Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/56: differenze tra le versioni

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era della potenza ottomana. Ma l’astuta negoriatrice conobbe che, per mantenersi senz’armi nel nuovo dominio, le bisognava il braccio dei castellani, sorti a nuova prepotenza pel bisogno che il contado aveva avuto di loro nelle ultime invasioni turchesche. Da ciò la tolleranza dei vecchi ordinamenti feudali; la quale si perpetuò come tutto si perpetuava in quel corpo già infermo e paludoso della Repubblica. I nobili continuarono lor dimora nei castelli tre secoli dopo che i loro colleghi connazionali s’eran già fatti cittadini; e le virtù d’altri tempi in parte diventarono vizio, quando il mutarsi delle condizioni generali tolse loro l’aria di cui vivevano. Il valore diventò ferocia, l’orgoglio soperchieria, e l’ospitalità cambiossi a poco a poco nella superba e illegale protezione dei peggiori capi da forca. San Marco sonnecchiava; o se vegliava e puniva, la giustizia si faceva al buio; atroce pel mistero, e inutile pel nessun esempio. Intanto il patriziato friulano cominciava a dividersi in due fazioni; l’una paesana, più rozza, più selvatica, e meno propizia alla dominazione dei curiali veneziani, l’altra veneziana, cittadinesca, ammollita dal diuturno consorzio coi nobili della dominante. Le antiche memorie famigliari e la vicinanza delle terre dell’Impero attiravano la prima al partito imperiale; la seconda per somiglianza di costumi, piegavasi sempre meglio a una servile obbedienza dei governanti; ribelle la prima per istinto, impecorita la seconda per nullaggine, ambidue più che inutili, nocive al bene del paese. Così veggiamo parecchi casati magnatizi durare per molte generazioni al servizio della Corte di Vienna, e molti altri invece imparentarsi coi nobil uomini di Canalazzo ed esser onorati nella Repubblica da cariche cospicue. Ma i due partiti non s’aveano diviso fra loro le costumanze e i favori per modo, che non fosse qualche parte promiscua. Anzi alcuno fra i più petulanti castellani fu veduto talvolta andarne a Venezia per far ammenda dei soprusi commessi,
<span title="SAL" style="display:none;">56,3</span>era della potenza ottomana. Ma l’astuta negoriatrice conobbe che, per mantenersi senz’armi nel nuovo dominio, le bisognava il braccio dei castellani, sorti a nuova prepotenza pel bisogno che il contado aveva avuto di loro nelle ultime invasioni turchesche. Da ciò la tolleranza dei vecchi ordinamenti feudali; la quale si perpetuò come tutto si perpetuava in quel corpo già infermo e paludoso della Repubblica. I nobili continuarono lor dimora nei castelli tre secoli dopo che i loro colleghi connazionali s’eran già fatti cittadini; e le virtù d’altri tempi in parte diventarono vizio, quando il mutarsi delle condizioni generali tolse loro l’aria di cui vivevano. Il valore diventò ferocia, l’orgoglio soperchieria, e l’ospitalità cambiossi a poco a poco nella superba e illegale protezione dei peggiori capi da forca. San Marco sonnecchiava; o se vegliava e puniva, la giustizia si faceva al buio; atroce pel mistero, e inutile pel nessun esempio. Intanto il patriziato friulano cominciava a dividersi in due fazioni; l’una paesana, più rozza, più selvatica, e meno propizia alla dominazione dei curiali veneziani, l’altra veneziana, cittadinesca, ammollita dal diuturno consorzio coi nobili della dominante. Le antiche memorie famigliari e la vicinanza delle terre dell’Impero attiravano la prima al partito imperiale; la seconda per somiglianza di costumi, piegavasi sempre meglio a una servile obbedienza dei governanti; ribelle la prima per istinto, impecorita la seconda per nullaggine, ambidue più che inutili, nocive al bene del paese. Così veggiamo parecchi casati magnatizi durare per molte generazioni al servizio della Corte di Vienna, e molti altri invece imparentarsi coi nobil uomini di Canalazzo ed esser onorati nella Repubblica da cariche cospicue. Ma i due partiti non s’aveano diviso fra loro le costumanze e i favori per modo, che non fosse qualche parte promiscua. Anzi alcuno fra i più petulanti castellani fu veduto talvolta andarne a Venezia per far ammenda dei soprusi commessi,