La partenza per l'esiglio: differenze tra le versioni

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{{A_destra|{{Sc|Elegia III del Libro I dei Tristi
dello Stesso.}}
}} <poem>
Quando alla notte orribile
Io col pensier ritorno,
Che sotto il ciel romuleo
Fu l'ultimo mio giorno;
 
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{{R|5}}Quando cotante io medito
Dolcezze che lasciai,
Di subitana lagrima
Molli ancor sento i rai.
 
Era il mattin già prossimo;
{{R|10}}E per regale editto
Io da’ confini italici
Uscir dovea proscritto.
 
Mente non ebbi e spazio
Di apparecchiarmi: immenso
{{R|15}}Sbalordimento all’anima
Moto avea tolto e senso.
 
Servi e compagno a scegliermi
Stordito io non attesi;
Oro, difesa all’esule,
{{R|20}}E vesti io non mi presi.
 
Giacqui percosso, attonito,
Come percosso e domo
Uom giace dalla folgore,
Tronco vital, non uomo.
 
{{R|25}}Poi che dal cor le nuvole
Lo stesso duol rimosse,
E vigoria ripresero
Dell'anima le posse,
 
Sorto, l'addio novissimo
{{R|30}}Volgo a’ dolenti amici;
Due furon meco; ed erano
Tanti a’ miei dì felici.
 
Alto io piangeva: al trepido
Mio seno la consorte
{{R|35}}In disperato spasimo
Stretta piangea più forte.
 
Lungi dal patrio Tevere,
Di mia fortuna amara
Nelle contrade libiche
{{R|40}}Vivea la figlia ignara.
 
Suonano pianti e gemiti;
Gli stessi servi han lutto;
Non ha la casa un angolo
Che sia di pianto asciutto.
 
{{R|45}}Di funeral non tacito
Rendea sembianza il loco;
Rendea di Troia immagine,
Quando fu preda al foco.
 
Le voci omai tacevano
{{R|50}}De’ cani e delle genti;
Ed alto il cocchio Cinzia
Reggea pe’ firmamenti.
 
Gli occhi levai: sul culmine
Il suo splendor battea
{{R|55}}Del Campidoglio: attigue
Io le mie case avea.
 
Numi, sclamai, cui vivere
Potei tanti anni appresso:
Vette tarpee, che scorgere
{{R|60}}Più non mi fia concesso;
 
Dei del superbo Lazio
Che abbandonar degg’io,
Miti vi piaccia accogliere
Dell’esule l’addio.
 
{{R|65}}So che lo scudo inutile
Torna a guerrier trafitto;
Pur voi scemate gli odii
Al misero proscritto.
 
Dite al divino Cesare
{{R|70}}Come demente errai;
Dite che fui colpevole,
Non scellerato mai.
 
Tutto è a voi noto; il giudice
Pur esso non l'ignori.
{{R|75}}Saran, placato Cesare,
Forse i miei guai minori.
 
Tanto io pregai: più fervida
La donna orava, e mozzi
L’erano i preghi assidui
{{R|80}}Da lagrime e singhiozzi.
 
Discinta, supplichevole
Si prostra ai Lari, e tocca
Del focolar le ceneri
Colla tremante bocca;
 
{{R|85}}Poi sorge, e di rimprovero
Acre i Penati assale,
Rimprovero che gl'invidi
Fati a stornar non vale.
 
E già rompea l'indugio
{{R|90}}La mezzanotte scorsa;
Già volto al lato occiduo
Era il timon dell’Orsa.
 
Che far dovea? Di patria
Mi rattenea l'amore;
{{R|95}}Ma noverate ed ultime
Erano a me quelle ore.
 
Se fretta alcun facevami,
Perchè, dicea, mi sproni?
Pensa onde vuoi divellermi,
{{R|100}}Pensa ove andar m’imponi.
 
Oh quante volte fingere
Mi piacque un’ora, e dissi:
Gl’istanti ancor non giunsero
Che alla partenza ho fissi!
 
{{R|105}}Tre volte ver la soglia
Mossi: tre volte addietro
Trassimi: il piede e l'animo
Tenean lo stessoà metro.
 
Addio, mi udian ripetere,
{{R|110}}Dar mi vedean gli amplessi
Ultimi, e tosto riedere
A’detti, a’ baci istessi.
 
Dava a’ miei cari i memori
Novissimi precetti;
{{R|115}}Poi gli occhi non sapeano
Torsi dai cari aspetti.
 
Perchè, diceva, accelero
Tanto il partir? Si noma
Il mio confin la Scizia;
{{R|120}}Questa che lascio è Roma.
 
Viva a me vivo involasi
Impareggiabil moglie;
Il genïal ricovero
Del padri mi si toglie;
 
{{R|125}}Tolti mi sono i teneri
Compagni desïati,
Più che Piritoo a Teseo
A me d’amor legati.
 
Pria che il destin ne separi,
{{R|130}}Oh, ch’io vi abbracci ancora.
Nobili petti; oh, spendere
Possa con voi questa ora!
 
Diceva; e a lor che stavano
A capo chin piangendo.
{{R|135}}Voci alternando e gemiti,
L’avide braccia io stendo.
 
Mentre favello e lagrimo,
Dalla marina sorto,
Stella fatai, Lucifero
{{R|140}}Alto splendea nell'Orto.
 
Mi stacco alfin: nell'impeto
Tutte sentir mi sembra
Dilacerate fendersi
E sanguinar le membra.
 
{{R|145}}Allor clamori ed ululi
Suonan pegli ampi tetti;
Percosse palme suonano,
Suonan percossi petti.
 
Stretto mi tien pegli omeri
{{R|150}}Furente la consorte,
E detti e pianti mescola
Sulle contese porte.
 
«A me nessun può toglierti;
Insieme, insieme andremo.
{{R|155}}Ella dicea; di un esule
I guai partir non temo.
 
Sol non farai di Scizia
L’orribile sentiero;
Alla tua nave io carico
{{R|160}}Aggiungerò leggero.
 
Te l'adirato Cesare
Lungi d’Italia invia;
Sia la pietà, mio Cesare,
A pormi teco in via.
 
{{R|165}}Cotal tentava: a smoverla
Forano i preghi vani;
Solo al pensier dell’utile
Vinte rendea le mani.
 
Esco. Io parea cadavere
{{R|170}}D’in sulla soglia tolto,
Squallido tutto ed orrido
Di sparse chiome il volto.
 
Mi disser poi ch'esanime,
Vinta d’immenso duolo,
{{R|175}}Chiusa in mortai caligine
Ella cadea sul suolo;
 
Che sorta dal deliquio
I rabbuffati crini
Bruttò d’immonda polvere.
{{R|180}}Pianse i suoi rei destini;
 
Pianse il deserto talamo
Ed il remoto esigilo,
Di madre in guisa che ardere
Miri sul rogo il figlio.
 
{{R|185}}E che volea, ini dissero,
Correr feroce a morte;
Nè l'arrestò che il provvido
Pensiero di mia sorte.
 
Viva: e se a’ fati infrangere
{{R|190}}Piacque di nostra vita
L’unica tela all’esule
Sia liberal di aita.</poem>
 
[[Categoria:Elegie]]
[[Categoria:Fonte cartacea presente]]