Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/172: differenze tra le versioni

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{{AutoreCitato|Demostene}}, e Longino dove parla di {{AutoreCitato|Marco Tullio Cicerone|Cicerone}} quando i latini scrittori senza nessunissima esitazione nata dall’esser di diversa lingua, parlavano e giudicavano degli scrittori greci.
{{AutoreCitato|Demostene|Demostene}} e Longino dove parla di {{AutoreCitato|Marco Tullio Cicerone|Cicerone}} quando i latini scrittori, senza nessunissima esitazione nata dall’esser di diversa lingua, parlavano e giudicavano degli scrittori greci.




{{ZbPensiero|44/2}}Anche in nostra lingua le mutazioni della pronunzia latina ec. hanno guasto parecchie parole, come da ''raucus ''espressivissima del suono che significa, ''roco'' che perde quasi tutta l’espressione.
{{ZbPensiero|44/2}}Anche in nostra lingua le mutazioni della pronunzia latina ec. hanno guasto parecchie parole, come da ''raucus'' espressivissima del suono che significa, ''roco'', che perde quasi tutta l’espressione.




{{ZbPensiero|44/3}}L’infelicità nostra è una prova della nostra immortalità, considerandola per questo verso che i bruti e in certo modo tutti gli esseri della natura possono esser felici e sono, noi soli non siamo né possiamo. Ora è cosa evidente che in tutto il nostro globo la cosa piú nobile, e che è padrona del resto, anzi quello a cui servizio pare a mille segni incontrastabili che sia fatto non dico il mondo ma certo la terra è l’uomo. E quindi è contro le leggi costanti che possiamo notare osservate dalla natura che l’essere principale non possa godere la perfezione del suo essere ch’è la felicità, senza la quale anzi è grave l’istesso essere cioè esistere, mentre i subalterni e senza paragone di minor pregio possono tutto ciò, e lo conseguono, il che è chiaro a mille segni e per le ragioni ancora indicate in un altro pensiero.
{{ZbPensiero|44/3}}L’infelicità nostra è una prova della nostra immortalità, considerandola per questo verso che i bruti e in certo modo tutti gli esseri della natura possono esser felici e sono, noi soli non siamo né possiamo. Ora è cosa evidente che in tutto il nostro globo la cosa piú nobile e che è padrona del resto, anzi quello a cui servizio pare a mille segni incontrastabili che sia fatto non dico il mondo ma certo la terra è l’uomo. E quindi è contro le leggi costanti che possiamo notare osservate dalla natura che l’essere principale non possa godere la perfezione del suo essere ch’è la felicità, senza la quale anzi è grave l’istesso essere cioè esistere, mentre i subalterni e senza paragone di minor pregio possono tutto ciò, e lo conseguono, il che è chiaro a mille segni; e per le ragioni ancora indicate in un altro pensiero.




{{ZbPensiero|44/4}}La costanza dei trecento alle Termopile e in particolare di quei due che Leonida voleva salvare, e non consentirono ma vollero evidentemente morire, come anche la solita gioia delle madri o padri Spartani (ma è piú notabile delle madri) in sentire i loro figliuoli morti per la patria, è similissima anzi egualissima a quella dei martiri e in particolare di quelli che potendo fuggire il martirio non vollero assolutamente desiderandolo come gli spartani desideravan
{{ZbPensiero|44/4}}La costanza dei trecento alle Termopile, e in particolare di quei due che Leonida voleva salvare e non consentirono ma vollero evidentemente morire, come anche la solita gioia delle madri o padri Spartani (ma è piú notabile delle madri) in sentire i loro figliuoli morti per la patria, è similissima anzi egualissima a quella dei martiri e in particolare di quelli che potendo fuggire il martirio non vollero assolutamente, desiderandolo come gli spartani desideravan<span class="SAL">172,4,Luigi62</span>