Il piacere/VII: differenze tra le versioni

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Schifanoja sorgeva su la collina, nel punto in cui la catena dopo aver seguito il litorale ed abbracciato il mare come in un anfiteatro, piegava verso l’interno e declinava alla pianura. Sebbene edificata dal cardinale Alfonso Carafa d’Ateleta, nella seconda metà del <small>XVIII</small> secolo, la villa aveva nella sua architettura una certa purezza di stile. Formava un quadrilatero, alto di due piani, ove i portici si alternavano con gli appartamenti; e le aperture de’ portici appunto davano all’edificio agilità ed eleganza, poiché le colonne e i pilastri ionici parevano disegnati e armonizzati dal Vignola. Era veramente un palazzo d’estate, aperto ai venti del mare. Dalla parte dei giardini, sul pendio, un vestibolo metteva su una bella scala a due rami discendente in un ripiano limitato da balaustri di pietra come un vasto terrazzo e ornato di due fontane. Altre scale dalle estremità del terrazzo si prolungavano giù per il pendio arrestandosi ad altri ripiani sinché terminavano quasi sul mare e da questa inferiore area presentavano alla vista una specie di settemplice serpeggiamento tra la verdura superba e tra i foltissimi rosai. Le meraviglie di Schifanoja erano le rose e i cipressi. Le rose, di tutte le qualità, di tutte le stagioni, erano a bastanza pour en tirer neuf ou dix muytz d’eaue rose, come avrebbe detto il poeta del Vergier d’honneur. I cipressi, acuti ed oscuri, più ieratici delle piramidi, più enigmatici degli obelischi, non cedevano né a quelli della Villa d’Este né a quelli della Villa Mondragone né a quanti altri simili giganti grandeggiano nelle gloriate ville di Roma.