Satire (Persio)/V: differenze tra le versioni
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''Ad A. Cornuto suo
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:Antica d’ogni vate usanza è questa
:Cento bocche augurarsi e cento voci
:E cento lingue, o imprenda a cantar mesta
:Favola da gridarsi a larghe foci
:Dal Tragedo, o le piaghe de’ traenti
:Dall’inguine lo stral Parti feroci.
;C.
:Dove scappi? A che tanti infarcimenti
:Giú t’incanni di carme giganteo
:Da voler cento strozze? Alti-loquenti
:Imbottin nebbia i vati, a cui d’Atreo
:O di Progne la pentola sobbolle,
:Frequente cena di Glicon baggeo.
:Tu mentre il ferro al foco si fa molle,
:Non premi i venti nel mantice anelo,
:Né con chiuso romor non so che polle
:Grave gorgogli, che non vaglion pelo;
:Né per iscoppio far gonfi la bocca.
:A pacato parlar tu drizzi il telo:
:Acre, unito, rotondo, e corto scocca
:Tuo stil, radente i rei costumi, e fiedi
:La colpa d’uno stral che scherza e tocca.
:Ecco onde trarre il dir. Con teschi e piedi
:Mense imbandite lasciale a Micene,
:Ed umile a plebeo desco ti siedi.
;P.
:Non io certo m’adopro, che ripiene
:D’alte ciance mi scoppino le carte
:Atte a far granchi comparir balene.
:Siamo a quattr’occhi, ed a scrutinio or darte,
:Esortante la Musa, il cor vogl’io;
:E quanta di quest’alma intima parte
:Sia tua, mi giova a te far chiaro, o mio
:Dolce amico. Qui picchia, a questo seno,
:Tu che scemi il buon vaso al tintinnío,
:E il parlar, che par vero, e al ver vien meno.
:Gli è per ciò che oserei chieder le cento
:Bocche, onde quanto di te il petto ho pieno,
:Manifestarlo con sincero accento,
:E tutto aprir del cor segreto omai
:Il celato ineffabil sentimento.
:Ratto che paventoso abbandonai
:La custode pretesta, ed ai succinti
:Lari la borchia pueril sacrai;
:Quando la bianca toga e amici infinti
:Per tutta la Suburra impunemente
:Gli errabondi miei sguardi ebber sospinti;
:Quando dubbia è la via, quando inscíente
:L’error d’esperíenza, nel sospetto
:Rattien sul bivio ingannator la mente;
:Io miti diedi: e tu me giovinetto
:Nel socratico sen prendi, e tua norma
:Con dolce inganno il torto andar fa retto.
:L’animo al raggio di ragion s’informa,
:E d’esser vinto anela, e dal tuo dito
:Prende foggiato una maestra forma.
:Il ricordo nel cor mi sta scolpito
:De’ ben spesi di teco, e delle quete
:Notti sfiorate in convivar gradito.
:Uno lo studio, ed una la quiete
:D’entrambi, e in uno a vereconda cena
:I severi pensier sepolti in Lete.
:Non dubbiarlo; un tenor solo incatena,
:Un sol astro d’entrambo i dí felici:
:O nella Libra in lance egual gli frena
:Verace Parca con immoti auspici;
:o i nostri fati ne’ Gemelli accorda
:L’oroscopo che splende ai fidi amici;
:O con benigno Giove in un la sorda
:Rompiam saturnia luce; io non so quale,
:Ma un astro ha certo che mi ti concorda.
:Mille gli umani aspetti, e disuguale
:La condotta; ciascuno ha propia mente,
:Nullo il desire a quel dell’altro eguale.
:Qual con itala merce in Oríente
:Cambia il pepe, ed il pallido comino;
:Qual mangia e dorme e ingrassa allegramente.
:Altri intende alla lotta, altri meschino
:Si diserta nel gioco, e quei d’impura
:Venere marcio scola lo stoppino.
:Ma come al vecchio tronco ogni giuntura
:La chiragra impietrisce, allor dolenti
:Piangon lor vita paludosa e scura;
:E la piangon, ma tardi, alle cadenti
:Membra lasciata per maggior soffrire.
:Ma tu cultor di giovinette menti
:Su le notturne carte impallidire
:Ti piaci, e poscia ne’ purgati orecchi
:Il saper Cleanteo destro inserire.
:Quí quí cercate, garzonetti e vecchi,
:Dell’animo l’indrizzo, e adesso adesso
:Parate il vitto ai crin canuti e secchi.
:— Diman farollo. — Diman fia lo stesso.
:— Che? dando un giorno è poi sí grande il dato?
:— Ma rapido venuto il giorno appresso,
:Il domani di jeri è già passato.
:Ecco un altro domani, che ti scema
:Gli anni, e più sempre è il ben oprar tardato.
:Benché propinqua, e a un solo timon gema
:La rota avanti, invan le corri dietro
:Tu rota del secondo asse, e postrema.
:Bisogna libertà; ma non del metro
:Che un Publio iscrive alla tribù Velina,
:E di farro gli ottien rognoso e tetro
:La bulletta. Oh insensati, a cui sciorina
:Un giro a tondo un cittadin! Quel Dama
:Mulattier gli è una bestia scerpellina:
:Non vai tre soldi, e per la mai piú grama
:Cosa bugiardo. Prendasi diletto
:Il padron di voltarlo, e un Marco Dama
:Fuori ti scappa in un girar. Cospetto!
:Marco mallevador, non credi argento?
:Giudice Marco, tremi? Egli l’ha detto:
:Sta cosí: segna, Marco, il testamento.
:— Ecco la vera libertà largita
:Dal berretto. Di lui, che a suo talento
:Puote i giorni condurre, a chi sortita
:Fu libertà più intera? E conceduto
:Che ''mi lice qual voglio'', il menar vita,
:Non mi son io piú libero di Bruto?
:E falsa la minor, grida qui ratto
:Lo Stoico d’aceto acre diluto.
:Via quel ''lice'' e quel ''voglio'', e non ribatto.
:— Poiché la verga del pretor mi fece
:Tutto mio, perché mo far issofatto
:Ciò, che talenta al mio voler, non lece,
:Salva ognor di Masurio la rubrica?
:— Odi; e mentre l’error, di che t’infece
:La nonna, al cor ti svello, il naso esplica
:Dalle rughe del ghigno e della bile.
:In possa del pretor non era ei mica
:Uno stolto istruir d’ogni civile
:Squisito officio, né dell’uso onesto
:Della vita che va. L’arpa ad un vile
:Lungo galuppo adatterai piú presto.
:Ragion n’è contra, e gridaci segreta:
:Non far ciò che, il facendo, è fuor di sesto.
:Umana e natural legge decreta,
:Che per disdetta a me quell’arte io tegna,
:Che impotente ignoranza mi divieta.
:Mesci farmaco, e ignori a qual convegna
:Punto fissarne della dose il pondo?
:Ciò grande error la medic’arte insegna.
:Chiegga ignaro degli astri in mar profondo
:Villan scarpato il temo, e Melicerta
:Griderà che il pudor morto è nel mondo.
:Dritto inceder sai tu? la faccia incerta
:Distinguere del vero, ed il falsato
:Suon del rame che d’auro ha la coperta?
:Le cose da seguirsi hai tu notato
:Con la bianca matita? e con la bruna
:Le da fuggirsi? Ne’ desir temprato,
:Frugai, dolce agli amici, ed opportuna-
:mente sai tu serrare e disserrare
:Il tuo granajo? e senza gola alcuna
:Il nummo al suoi confitto oltrepassare?
:Né alla bocca venir l’acqua ti senti,
:Se a te Mercurio con la borsa appare?
:Se tue tai doti affermi, e non mi menti,
:E saggio e liberissimo ti dico,
:Il pretore e il gran Giove assenzíenti.
:Ma se ritieni ancor del cuojo antico,
:(Sendo stato tu dianzi della ria
:Nostra farina) se al di fuor pudico
:Hai di volpe nei cor la furberia,
:Il dato avanti mi ripiglio, e al piede
:Ti rannodo il servil laccio di pria.
:S’alzi un dito, e ragion nol ti concede,
:Tu pecchi. Avvi atto più leggier? no mai.
:Ma per incensi, ad uom che torto vede,
:Né una mica di senno impetrerai.
:Non s’accoppia pazzia con la saggezza;
:Né tu, nel resto zappator, potrai
:Sol tre tempi imitar la leggerezza
:Del saltator Batillo. — Io, di’ che vuoi,
:Io son libero. — Tu? nella cavezza
:Di tanti affetti? E libertà po’ poi
:Chi la ti diè? Fuor quella, in che ne pone
:Il pretor, divisarne altra non puoi?
:Ti dica alcun: ''va, recami, garzone,''
:''Le stregghie al bagno di Crispin''. Se a caso
:Ti garrisce: ''a che stai, pigro ciarlone?''
:L’aspro comando non t’arriccia il naso?
:Dal sospetto d’offesa esteríore
:Per tutti i nervi non ti senti invaso?
:Ma se ti nasce il tuo tiranno in core,
:Stai tu meglio che il servo a portar mosso
:Le stregghie dalla sferza e dal timore?
:Pigro russi il mattino; e sorgi, adosso
:L’Avarizia ti grida: animo, in piedi.
:Tu il nieghi; ell’insta: su poltron. — Non posso.
:— Sorgi, ti dico. — Per che far? — Mel chiedi?
:Sarde e stoppe dal Ponto, ebano e pelo
:Castoreo, e incenso e dolce Coo provvedi.
:Primo il pepe novel togli al camelo
:Sitibondo; baratta, inganna, e giura.
:— Giove udrà. — Gnoccolon! ridotto al gelo
:Col dito leccherai la raschiatura
:Del rigustato salarin, se vuoi
:Viver di Giove nella pia paura.
:Ed ecco che succinto a’ servi tuoi
:Già le bisacce adatti ed il barile.
:Presti, alla vela. E già l’Egeo tu puoi
:Con vasto trasvolar franco navile,
:Se pria solerte, ed in disparte tratto,
:Voluttà non ti storna in questo stile:
:Dove corri a trabocco, o mentecatto?
:Dove? a qual fin? Di forte bile il fianco
:Ti ferve sí, che spegnerla un pignatto
:Non potria di cicuta. E nondimanco
:Tu varcar l’onde? tu cenar seduto
:Su torta fune, con la ciurma, al banco?
:Ed un rossastro Vejentan, sperduto
:Da vaporosa pece, esaleratti
:Odor di tanfo da boccal panciuto?
:Che vuoi? Che il nummo, che ad onesto or statti
:Cinque per cento, con assai sudore
:Frutti l’undici, e piú? Bel tempo datti;
:Tua vita è mia; cogliam rose d’Amore;
:Polve, ombra e fola diverrai; non vano
:Fa di morte il pensier; volano l’ore;
:Il momento, in cui parlo, è già lontano.
:Che far? Ti scinde in due doppio desire.
:Qual seguirai? Cader t’è forza in mano,
:Servo incerto, or di questo or di quel sire,
:E smarrirti. Né ostato, e fatto appena
:Un niego all’aspro comandar, non dire:
:Già rotto è il laccio. Ché in lottar si sfrena
:Il veltro ancor; ma dal collo, fuggendo,
:Lungo pezzo si trae della catena.
:Davo, por fine a’ crucci antichi intendo,
:Subito, e fede vo’ mi presti tutta.
:(Cosi dice Cherestrato rodendo
:L’ugna viva). Degg’io farmi con brutta
:Fama il disnor di sobrj affini, e il danno?
:E il censo biscazzar per una putta,
:Mentre mi sto di Criside al tiranno
:Bagnato limitar, già spenti i lumi,
:Ebbro cantando l’amoroso affanno?
:— Coraggio, flgliuol mio, fa senno: ai Numi
:Depellenti a ferir corri un’agnella.
:— Ma la relitta, o Davo, e non presumi
:Che piangerà? — Tu beffi, e la pianella
:Rossa in testa vuoi pur. Via, putto in frega,
:Non tremar, non smagliar rete si bella.
:Or fai l’aspro e il crudel: ma se la strega
:Ti richiama, dirai: che far degg’io?
:Or che spontanea mi rappella e prega,
:Resterò, non v’andrò? Ma, padron mio,
:Se a colei ti toglievi intero e netto,
:No, non v’andresti né pur or per dio.
:Questi, si questi è l’uom ch’io cerco, il petto
:Libero; non colui che da bacchetta
:Vile è percosso di littore inetto.
:Quel palpator, cui parmi non permetta
:La candidata ambizíon mai posa,
:Vive ei donno di sé? Veglia, t’affretta,
:Di ceci ingozza la plebe rissosa,
:Onde il nostro Floral sedenti al sole
:Membrino i vecchi. Che più dolce cosa?
:D’Erode ecco le feste. Di víole
:Inghirlandate, ed in bell’ordin messe
:Su finestra unta, dalle pingui gole
:Pingue dan nebbia le lucerne spesse:
:Coda di tonno in rosso catin nuota;
:Spuman bianchi boccali; e tu sommesse
:Preci borbotti, e pallida la gota
:Il sabbato ti fa dei circoncisi.
:Negre larve allor van di notte a ruota,
:E minaccia il crepato ovo improvvisi
:Pericoli; ma guai se non manuchi
:D’aglio tre spicchi a’ primi albòr precisi.
:Opreran di Cibele i lunghi Eunuchi,
:E la losca che d’Isi in guardia ha l’are,
:Che a farti un’ otre un Dio dall’Orco sbuchi.
;C.
:Tra varicosi armati a predicare
:Va tai cose; e bestion beffardo e gajo
:Pulfenio griderà: ''chi vuoi comprare''
:''Filosofi? Tre lire il centinajo.''
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