Rime (Guittone d'Arezzo)/Vergogna ho, lasso, ed ho me stesso ad ira: differenze tra le versioni

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{{Qualità|avz=75101%|data=1210 settembremarzo 20082011|arg=Canzoni}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=Vergogna ho, lasso, ed ho me stesso ad ira|prec=../Ora parrà s'eo saverò cantare|succ=../Ahi, quant'ho che vergogni e che doglia aggio}}
 
<poem>
Vergogna ho, lasso, ed ho me stesso ad ira;
e doveria via piùpiú, reconoscendo
co male usai la fior del tempo mio.
Perché no lo meo cor sempre sospira,
{{R|5}}e gli occhi perché mai finan piangendo,
e la bocca di dir: merzede, Dio,
poi franchezza di core e vertùvertú d’alma
tutta sommisi, ohimè lasso, al servaggio
de’ vizi miei, non Dio, né bon usaggio,
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non mutando desire?
S’eo resurgesse, com fenice face,
giàgiá fora a la fornace
lo putrefatto meo vil corpo ardendo;
{{R|15}}ma, poi non posso, attendo
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di tal guisa, ch’eo vegna
purificato e mondo di carne e alma.
Ohi, lasso! GiàGiá vegg’io genere omano,
{{R|20}}che segnoril naturalmente è tanto,
che ’l minor om talenta emperiare;
e ciò, piùpiú ch’altro, i piace, e piùpiú li è strano
d’aver segnor; ché Dio volontier manto
non vole giàgiá ciascun, come pare.
{{R|25}}Come poi donque lo minore e ’l maggio
sommette a vizio corpo ed alma e core?
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{{R|30}}tenere l’omo ben sotto ragione?
Ahi, che somm’è ’l campione
che , ov’onne segnor perde, è vincente,
né poi d’altro è perdente;
ché, loco u’ la vertùvertú de l’alma empera,
{{R|35}}non è nocente spera,
né tema, né dolor, ned allegraggio.
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o stolti de vil nostro savere,
o poveri de riccor, bassi d’altezza;
{{R|40}}com’è vertàvertá da noi tanto fallita,
ch’ogne cosa di vizio è noi piacere
ed ogne cosa de vertùvertú gravezza?
GiàGiá filosofi, Dio non conoscendo,
né poi morte sperando guiderdone,
{{R|45}}ischifar vizi aver tutta stagione,
seguendo vertùvertú, ch’onesta vita
fu lor gaudio e lor vita.
Noi con donque può cosa altra abellire,
che ’n vertùvertú lui seguire,
{{R|50}}lo qual chi ’l segue ben perde temore?
Ché non teme segnore,
morte, né povertàpovertá, danno, né pene,
ch’ogni cosa gli è bene,
come noi è mal, non lui seguendo.
{{R|55}} Pugnam donque a valer forzosamente;
no ’l ben schifiam perché noi sembri grave;
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è dato el mondo noi: non per gaudere,
{{R|75}}ma per esso eternal vita acquistare;
e no l’alma al corpo è giàgiá creata,
ma ’l corpo a l’alma, e l’alma a Deo piacere,
perché Lui, più che noi, devemo amare.
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{{R|80}}e, se ne desamammo e demmo altrui,
di se medesmo raccattonne poi.
Ahi, perché, lasso! , avem l’alma a vile?
GiàGiá l’ebb’ei a gentile,
che prese, per trar lei d’eternal morte,
{{R|85}}umanitate e morte.
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ciò che può nostro cor desiderare;
né mai altro pagare
{{R|90}}ne può giàgiá, che lo ben ch’ha noi promesso.
O sommo ben, da cui ben tutto è nato,
o luce, per qual vede ogne visaggio,
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e fa ch’a ciò lutto meo cor sia dato!
A messer Cavalcante e a messer Lapo
va, mia canzone, e lor ch’audit’aggio
{{R|105}}che ’l sommo ed inorato segnoraggio
pugnan di conquistar, tornando a vita;
e, se tu sai, li aita,
e che ’l comenzar ben cher tuttore
mezzo e fine megliore,
{{R|110}}e prende onta l’alma e ’l corpo tornare