Divina Commedia/Paradiso/Canto XXX: differenze tra le versioni

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{{opera
{{paradiso}}
|NomeCognome=Dante Alighieri
'''Paradiso - CANTO XXX'''
|TitoloOpera=Divina Commedia
----
|NomePaginaOpera=Divina Commedia
|AnnoPubblicazione=
|TitoloSezione=[[Divina Commedia/Paradiso|Paradiso]]<br /><br />Canto trentesimo
}}
{{capitolo
|CapitoloPrecedente=Canto ventinovesimo
|NomePaginaCapitoloPrecedente=Divina Commedia/Paradiso/Canto XXIX
|CapitoloSuccessivo=Canto trentunesimo
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=Divina Commedia/Paradiso/Canto XXXI
}}
''Canto XXX, ove narra come l'auttore vidde per conducimento di Beatrice li splendori de la divinità e le seggie de l'anime de li uomini, tra le quali vide già collocata quella de lo imperadore Arrigo di Lunzimborgo con la sua corona.''
 
<poem>
Forse semilia miglia di lontano <br>
Forse semilia miglia di lontano
ci ferve l'ora sesta, e questo mondo <br>
ci ferve l'ora sesta, e questo mondo
china già l'ombra quasi al letto piano, <br>
china già l'ombra quasi al letto piano, {{r|3}}
quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo, <br>
 
comincia a farsi tal, ch'alcuna stella <br>
quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo,
perde il parere infino a questo fondo; <br>
comincia a farsi tal, ch'alcuna stella
e come vien la chiarissima ancella <br>
perde il parere infino a questo fondo; {{r|6}}
del sol più oltre, così 'l ciel si chiude <br>
 
di vista in vista infino a la più bella. <br>
e come vien la chiarissima ancella
Non altrimenti il trïunfo che lude <br>
del sol più oltre, così 'l ciel si chiude
sempre dintorno al punto che mi vinse, <br>
di vista in vista infino a la più bella. {{r|9}}
parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude, <br>
 
a poco a poco al mio veder si stinse: <br>
Non altrimenti il trïunfo che lude
per che tornar con li occhi a Bëatrice <br>
sempre dintorno al punto che mi vinse,
nulla vedere e amor mi costrinse. <br>
parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude, {{r|12}}
Se quanto infino a qui di lei si dice <br>
 
fosse conchiuso tutto in una loda, <br>
a poco a poco al mio veder si stinse:
poca sarebbe a fornir questa vice. <br>
per che tornar con li occhi a Bëatrice
La bellezza ch'io vidi si trasmoda <br>
nulla vedere e amor mi costrinse. {{r|15}}
non pur di là da noi, ma certo io credo <br>
 
che solo il suo fattor tutta la goda. <br>
Se quanto infino a qui di lei si dice
Da questo passo vinto mi concedo <br>
fosse conchiuso tutto in una loda,
più che già mai da punto di suo tema <br>
poca sarebbe a fornir questa vice. {{r|18}}
soprato fosse comico o tragedo: <br>
 
ché, come sole in viso che più trema, <br>
La bellezza ch'io vidi si trasmoda
così lo rimembrar del dolce riso <br>
non pur di là da noi, ma certo io credo
la mente mia da me medesmo scema. <br>
che solo il suo fattor tutta la goda. {{r|21}}
Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso <br>
 
in questa vita, infino a questa vista, <br>
Da questo passo vinto mi concedo
non m'è il seguire al mio cantar preciso; <br>
più che già mai da punto di suo tema
ma or convien che mio seguir desista <br>
soprato fosse comico o tragedo: {{r|24}}
più dietro a sua bellezza, poetando, <br>
 
come a l'ultimo suo ciascuno artista. <br>
ché, come sole in viso che più trema,
Cotal qual io la lascio a maggior bando <br>
così lo rimembrar del dolce riso
che quel de la mia tuba, che deduce <br>
la mente mia da me medesmo scema. {{r|27}}
l'ardüa sua matera terminando, <br>
 
con atto e voce di spedito duce <br>
Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso
ricominciò: «Noi siamo usciti fore <br>
in questa vita, infino a questa vista,
del maggior corpo al ciel ch'è pura luce: <br>
non m'è il seguire al mio cantar preciso; {{r|30}}
luce intellettüal, piena d'amore; <br>
 
amor di vero ben, pien di letizia; <br>
ma or convien che mio seguir desista
letizia che trascende ogne dolzore. <br>
più dietro a sua bellezza, poetando,
Qui vederai l'una e l'altra milizia <br>
come a l'ultimo suo ciascuno artista. {{r|33}}
di paradiso, e l'una in quelli aspetti <br>
 
che tu vedrai a l'ultima giustizia». <br>
Cotal qual io la lascio a maggior bando
Come sùbito lampo che discetti <br>
che quel de la mia tuba, che deduce
li spiriti visivi, sì che priva <br>
l'ardüa sua matera terminando, {{r|36}}
da l'atto l'occhio di più forti obietti, <br>
 
così mi circunfulse luce viva, <br>
con atto e voce di spedito duce
e lasciommi fasciato di tal velo <br>
ricominciò: «Noi siamo usciti fore
del suo fulgor, che nulla m'appariva. <br>
del maggior corpo al ciel ch'è pura luce: {{r|39}}
«Sempre l'amor che queta questo cielo <br>
 
accoglie in sé con sì fatta salute, <br>
luce intellettüal, piena d'amore;
per far disposto a sua fiamma il candelo». <br>
amor di vero ben, pien di letizia;
Non fur più tosto dentro a me venute <br>
letizia che trascende ogne dolzore. {{r|42}}
queste parole brievi, ch'io compresi <br>
 
me sormontar di sopr' a mia virtute; <br>
Qui vederai l'una e l'altra milizia
e di novella vista mi raccesi <br>
di paradiso, e l'una in quelli aspetti
tale, che nulla luce è tanto mera, <br>
che tu vedrai a l'ultima giustizia». {{r|45}}
che li occhi miei non si fosser difesi; <br>
 
e vidi lume in forma di rivera <br>
Come sùbito lampo che discetti
fulvido di fulgore, intra due rive <br>
li spiriti visivi, sì che priva
dipinte di mirabil primavera. <br>
da l'atto l'occhio di più forti obietti, {{r|48}}
Di tal fiumana uscian faville vive, <br>
 
e d'ogne parte si mettien ne' fiori, <br>
così mi circunfulse luce viva,
quasi rubin che oro circunscrive; <br>
e lasciommi fasciato di tal velo
poi, come inebrïate da li odori, <br>
del suo fulgor, che nulla m'appariva. {{r|51}}
riprofondavan sé nel miro gurge, <br>
 
e s'una intrava, un'altra n'uscia fori. <br>
«Sempre l'amor che queta questo cielo
«L'alto disio che mo t'infiamma e urge, <br>
accoglie in sé con sì fatta salute,
d'aver notizia di ciò che tu vei, <br>
per far disposto a sua fiamma il candelo». {{r|54}}
tanto mi piace più quanto più turge; <br>
 
ma di quest' acqua convien che tu bei <br>
Non fur più tosto dentro a me venute
prima che tanta sete in te si sazi»: <br>
queste parole brievi, ch'io compresi
così mi disse il sol de li occhi miei. <br>
me sormontar di sopr' a mia virtute; {{r|57}}
Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi <br>
 
ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe <br>
e di novella vista mi raccesi
son di lor vero umbriferi prefazi. <br>
tale, che nulla luce è tanto mera,
Non che da sé sian queste cose acerbe; <br>
che li occhi miei non si fosser difesi; {{r|60}}
ma è difetto da la parte tua, <br>
 
che non hai viste ancor tanto superbe». <br>
e vidi lume in forma di rivera
Non è fantin che sì sùbito rua <br>
fulvido di fulgore, intra due rive
col volto verso il latte, se si svegli <br>
dipinte di mirabil primavera. {{r|63}}
molto tardato da l'usanza sua, <br>
 
come fec' io, per far migliori spegli <br>
Di tal fiumana uscian faville vive,
ancor de li occhi, chinandomi a l'onda <br>
e d'ogne parte si mettien ne' fiori,
che si deriva perché vi s'immegli; <br>
quasi rubin che oro circunscrive; {{r|66}}
e sì come di lei bevve la gronda <br>
 
de le palpebre mie, così mi parve <br>
poi, come inebrïate da li odori,
di sua lunghezza divenuta tonda. <br>
riprofondavan sé nel miro gurge,
Poi, come gente stata sotto larve, <br>
e s'una intrava, un'altra n'uscia fori. {{r|69}}
che pare altro che prima, se si sveste <br>
 
la sembianza non süa in che disparve, <br>
«L'alto disio che mo t'infiamma e urge,
così mi si cambiaro in maggior feste <br>
d'aver notizia di ciò che tu vei,
li fiori e le faville, sì ch'io vidi <br>
tanto mi piace più quanto più turge; {{r|72}}
ambo le corti del ciel manifeste. <br>
 
O isplendor di Dio, per cu' io vidi <br>
ma di quest' acqua convien che tu bei
l'alto trïunfo del regno verace, <br>
prima che tanta sete in te si sazi»:
dammi virtù a dir com' ïo il vidi! <br>
così mi disse il sol de li occhi miei. {{r|75}}
Lume è là sù che visibile face <br>
 
lo creatore a quella creatura <br>
Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi
che solo in lui vedere ha la sua pace. <br>
ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe
E' si distende in circular figura, <br>
son di lor vero umbriferi prefazi. {{r|78}}
in tanto che la sua circunferenza <br>
 
sarebbe al sol troppo larga cintura. <br>
Non che da sé sian queste cose acerbe;
Fassi di raggio tutta sua parvenza <br>
ma è difetto da la parte tua,
reflesso al sommo del mobile primo, <br>
che non hai viste ancor tanto superbe». {{r|81}}
che prende quindi vivere e potenza. <br>
 
E come clivo in acqua di suo imo <br>
Non è fantin che sì sùbito rua
si specchia, quasi per vedersi addorno, <br>
col volto verso il latte, se si svegli
quando è nel verde e ne' fioretti opimo, <br>
molto tardato da l'usanza sua, {{r|84}}
sì, soprastando al lume intorno intorno, <br>
 
vidi specchiarsi in più di mille soglie <br>
come fec' io, per far migliori spegli
quanto di noi là sù fatto ha ritorno. <br>
ancor de li occhi, chinandomi a l'onda
E se l'infimo grado in sé raccoglie <br>
che si deriva perché vi s'immegli; {{r|87}}
sì grande lume, quanta è la larghezza <br>
 
di questa rosa ne l'estreme foglie! <br>
e sì come di lei bevve la gronda
La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza <br>
de le palpebre mie, così mi parve
non si smarriva, ma tutto prendeva <br>
di sua lunghezza divenuta tonda. {{r|90}}
il quanto e 'l quale di quella allegrezza. <br>
 
Presso e lontano, lì, né pon né leva: <br>
Poi, come gente stata sotto larve,
ché dove Dio sanza mezzo governa, <br>
che pare altro che prima, se si sveste
la legge natural nulla rileva. <br>
la sembianza non süa in che disparve, {{r|93}}
Nel giallo de la rosa sempiterna, <br>
 
che si digrada e dilata e redole <br>
così mi si cambiaro in maggior feste
odor di lode al sol che sempre verna, <br>
li fiori e le faville, sì ch'io vidi
qual è colui che tace e dicer vole, <br>
ambo le corti del ciel manifeste. {{r|96}}
mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira <br>
 
quanto è 'l convento de le bianche stole! <br>
O isplendor di Dio, per cu' io vidi
Vedi nostra città quant' ella gira; <br>
l'alto trïunfo del regno verace,
vedi li nostri scanni sì ripieni, <br>
dammi virtù a dir com' ïo il vidi! {{r|99}}
che poca gente più ci si disira. <br>
 
E 'n quel gran seggio a che tu li occhi tieni <br>
Lume è là sù che visibile face
per la corona che già v'è sù posta, <br>
lo creatore a quella creatura
prima che tu a queste nozze ceni, <br>
che solo in lui vedere ha la sua pace. {{r|102}}
sederà l'alma, che fia giù agosta, <br>
 
de l'alto Arrigo, ch'a drizzare Italia <br>
E' si distende in circular figura,
verrà in prima ch'ella sia disposta. <br>
in tanto che la sua circunferenza
La cieca cupidigia che v'ammalia <br>
sarebbe al sol troppo larga cintura. {{r|105}}
simili fatti v'ha al fantolino <br>
 
che muor per fame e caccia via la balia. <br>
Fassi di raggio tutta sua parvenza
E fia prefetto nel foro divino <br>
reflesso al sommo del mobile primo,
allora tal, che palese e coverto <br>
che prende quindi vivere e potenza. {{r|108}}
non anderà con lui per un cammino. <br>
 
Ma poco poi sarà da Dio sofferto <br>
E come clivo in acqua di suo imo
nel santo officio; ch'el sarà detruso <br>
si specchia, quasi per vedersi addorno,
là dove Simon mago è per suo merto, <br>
quando è nel verde e ne' fioretti opimo, {{r|111}}
 
sì, soprastando al lume intorno intorno,
vidi specchiarsi in più di mille soglie
quanto di noi là sù fatto ha ritorno. {{r|114}}
 
E se l'infimo grado in sé raccoglie
sì grande lume, quanta è la larghezza
di questa rosa ne l'estreme foglie! {{r|117}}
 
La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza
non si smarriva, ma tutto prendeva
il quanto e 'l quale di quella allegrezza. {{r|120}}
 
Presso e lontano, lì, né pon né leva:
ché dove Dio sanza mezzo governa,
la legge natural nulla rileva. {{r|123}}
 
Nel giallo de la rosa sempiterna,
che si digrada e dilata e redole
odor di lode al sol che sempre verna, {{r|126}}
 
qual è colui che tace e dicer vole,
mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira
quanto è 'l convento de le bianche stole! {{r|129}}
 
Vedi nostra città quant' ella gira;
vedi li nostri scanni sì ripieni,
che poca gente più ci si disira. {{r|132}}
 
E 'n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
per la corona che già v'è sù posta,
prima che tu a queste nozze ceni, {{r|135}}
 
sederà l'alma, che fia giù agosta,
de l'alto Arrigo, ch'a drizzare Italia
verrà in prima ch'ella sia disposta. {{r|138}}
 
La cieca cupidigia che v'ammalia
simili fatti v'ha al fantolino
che muor per fame e caccia via la balia. {{r|141}}
 
E fia prefetto nel foro divino
allora tal, che palese e coverto
non anderà con lui per un cammino. {{r|144}}
 
Ma poco poi sarà da Dio sofferto
nel santo officio; ch'el sarà detruso
là dove Simon mago è per suo merto, {{r|147}}
 
e farà quel d'Alagna intrar più giuso».
</poem>
 
 
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