Canti (Leopardi - Donati)/IX. Ultimo canto di Saffo: differenze tra le versioni

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<small><[[|NomeCognome=Giacomo Leopardi]]</small>
|TitoloOpera=Ultimo canto di Saffo
[[Categoria:Poesie]]
|NomePaginaOpera=Ultimo canto di Saffo
----
|AnnoPubblicazione=maggio 1822
|TitoloSezione=
}}
 
Placida notte, e verecondo raggio<br />
Della cadente luna; e tu che spunti<br />
Fra la tacita selva in su la rupe,<br />
Nunzio del giorno; oh dilettose e care<br />
Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,<br />
Sembianze agli occhi miei; già non arride<br />
Spettacol molle ai disperati affetti.<br />
Noi l'insueto allor gaudio ravviva<br />
Quando per l'etra liquido si volve<br />
E per li campi trepidanti il flutto<br />
Polveroso de' Noti, e quando il carro,<br />
Grave carro di Giove a noi sul capo,<br />
Tonando, il tenebroso aere divide.<br />
Noi per le balze e le profonde valli<br />
Natar giova tra' nembi, e noi la vasta<br />
Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto<br />
Fiume alla dubbia sponda<br />
Il suono e la vittrice ira dell'onda.<br />
<br />
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella<br />
Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta<br />
Infinita beltà parte nessuna<br />
Alla misera Saffo i numi e l'empia<br />
Sorte non fenno. A' tuoi superbi regni<br />
Vile, o natura, e grave ospite addetta,<br />
E dispregiata amante, alle vezzose<br />
Tue forme il core e le pupille invano<br />
Supplichevole intendo. A me non ride<br />
L'aprico margo, e dall'eterea porta<br />
Il mattutino albor; me non il canto<br />
De' colorati augelli, e non de' faggi<br />
Il murmure saluta: e dove all'ombra<br />
Degl'inchinati salici dispiega<br />
Candido rivo il puro seno, al mio<br />
Lubrico piè le flessuose linfe<br />
Disdegnando sottragge,<br />
E preme in fuga l'odorate spiagge.<br />
<br />
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso<br />
Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo<br />
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?<br />
In che peccai bambina, allor che ignara<br />
Di misfatto è la vita, onde poi scemo<br />
Di giovanezza, e disfiorato, al fuso<br />
Dell'indomita Parca si volvesse<br />
Il ferrigno mio stame? Incaute voci<br />
Spande il tuo labbro: i destinati eventi<br />
Move arcano consiglio. Arcano è tutto,<br />
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole<br />
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo<br />
De' celesti si posa. Oh cure, oh speme<br />
De' più verd'anni! Alle sembianze il Padre,<br />
Alle amene sembianze eterno regno<br />
Diè nelle genti; e per virili imprese,<br />
Per dotta lira o canto,<br />
Virtù non luce in disadorno ammanto.<br />
<br />
Morremo. Il velo indegno a terra sparto,<br />
Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,<br />
E il crudo fallo emenderà del cieco<br />
Dispensator de' casi. E tu cui lungo<br />
Amore indarno, e lunga fede, e vano<br />
D'implacato desio furor mi strinse,<br />
Vivi felice, se felice in terra<br />
Visse nato mortal. Me non asperse<br />
Del soave licor del doglio avaro<br />
Giove, poi che perìr gl'inganni e il sogno<br />
Della mia fanciullezza. Ogni più lieto<br />
Giorno di nostra età primo s'invola.<br />
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra<br />
Della gelida morte. Ecco di tante<br />
Sperate palme e dilettosi errori,<br />
Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno<br />
Han la tenaria Diva<br />
E l'atra notte, e la silente riva.<br />
 
Della cadente luna; e tu che spunti
 
{{Wikipediaopera|Giacomo_Leopardi#Ultimo_canto_di_Saffo}}
Fra la tacita selva in su la rupe,
 
[[Categoria:Poesie]]
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
 
Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
 
Sembianze agli occhi miei; già non arride
 
Spettacol molle ai disperati affetti.
 
Noi l'insueto allor gaudio ravviva
 
Quando per l'etra liquido si volve
 
E per li campi trepidanti il flutto
 
Polveroso de' Noti, e quando il carro,
 
Grave carro di Giove a noi sul capo,
 
Tonando, il tenebroso aere divide.
 
Noi per le balze e le profonde valli
 
Natar giova tra' nembi, e noi la vasta
 
Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto
 
Fiume alla dubbia sponda
 
Il suono e la vittrice ira dell'onda.
 
 
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
 
Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
 
Infinita beltà parte nessuna
 
Alla misera Saffo i numi e l'empia
 
Sorte non fenno. A' tuoi superbi regni
 
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
 
E dispregiata amante, alle vezzose
 
Tue forme il core e le pupille invano
 
Supplichevole intendo. A me non ride
 
L'aprico margo, e dall'eterea porta
 
Il mattutino albor; me non il canto
 
De' colorati augelli, e non de' faggi
 
Il murmure saluta: e dove all'ombra
 
Degl'inchinati salici dispiega
 
Candido rivo il puro seno, al mio
 
Lubrico piè le flessuose linfe
 
Disdegnando sottragge,
 
E preme in fuga l'odorate spiagge.
 
 
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
 
Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
 
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
 
In che peccai bambina, allor che ignara
 
Di misfatto è la vita, onde poi scemo
 
Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
 
Dell'indomita Parca si volvesse
 
Il ferrigno mio stame? Incaute voci
 
Spande il tuo labbro: i destinati eventi
 
Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
 
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
 
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
 
De' celesti si posa. Oh cure, oh speme
 
De' più verd'anni! Alle sembianze il Padre,
 
Alle amene sembianze eterno regno
 
Diè nelle genti; e per virili imprese,
 
Per dotta lira o canto,
 
Virtù non luce in disadorno ammanto.
 
 
Morremo. Il velo indegno a terra sparto,
 
Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,
 
E il crudo fallo emenderà del cieco
 
Dispensator de' casi. E tu cui lungo
 
Amore indarno, e lunga fede, e vano
 
D'implacato desio furor mi strinse,
 
Vivi felice, se felice in terra
 
Visse nato mortal. Me non asperse
 
Del soave licor del doglio avaro
 
Giove, poi che perìr gl'inganni e il sogno
 
Della mia fanciullezza. Ogni più lieto
 
Giorno di nostra età primo s'invola.
 
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra
 
Della gelida morte. Ecco di tante
 
Sperate palme e dilettosi errori,
 
Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno
 
Han la tenaria Diva
 
E l'atra notte, e la silente riva.