Canti (Leopardi - Donati)/V. A un vincitore nel pallone: differenze tra le versioni

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|NomeCognome=Giacomo Leopardi
[[Categoria:Testi|A un vincitore nel pallone]]
|TitoloOpera=A un vincitore nel pallone
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Di gloria il viso e la gioconda voce
 
Di gloria il viso e la gioconda voce<br/>
Garzon bennato, apprendi,
Garzon bennato, apprendi,<br/>
E quanto al femminile ozio sovrasti<br/>
La sudata virtude. Attendi attendi,<br/>
Magnanimo campion (s'alla veloce<br/>
Piena degli anni il tuo valor contrasti<br/>
La spoglia di tuo nome), attendi e il core<br/>
Movi ad alto desio. Te l'echeggiante<br/>
Arena e il circo, e te fremendo appella<br/>
Ai fatti illustri il popolar favore;<br/>
Te rigoglioso dell'età novella<br/>
Oggi la patria cara<br/>
Gli antichi esempi a rinnovar prepara.<br/>
<br/>
Del barbarico sangue in Maratona<br/>
Non colorò la destra<br/>
Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,<br/>
Che stupido mirò l'ardua palestra,<br/>
Nè la palma beata e la corona<br/>
D'emula brama il punse. E nell'Alfeo<br/>
Forse le chiome polverose e i fianchi<br/>
Delle cavalle vincitrici asterse<br/>
Tal che le greche insegne e il greco acciaro<br/>
Guidò de' Medi fuggitivi e stanchi<br/>
Nelle pallide torme; onde sonaro<br/>
Di sconsolato grido<br/>
L'alto sen dell'Eufrate e il servo lido.<br/>
<br/>
Vano dirai quel che disserra e scote<br/>
Della virtù nativa<br/>
Le riposte faville? e che del fioco<br/>
Spirto vital negli egri petti avviva<br/>
II caduco fervor? Le meste rote<br/>
Da poi che Febo instiga, altro che gioco<br/>
Son l'opre de' mortali? ed è men vano<br/>
Della menzogna il vero? A noi di lieti<br/>
Inganni e di felici ombre soccorse<br/>
Natura stessa: e là dove l'insano<br/>
Costume ai forti errori esca non porse,<br/>
Negli ozi oscuri e nudi<br/>
Mutò la gente i gloriosi studi.<br/>
<br/>
Tempo forse verrà ch'alle ruine<br/>
Delle italiche moli<br/>
Insultino gli armenti, e che l'aratro<br/>
Sentano i sette colli; e pochi Soli<br/>
Forse fien volti, e le città latine<br/>
Abiterà la cauta volpe, e l'atro<br/>
Bosco mormorerà fra le alte mura;<br/>
Se la funesta delle patrie cose<br/>
Obblivion dalle perverse menti<br/>
Non isgombrano i fati, e la matura<br/>
Clade non torce dalle abbiette genti<br/>
Il ciel fatto cortese<br/>
Dal rimembrar delle passate imprese.<br/>
<br/>
Alla patria infelice, o buon garzone,<br/>
Sopravviver ti doglia.<br/>
Chiaro per lei stato saresti allora<br/>
Che del serto fulgea, di ch'ella è spoglia,<br/>
Nostra colpa e fatal. Passò stagione;<br/>
Che nullo di tal madre oggi s'onora:<br/>
Ma per te stesso al polo ergi la mente.<br/>
Nostra vita a che val? solo a spregiarla:<br/>
Beata allor che ne' perigli avvolta,<br/>
Se stessa obblia, nè delle putri e lente<br/>
Ore il danno misura e il flutto ascolta<br/>
Beata allor che il piede<br/>
Spinto al varco leteo, più grata riede.<br/>
 
E quanto al femminile ozio sovrasti
 
[[Categoria:Poesie]]
La sudata virtude. Attendi attendi,
 
Magnanimo campion (s'alla veloce
 
Piena degli anni il tuo valor contrasti
 
La spoglia di tuo nome), attendi e il core
 
Movi ad alto desio. Te l'echeggiante
 
Arena e il circo, e te fremendo appella
 
Ai fatti illustri il popolar favore;
 
Te rigoglioso dell'età novella
 
Oggi la patria cara
 
Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
 
 
Del barbarico sangue in Maratona
 
Non colorò la destra
 
Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
 
Che stupido mirò l'ardua palestra,
 
Nè la palma beata e la corona
 
D'emula brama il punse. E nell'Alfeo
 
Forse le chiome polverose e i fianchi
 
Delle cavalle vincitrici asterse
 
Tal che le greche insegne e il greco acciaro
 
Guidò de' Medi fuggitivi e stanchi
 
Nelle pallide torme; onde sonaro
 
Di sconsolato grido
 
L'alto sen dell'Eufrate e il servo lido.
 
 
Vano dirai quel che disserra e scote
 
Della virtù nativa
 
Le riposte faville? e che del fioco
 
Spirto vital negli egri petti avviva
 
II caduco fervor? Le meste rote
 
Da poi che Febo instiga, altro che gioco
 
Son l'opre de' mortali? ed è men vano
 
Della menzogna il vero? A noi di lieti
 
Inganni e di felici ombre soccorse
 
Natura stessa: e là dove l'insano
 
Costume ai forti errori esca non porse,
 
Negli ozi oscuri e nudi
 
Mutò la gente i gloriosi studi.
 
 
Tempo forse verrà ch'alle ruine
 
Delle italiche moli
 
Insultino gli armenti, e che l'aratro
 
Sentano i sette colli; e pochi Soli
 
Forse fien volti, e le città latine
 
Abiterà la cauta volpe, e l'atro
 
Bosco mormorerà fra le alte mura;
 
Se la funesta delle patrie cose
 
Obblivion dalle perverse menti
 
Non isgombrano i fati, e la matura
 
Clade non torce dalle abbiette genti
 
Il ciel fatto cortese
 
Dal rimembrar delle passate imprese.
 
 
Alla patria infelice, o buon garzone,
 
Sopravviver ti doglia.
 
Chiaro per lei stato saresti allora
 
Che del serto fulgea, di ch'ella è spoglia,
 
Nostra colpa e fatal. Passò stagione;
 
Che nullo di tal madre oggi s'onora:
 
Ma per te stesso al polo ergi la mente.
 
Nostra vita a che val? solo a spregiarla:
 
Beata allor che ne' perigli avvolta,
 
Se stessa obblia, nè delle putri e lente
 
Ore il danno misura e il flutto ascolta
 
Beata allor che il piede
 
Spinto al varco leteo, più grata riede.