Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/61: differenze tra le versioni

 
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due lucernette e allo scoppiettante fiammeggiar del ginepro, io stava ricomponendo le figure che vi solevano sedere nei lunghi dopopranzi della vernata, al tempo della mia infanzia. Il conte colla sua ombra, monsignor Orlando, il capitano Sandracca, Marchetto cavallante e ser Andreino, il primo uomo della Comune di Teglie. Questo è un nuovo personaggio di cui non ho ancora fatto parola, ma bisognerebbe discorrerne a lungo per dare un'idea del cosa fosse allora questo ceto mezzano, campagnuolo fra la signoria e il contadiname. Che cosa fosse davvero, sarebbe un intruglio a volerlo capire, ma quel che volesse sembrare posso dirlo in due tratti di penna. Voleva sembrare umilissimo servitore nei castelli, e confidente del castellano, e perciò secondo padrone in paese. Chi aveva buona indole volgeva a bene questa singolare ambizione, e chi era invece taccagno, scroccone o cattivo, ne era tirato alla più bassa e doppia malvagità. Ma ser Andreino andava primo fra i primi; poichè se era accorto e chiacchierone, aveva in fondo la miglior pasta del mondo, e non avrebbe cavato l'ala ad una vespa dopo esserne stato beccato. I servitori, gli staffieri il trombetta, la guattera e la cuoca erano pane e cacio con lui, e quando il conte non gli era fra i piedi, scherzava con loro e aiutava il figliuolo del castaldo a spennar gli uccelletti. Ma appena capitava il conte, si ricomponeva per badare solamente a lui, quasichè fosse sacrilegio occuparsi d’altro, quando si godeva della felicissima presenza di un giurisdicente. E secondo i probabili desiderii di questo, egli era il primo a ridere, a dir di sì, a dir di no, e perfino anche a disdirsi se avea sbagliato colla prima imbroccata. C'era anche un certo Martino, antico cameriere del padre di sua Eccellenza, che bazzicava sempre per cucina come un vecchio cane da caccia messo tra gli invalidi: e voleva ficcare il naso nelle credenze e nelle cazzeruole con
due lucernette e allo scoppiettante fiammeggiar del ginepro, io stava ricomponendo le figure che vi solevano sedere nei lunghi dopopranzi della vernata, al tempo della mia infanzia. Il conte colla sua ombra, monsignor Orlando, il capitano Sandracca, Marchetto cavallante e ser Andreino, il primo uomo della Comune di Teglie. Questo è un nuovo personaggio di cui non ho ancora fatto parola, ma bisognerebbe discorrerne a lungo per dare un’idea del cosa fosse allora questo ceto mezzano, campagnuolo fra la signoria e il contadiname. Che cosa fosse davvero, sarebbe un intruglio a volerlo capire, ma quel che volesse sembrare posso dirlo in due tratti di penna. Voleva sembrare umilissimo servitore nei castelli, e confidente del castellano, e perciò secondo padrone in paese. Chi aveva buona indole volgeva a bene questa singolare ambizione, e chi era invece taccagno, scroccone o cattivo, ne era tirato alla più bassa e doppia malvagità. Ma ser Andreino andava primo fra i primi; poichè se era accorto e chiacchierone, aveva in fondo la miglior pasta del mondo, e non avrebbe cavato l’ala ad una vespa dopo esserne stato beccato. I servitori, gli staffieri il trombetta, la guattera e la cuoca erano pane e cacio con lui, e quando il conte non gli era fra i piedi, scherzava con loro e aiutava il figliuolo del castaldo a spennar gli uccelletti. Ma appena capitava il conte, si ricomponeva per badare solamente a lui, quasichè fosse sacrilegio occuparsi d’altro, quando si godeva della felicissima presenza di un giurisdicente. E secondo i probabili desiderii di questo, egli era il primo a ridere, a dir di sì, a dir di no, e perfino anche a disdirsi se avea sbagliato colla prima imbroccata. C’era anche un certo Martino, antico cameriere del padre di sua Eccellenza, che bazzicava sempre per cucina come un vecchio cane da caccia messo tra gli invalidi: e voleva ficcare il naso nelle credenze e nelle cazzeruole con