Canti (Leopardi - Donati)/VII. Alla primavera: differenze tra le versioni
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{{opera
|NomeCognome=Giacomo Leopardi
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|AnnoPubblicazione=1822
|TitoloSezione=VII<br />Alla primavera, o delle favole antiche
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{{capitolo
|CapitoloPrecedente=VI - A un vincitore nel pallone
|NomePaginaCapitoloPrecedente=Canti/A un vincitore nel pallone
|CapitoloSuccessivo=VIII - ''Inno ai Patriarchi o de' principii del genere umano
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<poem>
Ristori il sole, e
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta
Delle nubi la grave ombra s'avvalla;
{{R|5}}Credano il petto inerme
Gli augelli al vento, e la diurna luce
Novo d'amor desio, nova speranza
Ne' penetrati boschi e fra le sciolte
Pruine induca alle commosse belve;
{{R|10}}Forse alle stanche e nel dolor sepolte
Umane menti riede
La bella età, cui la sciagura e l'atra
Face del ver consunse
Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
{{R|15}}Di febo i raggi al misero non sono
In sempiterno? ed anco,
Primavera odorata, inspiri e tenti
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Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?
{{R|20}}Vivi tu, vivi, o santa
Natura? vivi e il dissueto orecchio
Della materna voce il suono accoglie?
Già di candide ninfe i rivi albergo,
Placido albergo e specchio
{{R|25}}Furo i liquidi fonti. Arcane danze
D'immortal piede i ruinosi gioghi
Scossero e l'ardue selve (oggi romito
Nido de' venti): e il pastorel ch'all'ombre
Meridiane incerte ed al fiorito
{{R|30}}Margo adducea de' fiumi
Le sitibonde agnelle, arguto carme
Sonar d'agresti Pani
Udì lungo le ripe; e tremar l'onda
Vide, e stupì, che non palese al guardo
{{R|35}}La faretrata Diva
Scendea ne' caldi flutti, e dall'immonda
Polve tergea della sanguigna caccia
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Vissero i fiori e l'erbe,
{{R|40}}Vissero i boschi un dì. Conscie le molli
Aure, le nubi e la titania lampa
Fur dell'umana gente, allor che ignuda
Te per le piagge e i colli,
Ciprigna luce, alla deserta notte
{{R|45}}Con gli occhi intenti il viator seguendo,
Te compagna alla via, te de' mortali
Pensosa immaginò. Che se gl'impuri
Cittadini consorzi e le fatali
Ire fuggendo e l'onte,
{{R|50}}Gl'ispidi tronchi al petto altri nell'ime
Selve remoto accolse,
Viva fiamma agitar l'esangui vene,
Spirar le foglie, e palpitar segreta
Nel doloroso amplesso
{{R|55}}Dafne o la mesta Filli, o di Climene
Pianger credè la sconsolata prole
Quel che sommerse in Eridano il sole.
Rigide balze, i luttuosi accenti
{{R|60}}Voi negletti ferìr mentre le vostre
Paurose latebre Eco solinga,
Non vano error de' venti,
Ma di ninfa abitò misero spirto,
Cui grave amor, cui duro fato escluse
{{R|65}}Delle tenere membra. Ella per grotte,
Per nudi scogli e desolati alberghi,
Le non ignote ambasce e l'alte e rotte
Nostre querele al curvo
Etra insegnava. E te d'umani eventi
{{R|70}}Disse la fama esperto,
Musico augel che tra chiomato bosco
Or vieni il rinascente anno cantando,
E lamentar nell'alto
Ozio de' campi, all'aer muto e fosco,
{{R|75}}Antichi danni e scellerato scorno,
E d'ira e di pietà pallido il giorno.
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Il gener tuo; quelle tue varie note
Dolor non forma, e te di colpa ignudo,
{{R|80}}Men caro assai la bruna valle asconde.
Ahi ahi, poscia che vote
Son le stanze d'Olimpo, e cieco il tuono
Per l'atre nubi e le montagne errando,
Gl'iniqui petti e gl'innocenti a paro
{{R|85}}In freddo orror dissolve; e poi ch'estrano
Il suol nativo, e di sua prole ignaro
Le meste anime educa;
Tu le cure infelici e i fati indegni
Tu de' mortali ascolta,
{{R|90}}Vaga natura, e la favilla antica
Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi,
E se de' nostri affanni
Cosa veruna in ciel, se nell'aprica
Terra s'alberga o nell'equoreo seno,
{{R|95}}Pietosa no, ma spettatrice almeno.
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