Satire (Persio)/V: differenze tra le versioni

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''Ad A. Cornuto suo ptrecettoreprecettore''
 
 
 
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<poem>
:Antica d’ogni vate usanza è questa
:Cento bocche augurarsi e cento voci
:E cento lingue, o imprenda a cantar mesta
 
Favola da gridarsi a larghe foci
:Favola da gridarsi a larghe foci
Dal Tragcdo, o le piaghe de’ traenti
:Dal Tragedo, o le piaghe de’ traenti
Dall’inguine lo stral Parti feroci.
:Dall’inguine lo stral Parti feroci.
c. Dove scappi? A che tanti infarcimenti
;C.
Giù t’incanni di carme giganteo
:Dove scappi? A che tanti infarcimenti
Da voler cento strozze? Alti-loquenti
:Giú t’incanni di carme giganteo
Imbottin nebbia i vati, a cui d’Atreo
:Da voler cento strozze? Alti-loquenti
O di Progne la pentola sobbolle,
 
Frequente cena di Glicon baggeo.
:Imbottin nebbia i vati, a cui d’Atreo
Tu mentre il ferro al foco si fa molle,
:O di Progne la pentola sobbolle,
Non premi i venti nel mantice anelo, Né con chiuso romor non so che polle
:Frequente cena di Glicon baggeo.
Grave gorgogli, che non vaglion pelo;
 
Né per iscoppio far gonfi la bocca.
:Tu mentre il ferro al foco si fa molle,
A pacato parlar tu drizzi il telo:
:Non premi i venti nel mantice anelo,
Acre, unito, rotondo, e corto scocca
:Né con chiuso romor non so che polle
Tuo stil, radente i rei costumi, e fiedi
 
La colpa d’uno stral che scherza e tocca.
:Grave gorgogli, che non vaglion pelo;
Ecco onde trarre il dir. Con teschi e piedi
:Né per iscoppio far gonfi la bocca.
Mense imbandite lasciale a Micene,
:A pacato parlar tu drizzi il telo:
Ed umile a plebeo desco ti siedi.
 
i’. Non io certo m’adopro, che ripiene
:Acre, unito, rotondo, e corto scocca
D’alte ciance mi scoppino le carte
:Tuo stil, radente i rei costumi, e fiedi
Atte a far granchi comparir balene.
:La colpa d’uno stral che scherza e tocca.
 
:Ecco onde trarre il dir. Con teschi e piedi
:Mense imbandite lasciale a Micene,
:Ed umile a plebeo desco ti siedi.
;P.
:Non io certo m’adopro, che ripiene
:D’alte ciance mi scoppino le carte
:Atte a far granchi comparir balene.
 
:Siamo a quattr’occhi, ed a scrutinio or darte,
:Esortante la Musa, il cor vogl’io;
:E quanta di quest’alma intima parte
 
:Sia tua, mi giova a te far chiaro, o mio
:Dolce amico. Qui picchia, a questo seno,
:Tu che scemi il buon vaso al tintinnío,
 
:E il parlar, che par vero, e al ver vien meno.
:Gli è per ciò che oserei chieder le cento
:Bocche, onde quanto di te il petto ho pieno,
 
:Manifestarlo con sincero accento,
:E tutto aprir del cor segreto omai
:Il celato ineffabil sentimento.
 
:Ratto che paventoso abbandonai
:La custode pretesta, ed ai succinti
:Lari la borchia pueril sacrai;
 
:Quando la bianca toga e amici infinti
:Per tutta la Suburra impunemente
:Gli errabondi miei sguardi ebber sospinti;
 
:Quando dubbia è la via, quando inscíente
:L’error d’esperíenza, nel sospetto
:Rattien sul bivio ingannator la mente;
 
:Io miti diedi: e tu me giovinetto
:Nel socratico sen prendi, e tua norma
:Con dolce inganno il torto andar fa retto.
 
:L’animo al raggio di ragion s’informa,
:E d’esser vinto anela, e dal tuo dito
:Prende foggiato una maestra forma.
 
:Il ricordo nel cor mi sta scolpito
:De’ ben spesi di teco, e delle quete
:Notti sfiorate in convivar gradito.
 
:Uno lo studio, ed una la quiete
:D’entrambi, e in uno a vereconda cena
:I severi pensier sepolti in Lete.
 
:Non dubbiarlo; un tenor solo incatena,
:Un sol astro d’entrambo i dí felici:
:O nella Libra in lance egual gli frena
 
:Verace Parca con immoti auspici;
:o i nostri fati ne’ Gemelli accorda
:L’oroscopo che splende ai fidi amici;
 
:O con benigno Giove in un la sorda
:Rompiam saturnia luce; io non so quale,
:Ma un astro ha certo che mi ti concorda.
 
:Mille gli umani aspetti, e disuguale
:La condotta; ciascuno ha propia mente,
:Nullo il desire a quel dell’altro eguale.
 
:Qual con itala merce in Oríente
:Cambia il pepe, ed il pallido comino;
:Qual mangia e dorme e ingrassa allegramente.
 
:Altri intende alla lotta, altri meschino
:Si diserta nel gioco, e quei d’impura
:Venere marcio scola lo stoppino.
 
:Ma come al vecchio tronco ogni giuntura
:La chiragra impietrisce, allor dolenti
:Piangon lor vita paludosa e scura;
 
:E la piangon, ma tardi, alle cadenti
:Membra lasciata per maggior soffrire.
:Ma tu cultor di giovinette menti
 
:Su le notturne carte impallidire
:Ti piaci, e poscia ne’ purgati orecchi
:Il saper Cleanteo destro inserire.
 
:Quí quí cercate, garzonetti e vecchi,
:Dell’animo l’indrizzo, e adesso adesso
:Parate il vitto ai crin canuti e secchi.
 
:— Diman farollo. — Diman fia lo stesso.
:— Che? dando un giorno è poi sí grande il dato?
:— Ma rapido venuto il giorno appresso,
 
:Il domani di jeri è già passato.
:Ecco un altro domani, che ti scema
:Gli anni, e più sempre è il ben oprar tardato.
 
:Benché propinqua, e a un solo timon gema
:La rota avanti, invan le corri dietro
:Tu rota del secondo asse, e postrema.
 
:Bisogna libertà; ma non del metro
:Che un Publio iscrive alla tribù Velina,
:E di farro gli ottien rognoso e tetro
 
:La bulletta. Oh insensati, a cui sciorina
:Un giro a tondo un cittadin! Quel Dama
:Mulattier gli è una bestia scerpellina:
 
:Non vai tre soldi, e per la mai piú grama
:Cosa bugiardo. Prendasi diletto
:Il padron di voltarlo, e un Marco Dama
 
:Fuori ti scappa in un girar. Cospetto!
:Marco mallevador, non credi argento?
:Giudice Marco, tremi? Egli l’ha detto:
 
:Sta cosí: segna, Marco, il testamento.
:— Ecco la vera libertà largita
:Dal berretto. Di lui, che a suo talento
 
:Puote i giorni condurre, a chi sortita
:Fu libertà più intera? E conceduto
:Che ''mi lice qual voglio'', il menar vita,
 
:Non mi son io piú libero di Bruto?
:E falsa la minor, grida qui ratto
:Lo Stoico d’aceto acre diluto.
 
:Via quel ''lice'' e quel ''voglio'', e non ribatto.
:— Poiché la verga del pretor mi fece
:Tutto mio, perché mo far issofatto
 
:Ciò, che talenta al mio voler, non lece,
:Salva ognor di Masurio la rubrica?
:— Odi; e mentre l’error, di che t’infece
 
:La nonna, al cor ti svello, il naso esplica
:Dalle rughe del ghigno e della bile.
:In possa del pretor non era ei mica
 
:Uno stolto istruir d’ogni civile
:Squisito officio, né dell’uso onesto
:Della vita che va. L’arpa ad un vile
 
:Lungo galuppo adatterai piú presto.
:Ragion n’è contra, e gridaci segreta:
:Non far ciò che, il facendo, è fuor di sesto.
 
:Umana e natural legge decreta,
:Che per disdetta a me quell’arte io tegna,
:Che impotente ignoranza mi divieta.
 
:Mesci farmaco, e ignori a qual convegna
:Punto fissarne della dose il pondo?
:Ciò grande error la medic’arte insegna.
 
:Chiegga ignaro degli astri in mar profondo
:Villan scarpato il temo, e Melicerta
:Griderà che il pudor morto è nel mondo.
 
:Dritto inceder sai tu? la faccia incerta
:Distinguere del vero, ed il falsato
:Suon del rame che d’auro ha la coperta?
 
:Le cose da seguirsi hai tu notato
:Con la bianca matita? e con la bruna
:Le da fuggirsi? Ne’ desir temprato,
 
:Frugai, dolce agli amici, ed opportuna-
:mente sai tu serrare e disserrare
:Il tuo granajo? e senza gola alcuna
 
:Il nummo al suoi confitto oltrepassare?
:Né alla bocca venir l’acqua ti senti,
:Se a te Mercurio con la borsa appare?
 
:Se tue tai doti affermi, e non mi menti,
:E saggio e liberissimo ti dico,
:Il pretore e il gran Giove assenzíenti.
 
:Ma se ritieni ancor del cuojo antico,
:(Sendo stato tu dianzi della ria
:Nostra farina) se al di fuor pudico
 
:Hai di volpe nei cor la furberia,
:Il dato avanti mi ripiglio, e al piede
:Ti rannodo il servil laccio di pria.
 
:S’alzi un dito, e ragion nol ti concede,
:Tu pecchi. Avvi atto più leggier? no mai.
:Ma per incensi, ad uom che torto vede,
 
:Né una mica di senno impetrerai.
:Non s’accoppia pazzia con la saggezza;
:Né tu, nel resto zappator, potrai
 
:Sol tre tempi imitar la leggerezza
:Del saltator Batillo. — Io, di’ che vuoi,
:Io son libero. — Tu? nella cavezza
 
:Di tanti affetti? E libertà po’ poi
:Chi la ti diè? Fuor quella, in che ne pone
:Il pretor, divisarne altra non puoi?
 
:Ti dica alcun: ''va, recami, garzone,''
:''Le stregghie al bagno di Crispin''. Se a caso
:Ti garrisce: ''a che stai, pigro ciarlone?''
 
:L’aspro comando non t’arriccia il naso?
:Dal sospetto d’offesa esteríore
:Per tutti i nervi non ti senti invaso?
 
:Ma se ti nasce il tuo tiranno in core,
:Stai tu meglio che il servo a portar mosso
:Le stregghie dalla sferza e dal timore?
 
:Pigro russi il mattino; e sorgi, adosso
:L’Avarizia ti grida: animo, in piedi.
:Tu il nieghi; ell’insta: su poltron. — Non posso.
 
:— Sorgi, ti dico. — Per che far? — Mel chiedi?
:Sarde e stoppe dal Ponto, ebano e pelo
:Castoreo, e incenso e dolce Coo provvedi.
 
:Primo il pepe novel togli al camelo
:Sitibondo; baratta, inganna, e giura.
:— Giove udrà. — Gnoccolon! ridotto al gelo
 
:Col dito leccherai la raschiatura
:Del rigustato salarin, se vuoi
:Viver di Giove nella pia paura.
 
:Ed ecco che succinto a’ servi tuoi
:Già le bisacce adatti ed il barile.
:Presti, alla vela. E già l’Egeo tu puoi
 
:Con vasto trasvolar franco navile,
:Se pria solerte, ed in disparte tratto,
:Voluttà non ti storna in questo stile:
 
:Dove corri a trabocco, o mentecatto?
:Dove? a qual fin? Di forte bile il fianco
:Ti ferve sí, che spegnerla un pignatto
 
:Non potria di cicuta. E nondimanco
:Tu varcar l’onde? tu cenar seduto
:Su torta fune, con la ciurma, al banco?
 
:Ed un rossastro Vejentan, sperduto
:Da vaporosa pece, esaleratti
:Odor di tanfo da boccal panciuto?
 
:Che vuoi? Che il nummo, che ad onesto or statti
:Cinque per cento, con assai sudore
:Frutti l’undici, e piú? Bel tempo datti;
 
:Tua vita è mia; cogliam rose d’Amore;
:Polve, ombra e fola diverrai; non vano
:Fa di morte il pensier; volano l’ore;
 
:Il momento, in cui parlo, è già lontano.
:Che far? Ti scinde in due doppio desire.
:Qual seguirai? Cader t’è forza in mano,
 
:Servo incerto, or di questo or di quel sire,
:E smarrirti. Né ostato, e fatto appena
:Un niego all’aspro comandar, non dire:
 
:Già rotto è il laccio. Ché in lottar si sfrena
:Il veltro ancor; ma dal collo, fuggendo,
:Lungo pezzo si trae della catena.
 
:Davo, por fine a’ crucci antichi intendo,
:Subito, e fede vo’ mi presti tutta.
:(Cosi dice Cherestrato rodendo
 
:L’ugna viva). Degg’io farmi con brutta
:Fama il disnor di sobrj affini, e il danno?
:E il censo biscazzar per una putta,
 
:Mentre mi sto di Criside al tiranno
:Bagnato limitar, già spenti i lumi,
:Ebbro cantando l’amoroso affanno?
 
:— Coraggio, flgliuol mio, fa senno: ai Numi
:Depellenti a ferir corri un’agnella.
:— Ma la relitta, o Davo, e non presumi
 
:Che piangerà? — Tu beffi, e la pianella
:Rossa in testa vuoi pur. Via, putto in frega,
:Non tremar, non smagliar rete si bella.
 
:Or fai l’aspro e il crudel: ma se la strega
:Ti richiama, dirai: che far degg’io?
:Or che spontanea mi rappella e prega,
 
:Resterò, non v’andrò? Ma, padron mio,
:Se a colei ti toglievi intero e netto,
:No, non v’andresti né pur or per dio.
 
:Questi, si questi è l’uom ch’io cerco, il petto
:Libero; non colui che da bacchetta
:Vile è percosso di littore inetto.
 
:Quel palpator, cui parmi non permetta
Siamo a quattr’occhi, ed a scrutinio or darte,
:La candidata ambizíon mai posa,
Esortante la Musa, il cor vogl’io;
:Vive ei donno di sé? Veglia, t’affretta,
E quanta di quest’alma intima parte
Sia tua, mi giova a te far chiaro, o mio
Dolce amico. Qui picchia, a questo seno,
Tu che scemi il buon vaso al tintinnio,
E il parlar, che par vero, e al ver vien meno.
Gli è per ciò che oserei chieder le cento
Bocche, onde quanto dite il petto ho pieno,
Manifestarlo con sincero accento,
E tutto aprir del cor segreto ornai
Il celato ineffabil sentimento.
Ratto che paventoso abbandonai
La custode pretesta, ed ai succinti
Lan la borchia pueril sacrai;
Quando la bianca toga e amici infinti
Per tutta la Suburra impunemente
Gli errabondi miei sguardi ebber sospinti;
Quando dubbia è la via, quando inscf ente
L’error d’esperienza, nel sospetto
Rattien sul bivio ingannator la mente;
Io miti diedi: e tu me giovinetto
Nel socratico sen prendi, e tua norma
Con dolce inganno il torto andar fa retto.
L’animo al raggio di ragion s’informa,
E d’esser vinto anela, e dal tuo dito
Prende foggiato una maestra forma.
Il ricordo nel cor mi sta scolpito
De’ ben spesi di teco, e delle quete
Notti sfiorate in convivar gradito.
Uno lo studio, ed una la quiete
D’entrambi, e in uno a vereconda cena
I severi pensier sepolti in Lete.
 
:Di ceci ingozza la plebe rissosa,
Non dubbiarlo; un tenor solo incatena,
:Onde il nostro Floral sedenti al sole
Un sol astro d’entrambo i di felici:
:Membrino i vecchi. Che più dolce cosa?
O nella Libra in lance egual gli frena
Verace Parca con immoti auspici;
o i nostri fati ne’ Gemeffi accorda
L’oroscopo che splende ai fidi amici;
O con benigno Giove in un la sorda
Rompiam saturnia luce; io non so quale,
Ma un astro ha certo che mi ti concorda.
Mille gli umani aspetti, e disuguale
La condotta; ciascuno ha propia mente,
Nullo il desire a quel dell’altro eguale.
Q ual con itala merce in Oriente
Cambia il pepe, ed il pallido comino;
Qual mangia e dorme e ingrassa allegramente.
Altri intende alla lotta, altri meschino
Si diserta nel gioco, e quei d’impura
Venere marcio scola lo stoppino.
Ma come al vecchio tronco ogni giuntura
La chiragra impietrisce, allor dolenti
Piangon br vita paludosa e scura;
E la piangon, ma tardi, alle cadenti
Membra lasciata per maggior soffrire.
Ma tu cultor di giovinette menti
Su le notturne carte impallidire
Ti piaci, e poscia ne’ purgati orecchi
Il saper Cleanteo destro inserire.
Q iii qui cercate, garzonetti e vecchi,
Dell’animo l’indrizzo, e adesso adesso
Parate il vitto ai cnn canuti e secchi.
— Diman farollo. — Diman La lo stesso.
— Che? dando un giorno è poi sI grande il dato?
— Ma rapido venuto il giorno appresso,
 
:D’Erode ecco le feste. Di víole
Il domani di jeri è già passato.
:Inghirlandate, ed in bell’ordin messe
Ecco un altro domani, che ti scema
:Su finestra unta, dalle pingui gole
Gli anni, e più sempre è il ben oprar tardato.
Benché propinqua, e a un solo timon gema
La rota avanti, invan le corri dietro
Tu rota del secondo asse, e postrema.
Bisogna libertà; ma non del metro
Che un Publio iscrive alla tribù Velina,
E di farro gli ottien rognoso e tetro
La bulletta. Oh insensati, a cui sciorina
Un giro a tondo un cittadinI Quel Dama
Mulattier gli è una bestia scerpellina:
Non vai tre soldi, e per la mai più grama
Cosa bugiardo. Prendasi diletto
Il padron di voltarlo, e un Marco Dama
Fuori ti scappa in un girar. Cospetto!
Marco mallevador, non credi argento?
Giudice Marco, tremi? Egli l’ha detto:
Sta cosi: segna, Marco, il testamento.
— Ecco la vera libertà largita
Dal berretto. Di lui, che a suo talento
Puote i giorni condurre, a chi sortita
Fu libertà più intera? E conceduto
Che mi lice qual voglio, il menar vita,
Non mi son io più libero di Bruto?
E falsa la minor, grida qui ratto
Lo Stoico d’aceto acre diluto.
Via quel lice e quel voglio, e non ribatto.
— Poiché la verga del pretor mi fece
Tutto mio, perché mo far issofatto
Ciò, che talenta al mio voler, non lece,
Salva ognor di Masurio la rubrica?
— Odi; e mentre l’error, di che t’infece
 
:Pingue dan nebbia le lucerne spesse:
La nonna, al cor ti svello, il naso esplica
:Coda di tonno in rosso catin nuota;
Dalle rughe del ghigno e della bile.
:Spuman bianchi boccali; e tu sommesse
In possa del pretor non era ei mica
Uno stolto istruir d’ogni civile
Squisito officio, né dell’uso onesto
Della vita che va. L’arpa ad un vile
Lungo galuppo adatterai più presto.
Ragion n’è contra, e gridaci segreta:
Non far ciò che, il facendo, è fuor di sesto.
Umana e natural legge decreta,
Che per disdetta a me quell’arte io tegna,
Che impotente ignoranza mi divieta.
Mesci farmaco, e ignori a qual convegna
Punto fissarne della dose il pondo?
Ciò grande error la medic’arte insegna.
Chiegga ignaro degli astri in mar profondo
Villan scarpato il temo, e Melicerta
Griderà che il pudor morto è nel mondo.
Dritto inceder sai tu? la faccia incerta
Distinguere del vero, ed il falsato
Suon del rame che d’auro ha la coperta?
Le cose da seguirsi hai tu notato
Con la bianca matita? e con la bruna
Le da fuggirsi? Ne’ desir temprato,
Frugai, dolce agli amici, ed opportuna-
mente sai tu serrare e disserrare
Il tuo granajo? e senza gola alcuna
Il nummo al suoi confitto oltrepassare?
Né alla bocca venir l’acqua ti senti,
Se a te Mercurio con la borsa appare?
Se tue tai doti affermi, e non mi menti,
E saggio e liberissimo ti dico,
Il pretore e il gran Giove assenzienti.
 
:Preci borbotti, e pallida la gota
Ma se ritieni ancor del cuojo antico,
:Il sabbato ti fa dei circoncisi.
(Sendo stato tu dianzi della ria
:Negre larve allor van di notte a ruota,
Nostra farina) se al di fuor pudico
Hai di volpe nei cor la furberia,
Il dato avanti mi ripiglio, e al piede
Ti rannodo il servil laccio di pria.
S’alzi un dito, e ragion nol ti concede,
Tu pecchi. Avvi atto più leggier? no mai.
Ma per incensi, ad uom che torto vede,
Né una mica di senno impetrerai.
Non s’accoppia pazzia con la saggezza;
Né tu, nel resto zappator, potrai
Sol tre tempi imitar la leggerezza
Del saltator Batillo. — Io, di’ che vuoi,
Io son libero. — Tu? nella cavezza
Di tanti affetti? E libertà po’ poi
Chi la ti diè? Fuor quella, in che ne pone
Il pretor, divisarne altra non puoi?
Ti dica alcun: va, recami, garzone,
Le stregghie al bagno di Crispin. Se a caso
Ti garrisce: a che stai, pigro ciarlone?
L’aspro comando non t’arriccia il naso?
Dal sospetto d’offesa esteriore
Per tutti i nervi non ti senti invaso?
Ma se ti nasce il tuo tiranno in core,
Stai tu meglio che il servo a portar mosso
Le stregghie dalla sferza e dal timore?
Pigro russi il mattino; e sorgi, adosso
L’Avarizia ti grida: animo, in piedi.
Tu il nieghi; ell’insta: su poltron. — Non posso.
— Sorgi, ti dico. — Per che far? — Mel chiedi?
Sarde e stoppe dal Ponto, ebano e pelo
Castoreo, e incenso e dolce Coo provvedi.
 
:E minaccia il crepato ovo improvvisi
Primo il pepe novel togli al camelo
:Pericoli; ma guai se non manuchi
Sitibondo; baratta, inganna, e giura.
:D’aglio tre spicchi a’ primi albòr precisi.
— Giove udrà. — Gnoccolon! ridotto al gelo
Col dito leccherai la raschiatura
Del rigustato salarin, se vuoi
Viver di Giove nella pia paura.
Ed ecco che succinto a’ servi tuoi
Già le bisacce adatti ed il barile.
Presti, alla vela. E già l’Egeo tu puoi
Con vasto trasvolar franco navile,
Se pria solerte, ed in disparte tratto,
Voluttà non ti storna in questo stile:
Dove corri a trabocco, o mentecatto?
Dove? a qual fin? Di forte bile il fianco
Ti ferve si, che spegnerla un pignatto
Non potria di cicuta. E nondimanco
Tu varcar l’onde? tu cenar seduto
Su torta fune, con la ciurma, al banco?
Ed un rossastro Vejentan, sperduto
Da vaporosa pece, esaleratti
Odor di tanfo da boccal panciuto?
Che vuoi? Che il nummo, che ad onesto or statti
Cinque per cento, con assai sudore
Frutti l’undici, e piil? Bel tempo datti;
Tua vita è mia; cogliam rose d’Amore;
Polve, ombra e fola diverrai; non vano
Fa di morte il pensier; volano l’ore;
Il momento, in cui parlo, è già lontano.
Che far? Ti scinde in due doppio desire.
Qual seguirai? Cader t’è forza in mano,
Servo incerto, or di questo or di quel sire,
E smarrirti. Né ostato, e fatto appena
Un niego all’aspro comandar, non dire:
 
:Opreran di Cibele i lunghi Eunuchi,
Già rotto è il laccio. Ché in lottar si sfrena
:E la losca che d’Isi in guardia ha l’are,
Il veltro ancor; ma dal collo, fuggendo,
:Che a farti un’ otre un Dio dall’Orco sbuchi.
Lungo pezzo si trae della catena.
;C.
Davo, por fine a’ crucci antichi intendo,
:Tra varicosi armati a predicare
Subito, e fede vo’ mi presti tutta.
:Va tai cose; e bestion beffardo e gajo
(Cosi dice Cherestrato rodendo
:Pulfenio griderà: ''chi vuoi comprare''
L’ugna viva). Degg’io farmi con brutta
Fama il disnor di sobrj affini, e il danno?
E il censo biscazzar per una putta,
Mentre mi sto di Criside al tiranno
Bagnato limitar, già spenti i lumi,
Ebbro cantando l’amoroso affanno?
— Coraggio, flgliuol mio, fa senno: ai Numi
Depellenti a ferir corri un’agnella.
— Ma la relitta, o Davo, e non presumi
Che piangerà? — Tu beffi, e la pianella
Rossa in testa vuoi pur. Via, putto in frega,
Non tremar, non smagliar rete si bella.
Or fai l’aspro e il crudel: ma se la strega
Ti richiama, dirai: che far degg’io?
Or che spontanea mi rappella e prega,
Resterò, non v’andrò? Ma, padron mio,
Se a colei ti toglievi intero e netto,
No, non v’andresti né pur or per dio.
Questi, si questi è l’uom ch’io cerco, il petto
Libero; non colui che da bacchetta
Vile è percosso di littore inetto.
Quel palpator, cui parmi non permetta
La candidata ambizfon mai posa,
Vive ei donno di sé? Veglia, t’affretta,
Di ceci ingozza la plebe rissosa,
Onde il nostro FIorai sedenti al sole
Membrino i vecchi. Che più dolce cosa?
 
:''Filosofi? Tre lire il centinajo.''
D’Erode ecco le feste. Di viole
Inghirlandate, ed in bell’ordin messe
Su finestra unta, dalle pingui gole
Pingue dan nebbia le lucerne spesse:
Coda di tonno in rosso catin nuota;
Spuman bianchi boccali; e tu sommesse
Preci borbotti, e pallida la gota
Il sabbato ti fa dei circoncisi.
Negre larve allor van di notte a ruota,
E minaccia il crepato ovo improvvisi
Pericoli; ma guai se non manuchi
D’aglio tre spicchi a’ primi albòr precisi.
Opreran di Cibele i lunghi Eunuchi,
E la losca che d’Is! in guardia ha l’are,
Che a farti un’ otre un Dio dall’Orco sbuchi.
c. Tra varicosi armati a predicare
Va tai cose; e bestion beffardo e gajo
Pulfenio griderà: chi vuoi comprare
Filosofi? Tre lire il centinajo.
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