli, che non volevano lasciarsi reprimere. In faccia a Lucy, cioè a sinistra della invetriata, ma tanto vicino che la tenda verde toccava il libro, stava seduto il dottor Antonio.

La lettura era andata avanti bene per qualche tempo; e più d’una volta l’intensa vis comica dell’inimitabile poeta sul pallido viso di Lucy avea fatto spuntare un lieve sorriso. Tuttavia, a poco a poco, cominciò a comprendere ognor meno il significato dell’autore: e la voce riccamente melodiosa del lettore, lusingandola come il mormorio di un ruscello, cullava, per così dire, la soave fanciulla sino a quel punto che non è ancor sonno e neppur più veglia, ma un composto voluttuoso di entrambi. All’improvviso, un passo sonante si sente salir per le scale. Lucy balzata in piedi: — «Chi può esser mai?» balbetta tremante. Nello stesso istante viene spalancata con uno scricchiolìo l’invetriata; e — «Viva Lucy, mia cara,» risuona una voce tonante, mentre quella figura si china a baciar la prostrata fanciulla. — «Ah! Eccovi qui alla fine! Ehi! ehi! che roba è questa? Per Giove! Con queste verdi frasche e questi inaffiatoi m’avete l’aria pastorale quanto le mandriane di un ballo. Une chaumière et ton cÅ“ur! Ah! ah! non manca nulla all’idillio, come dicevano in Eton. Maledetto, nemmeno il pastorello!»

— «Aubrey,» gridò Lucy in ton di rimprovero, senza dir altro. Quella maledizione e quel motteggio, non occorre dirlo, erano diretti al nostro amico, il Dottore. Antonio, urtato dalla porta spalancata con violenza dal nuovo venuto, era lì lì per cadere; e nello stesso sforzo per rimettersi in equilibrio, la sedia gli si era rovesciata. Il nuovo venuto, voltatosi a quel rumore, e vedendo Antonio, avea detto il motto scempio e avventato intorno al pastorello.

Lo sguardo de’ due uomini s’incontrò in atto non amichevole. Il torvo cipiglio, le labbra arricciate, e il portamento alquanto aggressivo di Aubrey, mostravano poco buon volere verso l’oggetto della sua investigazione. Le labbra serrate di Antonio, la cinerea tinta e il guardo raccolto come in atto di difesa, facean vedere chiaramente ch’ei presentiva l’approssimarsi di un nemico. Così stettero l’uno a fronte dell’altro: tipi di due belle razze, e tali che rare volte Roma e la Grecia ne avean visti di simili. L’uno bello, roseo, cogli occhi azzurri (proprio gli stessi occhi di Lucy). L’altro scuro come la tempesta. L’Inglese più alto di tutta la testa del suo alto antagonista, dal petto quadro, dalle spalle larghe proporzionate, il vero non plus ultra di forza e muscolatura bene sviluppata. L’Italiano meno taurino, ma ben piantato, pieghevole, elastico come una tigre, con nervi e muscoli di ferro, pronti ministri dell’indomita volontà trasparente nel cupo fuoco degli occhi. Voglia il cielo che mai non s’incontrino in un’ora di furia, perchè il loro incontro sarà simile a quello di due nubi cariche di elettricità.

Questo squadrarsi scambievole non durò dieci secondi, ma bastò a sviluppare in essi un sentimento di antipatia. Lo indovinò Lucy colla femminil penetrazione, e il suo crescente terrore le sciolse la lingua. — «Mio fratello, il capitano Davenne — e il dottor Antonio, il mio medico, il miglior amico di papà.» Queste parole ruppero l’incanto. Il capitano Davenne fece un lieve inchino, lo stesso fece il dottor Antonio. E nel prender commiato, e raccomandando a Lucy di starsi in quiete, e di andar presto a letto la sera se non si fosse sentita meglio, il Dottore se ne ritornò.

Aubrey si diè tosto a girare intorno, mettendo in moto a furia di calci le sedie e le poltrone che erano nella sala — e ogni colpo facea fare un nuovo balzo a Lucy. Avendole disposte un po’ simmetricamente a lato del sofà, si stese colle sue membra pesanti sopra questo letto improvvisato; mentre pure parlava sempre a voce alta. Egli narrava, fra un calcio e l’altro, a Lucy la sequela di felici circostanze, per le quali le era stato procurato questo improvviso bene della compagnia fraterna. E le quali in breve erano: che essendosi ristabilito più presto di quello che si credesse il camerata Uffiziale invalido, il cui ufficio era ricaduto sopra Aubrey, il capitano Davenne aveva per conseguenza potuto far vela colla stessa corsa postale delle Indie, il cui arrivo senza sue lettere aveva cagionato la mattina l’inquietezza di sir John. Che serviva scrivere, dovendo arrivare in Inghilterra nel tempo stesso che la lettera? In Londra avendo incontrato Tom Carnifex — figlio primogenito di Lord Carnifex — che avea in quel punto ricevuto da suo padre l’ordine di raggiungerlo in Firenze più presto potesse, Tom aveva offerto ad Aubrey un posto nella sua britschka; e Aubrey aveva accettato; ed ora era qui. Del forestiero trovato in compagnia della sorella, della impressione piacevole o spiacevole avuta da quella vista, nemmeno una parola.

Grande fu la sorpresa, la felicità e il contento di sir John quando, entrato poco dopo nella stanza, vide il suo tesoro per tanto tempo perduto, Aubrey, assiso a lato della sorella. Sir John se il sentimento del proprio decoro lo avesse permesso, avrebbe fatto pazzie. Con quanta affettuosa fierezza ei guardava il ragazzo, come soleva chiamarlo! che l’erculea statura di Aubrey, e le sue belle fattezze, avrebbero pure eccitato l’ammirazione anche di un giudice più imparziale di suo padre. Le sollecite inchieste del Baronetto provocarono una seconda edizione del racconto di Aubrey poc’anzi riferito; e allora fra padre e figlio cominciò un vivo fuoco di domande e risposte, simili a martelli battenti rapidamente sopra l’incudine. Nè era maraviglia che avessero tanto da dirsi l’uno all’altro, dopo dieci anni di separazione. Seguitarono a discorrere senza interruzione, finchè John Ducket venne ad apparecchiar la tavola pel pranzo. Il capitano Davenne fece a John i suoi complimenti per la bella apparenza di lui, onore che nel grave aspetto di John diffuse un sorriso di intenso compiacimento. Allora i due gentiluomini si ritirarono nella camera di sir John; d’onde furon poco dopo richiamati per il pranzo che era in tavola. Aubrey mangiò e bevve per due; e mentre mangiava e beveva, i suoi elogi delle vivande, del vino e del luogo si facevano ognor più rumorosi, resi anche più efficaci da solenni giuramenti e da tremendi scoppii di risa, per cui tremavano piatti, bicchieri, caraffe, e fin la vetrina.

— «Ditemi un po’, mio caro ragazzo,» domandò il Baronetto, «in quale locanda vi ha lasciato Carnifex?»

— «In nessuna,» rispose. «Lasciai la mia valigia in una specie di osteria ove mutò i cavalli; e voi, John, bisognerà che l’andiate a prendere dopo il pranzo.»

— «Temo,» disse sir John, «che qui non sia posto per voi. Questa osteria è un vero guscio di noce, non c’è un buco d’avanzo, che io sappia.»

— «Non importa,» replica Aubrey, «à la guerre comme à la guerre. Posso dormire sul sofà, per terra, dovunque. Son qui, e intendo restar qui; chè suppongo non mi vorrete cacciar via per forza.»

Questo era l’ultimatum di Aubrey, e vedevasi bene che nessuna ragione non lo poteva smuovere. Venuti ad un corto consulto, sir John e John Ducket conclusero che John procurerebbe di trovarsi alloggio dove potesse; e la sua camera si sarebbe accomodata pel padroncino. John, per render servizio ad Aubrey, avrebbe volentieri dormito a ciel sereno.

Terminato il pranzo, il capitan Davenne, a gran maraviglia e costernazione di sir John, accese un enorme sigaro. — «Sigari di prima qualità,» disse mandando fuori una boccata di fumo. «Spero che non vi dia fastidio l’odore, Lucy: so che a mio padre non dispiace.» Lucy protestò che non ci aveva contrarietà — e che anzi le piaceva; ma il fatto stava ch’ella non poteva sopportarlo. Quale motivo la forzava dunque a dir cosa poco d’accordo col vero? Povera, timida, debole Lucy? ne ho vedute tante delle tue sorelle, candide e semplici come tu sei, peccar pure in simil modo, e talor peggiore, per rendersi propizii orsi siffatti come questo tuo fratello! De’ quali peccati, convien sperare, che non saranno chiamate a render conto un giorno la deboli e sensibili creature; ma sì i loro padroni soverchiatori e rumorosi, la cui violenza sola è stata cagione del peccato.

Sir John non ammise nè contraddisse la dichiarazione di Aubrey che lo riguardava; forse non era sicuro del modo con cui sarebbe stata accolta una spiattellata negativa da parte sua; o forse anche preferiva di essere indulgente in quel primo giorno di riunione. Solo prudentemente propose una levée en masse per ire in giardino ove prenderebbero il caffè. Ormai era passata l’ora della solita visita serale di Antonio, nè s’era veduto. — «Spero che il Dottore non vorrà mancar questa sera,» disse sir John dopo che ebbe consultato due o tre volte l’orologio. «La compagnia di mio figlio non è una buona ragione perchè io non abbia ad avere anche quella del mio amico. Desidero moltissimo che facciate la sua conoscenza, Aubrey — è persona eccellente, questo dottor Antonio, quanto altra ne abbia mai potuto incontrare — un vero gentiluomo: noi gli abbiamo infinite obbligazioni.» E sir John raccontò quindi di nuovo a suo figlio la storia del ribaltare e dell’opportuno ajuto dell’Italiano, già raccontatagli nelle varie lettere che gli scriveva in India; e riscaldandosi nell’argomento, proseguì estendendosi sulle instancabili attenzioni da Antonio prestate a Lucy, sulle ingegnose cure con cui aveva cercato di divertirla durante la confinazione di lei in casa. I libri prestati, le letture di botanica, le lezioni di chitarra, tutto fu riferito; e terminavasi il catalogo con quel colpo da maestro della poltrona mobile, inventata dal Dottore. Aubrey prestò a quei discorsi un’attenzione veramente edificante, e ne mostrò una gran soddisfazione: — soddisfazione resa molto più evidente dal piacere che questi particolari arrecavano alla sua cara sorella, sulla cui splendida fisonomia gli occhi del fratello si tennero fissi tutto quel tempo.

— «Mi sa mill’anni di stringer la mano a questa fenice dei dottori,» disse Aubrey, «e fargli le scuse della mia rozzezza. Suppongo che era quegli che ho trovato qui stamattina?»

— «Sì,» disse Lucy.

— «Che ne direste,» continuò Aubrey parlando a sir John, ma guardando a sua sorella: «se andassimo noi a metter le mani addosso a questo vostro amico smemorato, e lo portassimo qui prigioniero? — Ah! ah! ah!»

— «Oh! sì!» disse Lucy cogli occhi brillanti, e internamente accusandosi con ogni sorta di brutti nomi per aver così mal giudicato il fratello. Avendo sir John acconsentito, il capitano Davenne accese un altro sigaro, e uscirono entrambi. Nell’uscir dalla porta del giardino, Aubrey si sentì sorpreso da una violenta convulsione di riso. — «Di che ridete?» domandò sir John perplesso.

— «Oh! è una casa tanto diabolicamente goffa — ha un aspetto così a rovescio nel suo insieme! Darei non so che cosa per portarla tutta intera com’è a Londra, e mostrarla a uno scellino per biglietto. Scommetto che nessuno crederebbe che sir John e miss Davenne vi siano vissuti dentro contenti per una settimana. In verità, io credo che la Hutchins e John abbiano dimenticato persino qual sia l’aspetto di una camera decente.»

Sir John prese le parole di suo figlio come un rimprovero personale. Egli abbassò il capo.

— «A propos de bottes (Aubrey aveva fatto all’amore con un’attrice francese a Madras, e però parlava correntemente il francese, e amava mostrarlo), il vecchio Duca di B... domandò di voi.»

— «Molto gentile,» disse il Baronetto espandendosi in volto. «Come sta il vecchio gentiluomo?»

— «Sempre vegeto,» disse Aubrey; «egli si maravigliava di quello che fosse divenuto di voi, come ognuno se ne maraviglia. Lady Deloraine più di tutti, nella cui casa incontrai l’ambasciatrice di..., e la sua nuora lady Charlotte Tuicy; ambedue piene di sospetti per la vostra assenza, e disposte a entrare in ogni cospirazione per rapirvi a forza dal vostro misterioso nascondiglio.»

— «Tolga Dio che esse abbiano a mettere in atto la loro minaccia,» disse il Baronetto ringalluzzandosi. «A proposito di rapimenti, avete sentito il bell’affare della fuga di Carnifex?»

— «Al diavolo quel vil pezzente di Italiano!» sclama Aubrey. «Ho sentito tutto, ho sentito tutto.»

— «Si sono alla fine sposati?» domandò sir John con uno sforzo.

— «Sì; ma è un matrimonio che non vuol durar molto. Fanny sarà presto una vedova contenta, glie lo posso dir io.»

— «Che intendete dire?» domandò sir John attonito. E Aubrey arrestandosi a un tratto, alza, lentamente la mano dritta, la stende quasi prendendo di mira, e con uno schiattir di lingua imita lo scoppio d’una pistola. «Tom Carnifex è uno dei migliori tiratori d’Inghilterra, mio caro signore,» diss’egli sbadatamente a modo di spiegazione.

Il modo col quale fu rappresentata questa piccola scena era perfettamente naturale; c’era nell’aspetto dell’attore un non so che di tanto selvaggio, che sir John non potè contener il ribrezzo. Per quanto gli fosse parsa dapprima cosa desiderabile, che un esempio fosse dato nella persona dell’offensore, pure l’esser presente all’esecuzione non entrava nel programma di sir John.

Occupati in questi piacevoli presagi dell’avvenire, il capo della dinastia dei Davenne, e il suo erede, erano giunti in cospetto della povera abitazione del dottor Antonio. Egli stava proprio per uscirne, in disposizioni nulla affatto gradevoli. Antonio era pertanto poco preparato alla calda accoglienza fattagli dall’arcigno forestiere di poche ore prima: il quale adesso, stringendogli cordialmente la mano, fece, mezzo ridendo, le scuse per essere stato tanto poco complimentoso la mattina. Benchè preso piuttosto alla sprovvista, l’Italiano contraccambiò i preliminari di Aubrey con quella cortesia di spirito, che potè richiamare a sè in così breve spazio: e tutti e tre insieme con Antonio in mezzo ritornarono all’osteria ove trovarono il Conte; fra il quale e il giovine Davenne ebbe luogo una formale presentazione. La serata, se non quieta quant’era di solito, trascorse forse non meno gradevole, benchè piuttosto rumorosa. Il capitano Davenne era dell’umore il più comunicativo, e tirava mirabilmente innanzi discorrendo, ridendo molto de’ propri scherzi e de’ suoi racconti, bevendo largamente di quella da lui chiamata limonata, che era realmente tale, con solo una forte infusione di vecchio rum Giammaica. Alcuna delle sue avventure nella caccia della tigre, raccontate con gran vivacità, furono ascoltate con trepida attenzione — traducendole Antonio al Conte, che aveva imparato a un bel circa d’inglese quanto sir John d’italiano. Lucy si ritirò di buon’ora, ma non prima di aver veduto il buon volere e la buona amicizia fra il suo fratello e il suo Dottore ed amico. Speriamo che dorma bene, la povera fanciulla. Battute le dieci, sir John e Antonio si misero a far la partita a scacchi secondo la loro abitudine: la quale, da parte del Baronetto, fu una serie di continui errori, chè egli aveva occupata la mente in altri pensieri.

Quando, verso le otto della mattina seguente, dopo il suo bagno mattinale e una o due ore di riposo, Lucy traversò l’anticamera per uscire, trovò il suo fratello di già installato sul sofà, che sbadigliava violentemente. — «Dove andate?» domanda Aubrey. — «A inaffiare i miei fiori, chè ho qui un bel giardinetto. Venite, andiamolo a vedere.» Aubrey alzò la sua lunga persona, uscì, lo guardò e lo trovò bello. Era fattura di lei il giardino? Oh! no; lo aveva fatto Speranza, la figlia della padrona dell’osteria, una bellissima ragazza; e Antonio a Lucy aveva dato la maggior parte delle piante. — «Non sono belle forse?» — «Bellissime,» disse Aubrey. E aggiunse: «Sapete, Lucy, che io sono innamorato di questo vostro Dottore?»

— «Davvero?» disse Lucy guardandolo con certi occhi sfavillanti.

— «Rare volte ho veduto una persona più imponente della sua: ha veramente l’aria di un gentiluomo. Desidererei fosse un duca inglese.

— «E perchè?» dice Lucy. «Vi assicuro ch’egli è perfettamente contento della sua sorte.»

— «Perchè se fosse tale, signorina, voi due sareste una bella coppia.» Lucy si fece di fuoco. «Tal qual’è, proseguì Aubrey lentamente, con voce chiara, severa, crudele; tal qual è, vorrei piuttosto vedervi morta e sepolta, che sposata a quest’uomo.»

Il piccolo inaffiatojo le sfuggì dalle mani, e le ginocchia le si piegarono.

— «Maledetto!» esclama Aubrey, rialzandola da terra; «non dovete impaurirvi di semplici supposizioni!» E le passò senz’altro motto il suo forte braccio intorno alla vita, e la condusse su per le scale al sofà. Fu la prima e l’ultima volta che venne il nome di Antonio menzionato fra loro.

Venne, secondo il solito, durante la mattinata, il Dottore; ma invece della consueta accoglienza per parte di Lucy, ricevette un tacito inchino. Le gote di lei erano mortalmente pallide, e rossi gli occhi. Le domandò come stesse; e ne ricevette una frettolosa risposta, che la stava benissimo. Egli voleva sentirle il polso; — ma ella lo assicurò che non occorreva, sentendosi bene perfettamente. E quand’egli si appoggiò sulla spalliera della sua seggiola per guardare il suo disegno, ella si rammentò di uno sfumino lasciato in camera, che in quel momento le occorreva, e si alzò per andare a prenderlo. C’era nel far di Lucy un’aria di ritenutezza da Antonio non mai veduta. Il cuore di lui si contrasse dolorosamente. Che Aubrey fosse la cagione dell’aspetto e dei modi mutati della soave fanciulla, Antonio non ne aveva il menomo dubbio. Ma come, e perchè? Era egli Antonio, in alcun modo connesso col nuovo stato di cose? per iscoprire il quale mistero avrebbe dato volentieri il suo sangue. Oh! poter passare solo a solo con lei un dieci secondi, e non più! Farle una sola domanda, ricevere una sola risposta! Tirò in lungo la sua dimora più che non usasse per trar vantaggio di ogni caso possibile. Invano. Fra lei e lui c’era come la muraglia della China.

Passarono quattro giorni, nè si mutò punto la situazione. Aubrey s’era tanto infatuato della miserabile osteria, che nè i pressanti inviti del Conte, nè le esortazioni del padre che andasse sul suo cavallo a godere del bel paesaggio, poterono ottenere da quel colossale dragone che abbandonasse solo un istante quelle mura. Non usciva che con Lucy, d’ordinario la sera; e prendendola sotto braccio, ne sosteneva affettuosamente i passi. Il rimanente del giorno, dalle sette della mattina fino alle undici della sera, Aubrey se lo passava dentro in casa: la maggior parte del tempo steso lungo a fumare, e gustandosi la sua bevanda favorita: o a far tremare la povera osteria co’ pesanti suoi passi. Il suo più grazioso sorriso, e la stretta di mano più cordiale erano per Antonio. Aveva preso tanta affezione per lui, che per nulla al mondo avrebbe lasciato per un sol minuto la compagnia del suo nuovo amico. Questo giovane Davenne era una creatura un po’ rumorosa, piuttosto volgare; vivace, di buon naturale, compagnevole, facilmente accontentabile di ogni cosa e di ogni persona; poco curantesi degli incomodi della sua tutt’altro che comoda camera sotto le scale; non accennando mai, in atto o in parola, al menomo desiderio di lasciare il suo quartiere attuale. La sua conversazione con sir John si aggirava quasi esclusivamente, è vero, su Londra (intendesi di quella Londra la cui esistenza è riconosciuta solo da gente di alto rango e alla moda), sui piaceri di Londra, le illustri relazioni e le conoscenze della famiglia dei Davenne; sul dispiacere generale per la prolungata assenza del Baronetto, e via discorrendo. Ma nove volte su dieci era lo stesso sir John che entrava in argomento; e poi non era egli naturale e conveniente per un figlio doveroso, di trattenersi in discorsi evidentemente piacevolissimi pel padre suo?

La floridezza della sanità spariva tanto rapidamente dalle guance di Lucy, e la sua testa ripiegavasi come un giglio privo dei raggi del sole. Non bastava fosse la povera Lucy a un tratto strappata alle gioje e al bene di quell’amichevole conversazione, a quell’abitudine divenutale una dolce necessità; ma aveva per soprappiù a portare una maschera, e a rappresentare una parte troppo crudelmente aliena da’ suoi sentimenti. Da che fosse forzata, appena lo sapeva ella stessa; ma le diceva un misterioso presentimento che solo a quel prezzo poteva evitare qualche orribile caso. Il suo cuore era pieno di strani fantasmi e timori. Quella mostra d’amicizia di Aubrey per Antonio, lungi dal rassicurarla, ne accresceva le inquietudini. Era manifesto anche per il di lei occhio inesperto, che era affettato tutto quell’estremo buon volere, e che non era se non una mera apparenza; e così essendo, quali potevano essere i motivi di Aubrey? Molinava la mesta fanciulla fino a dolergliene il capo; e sopra le ostilità del primo incontro de’ due giovani, e sul cenno significante datole l’indomani, e sul subitaneo cangiamento de’ modi di Aubrey.

Nè alcuna piacevole reminiscenza della prima giovinezza di lui, leniva quella penosa impressione che le destava l’uomo fatto. Aubrey aveva passati i suoi primi anni in Eton; nè delle vacanze di lui Lucy rammentava se non le paure per la sua bambola e per un suo gattino favorito, che egli facevasi un piacere di tormentare. Ma si rammentava molto chiaramente de’ sei mesi dimorati in casa, prima che entrasse nell’esercito. Da quel tempo erano sue reminiscenze e le dispute quasi quotidiane fra padre e figlio, e la sua madre tutta in pianto, e il malessere che aveva invaso la famiglia, e l’iroso sprezzo di Aubrey, e talora peggio, in contraccambio dei fanciulleschi tentativi di lei per conciliarli (ella aveva allora appena dieci anni): tali erano le immagini e i sentimenti connessi nella memoria di lei con quel suo fratello. Gli anni succeduti avevano addolcito, non cancellate quelle impressioni; e quell’Aubrey che il dì del suo arrivo stava impresso nella mente di sua sorella, non era il tipo del dovere e dell’affetto giovanile. Quello che aveva or veduto di lui, la convinceva aver l’uomo tenute le promesse del fanciullo. Lucy ne ebbe paura, appena lo vide; e il suo fare rumoroso, e i modi prepotenti, e i giuramenti frequenti, e la volgare allegria, facevano crudele impressione sui nervi di lei, e ferivano tutte le simpatie più squisite del suo naturale. Gli esseri come Lucy, di organizzazione delicata e sensibile, hanno un orrore innato per la violenza sotto qualunque forma; la quale per essi è un elemento dissolvente, qualcosa d’incompatibile colla lor natura; e di cui sentono quasi per istinto ribrezzo: come sentono ribrezzo al tocco della mano quelle piante alle quali si era paragonata miss Davenne nella sua ultima conversazione col dottor Antonio. Per ciò solo la presenza di Aubrey sarebbe stata grave per Lucy. Ma a dismisura più grave le riusciva adesso, che la fantasia le accennava possibile uno scoppio di quella violenza di cui avea tanto paura, e in una direzione da colpire chi era segno a molte delle sue più grate affezioni e del suo rispetto più sentito.

Quattro giorni dopo l’arrivo del figlio, sir John dette un pranzo di commiato, e annunziò alla piccola, ma scelta comitiva, il Conte, il Sindaco, il dottor Antonio, ecc., che la sua partenza era fissata pel posdomani. Aubrey potè invigilare a sua posta la sorella; Lucy stette impassibile. E difatti era tanto infelice, che, a quella notizia, si sentì quasi sollevata.

E purchè almeno ella gli possa dire: — «Grazie, dottor Antonio! Dio benedica voi e la vostra patria!» — purchè gli possa dir questo liberamente, come il cuore le suggerisce, senza ritegno, senza occhio che la invigili, Lucy partirà in pace. Questo pensiero continuo le sorge nell’animo, anzi non ha altro pensiero se non quello di ringraziarlo e benedirlo, pensiero che la stringe come una corona di spine alle tempia. Sarebbe troppa ingratitudine il non farlo, verso quest’uomo, che è stato tutto indulgenza e gentilezza e cortesia per lei. Un amico, un fratello, un padre, che avrebbe potuto far di più? «Benedetto voi e la vostra patria!» queste parole mormora a sè stessa, e vorrebbe scrivergliele; ma pajono troppo fredde su carta. E sicura che egli non ha idea della profondità della sua gratitudine, nè de’ sentimenti da lei provati. Pazza ch’è stata a non farglielo conoscere quando era tempo, — quando fra loro nessuna nube scura aveva interposta la sua ombra; in una di quelle splendide mattine trascorse conversando dimentichi sulla loggia, — in una di quelle sere a luce di luna passate in riva al mare, proprio sull’orlo dell’acqua, quando gli argentei flutti venivano con dolce mormorìo a lambir loro i piedi. Oh! quelle soavi passeggiate in giardino — quelle corse in battello sull’azzurro mare — quella benedetta gita a Lampedusa! Oh potesse richiamare un minuto, solo un minuto di quel passato!

Vane immagini, vani desiderii! il tempo trascorre inesorabile; ed è giunto il giorno, è vicina l’ora della partenza; nè Lucy ebbe mai l’opportunità di sfogare l’animo suo. Seduta sopra la sua poltrona di convalescente, guarda astratta e come trasognata dinanzi a sè. Aubrey e Antonio se ne stanno sulla loggia, e discutono la politica inglese nell’India; ma Antonio ha volto pallidissimo e parla con atti inusitatamente animati. Sir John passeggia per la stanza meditando un discorso di addio, e gittando di tratto in tratto uno sguardo sconsolato a sua figlia. La Hutchins affaccendata va su e giù, dentro e fuori, tutta in disordine ed agitazione: chè John Ducket, per lasciare il suo posto in cassetta al Capitano, era partito la mattina per Nizza; e la povera Hutchins aveva lavorato per due. A un tratto annunzia che i cavalli sono attaccati. — «Orsù, Lucy,» dice il Baronetto facendole coraggio. Aubrey sta a lato di sua sorella e l’ajuta ad alzarsi; la Hutchins osservando un piccol cestino al braccio di Lucy, si offre a portarlo. Lucy lo ritira in fretta, e guarda in piglio severo alla cameriera: — c’era una manata di poveri fiori appassiti, una volta azzurri, ma ora quasi affatto scoloriti, — ecco il tesoro cui era tanto attaccata.

Mentre sir John e il Dottore, seguiti da Aubrey e da miss Davenne, scendono le scale, una quantità di persone nel giardino si cavano berretti e cappelli agitandoli in aria. A sir John la lingua si attacca al palato, egli rinuncia alla sua parlata, e stima persino cosa prudente di procedere alle strette di mano senza dir motto. Quegli che vogliono baciargli la mano, Prospero, il suo fratellino, la lor vecchia madre, tutti ora possono farlo liberamente: sir John non fa resistenza. Intanto Aubrey tira in fretta Lucy alla porticina, ove la carrozza attende. Rosa e Speranza, e un po’ indietro Battista, piangono a dirotto. Quasi senza accorgersene, Lucy restituisce le ardenti carezze alle due donne, che le baciano le mani e le vesti e si attaccano disperatamente alla loro giovane benefattrice: finchè Aubrey con un giuramento la gitta nella carrozza. Antonio ajuta a montare il Baronetto: — «Buon viaggio, sir John; buon viaggio, signorina, abbiatevi cura.» La signorina non dice parola — non sorride, non s’inchina, ma guarda fisso quel volto gentile, — quel volto gentile a cui neppur osa sorridere, perchè sente di star sotto un occhio maligno. Una frustata del postiglione, un grido degli astanti: «Buon viaggio, il Signore li accompagni,» e la poderosa macchina scorre su quel sentiero, e il gentil volto sparisce. Lucy, riscuotendosi dalla sua astrazione: — «Papà, andiamo via?» e prorompe in uno scoppio di pianto. Fu quasi il rompersi di un argine di fiume. Il papà piange anch’egli di buono, si stringe al seno la dolente fanciulla, e padre e figlia mescolano le loro lagrime. Mentre questo succede nell’interno, in cassetta Aubrey accende, con quello che aveva già quasi consumato un nuovo sigaro.

I rimasti indietro stettero sulla strada maestra, guardando la carrozza che rapidamente impiccolivasi. Guardarono finchè sparì. Il povero Antonio si sentiva male al cuore, e avrebbe pur voluto gittar la maschera. Ma no; — gli convenne sentire il vano cicalare del Conte e del Sindaco, che lo vollero accompagnare a casa. Arrivatovi finalmente si gittò sopra il letto; — l’uomo è pur sempre uomo — e pianse come un fanciullo.