Cefalo e Procri (Ovidio): differenze tra le versioni

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{{Centrato|
CEFALO E PROCRI.
 
{{Sc|Dal Libro III dell’Arte d’Amore
 
dello Stesso.}}
 
——
}}
<poem>
Quante un incauto credere
Talor sciagure apporti,
Di Procri l’infortunio,
{{R|4}}Sposi, vi renda accorti.
 
Non lungi dalle floride
Pendici dell’Imetto
Sgorga una fonte e morbido
{{R|8}}Vi fan l’erbette un letto.
 
Bossi e ginestre adombrano
Il tacito recesso;
Il mirto, il pin vi crescono
{{R|12}}Il lauro ed il cipresso
 
Di un odorato zefiro
Agli aliti giocondi
Gli erbosi cespi ondeggiano,
{{R|16}}Susurrano le frondi.
 
Stanza gradita a Cefalo
Che, cani e cacciatori
Lasciando altrove, assidersi
{{R|20}}Ivi godea sui fiori.
 
E «Vieni, o mobil Aura,
Solea cantar sovente.
Ninfa cortese, a molcere
{{R|24}}Vieni il mio petto ardente.»
 
Del malaccorto Cefalo
I detti alcun raccoglie,
E li riporta al credulo
{{R|28}}Orecchio della moglie.
 
Di subito alla misera
Irte si fer le chiome
Chè nome di un’adultera
{{R|32}}Di Aura le parve il nome;
 
E impallidì qual sogliono
A terra impallidite
Cader d’autunno al termine
{{R|36}}Le foglie della vite.
 
Poi come dal delirio
La misera si scosse.
Stracciò le molli porpore,
{{R|40}}II petto si percosse.
 
Disciolta il crin sugli omeri,
D’indugio intollerante,
Già le vie fende ed ulula
{{R|44}}A guisa di Baccante.
 
Giunta all’Imetto, lascia
L’ancelle a mezza valle,
E dentro al bosco intrepida
{{R|48}}Varca per ermo calle.
 
Oh qual, donzella improvvida,
Era in tuo cor tempesta.
Quando sedevi in guardia
{{R|52}}Nascosa alla foresta!
 
Ansia de’ venti al murmure
Gli occhi volgeva attorno;
Scovrir in ogni cespite
{{R|56}}Temeva il proprio scorno.
 
Procri infelice! or scernere
Ella vorrebbe il vero,
Or non vorrebbe: fluttua
{{R|60}}Perplesso il suo pensiero.
 
Il nome, il loco acquistano
A’ suoi sospetti fede:
Quanto paventa il misero
{{R|64}}Agevolmente crede.
 
Come di un uom vestigio
Vide sull’erba impresso,
Fiero la colse un tremito,
{{R|68}}Le battè ’l cor più spesso.
 
Ed alto il sol degli arbori
L’ombra minor già fea,
E spazio eguale il vespero
{{R|72}}Dall’alba dividea.
 
Ecco ritorna Cefalo,
Beltà divina, al fonte,
Nelle fresche acque a tergere
{{R|76}}La polverosa fronte.
 
Procri lo mira e palpita:
Ei steso sull’erbetta.
Venite, esclama, o zefiri.
{{R|80}}Vieni, cortese auretta.
 
L’inganno del vocabolo
Procri conobbe appena,
Che l’ansio core esilara,
{{R|84}}La faccia rasserena.
 
Sorge; e col petto aprendosi
La via fra le conserte
Ombre del bosco a Cefalo
{{R|88}}Sen corre a braccia aperte.
 
Quei d’una fiera il giungere
Udir pensando, in fretta
Sull’arco inconsapevole
{{R|92}}Incocca la saetta.
 
Che fai? t’arresta, o Cefalo,
Vano timor t’assale.....
Che festi? A Procri, o misero,
{{R|96}}Vibrasti in sen lo strale.
 
«O fatal selva! Cefalo,
Ella cadendo esclama,
Come potesti uccidere
{{R|100}}La tua fedel che t’ama?
 
Giovane io muoio; e giovane
Morir già non mi pesa.
Poi che di donna estrania
{{R|104}}Più non pavento offesa.
 
Prendi il supremo anelito,
Aura temuta invano:
Tu le pupille chiudimi,
{{R|108}}O sposo, di tua mano.»
 
Disse: e dal sen lo spirito
A poco a poco uscito
Tremanti i labbri accolgono
{{R|112}}Del pallido marito.
 
Ei fra le braccia esanime
Sostien l’amata sposa,
E lava di sue lagrime
{{R|116}}La piaga sanguinosa.....</poem>
{{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}