Canti (Leopardi - Donati)/III. Ad Angelo Mai: differenze tra le versioni

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{{opera
|NomeCognome=Giacomo Leopardi
|TitoloOpera=Canti
|TitoloOpera=Ad Angelo Mai<br /><br />quand'ebbe trovato i libri di Cicerone<br />"della Repubblica"
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|NomePaginaOpera=Ad Angelo Mai: quand'ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica
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|TitoloOperaTitoloSezione=III<br />Ad Angelo Mai<br /><br />quand'ebbe trovato i libri di Cicerone<br />"della Repubblica"
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{{capitolo
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|CapitoloPrecedente=II - Sopra il monumento di Dante che si preparava a Firenze
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|CapitoloSuccessivo=IV - Nelle nozze della sorella Paolina
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=Canti/Nelle nozze della sorella Paolina
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Italo ardito, a che giammai non posi
Di svegliar dalle tombe
I nostri padri? ed a parlar gli meni
A questo secol morto, al quale incombe
{{R|5}}Tanta nebbia di tedio? E come or vieni
Sì forte a' nostri orecchi e sì frequente,
Voce antica de' nostri,
Muta sì lunga etade? e perchèperché tanti
Risorgimenti? In un balen feconde
{{R|10}}Venner le carte; alla stagion presente
I polverosi chiostri
Serbaro occulti i generosi e santi
Detti degli avi. E che valor t'infonde,
Italo egregio, il fato? O con l'umano
{{R|15}}Valor forse contrasta il fato invano?
 
Certo senza de' numi alto consiglio
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E grave è il nostro disperato obblio,
A percoter ne rieda ogni momento
{{R|20}}Novo grido de' padri. Ancora è pio
Dunque all'Italia il cielo; anco si cura
Di noi qualche immortale:
Ch'essendo questa o nessun'altra poi
L'ora da ripor mano alla virtude
{{R|25}}Rugginosa dell'itala natura,
Veggiam che tanto e tale
È il clamor de' sepolti, e che gli eroi
Dimenticati il suol quasi dischiude,
A ricercar s'a questa età sì tarda
{{R|30}}Anco ti giovi, o patria, esser codarda.
 
Di noi serbate, o gloriosi, ancora
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Non siam periti? A voi forse il futuro
Conoscer non si toglie. Io son distrutto
{{R|35}}Né schermo alcuno ho dal dolor, che scuro
M'è l'avvenire, e tutto quanto io scerno
È tal che sogno e fola
Fa parer la speranza. Anime prodi,
Ai tetti vostri inonorata, immonda
{{R|40}}Plebe successe; al vostro sangue è scherno
E d'opra e di parola
Ogni valor; di vostre eterne ledilodi
rossor più invidia; ozio circonda
I monumenti vostri; e di viltade
{{R|45}}Siam fatti esempio alla futura etade.
 
Bennato ingegno, or quando altrui non cale
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A te ne caglia, a te cui fato aspira
Benigno sì che per tua man presenti
{{R|50}}Paion que' giorni allor che dalla dira
Obblivione antica ergean la chioma,
Con gli studi sepolti,
I vetusti divini, a cui natura
Parlò senza svelarsi, onde i riposi
{{R|55}}Magnanimi allegràr d'Atene e Roma.
Oh tempi, oh tempi avvolti
In sonno eterno! Allora anco immatura
La ruina d'Italia, anco sdegnosi
Eravam d'ozio turpe, e l'aura a volo
{{R|60}}Più faville rapia da questo suolo.
 
Eran calde le tue ceneri sante,
Non domito nemico
Della fortuna, al cui sdegno e dolore
Fu più l`'averno che la terra amico.
{{R|65}}L'averno: e qual non è parte migliore
Di questa nostra? E le tue dolci corde
Susurravano ancora
Dal tocco di tua destra, o sfortunato
Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce
{{R|70}}L'italo canto. E pur men grava e morde
Il mal che n'addolora
Del tedio che n'affoga. Oh te beato,
A cui fu vita il pianto! A noi le fasce
Cinse il fastidio; a noi presso la culla
{{R|75}}Immoto siede, e su la tomba, il nulla.
 
Ma tua vita era allor con gli astri e il mare,
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Quand'oltre alle colonne, ed oltre ai liti
Cui strider l'onde all'attuffar del sole
{{R|80}}Parve udir su la sera, agl'infiniti
Flutti commesso, ritrovasti il raggio
Del Sol caduto, e il giorno
Che nasce allor ch'ai nostri è giunto al fondo;
E rotto di natura ogni contrasto,
{{R|85}}Ignota immensa terra al tuo viaggio
Fu gloria, e del ritorno
Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo
Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto
L'etra sonante e l'alma terra e il mare
{{R|90}}Al fanciullin, che non al saggio, appare.
 
Nostri sogni leggiadri ove son giti
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D'ignoti abitatori, o del diurno
Degli astri albergo, e del rimoto letto
{{R|95}}Della giovane Aurora, e del notturno
Occulto sonno del maggior pianeta?
Ecco svaniro a un punto,
E figurato è il mondo in breve carta;
Ecco tutto è simile, e discoprendo,
{{R|100}}Solo il nulla s'accresce. A noi ti vieta
Il vero appena è giunto,
O caro immaginar; da te s'apparta
Nostra mente in eterno; allo stupendo
Poter tuo primo ne sottraggon gli anni;
{{R|105}}E il conforto perì de' nostri affanni.
 
Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo
Sole splendeati in vista,
[[Autore:Ludovico Ariosto|Cantor vago dell'arme e degli amori]],
Che in età della nostra assai men trista
{{R|110}}Empièr la vita di felici errori:
Nova speme d'Italia. O torri, o celle,
O donne, o cavalieri,
O giardini, o palagi! a voi pensando,
In mille vane amenità si perde
{{R|115}}La mente mia. Di vanità, di belle
Fole e strani pensieri
Si componea l'umana vita: in bando
Li cacciammo: or che resta? or poi che il verde
È spogliato alle cose? Il certo e solo
{{R|120}}Veder che tutto è vano altro che il duolo.
 
O [[Autore:Torquato Tasso|Torquato]], o Torquato, a noi l'eccelsa
Tua mente allora, il pianto
A te, non altro, preparava il cielo.
Oh misero Torquato! il dolce canto
{{R|125}}Non valse a consolarti o a sciorre il gelo
Onde l'alma t'avean, ch'era sì calda,
Cinta l'odio e l'immondo
Livor privato e de' tiranni. Amore,
Amor, di nostra vita ultimo inganno,
{{R|130}}T'abbandonava. Ombra reale e salda
Ti parve il nulla, e il mondo
Inabitata piaggia. Al tardo onore
Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno,
L'ora estrema ti fu. Morte domanda
{{R|135}}Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda.
 
Torna torna fra noi, sorgi dal muto
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Se d'angoscia sei vago, o miserando
Esemplo di sciagura. Assai da quello
{{R|140}}Che ti parve sì mesto e sì nefando,
EÈ peggiorato il viver nostro. O caro,
Chi ti compiangeria,
Se, fuor che di se stesso, altri non cura?
Chi stolto non direbbe il tuo mortale
{{R|145}}Affanno anche oggidì, se il grande e il raro
Ha nome di follia;
livor più, ma ben di lui più dura
La noncuranza avviene ai sommi? o quale,
Se più de' carmi, il computar s'ascolta,
{{R|150}}Ti appresterebbe il lauro un'altra volta?
 
Da te fino a quest'ora uom non è sorto,
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Pari all'italo nome, altro ch'un solo,
Solo di sua codarda etate indegno
{{R|155}}[[Autore:Vittorio Alfieri|Allobrogo feroce]], a cui dal polo
Maschia virtù, non già da questa mia
Stanca ed arida terra,
Venne nel petto; onde privato, inerme,
(Memorando ardimento) in su la scena
{{R|160}}Mosse guerra a' tiranni: almen si dia
Questa misera guerra
E questo vano campo all'ire inferme
Del mondo. Ei primo e sol dentro all'arena
Scese, e nullo il seguì, che l'ozio e il brutto
{{R|165}}Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.
 
Disdegnando e fremendo, immacolata
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E morte lo scampò dal veder peggio.
Vittorio mio, questa per te non era
{{R|170}}Età suolo. Altri anni ed altro seggio
Conviene agli alti ingegni. Or di riposo
Paghi viviamo, e scorti
Da mediocrità: sceso il sapiente
E salita è la turba a un sol confine,
{{R|175}}Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso,
Segui; risveglia i morti,
Poi che dormono i vivi; arma le spente
Lingue de' prischi eroi; tanto che in fine
Questo secol di fango o vita agogni
{{R|180}}E sorga ad atti illustri, o si vergogni.
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===== Altri progetti =====
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